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Autore: monstropolis    05/11/2010    1 recensioni
La luna era l’unica cosa che la notte riusciva a farla dormire.
La sua vista era come un calmante, un sonnifero, che lui, forse da lontano le donava.
Eppure non riusciva a cancellare gli incubi che faceva.
Erano brutti sogni che si ripetevano.
Ce n’era uno che non voleva abbandonarla.
Genere: Dark, Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: The Sky That I Do
Autrice: monstropolis
Rating: Verde
Avvertimenti:  Oneshot, Dark, Fantasy, Malinconico
Conta parole:
 631

A/N: Piccola storia che riguarda un sogno che ho fatto qualche settimana fa. Ci tenevo a scriverlo.
Le prime righe a destra sono tratte da una canzone dei Blessthefall intitolata With Eyes Wide Shut. E secondo me sono azzeccatissime al finale. E il titolo deriva sempre da lì.
Desclaimer: Personaggi di pura fantasia.
 
I know I'm not there to hold you,
Look up, see the sky that I do…

Ormai se n’era andato.
L’amore della sua vita era svanito come se un soffio di vento l’avesse portato via.
Come se gliel’avesse strappato.
E gli aveva strappato anche l’anima.
Aileen si sentiva logorare dentro.
Si sentiva come polvere che cadeva lieve da un grande palazzo antico.
Il suo regno si stava sgretolando, la sua vita non aveva più un senso senza di lui.
E sentiva il dolore come non lo aveva mai provato.
Un dolore atroce.
E niente e nessuno avrebbe riparato quella ferita.
Niente e nessuno le avrebbe fatto dimenticare tutto questo.
Niente e nessuno le avrebbe ridato il sorriso o fatta star bene.
Aileen era senza vita.
Pian piano si lasciava morire l’anima spargendo lacrime noncurante del tempo che passava.
 
La luna era l’unica cosa che la notte riusciva a farla dormire.
La sua vista era come un calmante, un sonnifero, che lui, forse da lontano le donava.
Eppure non riusciva a cancellare gli incubi che faceva.
Erano brutti sogni che si ripetevano.
Ce n’era uno che non voleva abbandonarla.
 
Era in una radura.
Dispersa nel bel mezzo di quel bosco dall’aria cupa.
Tutto era grigio, bianco come la neve e blu spento.
Tutto era spento. Tutto stava morendo insieme a lei.
Gli alberi erano perlopiù spogli.
I rami sembravano quasi sfiorarla.
Sembrava che quella povera natura la volesse abbracciare oppure portarla via.
Sembrava volesse la sua compagnia per invecchiare e morire con qualcuno.
Aileen era in piedi, in un punto circolare.
Indossava un lungo abito bianco con le maniche a campana che dolcemente le copriva le mani.
E tutto si intonava con la sua carnagione chiarissima.
La sua pelle diafana poteva far paura anche a un fantasma.
Anche a sé stessa.
I capelli neri le scendevano sciolti lungo la schiena.
Sembravano animarsi come serpi grazie al lieve vento che tirava.
Gli occhi erano come ghiaccio.
Erano chiari come il gelo vero e proprio. Come il gelo che aveva dentro. Senza il calore della persona che amava.
Contornati da un leggero velo grigio.
L’unica cosa che dava colore a quel quadro erano le sue labbra, che nonostante tutto rimanevano accese.
Colorate di un rosa carico, quasi rosso. Come piacevano a lui.
E Aileen era lì. In pace in mezzo alla radura.
Ma quel posto dopo poco iniziava a girarle attorno.
Si sentiva in un vortice.
Cercava, allarmata, di fermare tutto, ma senza risultato.
Poi cadeva a terra, con il volto sul suolo freddo, mentre una figura nera la investiva.
Era la sua copia vestita di nero.
Gli occhi neri e le labbra spente.
Le scendeva addosso come se volesse abbracciarla.
Le girava attorno, sospirando e emettendo strani suoni.
Aileen non era in grado di reagire. Rimaneva paralizzata a guardare quell’angelo nero.
Quella fata dal mondo oscuro.
Quella Lei, che non sapeva cosa volesse dalla sua forma originale.
E rimaneva là in mezzo al bosco.
Quel sogno la lasciava sempre in attesa di una risposta.
Quel sogno contribuiva ad aumentare i suoi pianti, che le rovinavano gli occhi.
 
Alla quinta volta, all’alba Aileen si risvegliò di nuovo ansimante e con la fronte perlata dal sudore.
Il cuore le batteva all’impazzata e accelerarono i battiti quando sotto ai suoi occhi si materializzò qualcosa sul pavimento.
Il legno del parquet sembrava quasi aprirsi, lacerarsi. E mostrava una scritta in bella grafia.
Era la sua grafia.
Era lui che voleva comunicarle qualcosa.
Le diceva di guardare il cielo.
Le diceva di posare lo sguardo sulla pozza immensa sopra di lei.
Le diceva di ammirarlo perché l’avrebbe fatta star bene.
Lei lo fece.
Spostò gli occhi su quella distesa dalle sfumature azzurre, bianche e rosa che era il cielo.
Sembrava spruzzato di diamanti.
E quei diamanti formarono una frase che la fecero, finalmente e dopo tanto tempo, sorridere come prima.
L’ho fatto per te”
 
 
 
 
 
  
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