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Autore: Lanya    16/11/2005    3 recensioni
STORIA FILOSOFICA. Il seguito di "Monologo di un pazzo molto lucido", non è necessario averlo letto per capire questa storia.

La razionalità sprofonda sempre più nella pazzia.

ATTENZIONE: la storia è molto pessimista e contiene alcune parolacce. Chi è contrario a questo tipo di storie, si astenga dalla lettura.
Genere: Dark, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ubriache Favole di Fedro'
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De smaragdo et de via (Dello smeraldo e della via)

Di Lanya

 

Cammino in un sentiero oscuro. Angelo decaduto, luminosa creatura distrutta; io cammino in un sentiero oscuro, l’unico che io abbia mai visto. Luna d’argento spenta, terra ridente bruciata; il paesaggio intorno a questo viale è nero. I sogni di speranza infranti, le promesse di pace finte, i giuramenti spezzati. Nessuna luce può penetrare nella mia oscura conchiglia.

 

Nei tuoi occhi leggo pietà nei miei confronti. Io non ho bisogno della tua commiserazione, voglio essere lasciato in pace. Lasciami camminare in questa strada deserta, l’unica che io possa vedere nel mondo oscuro. Questa orrorifica via, il viale delle ninfe diaboliche. Non come te, vero, honey? Nei tuoi dorati pensieri tutto è perfetto, vero, piccola? Ma la realtà è diversa: il mondo è come una puttana, sì, hai sentito bene, come una puttana. Questa magnifica sgualdrina che prima ti rende felice, che ti fa pensare che la vita è magnifica, che la tristezza non esiste. Poi però ti pugnala alle spalle e i suoi  bellissimi occhi di smeraldo rispecchiano la sua anima nera: niente di te è importante. Al mondo non importa nulla di te.

 

Ti fanno male queste parole, tesoro? Beh, non m’importa. La tua spensierata gabbia d’oro e fiori si è spezzata e ora anche tu cammini in una strada nera. Le tue scarpette di cristallo si sono consumate a forza di camminare? Allora continuerai ad andare avanti tra le schegge di vetro, ti ferirai, ti mutilerai, ti torturerai, ti ucciderai. Il mondo neppure se ne accorgerà.

 

Eppure a volte vorrei essere trovato, vorrei uscire da qui. Ma non si può. Ogni richiesta d’aiuto è solo uno spreco di argentei pensieri onirici. Ho paura, a volte. Non vorrei essere in questo nero labirinto di perdizione… Perché non posso vivere? Perché ogni maledetto, infame e putrido giorno devo morire? E tu, stellina, hai paura? Sì? Non me ne frega un cazzo. Con amaro sarcasmo ti ho portata qui io, vero, dolcezza? Arrangiati. Non m’interessa se è colpa mia.

 

Il mondo deve sapere la verità. La spensierata dolcezza con cui guardavi ogni cosa è stata infranta e così deve accadere anche al mondo tutto. Un addio alla giovinezza, ecco cosa ci vuole. Ci serve una storia di terrore e morte che si mostri in tutto il suo orrore agli occhi di smeraldo della gente. Quei magnifici smeraldi contaminati dal sangue nero di Venere mi guardano ossessivi. Basta, vorrei dire. Basta, vorrei sussurrare.

BASTA. Vorrei urlare, sai?

BASTA, BASTA! Basta. Basta!

Per favore, non mi torturare. Per favore, lasciami in pace. Ti prego. TI PREGO.

 

E’ per questo che rovinerei il mondo: per non sentirmi più i suoi malefici occhi addosso. Oh, non mi illudo: nessuno mi trova tanto degno di nota da volermi osservare. Ma si sa, la diversità attira curiosi.

Un’occhiata di sfuggita, in mezzo ad una strada affollata, è sufficiente. Mi porterò addosso gli sguardi di un’altra persona per sempre. Sapete, da una parte questo è un bene: io colleziono sguardi. Ogni tanto li adagio sulle mie coltri di seta nera. Dispiego pigramente le mia ali incapaci di volare e mi lancio nell’osservazione della mia collezione: occhiate odiose, disilluse, innamorate, curiose, maligne, arrabbiate, ostili, cariche di riprovazione, tristi. Anzi, queste le ho doppie. Qualcuno vuole scambiarne una così con una felice? Perché, sapete, io non ho mai visto gli occhi felici. O forse non esistono? Che peccato, non potrei disilludere il mondo della sua ipocrisia.

Il mio piano sarebbe semplice: la confutazione della bellezza. Come, ancora non mi è chiaro. E’ come un’assioma geometrico: la musica rock l’ha capito da molto tempo. Un po’ meno convinto è l’arcobaleno. Ma, vedete?, lo sto persuadendo. Non a caso gli arcobaleni sono sempre meno.

Ma torniamo al nostro discorso, bambolina. Noi hai capito nulla, vero? E’ per questo che mi guardi con occhi di smeraldo tanto smarriti. La morale di questa ubriaca favola di Fedro non è altro che un semplice messaggio: tutta la vita è una via, tutto il mondo è morte, tutto è niente e il niente è l’essenza dell’universo, della nostra mente ma soprattutto della nostra esistenza. Ora capisci, piccola mia, perché cerco di rovinare altre vite? E’ per un puro, semplice, stupido egoistico desiderio di sopravvivenza. Cerco solo di vivere, infischiandomene degli altri. In fondo, la compassione non porta a nulla se non all’autodistruzione: se hai istinti suicidi puoi pure essere il nuovo Gesù.

Patetico. Questa frase era veramente patetica, da supermarket di periferia. Che caduta di stile. La mia mente prova ribrezzo, un sentimento comune a molti uomini. Come la confusione. Questo, anzi, è un sentimento ancora più diffuso: lo prova il bambino che affronta il caotico mondo, il ragazzo che non capisce perché la nostra società è così, è il caso di dirlo, patetica. E’ comune a tutti gli uomini che ancora vivono perché non trovano un senso al tutto.

 

Ma non ci pensano le creature sulla via della perdizione, perché loro hanno dimenticato anche i fiori…

  
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