La storia che leggerai è frutto di un’ispirazione avutami
guardando un recente film sulla Shoah: “Il
bambino con il pigiama a righe”.
I personaggi e le loro vicende sono puramente frutto della
mia immaginazione, tranne che per la protagonista: alcuni suoi pensieri e stati
d’animo sono, infatti, autobiografici e alcune sue esperienze prendono spunto
da fatti realmente accadutimi (ma non ti dirò quali!).
Ti auguro una buona lettura …
Un amore diviso da un filo
spinato
Capitolo
1
La prigioniera di Ravensbrück
“Riformato!”
Questo fu il
responso del medico.
Che vergogna
e che sofferenza per Kurt!
Scese dal
lettino e, a testa bassa, uscì dalla stanza.
Un groppo
gli strinse forte la gola e si morse un labbro per trattenere le lacrime.
Niente
guerra per Kurt!
Ritornato in
sé, considerò la sua reazione esagerata …
Sapeva,
infatti, che non avrebbe mai passato la visita militare: era claudicante.
In fretta,
percorse il lungo corridoio e andò via …
Un bicchiere di bock
dopo l'altro, Kurt si ubriacò. “Ma ma ma ero proprio
un deficiente …” stava parlando con uno sconosciuto “… Mia madre me lo diceva
se sempre: Kurt non ti arrampicare sull’albero … Maledetto, fottutiiissimo
albero!” Bevve l’ultimo sorso dalla bottiglia e, traballando, si allontanò dal
bancone. Quel pomeriggio, vagò senza una meta …
Il buio era
ormai calato sulla città; la luce dei lampioni e delle insegne lo accecava; la
voce della gente, che gli passava accanto, lo stordiva.
A un tratto,
si ritrovò nel buio e nel silenzio più profondi. Ebbe paura e girò velocemente
su se stesso. Il respiro divenne affannoso e, spinto dall’istinto, iniziò a
correre.
Finalmente
vide una luce, simile a quella di un faro e le andò incontro …
Si fermò: a
pochi metri da lui, c’era un fantasma.
La birra mi
ha fuso il cervello! Pensò.
Il fantasma
andava lentamente avanti e indietro e aveva un vestito a righe e un fazzoletto
che gli copriva il capo.
Kurt si
stropicciò gli occhi ma quella visione non andò via.
Il fantasma si fermò e gli rivolse lo sguardo.
Sopraffatto dalla paura e dagli effetti dell’alcol, Kurt
svenne …
Quando riaprì gli occhi, era già mattino. Le nuvole si
spostavano lentamente e un vento tiepido muoveva le foglie degli enormi alberi.
Capì allora di trovarsi nella boscaglia e, piano piano,
si rialzò. Vide che il fantasma era ancora lì, immobile ma con le braccia
incrociate e al di là di un filo spinato.
Il fantasma: “Pensavo fossi morto …”
Il fantasma aveva una voce femminile e molto dolce.
Kurt: “Chi sei?”
Kurt si avvicinò.
Il fantasma: “Io … io sono una prigioniera …”
Kurt era ormai vicinissimo al filo spinato e alla
prigioniera.
Il vestito era a righe bianche e blu e il fazzoletto di color marrone, come
quello dei calzini.
La guardò
negli occhi: erano grandi e di un bel nocciola.
Kurt: “Come ti chiami?”
Rispose: “Mi chiamo Nadine.”
Kurt: “è … è
un bel nome … è particolare …”
Nadine:
“Sì … grazie.”
Kurt guardò
all’interno del filo spinato: c’erano numerose baracche, delle torrette e altre donne che, vestite come Nadine, scavavano con le pale. Innanzi a lui c’era un campo
di concentramento.
Kurt: “Perché sei qui? Cosa hai fatto?”
“Io sono un’ebrea.”
“Non capisco …”
Nadine
sospirò e gli disse: “Neanche io.”
Ne seguirono attimi di silenzio …
Kurt: “Quanti anni hai?”
Nadine:
“Diciannove … Ma qual è il tuo nome?”
Rispose: “Ah … scusami … Mi chiamo Kurt e ho ventidue anni …
Piacere.”
Tese la mano nella rete di filo spinato ma Nadine non si mosse.
Era sorpresa per quel gesto amichevole e provava anche un
po’ di timore verso quel giovane. In fondo, era sempre un tedesco …
Lo guardò negli occhi: sembravano sinceri. Nessun tedesco
l’aveva mai guardata in un modo così affettuoso. I suoi occhi non esprimevano
sdegno né superbia, non erano feroci.
Si fidò di lui e, lentamente, gli diede la mano …
Kurt: “ Caspita!”
La mano di Nadine era freddissima.
“Mi dispiace …” Nadine aveva da
sempre questo problema che si era aggravato con la permanenza al campo. “Non
preoccuparti …” Le strinse la mano più forte per riscaldargliela.
Per Nadine quel calore era davvero
piacevole …
Lo sguardo di Nadine era perso nel
vuoto e Kurt, notandone la tristezza, fece una battuta: “Allora non sei un
fantasma …” La battuta era pessima, lo capì subito …
Nadine,
infatti, non sorrise e lo guardò con espressione molto seria. “Ora devo
andare.” Disse e gli lasciò la mano.
Kurt la guardò allontanarsi …
Dirigendosi verso casa, Kurt si poneva delle domande: Chi
era Nadine?Perché era in quel campo?Era forse una
ladra, un’assassina, una prostituta o un’antinazista?O forse Nadine era semplicemente frutto della sua immaginazione?
La sera stessa, decise di ritornare al filo spinato: Nadine non c’era. Deluso, si volse per andar via …
“Kurt!”
Si rigirò verso la rete: era Nadine.
Kurt: “Ah! … Eccoti!”
Nadine:
“Ciao …”
Nadine
accennò un sorriso, poi sedette sulla sabbia: era stremata.
Si toccò la fronte e, lentamente, tolse il fazzoletto: i
suoi capelli erano corti e neri.
Anche Kurt sedette e la guardò fissamente.
Gli occhi di Nadine erano persi
nel vuoto.
“Perché non mi guardi?” le domandò.
Nadine
lentamente alzò lo sguardo e gli rivolse un sorriso.
“Come mai ti hanno rinchiusa qui?” le domandò.
“Te l’ho già detto: io sono un’ebrea.”
Kurt sapeva che gli ebrei erano considerati inferiori,
sapeva delle leggi contro di loro: l’esclusione dalla vita politica, dal mondo
del lavoro e della scuola, dai negozi, dai locali e dai mezzi pubblici … ma non
sapeva della loro deportazione nei campi di concentramento.
Di nuovo, restò confuso.
Nadine
distolse lo sguardo, poi alzò gli occhi: il cielo era ricoperto di stelle e la
luna crescente, nella fase che lei amava.
Kurt: “Quando uscirai da qui?”
“Chi entra a Ravensbrück …” Nadine indirizzò gli occhi al comignolo, dal quale usciva fumo, e concluse
dicendo: “… esce solo da lì.”
Poi toccò il
triangolo giallo, cucito sul vestito e gli disse: “Sai cosa significa questa
lettera? …” (in mezzo alla stella c’era la lettera U) “Significa innocente …”
sorrise per trattenere le lacrime “ Io sono innocente …”
Kurt iniziò
a fidarsi di Nadine per come gli aveva parlato: per i
suoi occhi, per quelle lacrime trattenute …
Per un
attimo, i loro sguardi s’incrociarono e il giovane provò un qualcosa mai
provato fino allora.
Cominciò a
sentire il battito del proprio cuore e la voglia di prenderle le mani, di
abbracciarla, di confortarla … La vide bella … All’improvviso, udì un
brontolio: era lo stomaco di Nadine. Quest’ultima
sorrise per l’imbarazzo e avvicinò una mano alla pancia.
Kurt: “Hai
fame?”
Nadine
abbassò lo sguardo e, con un filo di voce, rispose: “Sì … tanta.”
“Aspetta! …
Dovrei avere una barretta di cioccolato …”
Kurt iniziò
a frugarsi le tasche e le domandò: “Non ti danno da mangiare qui?”
Rispose:
“Pochissimo … E molte volte … alcune me lo strappano dalle mani.”
“Ah,
eccola!” esclamò e le porse il
cioccolato attraverso la rete di filo spinato. “Grazie …”
Le mani dei due si sfiorarono e Kurt non poté far altro che balbettare:
“ Di … di ni … niente … Domani ti … ti porto … del
pane.” Nadine gli sorrise divertita “Ah … grazie!”
Anche Kurt sorrise poi, imbarazzato, abbassò gli occhi.
“Allora … ci vediamo domani.” ribatté Kurt che, preceduto da Nadine, si alzò. “Sì … mi farebbe molto piacere rivederti.”
“Anche a me … Nadine.” Per la prima volta, Kurt aveva
pronunciato il suo nome e ne fu stupito.
Il giovane, infatti, non chiamava mai per nome una persona finché questa
non occupava un posto importante nella sua vita. E non era mai successo con una
persona incontrata solo due volte e per pochi minuti …
Kurt: “Beh … Allora … ciao!”
“Ciao! A
domani!” rispose Nadine con un sorriso …
La sera seguente, Kurt ritornò al filo spinato ma non
trovò la ragazza.
Un sentimento di delusione lo invase: chissà per quale motivo immaginava
che Nadine fosse già lì, ad aspettare trepidante il
suo arrivo.
Stanco per il lungo cammino, sedette e guardò l’orologio: erano le otto
in punto …
Kurt iniziò a perdersi nei propri pensieri …
Da almeno tre mesi, non scattava una foto e suo padre aveva minacciato
di licenziarlo. Era stufo di immortalare quelle stupide marce, quelle stupide
adunate delle SS! Burattini in nero, senza espressione, tutti uguali! … Il 12
settembre dell’anno precedente, era stato al «Raduno della Grande Germania» e, durante
la permanenza a Norimberga, un senso di oppressione e una voglia di fuggire non
lo avevano mai abbandonato …
Kurt non era
antisemita, non si considerava un ariano e per gli altri non lo era! … L’ariano
nazista, l’uomo nordico: alto circa 1,80; biondo con occhi chiari; aitante;
brutale. Lui non aveva nessuna di queste caratteristiche e un po’ gli
dispiaceva non averle. Poi, cosa ben più grave, il suo problema al ginocchio:
l’ariano era perfetto! … Kurt non odiava gli ebrei perché anche lui, per la sua
condizione fisica, era isolato e discriminato …
I suoi occhi
si velarono di un’immensa tristezza e, ancora una volta, Kurt si trattenne dal
piangere. Mise le mani sul volto e sospirò profondamente … “Kurt!” Nadine era finalmente arrivata. A chi altri poteva appartenere quella voce
dolce e gentile? … Il giovane sollevò pian piano la testa e, accennando un
sorriso, rispose: “Ciao, Nadine!” Poi si alzò quasi
di scatto e, aprendo la sacca, aggiunse: “ Ti ho portato del pane … con la
marmellata … ”
“ Ah … grazie! …” rispose.
Kurt le diede il pane attraverso
il
filo spinato.
Nadine:
“ Ti senti bene?”
Kurt: “ Sì … Sono solo un po’ stanco …”
Nadine aveva notato quella
profonda malinconia nel suo sguardo …
Entrambi
sedettero e la ragazza cominciò a mangiare.
Da
circa due mesi, Nadine non mangiava del pane decente.
Il pane al campo, che consisteva in una fetta minuscola, era nero preparato
apposta per le prigioniere …
Kurt:
“ Da quanto tempo sei qui?”
Nadine: “ Dal due luglio … il
giorno dopo il mio compleanno …”
Kurt:
“ Di dove sei?”
Nadine: “ Berlino.”
Pensierosa,
smise di mangiare e riavvolse metà del pane nella carta.
Kurt:
“ Perché non lo finisci? … Non ti piace?”
Nadine: “ Sì … solo che … voglio
conservarlo a un bambino che non sta bene …”
Kurt:
“ Ci sono anche bambini qui?!” “ Sì …” rispose angosciata …
Nadine diede quel pane a un
bambino zingaro di due anni molto denutrito …
Il giorno
dopo, Kurt si svegliò di buon’ora e, per la prima volta dopo tanto tempo, di
buon umore. Preparò la colazione anche per i suoi genitori e per Nadine … Questa volta, sarebbe andato di mattina al campo
con la convinzione e la speranza di trovarla, come la sera, al filo spinato …
Arrivato a Ravensbrück,
con la luce del sole e da sobrio, Kurt poté notare il binario morto e i
particolari del lungo viale: le piante di betulle e di conifere, le aiole
curate, le casette tirolesi con i gerani alle finestre. Era bello, perfetto,
quasi da sembrare uno di quei boschetti incantati descritti nelle favole … Ma
terminato il viale, l’atmosfera divenne improvvisamente cupa, l’aria più fredda
e si trovò di fronte all’anticamera dell’inferno. Sul piazzale del campo
c’erano tantissime prigioniere in fila circondate da cani lupi, SS donne che urlavano dei numeri e, vicino a una baracca, un gruppetto di
donne completamente nude …
Sul piazzale
del campo si stava svolgendo la tortura dell’appello mattutino.
Nadine
chiuse gli occhi per un attimo. Quante ore erano passate? Due, tre … o forse
quattro? I piedi le facevano male, sentiva le gambe gonfie e le braccia
pesanti, il vento freddo le percuoteva la fronte e i pensieri, che prima erano
rivolti a Kurt, adesso si concentravano esclusivamente sul dolore …
Kurt era
sconvolto. Cosa stava succedendo nel campo? Velocemente, prese gli occhiali
dalla tasca interna della giacca e li mise … Vide una donna della prima fila
piegarsi su se stessa e una SS avvicinarsi a lei con un bastone. Ciò che
successe dopo fu orribile: l'aufseherin iniziò a
colpirla furiosamente. La prigioniera non urlava ma, con la faccia nella
sabbia, emetteva gemiti di dolore; i cani abbaiavano e ringhiavano ferocemente
mentre le altre prigioniere mantenevano la loro posizione e il loro silenzio …
Nadine
udiva il rumore delle percosse, l’abbaiare dei cani, i lamenti della donna e i
suoi occhi si riempivano di lacrime da trattenere …
Un soldato
portò via il corpo della donna trascinandolo per i piedi e Kurt, terrorizzato
dalla scena a cui aveva assistito, si allontanò in fretta da Ravensbrück …
L’appello
ricominciò daccapo.
“ Stamattina
… sono venuto al campo … ” Kurt le porse il sacchetto con i biscotti “ … Cos’è
successo, Nadine? ”
Ancora una
volta, i due erano seduti l’uno di fronte l’altra …
“ Una
prigioniera è stata uccisa durante l’appello … forse … perché si era mossa … ”
rispose, dopo un profondo sospiro.
Kurt: “ Sì …
ho visto … ma perché? … Una sorvegliante non può uccidere una prigioniera! …”
Nadine:
“ Loro possono tutto.”
“ … è assurdo! … Come può una donna
uccidere un’altra donna?!”
“ Infatti
noi non siamo donne per loro … Loro ci chiamano “pezzi”… Per loro non siamo
altro che merce … o animali … Guarda … questo è il mio marchio …”
Nadine
si scoprì il braccio sinistro, facendogli vedere il tatuaggio: il suo era il
numero 950.
Poi gli
raccontò dell’arrivo a Ravensbrück: la speranza nel
percorrere il boschetto e la delusione nel vedere come fosse realmente il
campo; la sottrazione della valigia e degli indumenti che teneva addosso; il
taglio dei capelli; la consegna del triangolo e del numero di matricola …
E infine gli
descrisse la vita nel campo, raccontandogli del lungo e faticoso appello del
mattino; del lavoro inutile che svolgeva al laghetto; della brutalità delle aufseherinnen e delle kapò; dell’affollamento nelle
baracche; della mancanza d’igiene e di cibo.
Nel suo
racconto, Nadine alternava una profonda angoscia a
un’apatia che per Kurt era disarmante.
“ Vedi quel comignolo? …” glielo indicò con un
dito “ Dove sta uscendo il fumo … Quello è un forno crematorio … Lì bruciano i
corpi … Le donne più anziane o malate vengono uccise nella camera a gas, poi i
loro …”
Kurt: “ Che
cos’è la camera a gas?”
Nadine:
“ è una camera dove ci sono le
docce ma … dai rubinetti … invece dell’acqua … fanno uscire il gas.”
I due
rimasero a guardarsi in silenzio con aria triste e impaurita fino a quando
Kurt, poco dopo, non andò via …
“ Ehm … io
vado … A domani.”
“ A domani …
Ciao, Kurt.”
Il giovane
era ancora molto scosso per tutto ciò che aveva scoperto su Ravensbrück,
per l’uccisione della prigioniera e il tragico racconto di Nadine
…
Si avvolse
meglio nella coperta.
Ravensbrück
non era un “campo di rieducazione attraverso il lavoro” come pensava, ma un
vero e proprio campo di sterminio! …
Nadine
tremava per il freddo: non aveva una coperta né un qualcosa con cui coprirsi,
come una giacca … non aveva niente. E si domandava come avrebbe fatto in pieno
inverno …
Tentò di
riscaldarsi, mettendosi in posizione fetale e alitando sulle mani gelide.
Per Nadine la giornata era iniziata e si era conclusa in un modo
orribile! Tornata nella baracca, infatti, non aveva più visto il piccolo Petru, il bambino zingaro a cui era tanto affezionata, la
giovanissima madre e alcune ragazzine polacche.
Sconvolta
per queste morti, preoccupata e terrorizzata per ciò che l’attendeva, scoppiò
in un pianto sommesso …