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Autore: Nadine_Rose    08/11/2010    7 recensioni
15 settembre 1939: un giovane tedesco non passa la visita militare. È deluso e affranto ma, quello stesso giorno, un incontro molto particolare sconvolgerà la sua vita.
“Quando la guerra sarà finita, ci trasferiremo a Berlino e andremo ad abitare in una casetta dal tetto rosso con fuori un grande giardino. Ci sposeremo e tu entrerai in chiesa vestita di bianco accompagnata dalle note dell’Ave Maria di Schubert. Quello sarà il giorno più felice della nostra vita”.
[Ultimo capitolo: Sangue e lacrime]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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La storia che leggerai è frutto di un’ispirazione avutami guardando un recente film sulla Shoah: “Il bambino con il pigiama a righe”.

I personaggi e le loro vicende sono puramente frutto della mia immaginazione, tranne che per la protagonista: alcuni suoi pensieri e stati d’animo sono, infatti, autobiografici e alcune sue esperienze prendono spunto da fatti realmente accadutimi (ma non ti dirò quali!).

Ti auguro una buona lettura …

 

Un amore diviso da un filo spinato

 

 

Capitolo 1

 

La prigioniera di Ravensbrück

 

“Riformato!”

Questo fu il responso del medico.

Che vergogna e che sofferenza per Kurt!

Scese dal lettino e, a testa bassa, uscì dalla stanza.

Un groppo gli strinse forte la gola e si morse un labbro per trattenere le lacrime.

Niente guerra per Kurt!

Ritornato in sé, considerò la sua reazione esagerata …

Sapeva, infatti, che non avrebbe mai passato la visita militare: era claudicante.

In fretta, percorse il lungo corridoio e andò via …

Un bicchiere di bock dopo l'altro, Kurt si ubriacò. “Ma ma ma ero proprio un deficiente …” stava parlando con uno sconosciuto “… Mia madre me lo diceva se sempre: Kurt non ti arrampicare sull’albero … Maledetto, fottutiiissimo albero!” Bevve l’ultimo sorso dalla bottiglia e, traballando, si allontanò dal bancone. Quel pomeriggio, vagò senza una meta …

Il buio era ormai calato sulla città; la luce dei lampioni e delle insegne lo accecava; la voce della gente, che gli passava accanto, lo stordiva.

A un tratto, si ritrovò nel buio e nel silenzio più profondi. Ebbe paura e girò velocemente su se stesso. Il respiro divenne affannoso e, spinto dall’istinto, iniziò a correre.

Finalmente vide una luce, simile a quella di un faro e le andò incontro …

Si fermò: a pochi metri da lui, c’era un fantasma.

La birra mi ha fuso il cervello! Pensò.

Il fantasma andava lentamente avanti e indietro e aveva un vestito a righe e un fazzoletto che gli copriva il capo.

Kurt si stropicciò gli occhi ma quella visione non andò via.

Il fantasma si fermò e gli rivolse lo sguardo.

Sopraffatto dalla paura e dagli effetti dell’alcol, Kurt svenne …

Quando riaprì gli occhi, era già mattino. Le nuvole si spostavano lentamente e un vento tiepido muoveva le foglie degli enormi alberi. Capì allora di trovarsi nella boscaglia e, piano piano, si rialzò. Vide che il fantasma era ancora lì, immobile ma con le braccia incrociate e al di là di un filo spinato.

Il fantasma: “Pensavo fossi morto …”

Il fantasma aveva una voce femminile e molto dolce.

Kurt: “Chi sei?”

Kurt si avvicinò.

Il fantasma: “Io … io sono una prigioniera …”

Kurt era ormai vicinissimo al filo spinato e alla prigioniera.

Il vestito era a righe bianche e blu e il fazzoletto di color marrone, come quello dei calzini.

La guardò negli occhi: erano grandi e di un bel nocciola.

Kurt: “Come ti chiami?”

Rispose: “Mi chiamo Nadine.”

Kurt: “è … è un bel nome … è particolare …”

Nadine: “Sì … grazie.”

Kurt guardò all’interno del filo spinato: c’erano numerose baracche, delle torrette e altre donne che, vestite come Nadine, scavavano con le pale. Innanzi a lui c’era un campo di concentramento.

Kurt: “Perché sei qui? Cosa hai fatto?”

“Io sono un’ebrea.”

“Non capisco …”

Nadine sospirò e gli disse: “Neanche io.”

Ne seguirono attimi di silenzio …

Kurt: “Quanti anni hai?”

Nadine: “Diciannove … Ma qual è il tuo nome?”

Rispose: “Ah … scusami … Mi chiamo Kurt e ho ventidue anni … Piacere.”

Tese la mano nella rete di filo spinato ma Nadine non si mosse. 

Era sorpresa per quel gesto amichevole e provava anche un po’ di timore verso quel giovane. In fondo, era sempre un tedesco …

Lo guardò negli occhi: sembravano sinceri. Nessun tedesco l’aveva mai guardata in un modo così affettuoso. I suoi occhi non esprimevano sdegno né superbia, non erano feroci.

Si fidò di lui e, lentamente, gli diede la mano …

Kurt: “ Caspita!”

La mano di Nadine era freddissima.

“Mi dispiace …” Nadine aveva da sempre questo problema che si era aggravato con la permanenza al campo. “Non preoccuparti …” Le strinse la mano più forte per riscaldargliela.

Per Nadine quel calore era davvero piacevole …

Lo sguardo di Nadine era perso nel vuoto e Kurt, notandone la tristezza, fece una battuta: “Allora non sei un fantasma …” La battuta era pessima, lo capì subito …

Nadine, infatti, non sorrise e lo guardò con espressione molto seria. “Ora devo andare.” Disse e gli lasciò la mano.

Kurt la guardò allontanarsi …

Dirigendosi verso casa, Kurt si poneva delle domande: Chi era Nadine?Perché era in quel campo?Era forse una ladra, un’assassina, una prostituta o un’antinazista?O forse Nadine era semplicemente frutto della sua immaginazione?

La sera stessa, decise di ritornare al filo spinato: Nadine non c’era. Deluso, si volse per andar via …

“Kurt!”

Si rigirò verso la rete: era Nadine.

Kurt: “Ah! … Eccoti!”

Nadine: “Ciao …”

Nadine accennò un sorriso, poi sedette sulla sabbia: era stremata.

Si toccò la fronte e, lentamente, tolse il fazzoletto: i suoi capelli erano corti e neri.

Anche Kurt sedette e la guardò fissamente.

Gli occhi di Nadine erano persi nel vuoto.

“Perché non mi guardi?” le domandò.

Nadine lentamente alzò lo sguardo e gli rivolse un sorriso.

“Come mai ti hanno rinchiusa qui?” le domandò.

“Te l’ho già detto: io sono un’ebrea.”

Kurt sapeva che gli ebrei erano considerati inferiori, sapeva delle leggi contro di loro: l’esclusione dalla vita politica, dal mondo del lavoro e della scuola, dai negozi, dai locali e dai mezzi pubblici … ma non sapeva della loro deportazione nei campi di concentramento.

Di nuovo, restò confuso.

Nadine distolse lo sguardo, poi alzò gli occhi: il cielo era ricoperto di stelle e la luna crescente, nella fase che lei amava.

Kurt: “Quando uscirai da qui?”

“Chi entra a Ravensbrück …” Nadine indirizzò gli occhi al comignolo, dal quale usciva fumo, e concluse dicendo: “… esce solo da lì.”

Poi toccò il triangolo giallo, cucito sul vestito e gli disse: “Sai cosa significa questa lettera? …” (in mezzo alla stella c’era la lettera U) “Significa innocente …” sorrise per trattenere le lacrime “ Io sono innocente …”

Kurt iniziò a fidarsi di Nadine per come gli aveva parlato: per i suoi occhi, per quelle lacrime trattenute …

Per un attimo, i loro sguardi s’incrociarono e il giovane provò un qualcosa mai provato fino allora.

Cominciò a sentire il battito del proprio cuore e la voglia di prenderle le mani, di abbracciarla, di confortarla … La vide bella … All’improvviso, udì un brontolio: era lo stomaco di Nadine. Quest’ultima sorrise per l’imbarazzo e avvicinò una mano alla pancia.

Kurt: “Hai fame?”

Nadine abbassò lo sguardo e, con un filo di voce, rispose: “Sì … tanta.”

“Aspetta! … Dovrei avere una barretta di cioccolato …”

Kurt iniziò a frugarsi le tasche e le domandò: “Non ti danno da mangiare qui?”

Rispose: “Pochissimo … E molte volte … alcune me lo strappano dalle mani.”

“Ah, eccola!” esclamò e le porse il cioccolato attraverso la rete di filo spinato. “Grazie …”

Le mani dei due si sfiorarono e Kurt non poté far altro che balbettare: “ Di … di ni … niente … Domani ti … ti porto … del pane.” Nadine gli sorrise divertita “Ah … grazie!” Anche Kurt sorrise poi, imbarazzato, abbassò gli occhi.

“Allora … ci vediamo domani.” ribatté Kurt che, preceduto da Nadine, si alzò. “Sì … mi farebbe molto piacere rivederti.” “Anche a me … Nadine.” Per la prima volta, Kurt aveva pronunciato il suo nome e ne fu stupito.

Il giovane, infatti, non chiamava mai per nome una persona finché questa non occupava un posto importante nella sua vita. E non era mai successo con una persona incontrata solo due volte e per pochi minuti …

Kurt: “BehAllora … ciao!”

“Ciao! A domani!” rispose Nadine con un sorriso …

La sera seguente, Kurt ritornò al filo spinato ma non trovò la ragazza.

Un sentimento di delusione lo invase: chissà per quale motivo immaginava che Nadine fosse già lì, ad aspettare trepidante il suo arrivo.

Stanco per il lungo cammino, sedette e guardò l’orologio: erano le otto in punto …

Kurt iniziò a perdersi nei propri pensieri …

Da almeno tre mesi, non scattava una foto e suo padre aveva minacciato di licenziarlo. Era stufo di immortalare quelle stupide marce, quelle stupide adunate delle SS! Burattini in nero, senza espressione, tutti uguali! … Il 12 settembre dell’anno precedente, era stato al «Raduno della Grande Germania» e, durante la permanenza a Norimberga, un senso di oppressione e una voglia di fuggire non lo avevano mai abbandonato …

Kurt non era antisemita, non si considerava un ariano e per gli altri non lo era! … L’ariano nazista, l’uomo nordico: alto circa 1,80; biondo con occhi chiari; aitante; brutale. Lui non aveva nessuna di queste caratteristiche e un po’ gli dispiaceva non averle. Poi, cosa ben più grave, il suo problema al ginocchio: l’ariano era perfetto! … Kurt non odiava gli ebrei perché anche lui, per la sua condizione fisica, era isolato e discriminato …

I suoi occhi si velarono di un’immensa tristezza e, ancora una volta, Kurt si trattenne dal piangere. Mise le mani sul volto e sospirò profondamente … “Kurt!” Nadine era finalmente arrivata. A chi altri poteva appartenere quella voce dolce e gentile? … Il giovane sollevò pian piano la testa e, accennando un sorriso, rispose: “Ciao, Nadine!” Poi si alzò quasi di scatto e, aprendo la sacca, aggiunse: “ Ti ho portato del pane … con la marmellata … ”

“ Ah … grazie! …” rispose.

Kurt le diede il pane attraverso il filo spinato.

Nadine: “ Ti senti bene?”

Kurt: “ Sì … Sono solo un po’ stanco …”

Nadine aveva notato quella profonda malinconia nel suo sguardo …

Entrambi sedettero e la ragazza cominciò a mangiare.

Da circa due mesi, Nadine non mangiava del pane decente. Il pane al campo, che consisteva in una fetta minuscola, era nero preparato apposta per le prigioniere …

Kurt: “ Da quanto tempo sei qui?”

Nadine: “ Dal due luglio … il giorno dopo il mio compleanno …”

Kurt: “ Di dove sei?”

Nadine: “ Berlino.”

Pensierosa, smise di mangiare e riavvolse metà del pane nella carta.

Kurt: “ Perché non lo finisci? … Non ti piace?”

Nadine: “ Sì … solo che … voglio conservarlo a un bambino che non sta bene …”

Kurt: “ Ci sono anche bambini qui?!” “ Sì …” rispose angosciata …

Nadine diede quel pane a un bambino zingaro di due anni molto denutrito

Il giorno dopo, Kurt si svegliò di buon’ora e, per la prima volta dopo tanto tempo, di buon umore. Preparò la colazione anche per i suoi genitori e per Nadine … Questa volta, sarebbe andato di mattina al campo con la convinzione e la speranza di trovarla, come la sera, al filo spinato …

Arrivato a Ravensbrück, con la luce del sole e da sobrio, Kurt poté notare il binario morto e i particolari del lungo viale: le piante di betulle e di conifere, le aiole curate, le casette tirolesi con i gerani alle finestre. Era bello, perfetto, quasi da sembrare uno di quei boschetti incantati descritti nelle favole … Ma terminato il viale, l’atmosfera divenne improvvisamente cupa, l’aria più fredda e si trovò di fronte all’anticamera dell’inferno. Sul piazzale del campo c’erano tantissime prigioniere in fila circondate da cani lupi, SS donne che urlavano dei numeri e, vicino a una baracca, un gruppetto di donne completamente nude …

Sul piazzale del campo si stava svolgendo la tortura dell’appello mattutino.

Nadine chiuse gli occhi per un attimo. Quante ore erano passate? Due, tre … o forse quattro? I piedi le facevano male, sentiva le gambe gonfie e le braccia pesanti, il vento freddo le percuoteva la fronte e i pensieri, che prima erano rivolti a Kurt, adesso si concentravano esclusivamente sul dolore …

Kurt era sconvolto. Cosa stava succedendo nel campo? Velocemente, prese gli occhiali dalla tasca interna della giacca e li mise … Vide una donna della prima fila piegarsi su se stessa e una SS avvicinarsi a lei con un bastone. Ciò che successe dopo fu orribile: l'aufseherin iniziò a colpirla furiosamente. La prigioniera non urlava ma, con la faccia nella sabbia, emetteva gemiti di dolore; i cani abbaiavano e ringhiavano ferocemente mentre le altre prigioniere mantenevano la loro posizione e il loro silenzio …

Nadine udiva il rumore delle percosse, l’abbaiare dei cani, i lamenti della donna e i suoi occhi si riempivano di lacrime da trattenere …

Un soldato portò via il corpo della donna trascinandolo per i piedi e Kurt, terrorizzato dalla scena a cui aveva assistito, si allontanò in fretta da Ravensbrück

L’appello ricominciò daccapo.

“ Stamattina … sono venuto al campo … ” Kurt le porse il sacchetto con i biscotti “ … Cos’è successo, Nadine? ”

Ancora una volta, i due erano seduti l’uno di fronte l’altra …

“ Una prigioniera è stata uccisa durante l’appello … forse … perché si era mossa … ” rispose, dopo un profondo sospiro.

Kurt: “ Sì … ho visto … ma perché? … Una sorvegliante non può uccidere una prigioniera! …”

Nadine: “ Loro possono tutto.”

“ … è assurdo! … Come può una donna uccidere un’altra donna?!”

“ Infatti noi non siamo donne per loro … Loro ci chiamano “pezzi”… Per loro non siamo altro che merce … o animali … Guarda … questo è il mio marchio …”

Nadine si scoprì il braccio sinistro, facendogli vedere il tatuaggio: il suo era il numero 950.

Poi gli raccontò dell’arrivo a Ravensbrück: la speranza nel percorrere il boschetto e la delusione nel vedere come fosse realmente il campo; la sottrazione della valigia e degli indumenti che teneva addosso; il taglio dei capelli; la consegna del triangolo e del numero di matricola …

E infine gli descrisse la vita nel campo, raccontandogli del lungo e faticoso appello del mattino; del lavoro inutile che svolgeva al laghetto; della brutalità delle aufseherinnen e delle kapò; dell’affollamento nelle baracche; della mancanza d’igiene e di cibo.

Nel suo racconto, Nadine alternava una profonda angoscia a un’apatia che per Kurt era disarmante.

 “ Vedi quel comignolo? …” glielo indicò con un dito “ Dove sta uscendo il fumo … Quello è un forno crematorio … Lì bruciano i corpi … Le donne più anziane o malate vengono uccise nella camera a gas, poi i loro …”

Kurt: “ Che cos’è la camera a gas?”

Nadine: “ è una camera dove ci sono le docce ma … dai rubinetti … invece dell’acqua … fanno uscire il gas.”

I due rimasero a guardarsi in silenzio con aria triste e impaurita fino a quando Kurt, poco dopo, non andò via …

“ Ehm … io vado … A domani.”

“ A domani … Ciao, Kurt.”

Il giovane era ancora molto scosso per tutto ciò che aveva scoperto su Ravensbrück, per l’uccisione della prigioniera e il tragico racconto di Nadine

Si avvolse meglio nella coperta.

Ravensbrück non era un “campo di rieducazione attraverso il lavoro” come pensava, ma un vero e proprio campo di sterminio! …

Nadine tremava per il freddo: non aveva una coperta né un qualcosa con cui coprirsi, come una giacca … non aveva niente. E si domandava come avrebbe fatto in pieno inverno …

Tentò di riscaldarsi, mettendosi in posizione fetale e alitando sulle mani gelide.

Per Nadine la giornata era iniziata e si era conclusa in un modo orribile! Tornata nella baracca, infatti, non aveva più visto il piccolo Petru, il bambino zingaro a cui era tanto affezionata, la giovanissima madre e alcune ragazzine polacche.

Sconvolta per queste morti, preoccupata e terrorizzata per ciò che l’attendeva, scoppiò in un pianto sommesso …

 

   
 
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