Anime & Manga > Inuyasha
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Autore: VaniaMajor    09/11/2010    9 recensioni
Dopo un incidente stradale, Kagome si risveglia in un mondo governato da divinità in guerra disciplinate dalla presenza di Mon (Porte) la cui unica chiave è la Shikon no Tama. La ragazza risveglia per errore Inuyasha, il Bannin della Terra, il quale vuole ucciderla! E' invece costretto a giurare di proteggerla, insieme agli altri Bannin, in quanto Kagome sarà la nuova Sacerdotessa della Splendente, custode della Shikon no Tama. Ma perchè Inuyasha somiglia tanto a Inuki, il suo primo amore? Lei è davvero la reincarnazione di Kikyo? E qualcuno, in questo pazzo mondo, riuscirà mai a riportarla a casa?!
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO

BRUTTI SOGNI

Correva attraverso il forte odore della terra.
Pioveva da minuti che sembravano ore. Il profumo del terreno zuppo era diventato intossicante. Le gocce stillavano come gemme dalle fronde degli alberi, luccicavano sui frutti del sottobosco, pieni del sole di quell'estate di fuoco. Fulmini e tuoni si susseguivano come danzatori tribali sopra la sua testa, nella volta oscurata del cielo. La tempesta aveva trasformato il giorno in notte, e l’ordine delle cose pareva sovvertito.
La Terra, suo corpo e suo sangue, battito costante e profondo insito nella sua natura, linfa vitale e tesoro prezioso che sempre avrebbe protetto, lo chiamava e gridava. Un pericolo gravava su di essa, un pericolo che alle sue orecchie non aveva nome. Eppure, non poteva che dare ascolto alla voce della Terra.
La sua culla.
La sua prigione.
Avrebbe sempre amato ciò che gli aveva dato la vita, eppure…un altro sentimento altrettanto forte, altrettanto disperato, lo strappava dal grembo materno, dal suo ruolo, dai suoi doveri. La libertà. La libertà era ciò che disperatamente il suo cuore anelava. Aveva giurato di servire in eterno, ma la sua promessa vincolante gli era stata strappata quando non conosceva ancora nulla del mondo, delle meraviglie inaspettate che esso nascondeva.
Chi poteva biasimarlo se ora voleva volarsene via? Chi poteva biasimarlo se ora desiderava stringere tra le mani qualcosa che non fosse un’arma atta a difendere e distruggere? Nel suo cuore era nato un sentimento confuso e caldo, dolce come il viso di colei che lo aveva suscitato. Desiderava porre i propri sentimenti al giudizio della Luce che tutto governava, eppure un così piccolo oggetto glielo impediva. Glielo aveva sempre impedito.
Ma se fosse riuscito a convincerla…a convincerla a seguire i suoi passi, a compiere con lui quell'impresa folle agli occhi del mondo, la felicità gli sarebbe ancora stata negata? La Luce gli avrebbe voltato le spalle? Non lo credeva.
Se solo l’avesse convinta…se solo l’avesse condotta lontano dalla battaglia che sentiva stava per scatenarsi, dalle lotte di potere che da sempre dividevano quel mondo…
Ma non era destino. Lei usciva dal folto e tendeva l’arco,  puntando l’arma micidiale contro di lui, distruggendo in un istante i suoi castelli in aria.
Non sentiva le parole che gridava nel rumore della pioggia, mentre un tuono ululava di sdegno.
Non vedeva l’espressione sul suo volto, mentre rilasciava la corda tesa.
Sentì però il peso della freccia sul suo cuore, la freccia che si faceva strada attraverso il suo amore come attraverso la sua carne, e lo corrompeva in rancore…e poi odio, odio, e ancora odio, mentre il mondo si spegneva e un ultimo sussurro usciva dalle sue labbra.
Un nome. Il nome di lei…
Poi tutto fu buio.
***
«INUKI!»
Il ragazzo si svegliò con un rantolo soffocato, alzandosi a sedere di scatto sul futon e artigliando la coperta in una morsa.
«Alla buon’ora.- disse sua madre, con voce mite, scuotendo il capo- E’ almeno la terza volta che cerco di svegliarti. Arriverai tardi a scuola.»
«Ah…» mormorò il giovane, guardando la madre, ordinata e bellissima come sempre, che si alzava ed andava ad aprire le tende, facendo entrare nella stanza la luce del nuovo giorno. Inuki strizzò gli occhi, infastidito, ma la luce gli restituì una parvenza di lucidità. Aveva avuto un incubo molto vivido, di cui rammentava solo il persistente odore di terra bagnata, ed una strana sensazione di appartenenza ad essa. Buffo, visto che il nome di famiglia, Tochi, significava proprio terra!
«Hai fatto un brutto sogno? Ti agitavi nel letto.» gli chiese sua madre.
«In effetti, sì.- borbottò Inuki, passandosi una mano sulla frangia nera- Ma non me lo ricordo molto bene.»
«Capisco.- disse sua madre, con un sorriso- Io, invece, ricordo benissimo che manca meno di mezz’ora alle otto e tu sei ancora in pigiama e a digiuno.»
«Le sette e mezza passate?!- gridò Inuki, saltando subito in piedi e correndo fuori dalla stanza- Mamma, perché non mi hai svegliato prima?!»
La donna scosse il capo, divertita. Suo figlio era davvero incorreggibile.
Inuki si preparò velocemente, infilandosi la divisa nera del Liceo Haretsu e legandosi i folti capelli neri, che portava molto lunghi. Fece una linguaccia al proprio riflesso, strizzando gli occhi violetti, poi si precipitò in cucina per afferrare dal tavolo qualcosa da mangiare per strada.
«Che razza di figlio mi è capitato...» sospirò sua madre, melodrammatica, seduta al cavalletto come ogni mattina. Inuki bofonchiò qualcosa, avendo già messo in bocca una fetta di pane tostato, ma sorrise. Viveva soltanto con sua madre da quando aveva quattro anni. Suo padre, un uomo facoltoso, era morto da molto tempo, ma aveva lasciato alla famiglia una grossa somma di denaro, che aveva permesso alla giovane moglie di continuare la carriera di pittrice senza doversi preoccupare di lavorare per mantenere il figlioletto. Inuki non sentiva molto la mancanza del padre, anche perché non lo ricordava quasi per niente, ma gli era grato per ciò che aveva fatto per sua madre.
«Oggi pomeriggio ho gli allenamenti di kendo, non mi aspettare.» annunciò. Baciò la donna su una guancia e lei lo scacciò ridendo. Inuki infilò le scarpe, si mise la cartella in spalla e si precipitò a scuola. Aveva già abbastanza richiami in condotta senza dovervi aggiungere una nota per il ritardo!
Raggiunse il Liceo Haretsu in quindici minuti correndo come un forsennato tra i ciliegi in fiore, ammirandone in cuor suo la bellezza, e riuscì ad arrivare prima del suono della campana. Col fiatone, si precipitò al proprio armadietto, si cambiò le scarpe e salì con gli ultimi ritardatari al piano superiore, dove si trovava la sua classe, la 3-1.
«Ho fatto in tempo?» gridò. I suoi compagni ridacchiarono al suo ingresso.
«Sì, sei in orario Tochi. Il prof. non è ancora arrivato.» rise Mushu, suo compagno del circolo di kendo. Inuki tirò un sospiro di sollievo e si sedette al banco, sbattendo la cartella con malagrazia.
Inuki non amava molto andare a scuola. Le lezioni lo annoiavano, e se non ci fosse stato il circolo di kendo davvero non sapeva come avrebbe fatto a contenere l’impazienza che lo divorava da sempre. Era in buoni rapporti con parecchi ragazzi della scuola, che lo adoravano per il suo carattere aperto, per la sua forza ed indipendenza…e anche per un certo grado di ribellione nemmeno troppo celato. Le ragazze, al contrario, lo trovavano piuttosto repellente. Non tanto per l’aspetto fisico, di cui Inuki non si poteva proprio lamentare, quanto perché erano sconcertate dalle sue azioni stravaganti e dalla sua tendenza a sfidare l’autorità. C’era solo una ragazza che Inuki poteva affermare fosse sua amica. In effetti, era la sua migliore amica, e la conosceva fin da quando erano bambini, in quanto il tempio di Kagome Higurashi distava pochissimo da casa sua. Kagome lo capiva, forse perché anche lei era orfana di padre, e la loro amicizia durava ormai da anni. In realtà, Inuki sospettava che la presenza di Kagome in quel liceo lo spronasse a frequentarlo anche più del corso di kendo. Per il resto, le ragazze potevano anche andare al diavolo.
La cercò con lo sguardo, vedendo che il suo banco era vuoto.
«Ehi, ma dov’è…» iniziò a chiedere ad alta voce al trio di amiche che la ragazza frequentava, prima che una figura snella e armoniosa entrasse di corsa dalla porta, fermandosi quasi in scivolata, ansimante e con le guance rosse.
«Ho fatto in tempo?» chiese la ragazza, scostandosi dalla spalla la folta massa dei capelli corvini e controllando febbrilmente la cattedra. Inuki scoppiò a ridere, attirando la sua attenzione.
«E tu che hai da ridere, scemo?» chiese, facendogli una linguaccia.
«Sei la mia copia carbone, Kagome!- ridacchiò Inuki, piazzando i piedi sul banco e incrociando le braccia sul petto- In ritardo, e con la faccia tosta di chiedere se hai fatto in tempo prima ancora di guardare se c’è qualcuno in cattedra!»
«Allora dovrei frequentarti meno, Inuki. Vedi di traslocare.- borbottò la ragazza, sedendosi nel banco accanto a lui- E piantala di ridere!»
Inuki continuò a sogghignare, dondolandosi sulla sedia, e alla fine la ragazza cedette, mettendosi a ridere a sua volta. Inuki osservò, come gli succedeva spesso negli ultimi tempi, che Kagome aveva un sorriso meraviglioso.
Turbato e imbarazzato da quel pensiero, smise di ridere e si fece cupo. C’era qualcosa di sbagliato in lui, da qualche tempo a quella parte. Non avrebbe dovuto pensare a lei in quel modo…ma perché no, poi? Era come se fosse guidato da due diverse volontà. Una voleva Kagome. L’altra, se ne allontanava.
«Che hai?» gli chiese Kagome, perplessa da quel repentino cambiamento d’umore. Inuki aprì la bocca sperando che ne venisse fuori una scusa valida, ma in quel momento arrivò il professore, cosa che gli permise di evitare di risponderle e di sotterrare nell’inconscio quella strana sensazione.
Anche per quella volta, il pericolo di rendersi conto dei propri sentimenti era scampato.
***
«Quando ti deciderai a confessare il tuo amore a Tochi?» chiese la ragazza col cerchietto, scendendo le scale per raggiungere l’uscita. Kagome si voltò verso l’amica con le guance in fiamme. Ecco, stava di nuovo per partire l’interrogatorio…ma perché non si decidevano a lasciarla in pace? Aveva già abbastanza problemi a gestire i propri sentimenti senza bisogno di interventi esterni!
«Co…cosa dici, Yuka?!- balbettò, imbarazzata- Sai benissimo che io e Inuki non…»
«Non siete altro che amici, certo.- sospirò quella, scuotendo il capo- Andiamo, Kagome, a chi volete darla a bere? Avete occhi solo l’uno per l’altra, e ormai sono tua amica da tre anni. Non vuoi proprio confidarti con me?»
Kagome mise il broncio. Non voleva offendere l’amica, ma non desiderava mettere in piazza il suo amore per Inuki…che tra l’altro poteva benissimo non ricambiarla. Un brivido gelido la scosse a quel pensiero.
«Non c’è nient’altro che amicizia, fra noi.» ribadì, con voce ferrea. L’amica sospirò e lasciò stare. Quei due erano un caso disperato.
Le due ragazze si separarono all’uscita, in quanto Kagome aveva le attività del club. La giovane dai capelli corvini sospirò, intristendosi. In effetti, Kagome amava segretamente Inuki da moltissimi anni, e se non glielo aveva ancora confessato era perché aveva una forte paura di rovinare la loro amicizia.
Aveva conosciuto il ragazzo quando entrambi avevano otto anni, un anno dopo che Kagome aveva perso il padre. Inuki aveva la brutta abitudine di prenderla in giro e farla arrabbiare, ed in un primo tempo lei non lo poteva sopportare. Litigavano ogni volta che si incontravano, il che succedeva spesso.
Poi, una sera, Inuki aveva esagerato con le sue cattiverie e l’aveva fatta scoppiare in lacrime. Le labbra di Kagome si piegarono in un sorriso tenero nel ricordare il panico di Inuki alla vista delle sue lacrime, e il fatto che fosse corso via per poi tornare con un palloncino pieno d’acqua e uno zucchero filato per lei. Li aveva presi alla fiera per farsi perdonare, perciò lei non doveva piangere più.
Da allora erano diventati amici per la pelle…e dalle scuole medie, nel cuore di Kagome era nato un sentimento anche più forte. Nonostante questo, Kagome l’aveva tenuto celato. Insomma, Inuki non si comportava come un ragazzo innamorato! Non la riempiva certo d’attenzioni, anche se sapeva essere molto premuroso. Non si comportava affatto come gli altri ragazzi che facevano la corte con dolcezza e costanza. Non le aveva nemmeno mai chiesto di uscire insieme! Erano ormai all’ultimo anno del liceo, e ancora Inuki non aveva dato nessun segno positivo. Come avrebbe potuto sbilanciarsi con lui?
Kagome arrivò alla sede del circolo, si cambiò e afferrò l’arco per le esercitazioni. Sfogò la tristezza che le era montata dentro scagliando frecce contro il bersaglio, sorda agli elogi delle kohai che frequentavano il club. Kagome era ormai a livello professionistico in quanto ad abilità, ma competere non le piaceva. Inuki, al contrario, partecipava molto volentieri ai tornei annuali, e tornava trionfante raccontandole di come avesse battuto tutti gli avversari, cosa che lo interessava molto più di coppe e medaglie.
Sospirò. Non riusciva proprio a toglierselo dalla testa! Il problema era che quel giorno le serpeggiava nelle vene un senso d’urgenza…una sensazione pungente ed elettrica, che la spaventava. Sentiva che doveva sbrigarsi a confessare il proprio amore ad Inuki, prima che fosse troppo tardi. Ma tardi per cosa? Scosse la testa.
Era tutta colpa dello strano sogno che aveva fatto quella notte. Di esso ricordava solo di stare correndo tra gli alberi, nell’oscurità, mentre la pioggia cadeva con fragore. Qualcosa era alle sue spalle, ma lei non temeva per la propria vita. Sapeva che doveva morire, e la cosa non la spaventava quanto avrebbe dovuto. Piuttosto, desiderava a tutti i costi salvare la vita di colui che sarebbe stato la vittima successiva. Per questo correva ancora, per raggiungerlo e metterlo in salvo…Si era svegliata con quella terribile sensazione di panico e dolore, che era svanita in parte solo quando aveva visto Inuki ridere di lei una volta entrata in classe. Ma che razza di sogni antipatici si era messa a fare?!
Continuò a pensarci anche una volta finite le attività del club, mentre si dirigeva all’uscita della scuola nella calda luce del tramonto. Possibile che non riuscisse proprio ad essere sincera con Inuki? Aveva forse paura di perdere la sua amicizia? Ma Inuki non era tanto sciocco o cattivo da non volerne più sapere di lei solo perché aveva osato dichiararsi…o no?
«KA-GO-ME!»
Il grido la fece sobbalzare con uno squittio. Si voltò di scatto solo per vedere Inuki che la raggiungeva correndo.
«Ehi, ma sei diventata sorda?! Ti avrò chiamato almeno quattro volte!» la sgridò, sbuffando.
«Oh…scusami, Inuki. Stavo pensando, ed ero distratta.» si giustificò Kagome, arrossendo appena. Inuki la squadrò con aria critica, poi scosse la testa.
«Va bene, va bene…anch’io oggi sono un po’ svagato, ti perdono.- le disse, magnanimo, poi si sciolse i lunghi capelli corvini, passandosi una mano attraverso la frangia- Sei stata al club?»
«Sì, mi sono allenata fino ad adesso.- ammise Kagome, sorridendo- Anche tu?»
Inuki annuì, poi le prese di mano la cartella.
«Torniamo a casa insieme?» le chiese, con un sorriso che le fece aumentare i battiti del cuore. Perché sentiva con tutta quella prepotenza il fascino di Inuki? Erano tornati a casa insieme migliaia di volte…allora perché si trovava a sperare che la luce rossa del tramonto coprisse il rossore delle sue gote?
Dando per scontata la sua risposta, Inuki iniziò ad incamminarsi, e Kagome gli trotterellò a fianco.
***
Ecco, era finita. Aveva fatto ciò che doveva…ma ora il suo cuore era straziato.
Cadde in ginocchio. Acqua ai suoi piedi, acqua sul suo capo. Gelo e dolore nel suo cuore.
«Perdonami…perdonami…» gemette, trattenendo i singhiozzi. Avrebbe un giorno compreso che era stato un gesto dettato dall’amore? Avrebbe mai saputo che gli aveva soltanto salvato la vita? Chissà…Sapeva solo che lei non l’avrebbe visto mai più.
Tra le dita, il gioiello che tanti agognavano bruciava d’aspettativa. Sentiva che qualcuno stava anelando il suo potere, guidato da odio e brama bruciante. Il suo sogno, il sogno del suo amato, non si sarebbe mai realizzato se il gioiello di cui era la custode fosse caduto in mano di quell'essere immondo.
Doveva portare via il gioiello…lontano, dove il suo nemico non avrebbe potuto trovarlo.
Un canto magico salì dalle sue labbra, mentre sfoderava il pugnale.
«Un altro luogo e un altro tempo la salveranno. Che un giorno possa tornare a te, amore mio.» sussurrò tra le lacrime, che erano come pioggia. Il pugnale fu veloce e preciso.
Dopodiché vi fu solo buio.
***
Kagome si svegliò con un grido intrappolato in gola, le guance bagnate di lacrime. Si portò una mano alla bocca, sconvolta. Già le scene del sonno stavano sbiadendo nella sua memoria. Al contrario, il senso di lutto, d’urgenza e l’amore dolente che le avevano attanagliato il cuore durante tutto quel sogno buio le si radicarono nell’anima. Cosa stava per succedere? Perché faceva quei sogni così luttuosi?
“Forse…forse fai questi sogni perché non sei sincera con te stessa. Né con Inuki.” pensò. Il pensiero ebbe l’effetto di calmarla parzialmente. Sì, poteva essere. Sentiva che stava perdendo tempo prezioso, non confessandogli il proprio amore. Forse, il suo stesso cuore cercava di metterle fretta facendole vedere quelle scene così terribili.
Kagome annuì, sempre più convinta della sua ipotesi. Non poteva andare avanti così. Inuki non era tanto stupido da mettere a rischio la loro amicizia a causa di una dichiarazione, e c’era sempre la possibilità che Inuki la ricambiasse. Forse era una possibilità remota, ma c’era. Anche se litigavano spesso, si volevano un gran bene, e Inuki era sempre gentile con lei. Premuroso. E il modo in cui le sorrideva era speciale.
Kagome annuì ancora, sentendo le guance farsi di fiamma e il cuore battere a mille.
Basta con gli indugi. Quel giorno stesso avrebbe confessato il suo amore a Inuki!
Kagome si buttò sul cuscino e si costrinse a dormire ancora qualche ora. Fu uno sforzo senza risultati.

 

   
 
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