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Autore: DubheShadow    10/11/2010    3 recensioni
Com'è morire?
Com'è, essere una fata, e venire uccisa dall'incredulità di un bambino?
Poche parole per dipingere un'impressione, il ricordo di un sogno, l'ingenua tristezza che sa di gioventù rubata.
Genere: Drammatico, Fantasy, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un vuoto mi prende allo stomaco. Mi manca l’aria.

 Cado.

 Precipito mentre venti lontani mi sferzano il viso; la schiena che d’improvviso diventa nuda.

 Più giù, più veloci, veli di seta ricamati d’oro, le lievi membrane rilucenti di rugiada, l’ultimo tocco di luce che il sole riflette mentre su me scende la sera. Le mie ali. Non ci sono più.

 Cadute, recise dall’odio.

 Cerco invano di respirare, ma è come afferrare bolle d’aria nella turba del mare in tempesta. L’ossigeno mi entra a lenti singhiozzi, che rendono l’agonia ancora più dolorosa. Incredibile che sia già giunto il mio momento.

 Tocco terra. Non lieve, non dolce, la mia discesa nell’oblio. È un colpo forte alla testa, il sapore di terra bagnata che si fa strada nelle labbra semichiuse. È il corpo che si accascia scosso dai singulti.

 Muoio. Vedo le mie ali a pochi passi da dove mi trovo. Lì dove un tempo erano attaccate a me, c’è solo sangue che ricopre la bellezza dei miei antichi voli.

 Muoio. Chiudo gli occhi.

 E ricordo che era ieri quando nacqui dai petali appena schiusi di uno splendido e giovane pesco…

 

 L’aria è fresca nell’immensità della novizia primavera. Una piacevole brezza scuote i peschi, lasciando come ricordo una pioggia di miriadi di petali rosa. Nella tarda sera si poggiano sull’acciottolato del viale, sulle panchine riverniciate da poco, sul disegno di una bambina che, sola, aspetta qualcuno.

  Lei li scuote delicatamente, li fa scivolare in terra, e libera il foglio che piano si sta riempiendo della sua storia. Seduta alla luce di un vecchio lampione, lavora incessantemente.

“Che stai facendo?” è un altro bambino, che curioso le si è avvicinato di soppiatto. Non lo conosce.

“Disegno.” Risponde lei. Il volto è concentrato, serio, mentre con la matita traccia lunghi solchi e curve rosate.

“Cosa?” Continua il bambino, imperterrito.

“Una fata, non vedi? La mia fata. Sai, è nata da poco, proprio da uno di questi fiori.” replica l’altra, e indica il manto soffice che ricopre il viale. La creatura di carta ha lunghi capelli dorati, splendide ali trasparenti. È vestita di ragnatele d’acqua e filamenti di onde perlacee, che si avvolgono sulla figura affusolata che danza sospesa ad ogni soffio di vento.

“Ma le fate non esistono!”

“Oh.” La bambina diventa di colpo triste, la mano che stringe la matita trema, ma si riprende. Pesca dalla cartellina blu un nuovo foglio, una nuova incredibile storia.

“Che stai facendo ora?” chiede ancora il bambino.

“Guarda.” Lei gli porge il disegno, poche linee tracciate in fretta, che raccontano sbigottimento, dolore, promesse perdute.

 Il bambino osserva lo schizzo, una flebile ruga sulla fronte a segno della sua concentrazione. Gli occhi si fanno grandi, le labbra carnose si aprono per dire qualcosa, ma viene interrotto.

“È la mia fata, ma ora è morta. L’hai uccisa.”

   
 
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