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Autore: Esteliel    11/11/2010    0 recensioni
L'illusione della giustizia può essere un'arma a doppio taglio, che anche dopo molti anni torna a perseguitare i sogni di chi, di proposito, ha deciso di voltarle le spalle. Ed è quando l'illusione viene allo scoperto che si presenta anche un atroce dubbio: la giustizia da che parte stava davvero?
Genere: Azione, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: Questa storia risale a circa tre anni fa e si trova anche in un altro sito, sotto il nick Alex (sono sempre io). I fatti raccontati sono successivi a La Morte non piange, ma trama e personaggi sono differenti, perciò si può leggere anche senza conoscere l'altra.

 

CAPITOLO 1
La fuga


Le sirene di Hammersmith suonarono troppo tardi.
Ai primi, fastidiosi suoni, ogni singolo detenuto era stato buttato giù dal letto, per una concitata e maldestra perquisizione delle celle. Il riflettore mobile del cortile si spostava forsennato sul terreno, in cerca di tracce di movimento. Il richiamo degli allarmi esterni perforava il silenzio della notte, innervosendo i secondini e strappando grida di ribellione ai carcerati. I neon baluginarono per qualche istante, prima di accendersi quasi in contemporanea, in un’esplosione di luce accecante. Voci adirate, rumori di passi pesanti e imprecazioni mal celate aumentavano la già netta impressione di trovarsi in una bolgia infernale. Il corridoio principale del primo piano era un affollarsi di corpi in frenetico movimento. Nella foga del momento alcune guardie avevano perso i loro cappelli, uno dei quali fu calpestato dagli anfibi sporchi del direttore Sanders.
Irritato per il brusco risveglio alle due del mattino, l’uomo si fece largo a spintoni tra gli ausiliari della prigione, che si erano affiancati ai secondini per riuscire a quietare i bollenti spiriti degli ospiti di Hammersmith. I capelli ingrigiti gli ricadevano scompostamente sulla fronte, nascondendo solo in parte il rossore del volto contratto. Nonostante il richiamo improvviso, aveva trovato il tempo di infilarsi i pantaloni indossati il giorno precedente, da cui fuoriusciva una canottiera con i bordi ingialliti dal sudore. Durante la sua marcia, iniziò a sbraitare frasi spezzettate e incomprensibili, che però ebbero l’effetto di attirare l’attenzione dei secondini.
Rotto solo dall’eco di qualche ultima e sparuta protesta, il silenzio si ristabilì in un tempo relativamente breve, soprattutto grazie all’ausilio dei manganelli usati per disperdere le folle. Alcune guardie erano ancora impegnate a richiudere le celle, quando Sanders riuscì a riprendere un minimo di controllo e a formulare una domanda sorprendentemente coerente, dato il suo stato d’animo.
«Che cazzo succede?»
Una delle guardie, la più vicina al punto in cui Sanders si era fermato, mosse di qualche centimetro la gamba destra. Se anche avesse avuto intenzione di fare un passo avanti, in quel momento non ne trovò il coraggio. Si limitò ad emettere un lieve colpo di tosse, per annunciare la sua intenzione di prendere la parola.
«Un’evasione, signore» dichiarò, cedendo ai nervi proprio sulle ultime sillabe, che vennero fuori in un pigolio incerto.
Sanders si voltò verso di lui, trapassandolo con i suoi occhi castani. Gli si avvicinò con pochi passi lenti e misurati, che presagivano una reazione tutt’altro che tranquilla. Accostandosi alla guardia, gli concesse il privilegio di vedere da vicino il suo volto spigoloso e solcato da rughe di senilità e collera.
«Ti spiacerebbe ripetere?» domandò tra i denti, con una smorfia che mostrava tutta l’irritazione sottesa a quella domanda in apparenza educata.
«Abbiamo avuto un’evasione» ripeté la guardia in un altro balbettio, dimenticando di aggiungere il “signore” per il timore che gli procurava la vicinanza di quel viso paonazzo.
Sanders ristette per qualche secondo, guadagnandosi le occhiate incuriosite degli altri secondini e dei detenuti nelle celle più vicine. La sua bocca si riaprì lentamente, quasi con debolezza. Ciò che ne uscì dopo, però, non risultò né debole né gentile.
«E CHE DIAVOLO CI FATE QUI IMPALATI?»
La guardia indietreggiò d’istinto e impallidì tanto in fretta da dare l’impressione che avrebbe perso i sensi di lì a poco. Tutti gli altri sobbalzarono al grido, ma non ebbero tempo di riprendersi dallo shock, perché il direttore stava nuovamente strepitando.
«Tu, vai dal guardiano notturno, prendi un paio di uomini e raggiungete immediatamente il cancello» ordinò ad un altro secondino, con la voce arrochita per le precedenti urla. «Disseminate le guardie, dovete coprire tutto il perimetro esterno. Muoversi!»
Alle sue parole seguì una corsa disordinata. Tutti gli uomini presenti si precipitarono verso le cancellate che conducevano all’ala centrale, dove erano ubicate le uscite. Uno degli ausiliari, pur essendo solo un tirocinante, si offrì subito di salire al centro comandi, dove si controllavano tutte le telecamere esterne e le luci di ispezione. Ben presto nel corridoio rimasero solo Sanders e la guardia contro cui aveva urlato qualche minuto prima.
Accorgendosi solo in quel momento della sua presenza, Sanders si volse verso di lui con fare minaccioso. L’uomo deglutì a forza sotto il peso di quello sguardo, ma non accennò a muoversi. Il mento gli tremava per la tensione. Lungi dal farsi commuovere da quella reazione, Sanders gonfiò il petto in un respiro forzato. Il ghigno di un detenuto alle spalle della guardia gli fece dimenticare per qualche istante la sua ira.
«Avete perquisito le celle?»
«Sì, signore» replicò in fretta la guardia.
Le pieghe sulla fronte di Sanders si accentuarono, mentre il suo sguardo si posava di nuovo sulla guardia. Maledisse mentalmente la sua poca perspicacia, ma si sforzò di mantenere la calma.
«Chi manca all’appello?»
«Sono loro, signore» tartagliò la guardia, quasi con sofferenza.
«Chi, dannazione! CHI?»
Una serie di bisbigli salivano dalle celle, ma Sanders concentrò tutta l’attenzione sulla guardia, che ora si stava torcendo le mani all’altezza del ventre.
«La banda di Ramsfield.»
La bocca di Sanders si dischiuse in un’espressione basita. Le sopracciglia increspate e la fronte attraversata da nuove rughe di preoccupazione lo fecero sembrare molto più vecchio dei suoi cinquantanove anni. Quando riuscì a recuperare il controllo, richiuse la bocca e si passò una mano tremante sugli occhi.
«Chiama la Corte Criminale» sussurrò, le pupille dilatate per la tensione. «Siamo nei guai.»
  
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