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Autore: Simphony    11/11/2010    6 recensioni
[Storia classificatasi I al "Flash Contest" indetto da Only Me e LilyBlack] - [Storia classificatasi I al "Bando: Il concorso e la Citazione" da Kris Piangente Minatrice] - [Storia classificatase XI al "Timy of Dyning" indetto da amimy] Spostò lo sguardo e lo vide. Sempre steso sulla barella, sempre ricoperto di sangue, sempre con gli occhi chiusi. Un dottore che gli faceva un massaggio cardiaco, era disperato. Urlava qualcosa alle infermiere. Flebo, respirazione, sangue.
Fu l'ultima cosa che vide prima che qualcuno tirasse la tenda divisoria
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo della fan fiction: Lacrime e grida.

Genere: Drammatico

Rating: Arancione

Fandom: Arashi

Trama: ...Persi in un lontano pomeriggio, quei momenti che non torneranno più...
Note dell’autore
:

Questa fiction è ambienta 15 anni dopo la formazione del gruppo, avvenuto nel 1999. Contrariamente alla realtà, Ohno Satoshi e Ninomiya Kazunari hanno una relazione. “Riida” è il soprannome di Satoshi, probabilmente una traslitterazione errata dall'inglese al giapponese di “leader” in quando lui è attualmente il capo del gruppo. Nino invece è il soprannome di Ninomiya.

°*°

Lacrime e Grida


Le lacrime sostituiscono

talvolta un grido.”

Italo Svevo


°*°



Piangere ti farà bene. Vedrai che dopo ti sentirai meglio. ”


Così dicevano. Da giorni interi.


E' inutile tenere tutto dentro. ”


Lo sapeva. Ma loro non dovevano intromettersi.

Continuavano a dire come doveva comportarsi con sé stesso.


Devi fare questo sforzo. Provaci. ”

Come se non ci stesse provando.

Voleva davvero provarci, se solo ne fosse stato in grado probabilmente si sarebbe strappato le ghiandole lacrimali per poter togliere quell'opprimente masso che gli spingeva sul petto.


Scappare non serve a niente. ”


Scappare?

Non aveva nemmeno le forze per replicare. Non sarebbe riuscito nemmeno a respirare se non fosse stato un processo che non dipendeva dalla sua volontà.

Come cazzo poteva riuscire a scappare?


Voleva solo che la smettessero di intromettersi nella sua vita.

Doveva capire da solo.

Doveva metabolizzare da solo.
Doveva guardare il vuoto accanto a lui e accettarlo.

Da solo.


Eppure perché nessuno riusciva a capire che quello di cui aveva bisogno era solo la solitudine?

Solo perché l'altro ormai...


Si alzò di scatto dalla sedia di una camera vuota dove si era rifugiato. Era impossibile continuare a rimanere seduti là senza fare qualcosa.

Ma che cosa?

Ormai era tutto finito, anzi tutto fottutamente finito.

Stop.


Non c'era altra soluzione. E andassero a 'fanculo tutti quelli che continuavano a parlargli, simili a fastidiosi ronzii di mosche nelle orecchie.

L'ennesimo: “ Hai provato a... ” fu stroncato sul nascere da un'occhiata infuocata.


« Smettila per favore. » sibilò il giovane guardando l'amico, colui che da anni gli aveva

fatto da spalla su cui piangere, che lo aveva fatto ridere e incazzare.


Ninomiya Kazunari non aveva la forza nemmeno per minacciare di morte il proprio migliore amico.
Era stanco. Stanco di tutto quanto.


« …Hai provato a prendere bevande zuccherate? » chiese l'altro ignorandolo e porgendogli una lattina di tè al limone « Sei pallido. »


« Scusa. Non volevo essere scortese. » mormorò prendendo la lattina offerta e iniziando a berla.


Si lasciò cadere per terra, seduto con le ginocchia al petto, al riparo fra due comodini. La stanza che aveva trovato era vuota. Aveva un disperato bisogno di solitudine.

Era evidente.


Eppure Matsumoto non sembrava aver afferrato il concetto. E se lo aveva afferrato, aveva deciso bellamente di ignorarlo.


« Non fa niente Nino. Sono abituato ai tuoi scatti d'ira. In quindici anni mi hai spesso aggredito gratuitamente. »


Jun cercò di sorridere, mentre si sedeva al suo fianco.


« Non sono dell'umore adatto per fare auto critica adesso. » bofonchiò l'altro.

Aveva le lacrime sull'orlo degli occhi. Non riusciva a piangere.


Da quando aveva ricevuto la notizia, non era riuscito a fare nulla. Si era solo seduto, in silenzio, toccando quella mano ormai fredda che senza vita giaceva immobile fra le sue.

Solo da poche ore aveva quasi riacquistato l'uso della parola. Solo da poco aveva ricominciato a dare segni di vita.


Lui vedeva bene le difficoltà che stavano passando i suoi amici. Oltre a Jun, al suo fianco erano rimasti i restanti componenti del gruppo pop più famoso del Giappone. Anche loro erano distrutti. Anche loro soffrivano in silenzio, senza riuscire a proferire parola su quella ferita che gli dilaniava il cuore.


Ma erano più forti di Nino. Erano più forti perché un gruppo si sostiene a vicenda. Erano più forti perché erano amici. Erano più forti perché dovevano aiutarlo.

Loro erano compagni.


Nino adesso era da solo. Prima aveva una spalla, qualcuno che lo sostenesse in ogni situazione. Erano una coppia affiatata. L'uno il sostegno all'altro.


Ora invece accanto a lui c'era una voragine. Un grande buco nero che rischiava di risucchiarlo, farlo annegare nella disperazione.

Gli altri tre non potevano permetterlo. Jun, Aiba e Sho avrebbero fatto da scudo, lo avrebbe afferrato prima che scivolasse.


Loro erano amici.


Non avrebbero mai fatto affondare un loro compagno in solitudine.

E di questo Nino non li avrebbe mai ringraziati abbastanza, anche se adesso non aveva la facoltà di fare nulla, se non continuare a pensare a quella mano fredda stretta fra le sue.


Non riusciva a fare altro che a sentire il gelo che attanagliava le dita, la pelle esangue, le unghie troppo lunghe per essere quelle di Ohno Satoshi.


Nulla sembrava più appartenergli.

Nulla di quello che vedeva e sentiva poteva davvero essere dell'uomo che fino a pochi giorni prima lo stringeva fra le braccia.

Il cigolio della porta lo riportò bruscamente alla realtà, con un sussulto leggero. Sulla soglia, con una smorfia di preoccupazione e tristezza che gli deformava il volto, si trovavano Aiba e Sho.


« Dobbiamo andare. » sussurrò il secondo porgendogli la mano « Potrai tornare domani. »


« Domani... » ripeté Nino con voce ovattata « Domani sarà l'ultimo giorno... in cui lo terranno qua. »


« Andiamo a casa. Per favore. » mormorò Aiba con voce strozzata.

Il ragazzo gli afferrò disperato le mani. Ninomiya sussultò, guardandole come se fosse la prima volta.


« Sei caldo. » gli occhi gli si riempirono di lacrime, senza uscire « Tu sei caldo. » alzò il volto verso di lui, disperato « Aiba, tu non sei freddo come Satoshi. »


« No. No. Io non sono freddo come Riida. »

Aiba si lasciò cadere in ginocchio, abbracciando Nino più forte che poteva. Singhiozzava senza riuscire a fermarsi.


Era sempre Nino quello che lo rassicurava. Era sempre Nino quello che lo spronava a dare il 100 %. Era sempre Nino che gli tendeva una mano o gli donava un abbraccio consolatorio.


E ritrovarsi nella posizione opposta, specialmente in quella situazione, lo stava uccidendo.

Erano accadute troppe cose in troppo poco tempo. Era impossibile accettarle tutte con la dovuta coscienza di ciò che comportavano.

Aiba strinse l'amico a sé, piangendo. L'unica cosa che Nino riuscì a fare, fu ricambiare con forza l'abbraccio, affondando le unghie nella sua schiena e nascondendo il volto nella sua spalla.


*°*


La corsa sfrenata verso l'ospedale.

Le sirene che suonavano lungo le strade intasate dal traffico.

Il respiro affannato, mentre il liquido vischioso si appiccicava sulle dita, in un disperato tentativo di fermare la fuoriuscita del sangue dalle proprie gambe.

I lamenti che provenivano al suo fianco erano strazianti.


Non si capacitava di nulla. Cosa ci facevano quelle persone sfocate sopra di lui?

Cosa stava succedendo?


Una puntura nell'incavo del gomito lo fece gemere più forte di prima. Nello scatto di dolore per l'ingresso dell'ago aveva spostato la gamba, probabilmente rotta a sentire dall'atroce fitta che si spandeva fino all'anca.


Cosa stava succedendo?


Spostò la testa con enorme fatica, era immobilizzato.

Riconobbe i ciuffi del suo uomo. Ancora con la punta tinta di arancione, tornato improvvisamente di moda dopo qualche anno di assenza.


Lui aveva sempre amato quel colore...


Qualcuno lo chiamava e si sforzò di spostare nuovamente la testa.

Le sirene erano spente, traballava di tanto in tanto, le luci bianche e accecanti attaccate al soffitto lo stavano abbagliando.


Altre voci lo chiamavano.


Chiamavano anche il suo compagno, la sua vita, la sua metà. Ma lui non rispondeva.

Sentì qualcuno parlare, ma la voce gli arrivava talmente lontana, che faticò a capire le parole.


Sentiva dolore ovunque.


Le costole, la schiena, le gambe. Specialmente le gambe. Sembrava che ogni nervo fosse trafitto da un pugnale affilato.

Quando gli strapparono la camicia che indossava, schegge di sangue quasi essiccato tirarono la pelle, unendosi al tessuto leggero.


Gemette. Forte. Gli tolsero il collare.


Al suo fianco il tono di voce si alzava. Disperatamente, come se dovessero richiamare qualcuno privo di conoscenza.


La vista si stava annebbiando. Non sapeva se era per il sangue misto a sudore, oppure a causa delle lacrime.


Spostò lo sguardo e lo vide. Sempre steso sulla barella, sempre ricoperto di sangue, sempre con gli occhi chiusi. Un dottore che gli faceva un massaggio cardiaco, era disperato. Urlava qualcosa alle infermiere. Flebo, respirazione, sangue.

Fu l'ultima cosa che vide prima che qualcuno tirasse la tenda divisoria.


« Satoshi » sussurrò allungando una mano verso il tessuto verde .


Poi, probabilmente perse i sensi, nello stesso istante in cui Ohno moriva.


*°*


Nino si svegliò di soprassalto urlando il nome di Satoshi.

Ansimava, era sudato, stringeva le coperte con disperata ferocia, come se fosse l'unica cosa che potesse tenerlo in vita.

La luce si accese all'improvviso, i ragazzi subito stretti intorno a lui, chiedendogli che cosa fosse successo.


Il ragazzo continuava ad ansimare, mentre il sudore gli colava lungo le tempie, scendendo fino al collo.


« E' morto. » sussurrò « E' morto. » ripeté a voce leggermente più alta.


Iniziò a singhiozzare.


« E' morto. » urlò.


« Calmati, Nino calmati. »


Jun cercò di tranquillizzarlo prendendogli la mano.


« Quando siamo arrivati all'ospedale era già morto. » pianse ancora guardandolo con le guance rigate dalle lacrime « Loro hanno tirato la tenda. E lui era già morto. »


Nino si gettò addosso a Jun, piangendo. Sussurrava parole sconnesse, senza senso.


« Calmati. » sussurrò piano Aiba inginocchiandosi vicino a loro « Calmati, adesso. » continuò imponendosi di non piangere a sua volta.


« Lui è morto. » sussurrò Nino fra le lacrime guardandolo. « E' morto. » mormorò coprendosi il volto pieno di lacrime.


« Nino, scendiamo giù. Sei tutto sudato. » gli disse Sho cercando di essere il più tranquillo possibile.


Dovevano diventare la sua forza, sopratutto adesso che Ohno non c'era più. Dovevano resistere al dolore straziante per aiutarlo a riprendersi.

Sho non voleva piangere. Non aveva pianto perché non se lo poteva permettere. Al contrario di Jun e Aiba che all'inizio non avevano compreso come la notizia avrebbe turbato Nino, si era imposto un rigido lutto silenzioso. Non aveva versato una lacrima. Dalla notizia, fino a quel momento.


Non poteva.


Neppure guardando quella figura straziata che si dondolava lentamente fra le braccia di Jun.


Neppure in quel momento si poteva permettere un grido di dolore. Nemmeno se piangere lo avrebbe probabilmente aiutato. Nemmeno se un pianto liberatorio gli avrebbe permesso di essere più lucido.


Lo prese delicatamente per le spalle, cercando di fargli focalizzare l'attenzione su di sé.

Gli sorrise, per quanto riuscisse a sorridere in quel momento.


« Andiamo a lavarci. » ripeté piano « Così domani sarai pulito per andare a salutare Riida. »


Le lacrime smisero lentamente di scendere. Furono minuti lunghissimi. Minuti che non passavano mai.


« Ci siamo noi accanto a te. » continuò a dirgli Sho « Fidati di noi. »


Nino cercò di accennare un assenso con la testa. Tremava da capo a piedi, come una foglia che era trasportata senza vita dal vento.

Anche in quel momento, mentre si alzava non gli sembrava che un guscio completamente vuoto.


*°*


E' morto. Per davvero. ”


A questo pensava Nino mentre lentamente entrava nell'obitorio. Aveva passato l'intera notte a piangere e ad avere incubi. Non aveva chiuso occhio dopo che si era svegliato e si era finalmente reso conto che il suo Satoshi era morto.


Non si sarebbe più alzato da quel gelido lettino di metallo e non lo avrebbe più abbracciato. Non gli avrebbe più sorriso.

Aveva capito che la loro vita insieme era stata violentemente stroncata da un ubriaco, che nulla avrebbe più avuto lo stesso senso di prima.


Gli sembrava d'impazzire.


Ancora poche ore e sarebbe stato celebrato il funerale.

Ancora poche ore e non lo avrebbe più visto.

Ancora poche ore e non avrebbe più toccato, anche se era freddo come il marmo e le vene viola prominenti.

Ancora poche ore...


Nino voleva urlare. Voleva disperatamente urlare. Voleva urlare il suo dolore, la sua sofferenza.


Ma l'unica cosa che riusciva a fare era piangere. Non riusciva a fare altro dalla notte precedente.

Sho lo aveva aiutato a lavarsi e a vestirsi con un pigiama più comodo, la notte precedente. Gli aveva fatto lo shampoo e aveva asciugato i capelli che prima era sudati e appiccicati sulla fronte.


Lui non riusciva a coordinarsi.


Non riusciva a fare nulla da solo. Era come una bambola di pezza nelle mani del burattinaio.


Anche mangiare quella mattina aveva rappresentato un ostacolo quasi insormontabile. Appena vedeva il cibo gli sembrava che lo stomaco si ribaltasse su sé stesso. Appena cercava di inghiottirlo, il sapore quasi schifoso del cibo lo costringeva a chiudersi in bagno a vomitare quel nulla che aveva mangiato.


Eppure non gli importava. Non gli interessava se dimagriva troppo, non gli interessava se non poteva più ballare e non gli interessava nemmeno suonare la sua amata chitarra.

Aveva perso la voglia di vivere.


Semplicemente non gl'interessava nient'altro.


Al suo fianco non c'era più nessuno. Il vuoto rischiava d'inglobarlo senza alcuna pietà.

Perso Satoshi, la sua metà, la sua intera vita, non aveva più nulla.


*°*


Fermo davanti alla rustica lapide di Ohno, c'erano solo le persone più intime.


I suoi amici, Nino, i familiari stretti.


Il bonzo rimase un attimo in silenzio, attimi che gli Arashi considerarono interminabili e pieni di sofferenza. E poi iniziò a parlare.


A parlare di Ohno, della sua famiglia, delle sue passioni, del suo amore per Nino. Il giovane sentì di nuovo lo stomaco attorcigliarsi, e la voglia di scappare il più lontano possibile dal cimitero era quasi incontrollabile.


Fu la mano di Matsumoto che gli stringeva la spalla, e la vicinanza dei suoi migliori amici, Sho e Aiba che gli diedero quel briciolo di forza che gli permise di rimanere fermo al suo posto.


Non poteva andarsene.

Non poteva abbandonare Satoshi in quella maniera.

Non poteva scappare, anche se ogni cellula del suo corpo gridava di dolore e le lacrime silenziose ormai gli annebbiavano la vista.


Doveva rimanere là, al suo posto, dove il suo Riida si aspettava di vederlo se fosse stato ancora in vita.


A quel pensiero le lacrime aumentarono, questa volta in singulti udibili dalle persone che si trovavano là con lui a dare l'ultimo saluto ad una persona cara.

La madre di Ohno si avvicinò a lui, stupendo forse anche sé stessa.


Il bonzo smise di parlare per osservarli.


La donna rimase in silenzio davanti a lui, nessuno sapeva che cosa aspettarsi da quell'avvicinamento.

Poi lo abbracciò, stringendolo a sé. Non sopportava quella sofferenza.


Non sopportava le lacrime di Nino, così come non sopportava il rigido e silenzioso dolore di Jun, Aiba e Sho.

Lei li aveva visti crescere. Li aveva visti maturare. Era stata una delle confidenti dei loro giovani pensieri e turbamenti.


Aveva visto l'amore crescere fra i Satoshi e Kazunari.


Lei era stata la prima persona a cui avevano confidato la loro relazione.

Ed era proprio per questo che non riusciva ad odiare Nino per la sua condizione di sopravvissuto.


Stava soffrendo. Il suo piccolo Kazunari stava soffrendo veramente. Forse più di lei. Forse più di tutti quelli che erano presenti davanti alla tomba.


Lei sapeva che il ragazzo avrebbe preferito morire a sua volta piuttosto che stare là in piedi, inerme, a piangere.


E per questo era disperata.


Ninomiya amava talmente tanto il suo piccolo bambino, che non sopportava la sua stessa esistenza.

E lei non poteva permetterlo. Non era giusto. Ma lei stessa non sapeva che cosa augurargli.
Se la morte o la vita.


« Mi dispiace Kazunari.»


L'autocontrollo del ragazzo vacillò un secondo di troppo. Scoppiò a piangere, senza più freni, aggrappandosi alla donna come se fosse la sua ancora di salvezza.

I gemiti si trasformarono presto in singhiozzi violenti, poi sfociò in un pianto disperato.


Entrambi si ritrovarono in ginocchio, l'uno il debole sostegno dell'altra. La scena era straziante.

Ma per i restanti componenti degli Arashi era più angosciante rendersi conto che il dolore per Nino era più grande di quello che lui poteva sopportare.


Difficilmente si sarebbe completamente ripreso.


*°*


Erano passati due anni.


Due anni di crisi, di pianti, di depressione.

Anche dopo così tanto tempo, in Nino era rimasta la voglia di urlare tutto il suo dolore.


Ma più cercava di esternarlo, più un groppo alla gola prendeva il sopravvento, quasi soffocandolo.


Le lacrime sostituiscono talvolta un grido.


Ecco cosa gli dicevano.

Ma non era vero. Un pianto non risolve nulla. Né prima, né ora, né in futuro.

Quindi rimaneva in attesa di un urlo, anche se non ci riusciva.

Quindi gli restava solo un pianto.


*°*


Il dolore si stava lentamente affievolendo.

Gli anni erano passati. Gli incubi erano diminuiti quasi del tutto.


Aveva ripreso lentamente a sorridere e poi a ridere.

Aveva ripreso faticosamente a divertirsi.


Il tempo era stato contro di loro. Ma si era quasi ripreso.

Era tornato alla sua vita. Era riuscito a riprenderne il controllo.


Gli impegni di lavoro erano così stressanti, così massacranti che spesso tornava a casa e si gettava sul letto senza nemmeno cambiarsi.


L'unica cosa che non era scomparsa con il tempo era la sensazione che prima di addormentarsi, qualcuno lo stringesse in un abbraccio.


E quella sensazione lo aiutava ad andare avanti.


Sapeva che era lo spirito di Satoshi.

Sapeva che era accanto a lui. Sapeva che lo avrebbe protetto.

Sapeva che non lo aveva dimenticato.


E con questi piccoli pensieri, Ninomiya continuava la sua vita.


Fine

   
 
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