XI. Blinding
"All around the world was waking, I never could go back
'Cause all the walls of dreaming, they were torn right open
And finally it seemed that the spell was broken (...)
No more dreaming of the dead as if death itself was undone
No more calling like a crow for a boy, for a body in the garden (...)
No more dreaming like a girl so in love with the wrong world."
[Florence and the Machine]
Il
chiarore del timido albeggiare trovò modo di filtrare tra le persiane abbassate
e lieto di quell’entrata iniziò a rincorrersi sulle pareti rosa pesca della
stanza sotto forma di prismi e gocce di rugiada riverberata.
Fasci
sottili e dalle tonalità sfumate, spade di luce dal profilo aggraziato e
longilineo fenderono l’aria rarefatta conficcandosi nel tappeto di folta pelliccia
e nel piumone a fiori.
Nel
letto qualcuno mugolò sommessamente, manifestando il proprio disappunto per
quell’irrispettoso intrufolarsi nel suo sonno e per l’aver provocato un
risveglio che avrebbe ben volentieri posticipato ad un momento più tardo.
Capricciose,
due mani abbracciarono il tessuto delle lenzuola portandoselo oltre le spalle e
la testa corvina si infilò lesta sotto i guanciali. Breve ristoro dopo il vile
colpo agli occhi e il trillo prolungato della sveglia, simile a un lamento dal
suono isterico, le giunse alle orecchie trapassando lino e piume e l’irrisorio desiderio
di rimanere nel guscio confortevole creato dalle coperte.
Insidiosi,
i vari strilli si susseguirono uno dopo l’altro accavallandosi nello spazio
cavo, sino a quando gli intervalli divennero inesistenti e il torpore
dell’oblio rubato le fu scrollato di dosso tutt’un d’un fiato, come dopo una
lunga apnea.
Svegliarsi
era qualcosa di fastidioso in qualsiasi modo o momento avvenisse.
Aprire
gli occhi, sbatterli due o tre volte per abituarli alla diversa luminosità,
stropicciarli con le mani strette a pugno e trovare gocce di acqua infingarda
impigliate tra le ciglia e le palpebre frementi, lo era ancora di più. E pur
sapendo che si stava dormendo e che si sarebbe potuto sorvolare su quel breve
quanto incerto attimo di debolezza, era assodato non lo si sarebbe perdonato
mai comunque.
Il
tempo passava, i sogni aumentavano e la pioggerellina primaverile si trasformava
di pari passo diventando un temporale estivo. Inutile specificare che lei
odiasse i temporali e l’estate in generale dacché si era fatta così carica di
bagagli scomodi, pieni di ricordi da sopportare e portare con sé in macigni
sulle spalle dolenti e catene ai polsi.
Volse lo sguardo alla finestra, le imposte ancora serrate come lo
erano le sue labbra e gli occhi socchiusi. Si alzò piano avvicinandosi con altrettanta
cautela, ispirando ed espirando trepidante attesa, di cosa in fondo lo sapeva
solo lei.
Lentamente, spostò le tende leggere aprendo il battente e fu uno
sbattere deciso seguito da una risata lieve che sapeva di sospiro gorgogliato.
Lo sguardo si soffermò a lungo sul cielo azzurro, intenso come i fiordalisi e i
nontiscordardimé, sui fusti eretti e ramificati dei palazzi bassi all’orizzonte
bianco e grigio, simbolo e sfoggio di una modernità inutile, fastidiosa.
Sugli steli lunghi delle colonne vermiglie del torii, lo shimenawa
con i gohei ad ondeggiare al vento. Indugiò su quel rosso ligneo e fu quello
stesso indugio a costarle un pizzicotto alla mano stretta ai pantaloni del
pigiama e un altro alla guancia.
Nell’aria si respirava l’arrivo della primavera, il profumo al suo
sbocciare della natura sacra in ogni sua forma, eterna simmetria ed equilibrio.
Tutt’intorno
il mondo si stava svegliando e lei non poteva tornare indietro.
Il collo inclinato, la testa poggiata contro il vetro in segno di
triste sottomissione a un volere che non le apparteneva più, non rispondeva a
quel che il cuore chiedeva, bramava e lacrimava di desiderio insoddisfatto da
tempo oramai.
Inchinata al sole, inconsapevolmente retrocesso a un angolo del
suo spazio visivo, al destino che dopo averle offerto uno sprazzo di amo- .. qualcosa, glielo aveva strappato via
crudelmente, ai Kami e alle preghiere che silente rivolgeva loro ogni mattina,
a chiunque potesse porgerle una mano in aiuto alla sua tesa da tanto, ma a cui nessuno pareva prestare attenzione.
Era bloccata in quel mondo non più suo e non sapeva cosa fare ora.
Non era così che aveva immaginato la propria vita, non era quello
il futuro progettato con tanta alacrità, per cui aveva combattuto, in cui aveva
creduto! Non era quello che avrebbe voluto per sé e ciò che faceva male non era
l’essere bloccata lì, ma il non poter più tornare indietro, solo questo. Non
poter rivivere quel sogno poiché tutte le
pareti erano state abbattute e per quanto provasse a riunire i cocci,
ricostruire quel che era andato distrutto appariva troppo difficile per lei.
E dire che
doveva averne di esperienza in fatto di frammenti da riunire.
Quel pensiero stranamente la rincuorò, facendola sorridere
discretamente alla boccetta poggiata al solito posto sul comodino, secondo
un’abitudine antica e mai perduta.
Era vuota, ma riempita dei colori iridescenti dell’arcobaleno
riflesso al suo interno, sfaccettature di mille sfumature e della magia che
aveva contenuto un tempo.
Difficile,
ma non impossibile, si rimproverò per il
pensiero precedente.
Anche se ad ogni tentativo quel che otteneva come risultato erano
schegge ancora più piccole, anche se riattaccarle richiedeva tempo e fatica
sempre maggiori, se ad ogni fallimento sentiva un proprio pezzo unirsi a quelli
infranti sparsi intorno ai suoi piedi, anche se il dolore e i pensieri
nostalgici sanguinavano come ferite aperte e pulsanti tanto da annebbiarle la
mente a volte, avrebbe continuato a provare ancora e ancora fino a quando
sarebbe stata capace nuovamente di entrare nel sogno e il passato, la
sofferenza, qualsiasi altra cosa non fosse lui e il suo nome ripetuto
all’infinito, si sarebbe stemperato nel miele dorato.
Un bussare discreto alle sue spalle e il volto dolce e comprensivo
di sua madre a far capolino dalla porta, per nulla sorpresa di trovarla già in
piedi accanto alla finestra, a portarle la divisa appena stirata da indossare
per la cerimonia.
Un sospiro sincero stavolta.
Un altro anno era trascorso e lei era ancora lì, a sognare e
disperarsi per quel che era aldilà di un pozzo magico, incapace di dimenticare
e voltare pagina.
Di mettere a tacere la voce che si levava singhiozzante dal
proprio cuore in frantumi.
ƁƖinɖinɡ
Accecante desiderio
La cerimonia si era svolta proprio come si era aspettata e nel
corso degli anni aveva immaginato sarebbe stata. Una felicità intima e
trasognata che l’aveva avvolta in un bozzolo caldo e protettivo isolandola dal
feroce soffermarsi con lo sguardo che, poco prima di salire sul palco a
prendere il diploma, si era concessa tra gli spalti, a cercare quella figura
sempre stonata nell’ambiente circostante e assente, ma mai più assillante.
Mai più ferocemente desiderata.
Ancora una volta, facendo scorrere gli occhi scuri tra la folla in
una ricerca continua, imprescindibile dalla quotidiana delusione inappagata che
l’assaliva, ogni sua speranza era stata disillusa.
Ancora.
E ogni giorno andava aggiungendosi a quei famosi frammenti una
piccola e confermata frustrazione per la propria impotenza e una debolezza con
cui non poteva avere nulla a che fare, tantomeno tentare di cancellare od
oscurare dal momento che le era ancora propria quanto la forza con cui
rifuggiva ostinata la presa di coscienza della realtà.
E cioè che tornare indietro era impossibile e ciò che aveva dietro
di sé pur non avendolo lasciato volontariamente lì, rimaneva dov’era, separato
in modo irrimediabile e inconciliabile da lei.
Faceva male, un dolore acuto e lancinante, spine e cunei conficcati
tra le pareti del cranio insieme ad immagini che non volevano saperne di
abbandonare la sua memoria. Faceva rabbia non essere mai stata capace di
ricordare poche formule matematiche e non riuscire ad insabbiare invece quella
moltitudine di visi familiari e voci e sorrisi che si sovrapponevano l’uno
sull’altro, combaciando in modo perfetto come tessere armoniose di uno stesso
interminabile puzzle. Rivedere e riconoscere in quei momenti trascorsi tutti
insieme una parte di sé, forse la più importante e profonda, radicata al suo
animo.
Doveva
smetterla, pensò scuotendo il capo con decisione.
Dare un taglio netto al passato e a tutto ciò che esso comportava.
Smettere di vedere cose che non c’erano, sorvolare sugli spiriti che a volte
sentiva serpeggiare come aliti tremuli di brezza e scomparire subito dopo nella
loro inafferrabile essenza di percezioni, percorrere e intraprendere luoghi ora
preclusi ai suoi piedi di semplice umana senza poteri da miko.
Il suono del flauto del demone Tatarimokke e la schiera di bambini
danzanti al suo seguito e domandarsi se anche Shippo sarebbe stato
capace di
fare altrettanto. E la smorfia di suo fratello al berretto di lana che
gli
aveva regalato per Natale e ipotizzare, domandandosi se avrebbe avuto
la stessa
forma sulle labbra di qualcun altro, magari una piega più
pronunciata agli
angoli per via di uno sbuffo a nascondere il sorriso impercettibile
affiorato
agli occhi penetranti. E la risata di Eri e sovrapporla a quella
più matura e spontanea
di una donna in sboccio, combattiva e determinata a far della
realtà il proprio desiderio di una vita felice, senza incubi ad
oscurarla. Il soffiare rabbioso di Buyo
così diverso dal digrignare possessivo rivolto ad un nemico
invisibile e il
drizzarsi nervosamente del busto già proteso e rivolto alla
finestra aperta,
come attendendo il palesarsi della forma ostile che il suo gatto doveva
aver
sentito, ma non coincideva mai con quella che lei avrebbe voluto che
fosse.
Basta svegliarsi madida di paura e tremante di orrore, il timore
che la divorava al non saper, non poter essere sicura che aldilà del muro
invalicabile dato da spazio e tempo e dimensioni differenti e remote l’una dall’altra,
tutti stessero bene. Ritrovarsi a pregare a volte, crudele, che il nemico
ucciso tornasse dal regno delle tenebre in cui era sigillato. L’Inferno che vinceva l’ultima battaglia,
anche quella contro la morte, pronto a scontrarsi contro di loro per una
guerra, l’ennesima, che sperava potesse non finire. Allora forse le sarebbe
stato concesso di rivederli, rivivere tutto ancora e ancora senza stancarsi mai
di quel ripetersi inesausto.
Basta
sognare i morti come se la morte stessa fosse stata annientata.
Era tutto così fragile e di una semplicità così fallace,
distruttrice. Torturava sé e il proprio senso pratico con quei sogni da ragazzina,
ma cos’altro poteva fare? Fingere non le apparteneva né ci aveva provato in
alcuna occasione, anche quando si trattava dell’unica possibilità davanti alle
insicurezze e all’improbabilità che i sentimenti che provava venissero
corrisposti. Niente trucchi, niente giochi, terrori dispettosi come gli spettri
di cui assumevano sembianza. Basta figure vaganti nell’ombra e sgargiante
carminio ad occuparle l’iride e incoronarla di fuoco ad ogni dove.
Basta
gridare come un corvo per un ragazzo, per un corpo nel giardino.
Un albero millenario, il tronco scrostato dalla corteccia nel
suo centro come pelle scorticata, lì dove centinaia di anni prima aveva tenuto legato a sé il suo
prigioniero addormentato, intrecciato ai rami coperti di muschio su cui si era
arrampicata per svegliarlo dal maleficio che lo incatenava. Sospetto, sorpresa,
diffidenza e attrazione per quella figura seminascosta, per quel mezzo demone
dai tratti scolpiti in una malinconia agrodolce e complicata, una sofferenza
elaborata e intessuta insieme alle fiamme dell’abito di hinezumi e alla potenza
della zanna protettrice che in seguito avrebbe ottenuto.
Basta
sognare come una ragazza così innamorata del mondo sbagliato.
Della persona che le era destinata attraverso secoli di distanza,
irrisoria in confronto alla volontà di due individui pronti a colmarla con la
tenacia caparbia della loro ferma ostinazione.
La maturità le aveva portato sofferenza e una comprensione
amara, la dimestichezza con quella che a volte si rivelava essere una sconfitta
schiacciante che rendeva tutto intorno terra bruciata e di nessuno. Altre volte
invece serviva a dare la spinta necessaria per scegliere, prendere tra due la
decisione più sopportabile pur se difficile.
Kagome scostò il palmo dal bordo del pozzo mangia ossa e si
accorse di aver premuto con tale forza da avere impressi anche sui polpastrelli
segni della presa graffiante del legno.
Insieme al futuro imminente che prendeva forma nel colore di un
cielo, così azzurro da richiamare quello della tranquillità che l’aveva invasa
e sollevata nello scorgerlo sul fondo.
Il braccio di sua madre intorno alle spalle, caldo e
confortante, leniva le sottili cicatrici che teneva ingarbugliate e celate
sotto uno strato di pelle e sangue, ma la mano che stritolò la sua in quel cielo
gioioso di fiaba incantata era callosa e reale, screpolata come le foglie
secche spazzate via dall’autunno al suo crepuscolo. E si fece salda nella sua
ruvidezza mentre circondava quella piccola e morbida di lei, quasi finalmente si fosse ricomposta dei margini
limitati imposti poco prima.
Un abbraccio che l’avvolse tutta con il profumo di Inuyasha soffiatole
direttamente nelle narici, insieme alla sua voce respirata, quello accecante di casa. Non doveva più
trattenersi dal ricordare e cercare di sotterrare sotto strati di menzogne gli squarci che quel suo fare
comportasse.
Finalmente era tornata.
N/A:
Rispolverare. E’ questo il termine che si utilizza solitamente
nel ripulire qualcosa ricoperto dalla polvere.
Il mio quindi tecnicamente non può essere definito come tale.
E’ stato un ritrovamento, non di quelli all’Indiana Jones con
tanto di cattivi alle calcagna e fosse colme di serpenti XD ma del tipo più
tranquillo diciamo. Per quanto possano esserlo cartelle vecchie anni e sul cui
contenuto non mi dilungo- troppa paura e
io sono una fifona… la vita è stata ingiusta nel distribuire il coraggio o
forse io ero assente ç__ç, come al solito nei momenti opportuni-.
Cosa ha fatto Kagome in questi benedetti tre anni? Non mi ci
sono soffermata tanto a ben vedere, ma per la semplice ragione che forse la
risposta benché banale sia proprio quella più semplice.
E’ andata avanti, giorno dopo giorno con la forza che si sa
appartenerle, quel coraggio fermo e ostinato che la caratterizza. Kagome è
forte nelle sue paure, fragile nel suo amore persistente per Inuyasha, decisa
anche quando è titubante e non sa che scelta prendere, quale strada percorrere.
Perlomeno io la vedo così. Kagome pensa ogni giorno ad Inuyasha,
a ciò che ha ad attenderla aldilà del pozzo e nel farlo finge di non pensarci.
Il nome Inuyasha nei suoi pensieri non compare. Kagome prova
dolore, ma ne rifugge la consapevolezza perché significherebbe prendere atto di
una situazione da cui non si può tornare indietro.
Kagome sceglie finalmente, cresce nel dolore che ciò comporta,
un addio stabilito nel momento stesso in cui ha capito di amare Inuyasha e di
non poter vivere senza di lui. Kagome deve decidere tra due scelte entrambe non
perfette. Non è come tra bene e male perché entrambe prevedono che lei perda
qualcosa di fondamentale, comportano una quantitativa dose di sofferenza.
Lei preferisce quello che le appare il male minore. Sceglie il
passato dato che è questa la prospettiva che è diventata il suo futuro e l’era
presente, futura, invece il passato dell’infanzia, qualcosa che non rappresenta
più la sua vita. Saluta la sicurezza dell’amore del nucleo familiare per
ritrovarne altro in quello che si prepara a creare con Inuyasha.
Insomma io la adoro, molto semplicemente <3.
Questa donna ha quello che tutti vorrebbero avere: il coraggio e
le balle di trasformare il sogno in realtà, di scegliere ciò che è meglio per
lei fregandosene altamente del resto.
Non m’importa se è un personaggio cartaceo, Kagome ha tutta la
mia stima e il mio rispetto ù__ù
Deliri a parte ehm… OWO
*Imbarazzooooo…*
Mi auguro davvero di non aver fatto scappare nessuno a gambe
levate, Dio buono, mi spavento da sola in questo momento ed è tutto dire. Spero
– se ci siete ancora e non siete annegati nel mio monologo come i corn-flakes
nel latte (perché cavolo prenderli col cucchiaio diventa così difficile?!)- questa
mia vi sia piaciuta con l’augurio, più sentito del solito lo ammetto, di essere
riuscita a trasmettervi qualcosa di buono.
Prego solo non sia semplice confusione, un saluto e buon sabato
sera a tutti, che il divertimento sia con voi (spudoratamente copiato da Star Wars
finito di vedere un paio di ore fa) ;)
P.s: cosa più importante… capacità di stabilire priorità pari a
0, wow… alcune frasi in corsivo sono la traduzione della canzone riportata in
cima. Mi sembrava appropriata ai pensieri di Kagome ecco tutto. Finito di
rompere ora, un risaluto! Questo è tutto, potete rompere le file signori XD