Videogiochi > Assassin's Creed
Segui la storia  |      
Autore: cartacciabianca    14/11/2010    2 recensioni
Tutto quello che non sai sull'Elleboro...
1. Suo fratello poteva avere tutte le terre che voleva, essere il figlio più amato, il condottiero più abile, il sovrano più spietato e il puttaniere più vorace, continuò mentalmente artigliando le lenzuola, ma non avrebbe sepolto l’orgoglio del giovane Joffré sotto allo sterco delle sue porcherie.
Expansion-Pack della Fan Fiction "Helleborus" di cartacciabianca.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: OOC, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Helleborus'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Helleborus Niger (dal latino, Elleboro Nero – per via del rizoma scuro) è una raccolta di scene inedite tratte dalla fan fiction Helleborus, una storia che vede protagonisti Ezio Auditore e i suoi quattro Apprendisti, miei personaggi originali. Il contesto è un What If molto OOC e cade nel periodo ipotetico di un eventuale 1502/1503. L’ambientazione fa staffetta tra Roma e Bracciano e gli unici spoiler che contraddistinguono la mia fan fiction sono di carattere storico.
*Si ringraziano Enio, Emy_n_Joz/Josie_n_June, PhantomG e SophyTheWhiteDragon per il sostegno alla causa.*

Titolo: Rivalità fraterne, Helleborus 4.5
Fandom: Assassin’s Creed Brotherhood (penso…)
Personaggi: Goffredo e Cesare Borgia.
Rating: giallo.
Genere: storico, introspettivo, sentimentale
Avvertimenti: one-shot, OOC, slice of life
Buona lettura :)


 R i v a l i t à   F r a t e r n e

Li aveva sentiti con chiarezza.
I passi, silenziosi e discreti, di sua moglie Sancia che sgattaiolava fuori dalle lenzuola e abbandonava il baldacchino.
Era rimasto immobile, aveva taciuto, aveva aspettato sperando che, magari, ella si fermasse sulla soglia della stanza, ragionasse e tornasse indietro da lui.
Da suo marito.
Da Goffredo.
E invece no.
Il Duca de Candia aveva ascoltato la porta socchiudersi: un lume portato da una guardia aveva illuminato un angolo del letto, mentre l’ombra minuta, sensuale e graziosa della sua promessa veniva scortata fin nelle sue stanze. Nelle stanze dell’uomo che gli aveva rovinato l’esistenza. Nelle stanze dell’uomo che gli strappava dalle mani le armi, dalla bocca le parole e, ogni notte, dalle braccia la moglie. Nelle stanze di suo fratello. Nelle stanze di Cesare.
No, non avrebbe tollerato un’altra di quelle umiliazioni, si disse il giovane Duca voltandosi a guardare il soffitto. Suo fratello Cesare poteva avere tutte le terre che voleva, essere il figlio più amato, il condottiero più abile, il sovrano più spietato e il puttaniere più vorace, continuò mentalmente artigliando le lenzuola, ma non avrebbe sepolto l’orgoglio del giovane Joffré sotto allo sterco delle sue porcherie.
Goffredo scansò da sé le coperte e piantò i piedi sul pavimento. Quel risveglio brusco e improvviso fu un inquieto contatto con la realtà. In un attimo tutte le sue certezze vacillarono, la sua determinazione nell’affrontare uno dei tanti cancri della sua vita sfumò. Prendeva in giro se stesso se pensava davvero di poter intercedere tra l’adorata Sancia e il Cardinale.
Quella mezza idea che aveva di andarsi a riprendere la moglie nelle stanze del Valentino gli scivolò addosso come un velo.
Si sentì improvvisamente vuoto di ogni sua sicurezza, immensamente solo, nudo, svestito e infreddolito. Si voltò a guardare il vuoto che la sua dama aveva lasciato tra le coperte. Fu il pensiero di lei tra le braccia del Cardinale a rinvigorirlo.
Si alzò dal letto, infilò le scarpe ma non badò neppure alla sopraveste prima di uscire a grandi passi dalla stanza. Attraversò il corridoio con i pugni stretti e il petto gonfio. Ribolliva di rabbia e di tutto quel rancore per suo fratello accumulato negli ultimi anni. Se voleva consumare solo un’altra notte con sua moglie Sancia, Cesare doveva passare sul suo cadavere.
Il gioco perverso del Valentino era iniziato nella primavera del 1496, poco dopo il trionfale arrivo della contessina in Vaticano. All’epoca Goffredo era a malapena tredicenne, perciò era stato facile per il Duca del Valentinois trascinare Sancia, tre anni più grande del marito, nelle sue grazie.
Oltrepassò salotti e varie stanze buie. Ignorò la sorveglianza, che gli lanciava occhiate perplesse nel vederlo sgambettare come un cavallo al trotto in una direzione precisa. Finalmente arrivò alla porta di suo fratello, che si era sistemato parecchio lontano rispetto agli alloggi di Joffé. Fece per bussare, ma qualcosa lo frenò. Era un nuovo attacco di codardia, il medesimo ripensamento.
Si maledisse in uno spagnolo da ghetto e spalancò la porta, pronto a qualsiasi cosa vi avrebbe trovato oltre.

…poco dopo

Joffré era sconcertato.
Aveva trovato vuota la camera di Cesare con il letto sfatto ed era sempre più irrequieto. Si torturava le unghie domandandosi dove fossero sua moglie e il Valentino, momentaneamente scomparsi.
Invertì la rotta e trottò verso le sue stanze.
A metà strada Goffredo inchiodò.
Un pizzicorio all’orecchio lo fece voltare, ma alle sue spalle non vide altro che tenebre. Riprese a camminare, seppur misurando i propri passi.
Quando giunse sul pianerottolo delle scale che collegavano gli Appartamenti all’androne, fu incuriosito da un vociare dal basso e si affacciò al parapetto.
Rimase a bocca aperta, allibito come non mai.
Aveva riconosciuto, al lume delle torce, un gruppo di guardie che circondavano la sua sposa. Sancia indossava la vestaglia stretta in vita ma aperta in petto. Fissava l’uomo di fronte a sé con rabbia e timore assieme. Cesare, vestito a festa anche nel cuore della notte, le stava parlando con quella voce calda che ammaliava tutte le donne.
Per la distanza Joffré non poté che intuire poche parole. Eppure la sfrontatezza di quegli occhi dorati e il corpo possente di suo fratello maggiore lo inchiodavano alle scale. Cesare, con tutta la sua fierezza, stava vincendo di nuovo il suo orgoglio. Il giovane Duca di Candia esitò ancora, rabbrividendo…
Il Cardinale concluse il suo discorso con due precise parole che risvegliarono nella ragazza un impeto a dir poco animalesco. Sancia si avvicinò al Valentino ma, prima che potesse solo alzare un dito, le guardie la trascinarono indietro. La principessa scalciava e si dimenava. Nel vederla così ardita, sulle labbra di Cesare si distese un sorriso malizioso, ma ordinò lo stesso che fosse portata via.
Fu a quel punto che Goffredo non poté più restare a guardare.
Si precipitò giù dalle scale. “Fermi! Lasciatela andare!” strillò in contrordine al fratello, che si adirò e non poco.
Le guardie esitarono un istante, ma a Cesare bastò uno sguardo per sottolineare la superiorità della propria parola. Gli armati si allontanarono nell’androne trascinando a forza la donna aragonese, che non smetteva di tentare la ribellione.
“Goffredo.”
Cesare pose il proprio braccio laccato tra il fratello e la sposa ormai lontana.
“Perché?” domandò.
Il Valentino scambiò con lui un’occhiata altezzosa, ma non rispose subito.
“Cesare, perché?!” ribadì l’altro.
“Il vostro matrimonio è sospeso”, fu l’attesa risposta, “Napoli ha cambiato le carte in tavola, perciò non c’è motivo per cui lei debba restare.”
Goffredo ingoiò le lacrime. Capire la gravità della situazione non gli tornava difficile, ma in lui si agitavano sentimenti contrastanti.
Sulle scale, alle spalle del giovane Duca, comparve allora un uomo coperto da una scura e pesante mantella da viaggio. Un arco e una piccola faretra legati sulla schiena. Il cappuccio abbassato sulle spalle lo presentava meglio delle parole.
Era Michele Corella, detto il Michelotto, l’attuale mastino più fedele di Cesare.
Goffredo sobbalzò. Quell’uomo, forse lo stesso che aveva fatto ammazzare o ammazzato personalmente suo fratello Juan, l’aveva pedinato per davvero; non era stata una sua impressione!
Come confermando i suoi pensieri, Michelotto gli sorrise in modo terribilmente falso. “Duca”, disse inchinandosi per scherno.
“Basta coi giochi, Michele, andiamo” pronunciò Cesare avviandosi.
Goffredo aggirò il fratello e gli si piantò davanti.
Michele portò istintivamente una mano sotto al mantello.
“Non ti ho chiesto cosa fai! Ti ho chiesto perché lo fai!” esordì rosso in viso.
“E’ una spia” disse Cesare.
Vedendo l’espressione sperduta sul volto del giovane Joffré, Michele sorrise: “Non preoccupatevi, Duca. A Sant’Angelo l’accoglieranno per quello che è: un’aragonese” ghignò il Corella e il Valentino con lui.
Goffredo ignorò lo spietato sarcasmo del Michelotto e guardò suo fratello negli occhi. “Me l’hai portata via… di nuovo” mormorò.
Con un cenno del capo Cesare ordinò al suo mastino di avviarsi e Michele ubbidì, lasciandoli soli. Il Corella lo avrebbe aspettato nel portico con la scorta e il cavallo pronti. Di lì, il Borgia e lui, sarebbero partiti per Cesena. La visita in Vaticano era stata una cortesia a sua sorella, ma anche l’occasione di vedere Sancia un’ultima volta.
Il giovane Duca guardava a terra mentre il Valentino lo invitava a passeggiare in giardino. Goffredo accettò, nonostante non avesse nulla con cui coprirsi dal freddo. Quando furono all’aperto, sostenne il passo di suo fratello maggiore senza mostrare segni di ulteriore debolezza. Era una sfida anche quella, si disse. Se avesse iniziato a tremare e battere i denti, con che armi avrebbe combattuto la lingua biforcuta del Valentino? Di lame ne era del tutto sprovvisto. Cesare, invece, sfoggiava eleganza e fatalità assieme nella prestigiosa lama bianca legata al fianco.
Mentre Goffredo piagnucolava senza vergogna di amare la donna che lui aveva fatto rinchiudere a Castel Sant’Angelo, Cesare rievocava le notti più focose passate tra le cosce della cognata.
“Fratello, ti prego…”
Aspetta a dire di essere figlio di mio padre… pensò Cesare con una smorfia.
Poco badando ad una nuova supplica del giovane Duca, ad un tratto il Valentino alzò il mento e guardò il cielo notturno pieno di stelle. Sorrise, come se tra le costellazioni avesse trovato la soluzione anche a quel problema.
Tornò per rivolgersi a Joffré, ma qualcosa attirò la sua attenzione oltre le spalle del fratello. Gli occhi dorati del Borgia si ridussero a due fessure. Studiò a lungo l’oscurità della pineta che li circondava fin quando non distinse chiaramente una vecchia volpe bianca e il suo cucciolo fiutare le impronte del toro.








.:Angolo d’Autrice:.
Goffredo Borgia de Candia, in catalano Joffré,  agli inizi del cinquecento era legato a matrimonio da undici anni con la figlia illegittima di Alfonso duca di Calabria. La differenza di età tra i due sposini fu il primo apparente motivo per il quale Sancia preferì le cure del Valentino, e fu sua amante fino, appunto, all’autunno del 1502, quando venne rinchiusa a Castel Sant’Angelo con l’accusa di patteggio per gli aragonesi.
La storia dipinge il giovane Duca de Candia come uno sfigato, sempre all’ombra del fratello maggiore. Criticato anche dal padre, Rodrigo, che non lo sospettava un proprio figlio, ma bensì di Vanozza Cattanei e il suo secondo marito, Giorgio della Croce. L’unica che ebbe un po’ di pietà per Joffré fu Lucrezia.

… -4 …






   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Assassin's Creed / Vai alla pagina dell'autore: cartacciabianca