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Autore: Angeline Farewell    14/11/2010    0 recensioni
La vendetta secondo Ken Kitamura.
[...]Ken si era acceso lentamente una malboro ed aveva aspirato una lunga boccata prima di rispondere qualcosa di abbastanza vicino alla verità da sembrare credibile.
“Hai ragione Yukki, ma vedi, io odio essere calunniato. Calunniato e tenuto all’oscuro di cose che tra l’altro mi riguardano. Il leader-san deve imparare che nemmeno lui è impunibile.” [...]
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: hyde, Ken, Tetsuya, Yukihiro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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And they said.

Io amo i miei fans, sul serio.

Cosa sono quelle facce? Quegli sguardi dubbiosi? Io amo i miei fans, i Cielers o come li si voglia chiamare.

Se ho scritto una canzone come Bravery d’altronde, è anche e soprattutto per questo: perché non penso siano stupidi, cioè. Un po’ sordi, forse, sicuramente legati all’apparenza, ma come posso fargliene una colpa? La musica è anche, se non soprattutto, cerone e lustrini, lo so bene anch’io che in casa giro come un profugo afghano, ma sul palco sfoggio sempre capi all’ultimo grido. E non importa cosa dice Ken al riguardo –che dovrebbe, tra l’altro, imparare a guardarsi prima allo specchio, ma glissiamo-, so di essere alla moda. Meglio, di crearla la moda: perché limitarsi a seguirla sarebbe mortalmente noioso e scontato. Chiedetelo un po’ a Nishikawa e ad un altro milione e mezzo di nuovi patiti delle gonne pantalone della Westwood o delle giacche college, se non è così.

C’è una cosa, però, che non sopporto dei fans, che proprio non riesco a digerire e che mi ha fatto letteralmente vomitare un testo come quello di Bravery: i giudizi di valore. La pretesa di sapere.

Ma sapere cosa? Quello che non so nemmeno io? Complimenti davvero.

Va bene, non giriamoci attorno, non sono un buon incassatore, sono permaloso e le critiche mi fanno rabbia. Non è che non le accetti –sarei stupido a non farlo- ma le assimilo male. Soprattutto quelle campate in aria.

Forse dovrei arrivare al nocciolo del problema prima di perdermi.

Cosa mi rode? Essere etichettato. Sapere per certo che, leggendo il mio nome nei credits di una canzone, chiunque si sentirà autorizzato a pensare “Allora è un altro pezzo pop”, come se fosse scontato, come se non avessi mai scritto pezzi come Shi no ai o Shinkirou, come se non fossi io il fesso che riarrangia tutte le canzoni che finiscono negli album. Sì, anche quelle che haido si scrive tutto da solo: anche My Dear l’ho sistemata io e non solo per armonizzarla al resto dell’album, quanto proprio per tirarla fuori dall’anonimato. E con questo non voglio fare un torto al mio vocalist; solo che, tra le sue tante virtù, gli manca l’orecchio clinico per il riff giusto, per la tonalità più adatta, per la strumentazione adeguata per ogni sezione della canzone: è un poeta ed un compositore eccezionale, sono che non sa lavorare di cesello, quindi me ne occupo io. Una volta mi alternavo con Sakura –o meglio, ci lavoravamo insieme, dato che è un’arte che ho imparato clandestinamente proprio da lui- ora soprattutto con Yukki, più raramente con Ken, che come autore è decisamente meno ingenuo, tanto che si è quasi procurato una cifosi piegato su una keyboard per comporre Jojoushi. E venitemi a dire che quella non è una canzone pop, avanti. È facile affermarlo: ma quanti saprebbero riprodurre la linea ritmica del mio basso – o meglio: dei miei due diversi bassi- su quella canzone? Quanti hanno notato che ci sono volute tre differenti chitarre – e dunque altrettante differenti tonalità- per riempire la melodia? Quanti hanno immaginato come ci abbia bestemmiato haido, che ha dovuto adattare un testo e la sua voce da tenore ad un rognosissimo andirivieni di mezzi falsetti e bassi talmente ravvicinati da fargli balenare lo spettro di Hitomi no Juunin? Quanti hanno immaginato quanta voglia, però, avessimo di suonare una canzone del genere –tutti quanti-? Suppongo in pochi. A voler essere generosi.

E parliamo di una canzone pop, ovviamente, perché pare nessuno sappia riconoscere un po’ di soul o il retrogusto jazz della melodia.

Dunque, che ne sanno loro?

Come al solito nulla. E non lo dico per biasimare nessuno, è normale sia così, se avessi voluto la mia vita in pasto a chiunque avrei scritto un’autobiografia dal numero potenzialmente infinito di pagine o avrei partecipato ad un reality show di quelli che vanno tanto di moda in Europa.

Solo che la prima sarebbe stata ritirata immediatamente dalle librerie e ti avrebbe procurato caterve di denunce, dal secondo ti avrebbero sbattuto fuori a calci dopo due puntate, tetchan.

Ken sa sempre come nutrire la mia autostima, si nota? Non a caso è uno dei pochi sia riuscito a sopportarmi trent’anni senza mandarmi a quel paese come avrei meritato più volte. E no, non sono masochista a tenermelo stretto, solo anche più lungimirante di quanto possano definirmi tutti. Perché è un amico, un grillo parlante, un confessore e –tanto per lusingare il mio ego da businessman-  un ottimo compositore. Che non scrive canzonette come il sottoscritto.

Ripeto, io amo i miei fans, gli sono incredibilmente grato per quel che hanno fatto e continuano a fare per noi, perché un musicista non esiste senza un fanbase, senza qualcuno che compra, insomma.

E lo so che non è molto gradevole dirlo, ma parliamoci chiaro, un ragazzino che sogna di fare il musicista è un po’ come quello che sogna di fare l’avvocato o il medico: e non perché siano lavori simili, ma semplicemente perché il fine è lo stesso. Avere successo, diventare qualcuno, fare soldi. Solo che, dimenarsi dietro uno strumento od un microfono, è decisamente più romantico e cool che stare a scannarsi per un pluriomicida o del brandire uno stetoscopio. E non provate a dire di no.

Magari, fare il medico o l’avvocato, ti evita scivoloni che mai avresti creduto tali con la stampa, però, e pure colleghi ed amici pronti a fartela pagare –letteralmente- cara. Dovrei dire sia una fortuna Aoyama sia sempre stata più gettonata di Setagaya, altrimenti il prezzo sarebbe diventato decisamente più salato. E a me il maiale nemmeno piace tanto, poi, con gran scorno e diletto di haido tra l’altro: perché lui l’adora e ne mangerebbe a quintali in qualsiasi occasione. Quindi, spesso, si serve abbondantemente anche della mia porzione.

 

Awake era finalmente stato messo in commercio. Quanto ci avevano lavorato per arrivare a presentarlo proprio il primo giorno d’estate? tetsu decise che era meglio non pensarci, perché gli sembrava ancora di sentire chiaramente le lamentele di Yuki, che era riuscito a tirar fuori un perfezionismo ancora più capillare ed irritante del suo: alla fine avevano dovuto quasi minacciarlo per fargli accettare il dato di fatto che, sì, l’album era perfetto così com’era, la linea ritmica della batteria non doveva essere –di nuovo- rimaneggiata e che le dieci canzoni avevano passato pure l’esame al microscopio elettronico. Si era evitata una lotta senza quartiere unicamente perché Yuki rispettava troppo i suoi compagni –e le gerarchie: l’ultima parola spetta sempre ad un’unica persona e lo sanno tutti- per non accettarne i giudizi. Così si era dato pace ed aveva abbassato la testa. Le blande preoccupazioni che aveva tirato fuori durante l’intervista al Recochoku, al più, avevano fatto sorridere divertiti i suoi compagni e lo staff.

Sarebbe andato tutto bene come al solito: qualcuno aveva pensato che scegliere Jojoushi come terzo singolo da proporre dopo i ritmi veloci di Killing me e New world sarebbe stato un azzardo. Ma tetsu si era strenuamente battuto per quella canzone, decisamente più di Ken stesso, che non si era mai curato più di tanto se le sue produzioni finivano in solitaria sugli scaffali. Ma il leader così aveva voluto e così era stato. Ed era stata una mossa vincente, perché avevano spiazzato tutti e dato una panoramica completa dei contenuti e delle diverse anime dell’album in un unico colpo. Il pubblico aveva gradito ed assaporato lo sperimentalismo di Ken e l’anima new rock di Yukki e haido. E tetsu?
tetsu aveva portato ben sette tracce alla causa del nuovo album quando, più di un anno prima, si erano riuniti per discutere del progetto, una delle quali era già stata commercializzata come singolo. Eppure le aveva sistematicamente eliminate tutte fino a lasciare sul banco la sola Trust.
Il motivo non era stato da subito chiarissimo agli altri -quelle tracce non erano male, con qualche ritocco potevano diventare anche meglio-, ma tetsu si era limitato a dare un’occhiata a quelle degli altri, aveva preso un po’ in giro Yukki dandogli del lavativo per la sua unica –stupenda- traccia, ed aveva stabilito che per il nuovo album erano decisamente più indicate. Anche se erano ancora solo semplici spartiti, l’embrione di quel che sarebbero poi state. Ma il re aveva parlato.

Dopo più di un anno di continui rimaneggiamenti, aggiunte, ripensamenti, scazzi e qualche parola di troppo, in studio ci si era addirittura dimenticati di quel particolare, ma, come spesso capita, era tornato alla ribalta quando nessuno ci pensava più. Evidentemente, però, qualcuno non aveva invece mai smesso di rimuginarci e con un discreto livore per giunta.
Leggendo le bozze dello special che il sito del Recochoku aveva dedicato all’imminente uscita di Awake, le reazioni dei rimanenti tre Laruku erano state inizialmente differenti, finendo poi per confluire in un’unica certezza: tetchan non l’avrebbe passata liscia.

“Fatemi capire, quand’è che l’avremmo accusato di comporre pop? Accusato, poi, nemmeno fosse una vergogna. E poi non scrive mica per quegli stronzetti degli Arashi, per la miseria, che gli ho mai scritto una rima cuore-amore io? Eh? L’ho mai fatto?” “haido, scusami… Ma questo che c’entra?” “C’entra Ken, c’entra: testo e note devono armonizzarsi a dovere.” “Lo sappiamo, haido, ma fa’ un discorso del genere a tetsu e passerai automaticamente dalla parte del torto: sembra tu stia dicendo che può scrivere tutte le cazzate che vuole, tanto ci sei tu a rimediare.” “Cosa? Ma non è vero! Questo è scorretto Ken, stai travisando le mie parole.” “haido, se volevi dire altro, ti assicuro che non ci sei riuscito: e lo sai quanto me che dire una cosa del genere a tetsu equivale a farselo nemico per la vita. E non avrebbe nemmeno tutti i torti.”

“Scusate ragazzi… Ma non starete facendo un problema di una sciocchezza? In fondo lo conoscete tetsu: quando sgancia la bomba vuol dire che gli è già abbondantemente passata.”

Ken e haido si erano voltati a guardare Yukki, rimasto zitto fino a quel momento, che parlava continuando a fissare annoiato lo schermo del suo laptop, facendo scorrere svogliatamente le pagine del sito del Recochoku. I due si erano soffermati a fissarlo in silenzio sapendo che aveva perfettamente ragione, tetsu aveva parlato in quel modo perché era già venuto a patti con lo scazzo ed il malumore, forse aveva persino trovato il modo di ficcare in gola ai detrattori quel che –credeva lui- gli avevano lanciato contro.
Il problema autentico stava nel fatto, tra i presunti detrattori, fossero annoverati anche loro tre.
E non era stato tanto esaltante venirlo a sapere dalle pagine di una rivista telematica, soprattutto considerato non avessero nessun sentore del disagio di tetsu. Sembrava di essere tornati indietro di sette anni, quando di erano ritrovati Bravery a far capolino tra gli spartiti: haido si era quasi strozzato con una soda quando aveva saputo di doverla pure cantare. E senza discussioni.
Ma era evidente non gli fosse bastata, così come non gli era bastata Perfect blue: ma come avrebbe intitolato il terzo atto? “Datevi fuoco, stronzi”? Non avrebbe avuto problemi a farlo, anche se sarebbe stato politicamente scorrettissimo: tetsu di quello non si era mai davvero dato pensiero, non aveva peli sulla lingua e non si preoccupava d’infiocchettare la verità con belle parole. La sua verità, almeno.

Ken si era acceso lentamente una malboro ed aveva aspirato una lunga boccata prima di rispondere qualcosa di abbastanza vicino alla verità da sembrare credibile.
“Hai ragione Yukki, ma vedi, io odio essere calunniato. Calunniato e tenuto all’oscuro di cose che tra l’altro mi riguardano. Il leader-san deve imparare che nemmeno lui è impunibile.” A quelle parole, inutile dirlo, haido aveva drizzato le orecchie “Che intendi dire?” “Che dovrà farsi perdonare per le brutte cose che ha detto di noi, ovvio. Minimo dovrà offrirci cena, bevuta e putt-” “Quelle non se le offre nemmeno da solo, Ken.” “Giusto. Vorrà dire che il festino lo faremo a casa sua, allora!” “Ma deve essere punito lui o noi? L’ultima volta che il signor leader ci ha fatto l’onore di sputar fuori il suo indirizzo siamo stati fermi due ore su uno scomodissimo divano di pelo, senza poter nemmeno fumare. E ci ha comunque deumidificati a morte, con la scusa che haido aveva il raffreddore.” “…anche questo è vero…” “Onestamente, non so voi, ma io al bis non ci tengo.” “Perché no? Almeno scopriamo dove è andato ad infognarsi stavolta!”. Esatto. Quella poteva essere l’occasione perfetta per costringere tetsu a rivelare le sue nuove coordinate e haido certo non voleva lasciarsela scappare. Almeno fino al trasloco successivo.
“haido tu sei l’unico che ha questa priorità: io preferisco alleggerirgli il portafogli e possibilmente rompergli i coglioni in un locale per fumatori.” “Neanche per sogno! E poi, tu parli così perché magari già lo sai dove abita.”. haido si era accorto troppo tardi che le sue si avvicinavano pericolosamente alle recriminazioni di un bambino delle elementari o, alternativamente, a quelle di un corteggiatore respinto e pure frustrato. Si era morso il labbro tra l’imbarazzato e l’offeso continuando a guardare Ken dritto negli occhi, sapendo benissimo che aveva appena offerto il fianco ad uno dei suoi motteggi. E, dal lampo ch’era balenato nello sguardo del chitarrista, sapeva anche sarebbe stato particolarmente diretto e fastidiosamente vero.
Invece l’altro si era limitato a portarsi ancora la sigaretta alle labbra scoccandogli un’alzata di spalle noncurante ed un semplice “Forse” che l’aveva fatto arrabbiare ancora di più.
Ed era lo stato d’animo ideale per affrontare il leader-sama.

“ ‘Forse’ cosa?”

Quando tetsu era entrato in studio gli altri si erano voltati praticamente in contemporanea verso di lui: il bassista si era ritrovato tre paia di occhi non proprio amichevoli a fissarlo insistentemente senza emettere un fiato.
“Cosa? Che vi prende, il pranzo non è ancora arrivato?” E quest’ultima domanda, chissà perché, l’aveva rivolta soprattutto ad haido, che aveva semplicemente grugnito il suo scontento in risposta. Perché no, il pranzo non era comunque ancora arrivato.

“No. Però abbiamo avuto le bozze dell’intervista del Recochoku.” Ken non aveva mai smesso di fumare e fissarlo sornione. Ma tetsu aveva finto di non badargli. “Era ora. Fate leggere anche a me?” “ Ma certo! Yukki-kun porta qui il tuo portatile, leggiamo tutti insieme!”.

Avrei dovuto capirlo che c’era qualcosa che non andava dal sorrisone di Yukki e dal fatto Ken avesse spento la sua malboro per accendersene subito un’altra mentre mi si avvicinava –imitato dagli altri due-, mi prendeva per le spalle e mi piazzava davanti al laptop. Avrei dovuto capire che c’era qualcosa che non quadrava quando me li sono trovati dietro a farmi da capannello –o da avvoltoi- mentre facevo scorrere le pagine del sito. Avrei dovuto, ma non l’ho capito nemmeno quando sono arrivato a leggere il famoso dunque.
Ci sono arrivato solo quando Ken mi ha stropicciato le spalle con le mani stringendo ‘amichevolmente’ troppo forte e mi sono ritrovato haido che mi flautata in un orecchio “
Come pensi di cavartela questa volta?”.

Già. Ed eccoci qua, sulla strada principale di Aoyama. Mi è quasi preso un colpo quando, chiedendo dove lor signori avrebbero preferito ingozzarsi a mie spese, haido ha proposto proprio QUEL locale. E Ken gli è andato dietro pure entusiasta.
“Yukki non c’è mai venuto. Non con noi, almeno. Non è mica giusto.” È stato tutto quel che mi ha detto rispondendo alla mia espressione incerta.
Quello era il locale in cui avevamo mangiato la prima volta  tutti e quattro insieme. Con Sakura. E serbava solo bei ricordi, era arrivato prima di qualunque recriminazione e rimpianto, prima delle lacrime e dei litigi. Era stata la pietra sulla quale avevamo costruito il gruppo e l’amicizia che ci aveva intrecciati e continuava a tenerci legati. Forse. 

“Tetchan, lo mangi quello?”

Come ai vecchi tempi.

The End.

   
 
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