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Autore: Rivaleth    16/11/2010    4 recensioni
-Il mio non è un capriccio!- sbottò lasciandola andare e marciando in cerchio intorno a lei.
-Io non so spiegarmelo, ma dalla prima volta che ti ho vista, dieci anni fa, ho capito che eri speciale.
Narcissa scosse la testa per chiedergli di tacere, ma lui rincarò.
-Ogni volta che ti vedo mi sento debole, vulnerabile e stupido!- sbottò furente.
-Ogni volta che ti vedo…
Si fermò, guardando Narcissa con una dolcezza spaventosa.
-Penso che tu sia meravigliosa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Narcissa Malfoy, Tom Riddle/Voldermort
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Quell'ottobre fu particolarmente gelido. L'intera campagna era una silenziosa distesa di grano maturo. Lungo le strade di collina costeggiate dagli alberi, le foglie avevano dato vita a un vero e proprio tappeto giallo e rosso, e il vento frizzante le sollevava impertinentemente, creando mulinelli di foglie scrocchianti. La fine di ottobre e l'avvicinarsi di novembre erano un evento che venne annunciato da una prima e inaspettata spruzzata di neve.
Adesso il bosco che circondava il maniero non era più una verde macchia di fitta vegetazione, ma uno sconfinato mare di alberi spogli, terribilmente simili a scheletri. I piacevoli cinguettii estivi degli uccelli erano stati sostituiti dal cupo strido dei corvi, che volavano intorno alla villa alla ricerca di cibo, appollaiandosi vicino ai camini fumanti per potersi riscaldare.
Le fitte nebbie mattutine impedivano di vedere a un palmo dal naso, e come se non bastasse creavano un'atmosfera decisamente lugubre e innaturale.
Una ragazza era seduta nella lussuosa veranda del maniero, persa a scrutare tristemente la grigia vallata. In lontananza, la superficie del lago che pochi mesi prima era stata di uno sfavillante color zaffiro, adesso specchiava l'intenso viola plumbeo delle nubi temporalesche.
La ragazza sospirò malinconicamente. Detestava quel tempo. Odiava quella stagione. L'inverno inglese le metteva paura con il suo aspetto sinistro.
Un rumore la fece trasalire. Si voltò e vide un minuscolo bambino che stava cercando di raggiungerla, un po’ camminando, un po’ procedendo a gattoni. Quando il piccolo si accorse di essere guardato, la sua espressione, fino a poco prima concentrata nello sforzo di restare in piedi, si aprì in un sorriso adorabile, un muto invito a osservarlo nell'impresa titanica di raggiungere la madre. Lei sorrise a sua volta, adorante e innamorata di quella creatura, che adesso agitava le mani verso di lei, chiedendo di essere preso in braccio.
La mamma lo raggiunse e lo afferrò dolcemente per i fianchi, sollevandolo davanti ai suoi occhi, per poter vedere quelli del suo bambino.
Verdi. Erano di una chiarissima tonalità di verde che emanava bagliori argentati. Due enormi occhi incantatori, innocenti e puri, pieni di eterna curiosità e traboccanti dell'amore più nitido e semplice.
Si portò il piccolo al petto, stringendolo con delicatezza e baciandogli la testa, divertendosi a soffiare tra i suoi capelli di un biondo slavato, così chiari da sembrare coperti di polvere lunare. Poi le labbra della madre si posarono sull'orecchio del figlio, e soffiarono dispettosamente al suo interno, facendo ridere il bambino, che chiuse e braccia intorno al collo di lei.
Rimasero immobili per diversi istanti, felici di potersi solamente abbracciare e baciare. Per entrambi era sufficiente e meraviglioso.
Improvvisamente un rumore di passi pesanti la fece trasalire.
Strinse il bambino con più forza, raggiungendo il davanzale della finestra, afferrando la bacchetta e puntandola verso la porta della veranda, ignorando il cupo verso lamentoso che saliva dalla gola del figlio.
L'attenzione di entrambi fu catturata dall'arrivo di un nuovo individuo.
Nella stanza fece il suo ingresso un giovane sui venticinque anni, alto e avvolto in un mantello da viaggio scuro, che gli conferiva un'aria elegante e misteriosa.
Immediatamente la giovane abbassò la bacchetta, mentre il bambino si dimenò tra le sue braccia, urlando di gioia all'indirizzo del padre. L'uomo non si tolse neppure il mantello, ma coprì la distanza che lo separava dalla sua famiglia con tre pesanti falcate, prese il figlio tra le sue grandi mani e lo baciò in fronte, dando poi un bacio sulle labbra della moglie. Avrebbe voluto approfondire quel bacio, e sentire le braccia di lei intorno al suo collo, ma la presenza del bambino ostacolò l’intimità che avrebbe desiderato. Così affondò il viso nei capelli argentati della moglie, e respirò il suo profumo selvatico e aristocratico di rosa canina e magnolia. In quell'istante capì quanto realmente gli fosse mancata e quanto l'amasse e volesse accarezzarla. Piegò la testa per poterla baciare di nuovo, ma incontrò i suoi gelidi occhi, e non poté fare a meno di arretrare di qualche passo, guardandola circospetto.
-Ero preoccupata.- cominciò lei con voce glaciale. -Ero disperata.
Lui lo sapeva. Era preoccupata a causa sua. Era preoccupata per lui.
-Per cosa?- chiese, ostentando un tono di pacata tranquillità.
-Lo sai per cosa.- sibilò lei. -Saresti dovuto tornare due giorni fa! ho avuto paura che ti fosse successo qualcosa, che ti avessero preso, che fossi ferito, o peggio...-
Deglutì, gli occhi lucidi per l'ultima, agghiacciante possibilità.
-Ci sono state complicazioni.- disse lui senza guardarla negli occhi, dedicando tutte le sue attenzioni al bambino.
-Che genere di complicazioni?-
-Nulla che non sia stato risolto con successo.-
-Hai di nuovo ucciso?- chiese lei, un fremito di terrore a incrinarle la voce.
l'uomo stavolta distolse gli occhi dal figlio, per posarli in quelli di sua moglie.
-Ho dovuto.- fu la risposta lapidaria.                                          
Qualcosa in sua moglie vacillò. La vide guardarsi intorno sconfortata, come se non sapesse dove si trovasse, prima di espirare e serrare i pugni lungo i fianchi.
-Che genere di complicazioni?- ripeté gelida.
E lui capì che le avrebbe raccontato tutto, sia perché lei lo avrebbe costretto, sia perché gli stava offrendo la preziosa opportunità di sfogarsi. E lui non avrebbe voltato le spalle a una simile opportunità.
Si sedette sulla poltrona in pelle di drago, la sua preferita, sistemandosi il figlioletto sulle gambe e facendo cenno alla moglie di sedersi. Lei obbedì, accoccolandosi sul divano di fronte a lui.
-Hanno ucciso il fratello di Antonin Dolohov.- annunciò con voce tetra.
La moglie sgranò gli occhi per una frazione di secondo, ma non disse niente, invitandolo silenziosamente a continuare il racconto.
-Dovevamo penetrare al ministero per scoprire dove diavolo si nascondessero i Paciock.- disse con voce roca. -Tutti i documenti segreti di massima importanza sono custoditi nell'ufficio misteri, nel cuore del ministero, dannazione!-
Chiuse gli occhi e serrò la mascella, interrompendo il contatto della sua mano che accarezzava la testa del bambino. Stava rievocando attimi di tormento, lottando contro la sensazione di nausea che lo attanagliava.
-Ma non sapevamo che ci attendeva un'imboscata.- disse lentamente, pronunciando ogni parola come se ingoiasse carboni roventi.
-Un intero squadrone di Auror, tra cui il tuo adorato cugino, Sirius Black.-
Sputò il nome come se fosse un insulto, ma non voleva avere l'intenzione di offendere lei, non lei. Non l'unica sua ragione di vita.
-Ci hanno subito fatti disperdere, inseguendoci e braccandoci.-
Si fermò un attimo, sistemando una ciocca di capelli del figlio, che non voleva saperne di restare dietro il suo orecchio.
-C'era quel Weasley!- ringhiò con occhi fiammeggianti. -Quell'inetto con tendenze filobabbane che lavora al ministero e che oltre a trovare il tempo di accoppiarsi come un animale e sfornare sette figli, riesce anche a fare l'Auror part-time.-
La sua frustrazione era palpabile. Persino il piccolo adesso lo guardava con leggera apprensione.
-Mi ha tallonato senza sosta. Ho persino pensato che mi avrebbero preso.-
-Per questo non sei venuto qui?- chiese lei angosciata.
Lui annuì.
-Se fossi venuto qui senza la più completa certezza di averli seminati, avrebbero scoperto che sono un Mangiamorte. Immagina i titoli dei giornali di domani! Io sarei finito ad Azkaban a marcire per il resto dei miei giorni, mentre tu e nostro figlio sareste stati i famigliari di un mostro.-
Calcò sull'ultima parola in modo rabbioso, gettandosi contro lo schienale della poltrona e abbracciando il figlio, che si lasciò abbandonare contro il suo petto caldo.
-Non dirlo mai più.- intimò la ragazza con voce roca.
-Che cosa?-
-Che sei un mostro. Non dirlo mai più.-
Suo marito fece una risata priva di allegria.
-No, è vero. Saresti la moglie di un vigliacco.-
Narcissa scattò in piedi.
-Non ti azzardare a definirti vigliacco!- urlò senza badare al salto che fece il bambino, spaventato.
-Se tu non facessi quello che lui vuole, ucciderebbe tutti noi!-
-Ti sbagli.- disse il marito con voce atona.
-Perché vuoi a tutti i costi addossarti colpe che non sono tue?-
-Lui non ucciderebbe te.- disse lui, facendo il solletico sulla pancia del bambino, che rise divertito.
-Ucciderebbe solo me e lui.-
Accennò al piccolo fagotto biondo tra le sue braccia.
Narcissa lo squadrò duramente.
-Guardami.-
Lucius la guardò. Sul suo viso stanco si leggeva il tormento di un uomo terrorizzato dalla possibilità di perdere la propria famiglia.
Sebbene fosse ancora il viso del giovane affascinante che aveva conosciuto anni prima, adesso era impossibile non notare le prime rughe sulla fronte, le occhiaie profonde e le guance leggermente infossate. Ma la cosa più evidente erano i suoi occhi grigi, un tempo accesi e maliziosi, adesso spenti o pieni di angoscia. Perché era successo a loro? E da quando suo marito aveva perso la voglia di vivere?
-Tu non sei un vigliacco. E non sei un mostro. Tu sei mio marito e sei il padre di nostro figlio. E Dio solo sa quanto ti amo.-
Lui sorrise debolmente, appoggiando la testa del figlio contro il suo cuore.
-Ripetilo.-
-Ti amo. Ti amo e non c'è niente che mi farà cambiare idea. Non importa quante persone uccidi, quante ferisci e quante maledici. Non esiste Imperio, Crucio o Avada Kedavra che mi impedirà di amarti.-
Narcissa si inginocchiò davanti al marito, che si perse a contemplare la bellezza dei suoi capelli d'argento liquido.
-Fammi chiedere l'arruolamento.- sussurrò debolmente.
Lui la guardò cupamente.
-No.-
-Io non posso starmene qui con le mani in mano mentre tu rischi la vita per noi. Sono ansiosa, arrabbiata e di cattiva compagnia per Draco.-
-Non importa. Non voglio dover combattere con la preoccupazione di vederti morire sotto i miei occhi.-
-Perché, pensi che saperti là fuori e non essere mai certa di vederti tornare, per me non sia insopportabile?!-
-Se noi moriamo, cosa ne sarà di lui?-
Entrambi osservarono il bambino, che si era addormentato tra le braccia sicure del padre.
-Andrà da mia sorella, starà bene con Andromeda.-
-Non pensi che lui vorrebbe una madre con cui crescere?- sibilò lui.
-Non pensi che vorrebbe anche un padre?!-
Si guardarono tetramente, ognuno risoluto nel proprio intento.
-Ascolta.- disse poi lei. -Tu sei tutto ciò che voglio, e per quanto ami nostro figlio, non posso permettere che tu affronti tutto questo da solo.-
-Io lo faccio per te, per saperti al sicuro con Draco! Non puoi deliberatamente mettere in pericolo la tua vita e vanificare tutti i miei sforzi!-
Sua moglie non riuscì a reprimere le lacrime.
-Ti prenderanno. Ti prenderanno o morirai.- disse con voce spezzata. -E io allora cosa farò?-
-Tu prenderai nostro figlio e fuggirai il più lontano possibile dall'Inghilterra.-
-Senza di te non avrò più una ragione di vita.-
-Per l'amor del cielo, avrai lui! Tuo figlio, nostro figlio! Devi vivere per te stessa e per lui, devi vivere per me!-
Narcissa chiuse gli occhi, da cui scesero alcune lacrime solitarie.
-Chi hai ucciso?- chiese poi a suo marito.
-Theodora Collins.- disse d'un fiato.
-Hai ucciso...la guardia giurata del primo ministro?-
Narcissa era agghiacciata.
-Ho dovuto!- sbottò Lucius. -Stava per ammazzare tua sorella, non potevo far altro che essere più veloce e uccidere lei!-
Quando tacque, si incantò a osservare il figlio, e la sua espressione si addolcì.
-Lo trovo adorabile.- disse sorprendendo persino sé stesso.
Narcissa non riuscì a trattenere una flebile risata.
-Oggi ha fatto spuntare i baffi alla governate, e ha fatto lievitare l'elfo domestico.- disse asciugandosi le lacrime e guardando Draco intenerita.
-Diventerà un grande mago. Sarà intelligente, ricco, bello...e pieno di donne.-
Lucius non trattenne un sorrisetto smaliziato.
-E libero.- aggiunse lei, allungando una mano e accarezzando la testa bionda del bimbo.
-E libero.- ripeté il padre con voce assorta.
Poi la sua mano cercò qualcosa dietro la nuca, un elastico per capelli, che trovò e tirò. Immediatamente sulle sue spalle si riversò una cascata di fluenti capelli perlacei.
-Quando è pronta la cena? Ho fame.-
-Sarà pronta a momenti, vado a chiedere a Dobby...- disse Narcissa.
Fece per alzarsi, ma Lucius lanciò un urlo improvviso, svegliando Draco che scoppiò a piangere. Narcissa lo prese subito, posandolo a terra e chiamando il marito, che si contorceva spasmodicamente sulla poltrona, stritolandosi il braccio sinistro con la mano e soffrendo terribilmente. Lei gli afferrò il braccio, strappando il tessuto della manica, e inorridendo alla vista del Marchio Nero.
Vedere quel serpente fuoriuscire dal teschio le faceva salire i conati di vomito, ma questa volta il Marchio era infuocato, bruciante nella pelle arrossata e viva di suo marito.
Ci appoggiò sopra le labbra fresche, e lo baciò dolcemente.
Lucius ansimò paurosamente, mordendosi le labbra a sangue per non urlare e far piangere il piccolo, che li osservava con occhi spalancati e umidi.
-Questo Marchio ti provoca degli incubi, vero?-
-Mi fa vivere le mie più grandi paure. E' un monito per dissuadermi dall'idea di tradire il Signore Oscuro.-
-Deve essere terribile...-
-Non quanto quello che sta per accadere.- disse lui, alzandosi di scatto e afferrando il piccolo con poca grazia.
-Che succede?- domandò lei, balzando in piedi.
-E' furioso per il fallimento della missione. Tua sorella deve averlo informato soltanto adesso.-
-Perché non ci pensa lui a fare fuori mezzo ministero, allora?- sbottò sua moglie acidamente. Poi però suo marito la guardò con occhi spauriti, facendole gelare il sangue nelle vene. Il boato di un tuono riempì il cupo silenzio della campagna, e subito dopo la luce elettrica di un fulmine squarciò il cielo, proiettando ombre sinistre, le loro ombre innaturalmente deformate, contro la parete.
Draco ricominciò a singhiozzare. Suo marito la fissò, e lei seppe cosa stava per dirle:
-Sta arrivando.-
Le diede il bambino, che le si aggrappò al collo con tutta la forza che aveva, e corse fuori dalla veranda, verso il portone.
Narcissa lo seguì, conscia di mettere in pericolo sé stessa e loro figlio, ma decisa a restare al fianco di suo marito. Appena raggiunse l'atrio tuttavia, dovette nascondere quanto più possibile il piccolo tra le sue braccia, poggiando una mano sulla sua nuca per impedirgli di voltarsi a guardare.
Non voleva che nessuno vedesse il viso di Draco, nessuno!
Lucius aveva aperto il portone con un gesto della bacchetta, e immediatamente entrarono nella stanza sette uomini incappucciati e coperti da mantelli neri. A capo dei Mangiamorte c'era una donna. I suoi lunghi ricci corvini uscivano disordinatamente dal cappuccio, grondando acqua da tutte le parti. Anche gli altri uomini erano zuppi d'acqua, ma bastò un pigro gesto della bacchetta per tornare asciutti e impeccabili.
La strega si tolse il cappuccio, facendo evanescere la maschera bianca a forma di teschio che portava sul viso per non essere riconosciuta, e il pallido volto di Bellatrix Lestrange apparve in mezzo a quel mare di ricci.
-Dove è la mia sorellina?- chiese con una vocina dolcemente isterica.
Poi fece un cenno agli altri Mangiamorte, i quali imitarono i suoi stessi movimenti, scoprendosi il volto.
E fu così che apparvero le facce di Dolohov, Karkaroff, Yaxley, Goyle, Tiger, Piton e Rowle.
-Ti ho chiesto.- riprese Bellatrix con voce cantilenante. –Dove è la mia sorellina!-
Ma la risposta non fece mai in temo ad arrivare, perché un ultimo uomo incappucciato, seguito da un cane, fece ingresso nella sala.
I Mangiamorte si disposero in cerchio, e ognuno di loro fece un inchino profondo. L'unica che avrebbe potuto restare al centro della stanza, ma che per assoluta devozione si affiancò al padrone di casa in un rispettoso inchino, era Bellatrix. Sulla sua faccia apparve un sorriso folle, quando l'uomo si tolse il cappuccio.
Un giovane di trent'anni si rivelò ai suoi compagni, lanciando a ognuno di loro uno sguardo amaramente deluso.
-Amici miei!-
La sua voce era profonda e leggermente roca, seducente come quella di un uomo che sussurra alla propria amante.
-Questo doveva essere un incontro per poter festeggiare, un'occasione per gioire della sempre più vicina disfatta del nemico...-
Il ragazzo marciò in cerchio, incrociando le mani dietro la schiena e assumendo un'aria da leader carismatico.
-E invece la disfatta è stata la nostra, abbiamo perso un compagno...-
I suoi occhi si posarono su Dolohov.
-Antonin.- disse con voce premurosa. -Mi assicurerò personalmente di scoprire di chi fosse la bacchetta che ha scagliato quell'incantesimo, amico mio. Chiunque sia stato, puoi star certo che non vivrà abbastanza per vedere il prossimo tramonto.- disse con voce carezzevole.
Antonin si inginocchiò ai suoi piedi, e parlò con un tono assolutamente grato.
-Mio Signore, vi prego, lasciate che sia io a occuparmi dell'assassino di mio fratello. Io devo...-
Non riuscì a terminare la frase, e soffocò malamente un singhiozzo.
Voldemort gli posò una mano sulla spalla, ma non lo guardò. I suoi occhi erano fissi su Lucius.
-Non disperare, mio caro amico. Aiutarti a vendicare tuo fratello mi sta a cuore, ma è giusto che sia tu a farti giustizia.-
Dolohov gemette un'ultima volta, prima di prostrarsi completamente ai suoi piedi e ringraziarlo, e benedirlo per la sua infinita grandezza d'animo.
-Magari qualcuno dei tuoi compagni ha visto chi ha ucciso tuo fratello.- suggerì Voldemort, gli occhi fissi in quelli del giovane padrone di casa.
-Tu, Lucius, lo hai visto?-
Lentamente, le teste dei Mangiamorte si voltarono verso di lui. Alla sua destra Bellatrix si irrigidì.
-Io credo di sì, Mio Signore.- rispose senza abbassare lo sguardo da quello di Voldemort.
Dolohov invece si rialzò, guardò Lucius con apprensione, e chiese semplicemente:
-Chi?-
Il Signore Oscuro sorrise, fiero della ferocia che trapelava nella voce di Dolohov.
-Il cognato di Arthur Weasley.-
Dolohov non rispose, si voltò verso il suo padrone, che fece un cenno affermativo con la testa, e marciò verso l'uscita.
-Se non erro...- disse a un tratto Voldemort. -Molly Prewett ha due fratelli.-
Cenni di assenso tra i Mangiamorte.
Dolohov si voltò nuovamente.
-Chi era dei due?-
-Il maggiore, Gideon.- rispose Voldemort al posto di Lucius.
Nella stanza calò un silenzio teso. Voldemort sentì il ronzio dei cervelli dei suoi seguaci, mentre si domandavano come diavolo facesse a sapere chi dei due fratelli avesse ucciso il minore dei Dolohov. Tuttavia, nessuno osò domandarlo ad alta voce.
-Se fossi in te, Antonin.- disse lentamente. -Farei in modo di dettar legge.-
Il Mangiamorte apparve confuso.
-E' giusto che l'assassino di tuo fratello soffra quanto te, prima di morire. Deve sapere cosa si prova a veder morire il proprio fratello davanti agli occhi.-
Dolohov capì, e sul suo volto di pietra si aprì un sorriso sadico.
-Occhio per occhio, cita uno stupido detto babbano.- disse Voldemort, voltandosi finalmente a guardare Dolohov.
-Divertiti, mio viscido amico.- fu la sua benedizione.
Il Mangiamorte sparì poco dopo nella pioggia battente.
-Quanto a noi...- riprese il Signore Oscuro. -Lucius, perché non ci fai accomodare in salotto? Magari posso conoscere tuo figlio, dato che è già qui tra le braccia di sua madre.-
Bellatrix si guardò intorno, e alla fine individuò la sorella in un angolo buio della stanza, con il figlio stretto al petto.
-Cissy!- urlò istericamente. -Vieni qui!-
Lei non mosse un muscolo, ma attese un cenno del marito prima di esporsi alla vista di tutti. Poi raggiunse Lucius a passo di marcia, fermandosi al suo fianco e facendo un brusco cenno di saluto alla sorella.
-Ciao Bella.-
Voldemort la studiò divertito, avvicinandosi quanto bastava per poter annusare il suo inconfondibile e inebriante profumo.
-Così questo è il piccolo Draco.-
Il bambino, sentendo pronunciare il proprio nome, si voltò, lottando contro la mano della madre.
-Voglio vederlo.- ordinò Voldemort, e stavolta la voce era dura, lo sguardo serio.
Narcissa esitò, ma poi non poté far altro che voltare il figlio verso il Suo Signore, che sorrise sardonicamente.
-Ha il tuo stesso viso.- disse con finta gioia a Lucius. -Stesso taglio degli occhi, stesse labbra sottili e stesso naso.-
Poi si avvicinò ancora di più al piccolo, scrutandolo con sguardo indagatore.
-Ma il colore degli occhi e la sua espressione sono lo specchio della madre.- concluse, raggelando la donna con lo sguardo.
-E' perfetto.- fu il giudizio finale, che preoccupò non poco la madre.
Non aveva detto "E' bellissimo", "E' adorabile", o soltanto "E' carino".
Aveva detto che era perfetto...
Narcissa rabbrividì.
…Per diventare un suo fedele servitore.
-Andiamo in salotto.- disse Lucius, interrompendo lo scambio di sguardi tra sua moglie e Voldemort, e facendo strada verso un'ampia stanza circolare che si trovava sul lato nord del maniero, affacciata su una splendida terrazza in marmo bianco.
Lucius fece accomodare i suoi ospiti sui divani, mentre Voldemort e il suo cane, che si rivelò essere Peter Minus (Ma la differenza era poca, pensò Lucius, anzi, un cane sarebbe stato certamente più fedele di quel subdolo essere strisciante), si accomodarono l'uno su una poltrona da cui poteva facilmente vedere i volti di tutti i Mangiamorte, l'altro su un piccolo e scomodo sgabello di legno, alla sua sinistra.
A Bellatrix, e soltanto a lei, era riservato il posto sulla destra. Posto che lei occupò con sommo piacere, trasfigurando un vaso in una comoda poltroncina in velluto, e sedendosi soddisfatta.
-Lucius, siedi vicino a me.- disse il mago, lanciando un'occhiata significativa a Minus, il quale gemette terrorizzato.
-No!- disse una voce forte e chiara alle loro spalle, e Narcissa Malfoy fece il suo ingresso senza più il bambino tra le braccia, che aveva prontamente affidato alla governante. Avanzò sotto gli sguardi increduli dei Mangiamorte, sotto quello arrabbiato del marito e sotto quello omicida della sorella.
-Cissy! Come osi?! Dovresti considerarlo un ono...-
-Mio marito siederà con me!- tagliò corto Narcissa, prendendo la mano di Lucius e stringendola, rincuorata dalla stretta che lui ricambiò.
Voldemort fissò le loro mani unite a lungo, troppo a lungo, quasi come se desiderasse sbriciolarle con la forza del pensiero.
E per uno come lui non era un'idea impossibile da realizzare.
Poi però fece un cenno a Bellatrix, per farle intendere che aveva perdonato la sfacciataggine della sorella, e invitò i due coniugi a prendere posto.
-Dunque.- annunciò ai suoi amici. -Dobbiamo fare il punto della situazione, come direbbe il mio defunto padre. Piton, tu cosa puoi dirmi?-
Un uomo dal naso aquilino e i capelli mori e unticci, dalla consistenza di spaghetti, parlò con voce strascicata e indolente.
-Silente sta cercando di reclutare nel suo esercito quanti più maghi possibili, ma non vuole rivelare dove ha nascosto i Paciock.-
Voldemort parve assorto da pensieri meditabondi.
-Devo saperlo. Quella Cooman ha detto che un bambino nato alla fine di luglio avrebbe potuto distruggermi.- la sua voce divenne a malapena udibile. -I bambini sono due: Neville Paciock e Harry Potter.-
-E cosa intendete fare, Mio Signore?- domandò Piton, i cui occhi neri come capocchie di spilli avevano brillato al nome "Potter".
-Intendo stanarli ed estirpare eventuali minacce. - rispose con naturalezza. -Il nostro nuovo amico Peter ci sta fornendo tutte le informazioni necessarie sugli spostamenti dei Potter. Adesso sono a Godric Hollow, li andrò a trovare personalmente per Halloween, tra due giorni. Ho motivo di credere che il bambino della profezia sia il loro piccolo Harry...-
-E allora perché cercare i Paciock?- chiese esitante Yaxley.
-Perché...potrei sbagliarmi. Non voglio che niente sia lasciato al caso. Per questo non avreste dovuto fallire due giorni fa.-
Tutti i Mangiamorte tacquero imbarazzati e impauriti.
-Perché Minus non si fa dire dai Potter dove si trovano i Paciock?- chiese improvvisamente Narcissa. -Visto che è persino stato capace di ingannarli, sarà una passeggiata farsi dire dove si nascondono i Paciock.-
Guardò Minus disgustata, mentre questo si faceva piccolo piccolo.
Voldemort spostò lo sguardo dall'una all'altro, annuendo energicamente.
-Penso, amici miei, che non tutto è andato perduto. Peter, sai cosa fare.-
Minus sgranò gli occhietti acquosi, tremando vistosamente. Voldemort godette di tale spettacolo, e volle togliersi lo sfizio di aggiungere:
-Non deludermi...-
"O le pene dell'inferno saranno niente in confronto a ciò che ti farò passare io" era il termine della frase che Voldemort non disse, ma che aleggiò nell'aria facendo impallidire Codaliscia.
-Mi occuperò io dei Paciock, se voi me lo permetterete.- pigolò Bellatrix.
-Non risparmiare nessuno.-
Bella fece un sorriso esaltato, contenta del privilegio che le aveva concesso il suo generoso padrone.
-Dunque abbiamo deciso miei fedeli amici. Peter, ricava quell'informazione entro lo scadere dei due giorni, quando mi recherò a dare l'addio alla bella famigliola.-
-No!- tuonò la voce di Piton, che si levò improvvisamente.
-Cosa?- chiese Voldemort.
I presenti trattennero il fiato.
Bellatrix impugnava già la bacchetta, pronta a incenerire Piton a un semplice comando.
Severus invece fissò Voldemort senza scomporsi.
-Non uccidete Lily Evans, vi prego.-
Una simile richiesta provocò la risata vuota del Signore Oscuro.
-Perché mai dovrei risparmiare quella Mezzosangue? Credo proprio che la ucciderò...-
-NO!- urlò Piton, e questa volta apparve la paura sul suo volto giallastro.
Voldemort lo fissò accigliato e infastidito.
-Perché no?-
Piton era sempre più agitato, non sapeva da dove cominciare a parlare.
-Io...io non...non lei.- biascicò debolmente.
Quello era un comportamento quanto mai assurdo e inconcepibile da parte di un pezzo di ghiaccio come Severus Piton. Eppure si gettò ai piedi di Voldemort come poco prima aveva fatto Dolohov, e lo pregò, lo supplicò di risparmiare Lily Evans.
-Uccidete il padre, uccidete il figlio, ma risparmiate lei...vi imploro.-
Voldemort lo fissò a lungo, meditando silenziosamente.
-Molto bene Severus, la tua piccola Lily Evans non avrà di che temere, se non farà sciocchezze.-
Piton guardò Voldemort come se non credesse alle sue parole.
-Grazie.- sussurrò con voce strozzata.
-Hai servito bene il Tuo Signore, Severus. Il tuo aiuto è prezioso per conoscere le mosse di Silente. Le risparmierò la vita.-
Piton borbottò un altro grazie, prima di tornare al proprio posto.
Nella stanza calò un breve silenzio, durante il quale Voldemort indugiò a lungo sul collo della giovane madre seduta davanti a lui.
-La cena sarà pronta a momenti.- disse improvvisamente Lucius, strappando Voldemort dalle sue fantasie sul collo di Narcissa.
La padrona di casa lanciò un'occhiataccia al marito, che fece finta di ignorarla.
-Volete onorarci della vostra compagnia?-
-No, amico mio. Non voglio privarti dei pochi momenti che puoi passare con la tua famiglia. Me ne andrò subito, ma prima...-
Si alzò dalla poltrona, seguito fedelmente da Bellatrix.
I suoi occhi caddero pericolosamente sulla giovane seduta accanto a Lucius.
-Vorrei parlare con Narcissa.-
Lucius la vide impallidire, e voltarsi meccanicamente nella direzione della stanza di suo figlio. Quando però si mosse verso Voldemort e lui fece per seguirla, imitato da Bellatrix, il mago li fermò con un sorriso perfido.
-In privato. Voglio parlarle in privato.-
Bella parve offesa, e lanciò uno sguardo furente alla sorella, mentre questa guardò Lucius con occhi spauriti.
Voldemort le cedette il passo, aprendo la porta sulla terrazza e dandole la precedenza come un vero Lord. Narcissa fu investita da un'ondata sferzante di vento gelido, che la fece rabbrividire nel suo semplice vestito di lana. Il ragazzo se ne accorse e si tolse il mantello, posandolo sulle sue spalle, in un gesto inaspettato e a dir poco cavalleresco. Narcissa lo fissò stupita, riscaldandosi con il mantello. Non sapeva che l'interno era foderato con vera pelliccia.
Voldemort raggiunse la balaustra della terrazza, sporgendosi in un modo che sarebbe stato mortale per chiunque, ma non per lui, che si divertiva a sfidare la forza di gravità e a far sfoggio dei suoi inesauribili poteri.
-Che cosa vuoi?- chiese subito Narcissa, desiderosa di andare al nocciolo della questione e poter rientrare.
Lui la guardò intensamente, prima di estrarre la bacchetta e puntarla oltre le sue spalle.
-Muffliato!-
Narcissa si voltò verso la vetrata, oltre la quale suo marito la stava osservando.
-E farei anche un altro piccolo incantesimo.- aggiunse Voldemort, muovendo la sua bacchetta sopra l’intero terrazzo, creando una cupola trasparente in grado di separarli dalla pioggia.
-Sono felice di rivederti, Narcissa.-
Il ragazzo le si avvicinò, mettendo tra loro meno di un metro di distanza.
-Con oggi erano esattamente duecentosei giorni dal nostro ultimo incontro.-
Lo disse con una voce strana, un misto di euforia e irritazione.
-Tom.- disse nuovamente lei, pronunciando quel nome quasi come un insulto. –Che cosa vuoi?-
Piantò i suoi occhi di ghiaccio in quelli blu elettrico di lui, che in quel momento mandavano bagliori assassini.
-Non devi pronunciare quel nome!-
-Sappiamo entrambi che adori quando ti chiamo Tom.- ribatté sprezzante lei.
-Quando io ti permetto di chiamarmi in quel modo.-
Il giovane la fissò indispettito, non potendo però fare a meno di ammirare la sua bellezza di giovane donna.
Era più bella di come la ricordava. La gravidanza e la sua nuova natura di madre avevano addolcito i tratti affilati del suo nobile viso, e la luce che brillava nei suoi occhi quando teneva in braccio il figlioletto era quella di una totale adorazione.
-Posso sapere, di grazia, perché mi avete portata qua fuori?-
Tom sorrise, immaginando che da lei non avrebbe potuto aspettarsi altro che parole taglienti e sguardi diffidenti. Quelli erano sempre gli stessi. Li conservava apposta per lui.
-Avevo voglia di vederti, di parlarti.- disse con cruda sincerità, mostrandosi in tutto il suo essere vulnerabile.
-Mi hai vista, soddisfatto?- berciò lei acidamente.
-No.- rispose lui, inchiodandola con il suo sguardo spazientito.
Narcissa rimase in silenzio, conoscendo bene i limiti oltre i quali non poteva spingersi.
-Ti trovo molto dimagrita, il moccioso ti crea problemi?-
Lo disse con tanto odio che Narcissa vacillò sulle proprie gambe.
-Draco…- esordì con voce acuta. –È un bambino adorabile.-
Tom rise sommessamente, ravvivandosi i capelli ribelli con una mano.
Era più forte di lui. Persino adesso che aveva trent’anni, quando stava per diventare il padrone incontrastato del mondo magico e babbano, non riusciva a reprimere i comportamenti di un ragazzino.
Eppure, osservò Narcissa, il tempo sembrava giovargli.
Il suo viso perfetto non era stato minimamente scalfito dell’avanzare degli anni, e sembrava assai più giovane di suo marito, quasi della sua stessa età.
Tom si accorse di come lei lo stesse osservando, e sorrise compiaciuto.
-Miracoloso, non è vero?- chiese con un tono che rasentava l’ammirazione (per sé stesso). –La mia pelle è giovane come quando avevo diciassette anni.-
-Non pavoneggiarti.- disse Narcissa, non riuscendo a trattenersi.
-Non ho bisogno di pavoneggiarmi.- ribatté lui infastidito.
Poi le si fece ancora più vicino, inchiodandola con i suoi occhi magnetici.
-Tu…-
Esitò.
Lord Voldemort che esitava era davvero un’idea folle, e se qualcuno gli avesse mai detto che un giorno avrebbe davvero pronunciato quelle parole,  lo avrebbe spedito all’inferno seduta stante, in un modo che avrebbe fatto impallidire il diavolo stesso.
Ma adesso non era Voldemort, adesso era Tom, e aveva timore di parlarle.
-Tu mi sei mancata, credo.-
Lei sgranò gli occhi sinceramente sorpresa, e lui fece per prenderle una mano. Quando però l’aveva già quasi toccata, lei si ritrasse bruscamente, come per paura di scottarsi.
-No!- disse in un soffio.
Tom si infuriò, facendo ricomparire la pericolosa ombra di Voldemort sul proprio volto.
-Perché no?- domandò lottando per soffocare l’urlo di rabbia che gli squarciava il petto.
-Tu non puoi…- Narcissa era sconvolta. Per un attimo Tom rivide la docile bambina di undici anni, timida e impacciata, che aveva accolto sotto la sua protezione, dimenticando che adesso era una donna di ventuno anni, sposata e con un figlio.
Un figlio. Un piccolo sacco di pulci, bavoso e piagnucolone, che le avrebbe assorbito bellezza ed energie, facendola sfiorire nel giro di pochi mesi.
-Tu non sai provare affetto.- mormorò Narcissa, guardandolo con crescente orrore, mescolato a paura.
Tom sorrise cupamente.
-Posso provarlo solo per te.-
Narcissa scosse la testa, e diede un brusco schiaffo alla sua mano, quando questa tentò di accarezzarla.
-Stai lontano da me!- urlò, allontanandosi da lui. –Tu sei malato.- sussurrò agghiacciata.
-Non osare!- tuonò Voldemort, sfoderando la bacchetta.
Narcissa reagì afferrando la propria e puntandogliela contro.
Le narici dilatate di Tom vibrarono in modo allarmante.
-Spiegami come può essere accaduto questo.-
La voce incontrollata del mago e la sua espressione inferocita erano niente paragonate alla faccia sconvolta e inorridita che fece Narcissa quando lui levò la bacchetta in aria e urlò:
-Expecto Patronum!-
Dalla punta della sua bacchetta scaturì una figura piccola ed elegante, che volò per l’intero perimetro della terrazza, descrivendo vivaci traiettorie nell’aria.
Narcissa fissò incredula il proprio patrono, incapace di trovare il coraggio per affrontare l’ira di Tom.
-Immagina che buffa barzelletta!- latrò la sua voce traboccante di collera. -Lord Voldemort, colui che sconfisse Silente, il più grande mago che sia mai esistito…e il suo misero patrono dalle sembianze di un patetico pennuto!-
-È  un gabbiano!- sibilò Narcissa, incapace di trovare di meglio da dire.
-Credi ancora che sia pazzo? Credi che non sia umiliante per me dover avere un gabbiano come patronus? Quando l’ho scoperto per poco non morivo!- gridò furioso incenerendo l’animale, il quale continuava a volare, ignaro di essere l’oggetto della furia del Signore Oscuro.
-Non è di certo colpa mia se il tuo stupido patrono serpente è cambiato.-
-Sì che è colpa tua!- ruggì Tom. –È tutta colpa tua! Io rivoglio il mio serpente!-
-Ascoltati quando parli, Tom. Sembri un dodicenne.-
-Guai a te, Narcissa! Solo perché sai che non riuscirei a torcerti un capello, non provocarmi più di quanto ti è concesso. Non posso ferirti fisicamente, ma posso punirti indirettamente…-
E il suo sguardo vagò nel salotto, dove Lucius stava discutendo stancamente con alcuni compagni.
Narcissa sperò che fosse davvero l’ottimo legilimans di cui tutti parlavano, per poter leggere nella sua mente l’odio esacerbante che provava solo per lui.
-Tom, che cosa vuoi che faccia? Vuoi che mi prostri ai tuoi piedi supplicandoti di salvare mio marito in cambio del mio corpo e della mia anima? Beh, non lo farò.-
Voldemort sorrise.
-Mi domando quale strana malattia da acari avesse il cappello parlante la sera in cui ti ha smistata a Serpeverde.-
Se quella voleva essere un’offesa, era perfettamente riuscito nel suo intento.
Tom le si avvicinò nuovamente, ma stavolta lo fece senza preavviso, con una velocità simile alla materializzazione.
Narcissa se lo ritrovò a meno di dieci centimetri dal viso, e non poté indietreggiare, perché la mano d’acciaio del ragazzo si era posata sulla sua schiena, bloccandola sul posto.
Lo guardò inferocita, ottenendo solamente uno sguardo divertito in risposta.
-Ho sempre pensato che fosse soltanto uno stupido cappello logoro.- soffiò Tom sul suo collo, dove posò un solo bacio che le diede i brividi.
-E dove mi avresti vista bene, se non a Serpeverde?- domandò ostentando totale indifferenza davanti a quella palese dimostrazione di affetto e desiderio.
-Personalmente.- mormorò Tom, dedicandosi amorevolmente alla cura del suo collo. –Ho sempre pensato che la divisa rosso oro rispecchiasse ammirevolmente il tuo caratteraccio. Dopotutto le differenze tra le due case sono così sottili che non mi sorprenderebbe un errore di quell’insulso cappello.-
-Tom, una simile cosa detta da te è a dir poco assurda.-
Il giovane baciò un’ultima volta l’incavo del suo collo, facendo un suono gutturale simile a una affermazione.
-Però è veritiera.- aggiunse a bassa voce.
-No, affatto! Il cappello mi ha smistata a Serpeverde perché io l’ho voluto. Gliel’ho chiesto!- sbottò cercando di divincolarsi dalla stretta di Tom, il quale aumentò ulteriormente la pressione sulla sua schiena, portandosela addosso.
Le rivolse uno sguardo malizioso, non potendo trattenere un ghigno divertito alla vista della sua espressione torva.
-Chiesto?- ghignò perfidamente. –Casomai glielo hai ordinato, minacciando di farlo a pezzetti con un incantesimo tagliuzzante.-
-Toglimi le mani di dosso, subito.- sibilò lei con voce minacciosa.
-Non ho ancora finito.- ribatté lui con nuova autorità. –Se è per tuo marito che ti preoccupi, posso rimediare all’istante.-
Con un distratto gesto della bacchetta fece scattare le tende, che si chiusero a sipario, impedendo a chiunque si trovasse all’interno di vederli.
-Non è per via di Lucius che devi starmi lontano, e comunque con questa mossa geniale lo avrai solamente insospettito ancora di più!-
Tom ridacchiò, tornando a dedicarsi alla pelle del suo collo.
-Meglio un sospetto che una certezza.-
-Certezza di cosa? E guardami quando ti parlo!-
A Tom non piacque quel tono di comando, ma alzò ugualmente la testa per poterla guardare.
-Certezza di noi.- disse rocamente.
Narcissa scoppiò a ridere.
-Oh Tom, non esiste nessun noi…-
-Esiste, qui e ora!- ringhiò furibondo.
Lei non poteva ridere di lui, non poteva rifiutare le sue attenzioni, non poteva!
-Tom, se io mi sto facendo toccare da te è perché sei armato e sciaguratamente più veloce di me con la bacchetta, altrimenti ti avrei già schiantato nel muro.-
Lo sguardo truce che lui le rivolse la fece preoccupare seriamente.
Forse aveva esagerato.
-Spiegami allora, dato che io non sono capace di capire, come mai io ho il tuo dannato patronus.-
Rimase a fissarla duramente, con uno sguardo insolitamente ferito.
-Il tuo è un capriccio.-
-Il mio non è un capriccio!- sbottò lasciandola andare e marciando in cerchio intorno a lei.
-Io non so spiegarmelo, ma dalla prima volta che ti ho vista, dieci anni fa, ho capito che eri speciale.-
Narcissa scosse la testa per chiedergli di tacere, ma lui rincarò.
-E quando sei cresciuta…ti ho desiderata costantemente, fino a sentirmi male.-
Lei lo fissò silenziosamente.
-Ogni volta che ti vedo mi sento debole, vulnerabile e stupido!- sbottò furente. –Ma so che se ti uccidessi soffrirei come un cane. Sto già soffrendo come un cane!-
E scoccò un’occhiata assassina verso le tende che celavano il volto di Lucius.
-Ogni volta che ti vedo…-
Si fermò, guardando Narcissa con una dolcezza spaventosa.
-Penso che tu sia meravigliosa.-
Tacque e aspettò la sua risposta. Ma Narcissa era molto più avanti con la mente, proiettata in un vivido futuro dove non c’era posto per Draco e Lucius, dove lei sarebbe stata creta nelle mani di Lord Voldemort.
-No!- urlò improvvisamente. –No! Non è vero!-
Tom aprì la bocca per ribattere, ma lei sollevò la bacchetta in un gesto fulmineo.
-Non parlare!- urlò sull’orlo delle lacrime. –È desiderio!-
-Io allora la chiamerei ossessione.- rispose lui tranquillamente.
-Io non ti amo.- scandì lentamente Narcissa, prendendo coscienza delle proprie parole solo dopo averle pronunciate.
Tom fece un sorriso triste.
-Ecco, ho trovato la differenza.-
 Lei lo guardò interrogativa, la bacchetta ancora tesa contro di lui.
-Il motivo per cui tu non saresti mai potuta essere Grifondoro…-
Tacque, suscitando in lei una certa curiosità.
-Tu sei spietata.-
La bacchetta vacillò nelle mani di Narcissa, mentre una lacrima scendeva lungo il suo viso.
Ma fu allora che Tom scomparve dalla sua vista, dissolvendosi in una nuvola fosca.
-Ma se tu sei spietata con me, perché io non dovrei esserlo con te?- sussurrò una voce folle nel suo orecchio, e la bacchetta di Voldemort premette contro il suo collo, esercitandovi una dolorosa pressione.
-Per lo stesso motivo per cui il tuo patrono è uguale al mio. Per lo stesso motivo per cui mi trovi meravigliosa e mi permetti di chiamarti col tuo nome babbano.- mormorò lei angosciata.
-Troppo facile dire che ti amo solo quando ti torna comodo.- ringhiò la sua voce roca.
-Non ho detto che mi ami, ma tra di noi c’è un legame.-
-Legame che i tuoi due biondi di casa complicano non poco!-
Il tono era quello di un indemoniato.
-Sai cosa faccio in questi casi, Narcissa? Lo sai o no?-
Narcissa non riuscì a trattenere le lacrime.
-No.- gemette sommessamente.
-Faccio piazza pulita!- sibilò trionfante.
Narcissa si voltò verso di lui, il volto rigato di lacrime.
-Ha soltanto un anno, è solo un bambino…-
-Tra due giorni ucciderò Harry Potter!- ruggì Tom. –Lo vedrò riverso ai miei piedi come una bambola di pezza e riderò!-
Narcissa si nascose il viso tra le mani.
-Credi forse che per il tuo piccolo bastardo sarebbe diverso?- gridò, riversandole addosso tutto il suo odio.
-È mio figlio…- mormorò sfinita.
-Ed è anche il figlio di un Malfoy. È destinato a diventare un Mangiamorte come suo padre, a servirmi, ad adorarmi, a morire per me…-
-No, lui no!- singhiozzò Narcissa.
-Lui più di chiunque altro!-
Lei crollò ai suoi piedi come una marionetta, stremata.
-È questo che vuoi, vero? Guardami, mi sono prostrata ai tuoi piedi. Fammi quello che vuoi, ma ti prego, lascia in pace mio figlio.-
“Cosa non farebbe una madre per il proprio bastardo” pensò Tom, non capendo ancora se vederla ai suoi piedi lo rendesse soddisfatto o lo facesse star male.  
-Voglio diventare un Mangiamorte.- disse improvvisamente Narcissa, guardandolo con occhi vitrei.
-Per che cosa? Lottare al fianco del tuo amato e sacrificarti per lui se la situazione lo richiede? Oh no, assolutamente no. Tu resterai qui a crogiolarti nella più tremenda delle angosce. Questa è la punizione che ti spetta per aver chiesto di servirmi senza desiderarlo davvero.-
Poi si piegò su di lei, le strinse le braccia con forza e la fece alzare, scrutandola famelicamente.
-E già che ci siamo…-
La strattonò con forza, attirandola a sé e baciandola con impeto, ignorando quanto male gli facesse sentire il sapore salato delle sue lacrime.
Ma lei doveva essere punita.
Infilò la lingua nella sua bocca, violandola con prepotenza e togliendole il respiro. La spinse contro un muro, schiacciandola con forza e sollevandola con estrema facilità.
Lei aveva smesso di lottare, era un corpo passivo nelle sue mani.
Le sollevò la veste, scansando il mantello ingombrante e toccando ogni centimetro della sua pelle.
Insinuò le mani fin sul suo petto, constatando quanto fossero impazziti i battiti del suo cuore.
La voleva, la bramava da una vita, erano mesi che sognava di poter sentire quelle labbra invocare il suo nome, il suo era un bisogno fisico di sentirla gemere sotto i suoi affondi…e lei lo rifiutava.
Lo stava facendo impazzire.
Ma quando sentì quel piccolo cuore pulsante, non riuscì a sopportare la vista di quelle lacrime, e scoprì di non voler violentare quel corpo innocente, la sua unica ancora di  ragionevolezza, la fonte di quello strano sentimento che lo spinse a ritrarre le mani e a posarla in terra con riguardo.
-Questa…- mormorò sommessamente. –È la punizione per avermi rifiutato.-
Lei scoppiò a piangere, accasciandosi contro il muro.
-Tu sei un mostro!- urlò tra le lacrime. –E hai trasformato in mostro anche me!-
Si accoccolò su sé stessa, abbracciandosi le gambe e affondando il viso nel vestito.
-Puoi ritenerti fortunata.- disse Tom con voce neutra.
-Per che cosa? Per non avermi finito di violentare?!- urlò con voce disumana. –Non avrò più il coraggio di guardarmi allo specchio!-
-Non ucciderò tuo figlio.- disse Tom ignorandola. –Né tuo marito.-
Lei smise di piangere, scossa solo da brevi singhiozzi.
-Avrei potuto darti il mondo intero…- mormorò Tom.
-Io non me ne faccio niente del mondo intero, io voglio un uomo che mi ami e mi rispetti, voglio una vita serena da passare con lui e voglio veder crescere il nostro bambino. Voglio che abbia un padre che lo cresca insieme a me!-
Ricominciò a piangere.
Tutto il suo corpo sembrava percorso da elettricità.
Tra loro calò un silenzio doloroso.
-Me l’ha chiesto, lo sai?- disse Tom improvvisamente.
-Chi?-
-Tua sorella.-
-Cosa ti ha chiesto?-
-Se l’amassi.-
Narcissa schiuse le labbra, sorpresa.
-E tu cosa le hai risposto?-
-Che non l’amavo, e che se ci teneva alla vita non avrebbe mai più dovuto fare una simile domanda. E lei sai cosa mi ha chiesto allora?-
Narcissa scosse la testa.
-Mi ha chiesto se amassi più il potere o te.-
Lei lo guardò sconcertata, certa di conoscere già la risposta.
-E poi mi ha fatto un’ultima domanda…-
-Cosa ti ha chiesto?- chiese lei, guardandolo una punta di malsana trepidazione.
Tom le restituì uno sguardo cupo.
-“Se lei  lasciasse tutto per voi, voi lascereste tutto per lei?”.-
Narcissa rimase ammutolita, scioccata dall’improvvisa consapevolezza del perché lui si trovasse su quella terrazza, del perché le avesse chiesto se lo amava, del perché le avesse mostrato il suo patrono. E poco prima che l’ultimo barlume di umanità, l’ultima speranza di redenzione morisse con Tom, lui la trafisse con occhi disperati.
-E sai cosa le ho risposto? 

 

  
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