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Autore: Rota    16/11/2010    6 recensioni
Sara non ha mai capito come mai un bambino potesse sentire l’intimo bisogno di sancire una linea divisoria tra sé e il resto del mondo. Eppure, gli sguardi dei suoi compagni – quelli che la tacciavano diversa, quelli che non la volevano con loro a giocare – se li ricorda ancora, perfettamente.
**SECONDA classificata al contest indetto da Darkrose86 sul forum di EFP "Quotes of Watchmen"**
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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abbaiare stanca - Autore: Rota
- Fandom scelto: Originali – Drammatico
- Titolo della Storia: Abbaiare stanca
- Numero citazione scelta: 10) I miracoli sono insensati per definizione; solo quello che può accadere, accade realmente. (Dottor Manhattan)
- Personaggi/pairing: //
- Genere: Introspettivo, Drammatico
- Rating: Giallo
- Avvertimenti: One shot
- Beta-reading: sì – XShade Shinra
- Note: Questa ff è dolorosamente introspettiva, qualcosa che non pensavo di riuscire a trascrivere su carta. È fondamentalmente l’analisi di un tipo umano, di una macchietta particolare: lo sfigato represso.
Il significato del titolo è presto chiarito: abbaiare stanca nel senso di “continuare a parlare senza mai agire”. Cosa che fa Sara almeno finché non decide di cambiare qualcosa nella propria vita, ovvero di dimostrare le proprie ragioni.


Due cose ancora, prima di lasciarvi al testo.
Questa fan fiction ha partecipa ad un contest: "Quotes of Watchmen" di Darkrose86, sul forum di EFP.
QUESTO. Classificandosi niente di meno che seconda. Io sono ancora un poco sconvolta, tutto qui XD

Seconda cosa. Questa fanfiction vuole avere una dedica. E' per la mia amica, la mia confidente, il mio picciotto sinistro, la donna che in questi mesi è entrata dentro la mia vita in maniera tale da non poterne più uscire e verso la quale provo un sincero e profondissimo affetto. Per XShade, che spero mi scuserà per il ritardo con il quale pubblico sta roba.

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Abbaiare stanca





-La gente come te va all’Inferno!-
Sara non si ricorda molto bene frasi di questo genere, è stata sua madre a dirle quanto era accaduto quando era ancora piccola.
In effetti, a pensarci, Sara può benissimo comprendere la propria indole solitaria di fronte a rivelazioni del genere. Il sentirsi così inadatta assume un significato nuovo, decisamente più profondo.
Sara non ha mai capito come mai un bambino potesse sentire l’intimo bisogno di sancire una linea divisoria tra sé e il resto del mondo. Eppure, gli sguardi dei suoi compagni – quelli che la tacciavano diversa, quelli che non la volevano con loro a giocare – se li ricorda ancora, perfettamente.
Li comprende, con un sorriso triste, solo ora che ha passato i vent’anni.
La vita di Sara è fatta principalmente di piccole cose. Non crede che gli altri si aspettino tanto da lei, forse semplicemente perché lei per prima non ha fiducia in niente e in nessuno – però, quando prende in mano un pennello e comincia a creare mondi sulla tela, allora è come se stesse vivendo davvero.
La solitudine però è grande quando si accorge, con occhi spenti, che a comprendere il proprio animo fatto di colori pastello e di tinte scure e forti non ci prova quasi nessuno.
Tende la mano, Sara, a quelli che la gente isola, a quelli nei cui occhi può leggere la sua stessa tristezza. Forse solo per vendetta e riscatto morale, forse solo per sentirsi un poco al centro dell’attenzione. Non vuole esplicare il motivo per cui, il suo corpo, compie dei gesti tanto meccanici da sembrare quasi naturali.
Ciò che le importa è il sorriso delle persone che accettano di stringere le dita attorno al suo palmo.
Due volte, era capitato. E quello che si ricorda meglio è sempre solo uno.
Quando una ragazza della sua classe – era alle scuole medie, se lo ricordava benissimo – dopo aver ricevuto l’ennesimo insulto a causa del suo colore aveva deciso di farsi vendetta da sola. La vittima era stata all’ospedale per un pomeriggio, lei si era ritrovata più isolata che mai.
Sara ha porto la mano, sebbene dopo qualche attimo di esitazione.


Sancita la prima differenza, a Sara non rimane altro che portare avanti la sua idea.
Si crogiola nel sentirsi diversa, si arrende a un’evidenza che è solo sua: la solitudine è presa come stile di vita.
Le nuove amicizie, quelle che diventano vecchie, lo scorrere del tempo scivola sulla pelle senza fermarsi, ed è tutto noia perché non esalta l’individuo.
Eppure, benché la faccia si rifiuti ad assumere una tonalità diversa dal grigio, l’animo grida di dolore ogni volta che vede una schiena allontanarsi.
Sono tanti rospi da ingoiare, sacrificandoli al sommo orgoglio.


Sara non si arrende, Sara spera ancora.
Ma le parole gettate al vento sono inutili – lo sanno le dita che fremono all’idea di poter stringere finalmente qualcosa di concreto.
A che vale la rabbia, allora, quando si sbatte contro un muro e si prova solo dolore?
A che vale l’indignazione, allora, se l’unica cosa che si ottiene è la derisione altrui?
Sara se lo chiede, spesso, rimanendo zitta mentre il mondo attorno a lei si muove e cresce a dismisura.


Ma Sara vede e sente – fin troppo bene.
Sara sa covare odio dentro quel corpo malato e debole che si ritrova. Cuore fragile, ossa sottili, cervello in sovraccarico.
Stufa di un Dio assolutamente indifferente alle preghiere rivoltegli, vuole dimostrare la volontà invincibile dell’essere umano.
Continuare ad abbaiare stanca, però, logora l’animo e la volontà, fiaccandoli miserevolmente.
La coscienza vuole solo un’occasione – una sola occasione – per splendere in una forza senza pari.


È una sera, una di quelle sere in cui un’amica l’ha trascinata fuori con una scusa qualsiasi.
Il lavoro, l’Università, i ragazzi. Tutte cose da cui prendersi una vacanza.
È lì che ha visto quella scena. Quattro contro uno.
Non é difficile capire il sentimento nascosto dietro le parole orribili che volano.
I miracoli non esistono per definizione: solo ciò che può accadere, accade realmente. Niente capita per caso, in una rete fitta di cause e conseguenze.
Sara lo capisce, nel momento in cui decide di percorrere quella poca strada che la separa dal gruppetto e mettersi in mezzo.


-Avrei pagato oro perché qualcuno mi tendesse la mano. Penso che quell’uomo, nel proprio intimo, abbia pensato la stessa cosa…-
Questo vorrebbe dire Sara, alla propria amica in lacrime, quando viene a prenderla l’autolettiga del pronto soccorso, dopo che uno di quelli aveva tirato fuori da chissà dove un bastone e glielo aveva spaccato sul cranio.
Ma la lingua é impastata di sangue, la vista offuscata.


Pazienza, sarà per un’altra volta…
   
 
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