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Autore: April Marywever    16/11/2010    0 recensioni
La vita, a volte, può essere davvero ingiusta.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tuttiiiii!! ^^
Chi non muore di rivede, ne? xD
Oggi, voglio proporvi una mia One-Shot scritta in un momento in cui ero particolarmente ispirata..
Parla di una giovane ragazza anonima (non ho messo il nome apposta perchè così ci si può immedesimare di più nel personaggio) che deve affrontare il periodo più brutto, a parer mio, che una persona può affrontare.
Spero vi piaccia..


Sto sognando? Vedo oscurità. Ma come faccio a vederla? Se è oscurità non dovrei vedere nulla, no?

Eppure la vedo. La percepisco. Buio.

Non so se mai mi risveglierò. Può capitare in alcuni casi, ma non a me. Almeno, non credo. Anzi, lo so.

Sento qualcuno chiamarmi. Immaginazione? No. Lo sento davvero.

Apro gli occhi.

Alessio?

«Ciao.» mi disse.

«Ciao. Che ci fai qui?» il tono neutrale lo sentivo solo io. Speravo.

«Sono venuto a trovarti. Ho saputo ieri sera dell’incidente.> Incidente. Urla pianti, i miei.

Alessio. Il mio migliore amico. Gli voglio un mondo di bene. Ma ormai non conta più. Io non esisto più.

«Grazie.» non riesco a dire nient’altro. Non ce la faccio.

«Allora? Qual è il verdetto?» cercava di celare la sua curiosità e preoccupazione dietro un tono ironico.

Verdetto.

«Non voglio parlarne.» chiara e concisa.

 «È successo qualcosa di grave?»

 No guarda. Se non fosse successo qualcosa di grave non sarei ancora qui in questo fottuto ospedale.

«Si.»

Lo vidi trattenere le lacrime. In fondo, anche se non mi amava, mi voleva un bene dell’anima.

Mi commossi.

«Ok. Ti racconterò tutto, siediti però. Vieni.» cercai di alzarmi, con poco successo.

Infatti, avevo completamente le due gambe ingessate, con escoriazioni sulle braccia e ovviamente quella. Cercai comunque di sollevarmi, poggiandomi sulle braccia.

«No, fermati. Non sforzarti.» mormorò, implorandomi di restare sdraiata e immobile.

«Ce la faccio.» fu la mia risposta. Mi misi accanto, sul fianco, mentre lui era indeciso se sedersi o meno.

Quando finalmente si decise, iniziai il mio racconto.

«Ieri, come ben sai, volevo andare in biblioteca a prendere alcuni libri di cui avevo sentito parlare. Visto che mia mamma non poteva accompagnarmi in macchina, decisi di andare in moto. Ero quasi giunta a destinazione..»

Il mio sguardo si perse nel vuoto. «..Quando quella macchina, contro mano, mi venne addosso. Fu un impatto frontale. Finii sul parabrezza dell’auto, almeno, così mi dissero. Quando riaprii gli occhi ero in questo letto, con le sbarre. Ripensai alla giornata trascorsa e, alla fine ricordai: ricordai un dolore tremendo all’addome, in prossimità delle anche. Spostai le coperte e mi alzai il camice: vidi una grossa sfilza di punti, che partivano, come ti ho detto prima, da un’anca all’altra. E, in quel momento, capii cosa fosse successo. Riconobbi la parte in cui ci fossero i punti e mi fu tutto chiaro..» ormai, non riuscivo più a controllare i singhiozzi. Non più. «Tu che sei un patito di scienze, avrai di sicuro capito di che parte si tratta, no?

Urlai e mi dimenai, facendo spaventare i medici che accorsero preoccupati.

“Cosa mi è successo?” piansi. “Mi dispiace molto” almeno quel dottore aveva un po’ di tatto. “Il manubrio della sua moto le ha reciso l’addome. Non abbiamo potuto fare niente. Le abbiamo dovuto asportare l’utero. ” Capisci Ale? L’utero. “Non potrà avere figli.” Non potrà avere figli?! Sai cosa significa sentirsi dire, perdi più se sei una donna, non potrai avere un bambino?»

 Strinsi le braccia attorno al mio corpo scosso nuovamente da singhiozzi.

«Perché Ale? Perché a me? Ti ricordi quando sono andata con la mia famiglia a bere la cioccolata calda due domeniche fa? È stata in quella occasione che ho espresso il desiderio di andare all’università per poter diventare maestra d’asilo. Ti rendi conto? » crollai disperata, osservando il soffitto.

«Ora non potrò più. Non so nemmeno se riuscirò ad alzarmi dopo questa batosta. Vorrei morire, sai?

La mia vita non ha più senso. Io, proprio io, che adoro i bambini. La vita può essere più ingiusta?

Ogni volta che guardavo un film dove nascevano dei bambini mi commuovevo, mi toccavo la pancia e mi dicevo “Pensa. Un giorno sarai come loro”. Che cazzata. Non sarò mai come l’oro. Non più. Ormai mi resta solo la consapevolezza di non esistere.»

Finii. Ormai non avevo più fiato, piangevo e basta.

Sentii la mano di Ale avvolgere la mia. Mi ero quasi dimenticata della sua presenza. Lo guardai. Piangeva anche lui.

«Mi dispiace averti fatto piangere.» Il primo sorriso dopo ore e ore di disperazione. Mi dispiaceva farlo soffrire, dovevo fare qualcosa.

«È il primo sorriso che faccio. Dovresti essere fiero di te stesso.» Sorrisi ancora. «Sai. Sono masochista. Indovina dove sono andata stamattina? Mi sono alzata, ho preso la carrozzina e ho iniziato a spingere. Il mio cuore mi ha guidata fino al nido. Quanti bimbi. Mi osservavano con i loro occhietti vispi, curiosi di scoprire quante più cose del mondo. Vidi anche alcune mamme che allattavano le proprie creaturine. Mi sono appoggiata con la fronte e una mano sul vetro, osservando.

Davanti a me un bimbo con gli occhi verdi. Come i miei. Mentre lo fissavo, calde lacrime scorrevano sul mio viso. Il bambino, notando la mia tristezza, iniziò a piangere anche lui, come a volermi dimostrare che era dispiaciuto per me. Come se, con il suo pianto, volesse esprimermi la sua presenza, ossia: “Io ci sono”. Ma, cosa può fare un bambino di due giorni da solo, con le proprie forze? Un’infermiera mi notò e mi riconobbe. Ormai la storia della ragazzina sterile aveva fatto il giro dell’ospedale. Mi venne incontro, mentre avevo la testa tra le mani e, senza dirmi nulla, mi riportò in camera. Apprezzai il suo gesto.

Alcune volte è necessario soffrire per conto proprio. Odio le persone che dicono “Mi dispiace” sempre la stessa solfa.

Mi dispiace?! “Sai mi dispiace di più a me.” Vorrei rispondere. Alcune persone però, lo ammetto sono dispiaciuti veramente. Come quel dottore. Era triste quando me l’ha detto, sai? Mentre i suoi colleghi erano impassibili.»

 Sospirai.

Rimasi in silenzio, mentre osservavo il mio Ale. Gli accarezzai la testa.

Piangeva ancora.



SWC's Space

Spero veramente che vi sia piaciuta.
Un bacio
SarettaCullenWriter

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