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Autore: _Breath    16/11/2010    8 recensioni
Roberta ha undici anni, un carattere molto sensibile a poco vendicativo. Lascia scivolare le accuse che le vengono fatte sul suo corpo soffrendo per le offese e per gli insulti di Marco. Marco è un suo compagno di classe che si diverte a deriderla con il resto della classe.Cosa ci cela sotto tutta questa cattiveria ?
E cosa succedesse se si in contrassero quindici anni dopo, a ventisei anni, forse più maturi con ancora rancore e passione da consumarsi? E se lei si dovesse sposare con Stefano, il suo fidanzato?
Dal primo Capitolo :
[...]«Sei tu?» si era aspettata di tutto, veramente, un insulto, una presa in giro o anche uno schiaffo ma non quella domanda.
Un sopracciglio le sfiorò la capigliatura per lo stupore «Prego?» non si trattenne dal chiedere.
Marco si raschiò la gola per rendere la voce meno rauca poi sorrise e richiese: « Sei davvero tu o ti ho confuso con un’altra?»
Roberta non si degnò di rispondere solamente si strinse la busta al petto sentendosi nuda.
Marco sospirò.
«Ne sono certo» fece un vago gesto con la mano« Sei tu. Roberta Treccia, ricordo bene?» questa volta fu lui a far salire un sopracciglio sino i suoi capelli e Roberta lo imitò infastidita.
Non parlò ma si strinse ancora la busta al petto.[...]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ragione & Sentimento.
Correva.

Correva per quei corridoi bianchi che le stavano stretti alla ricerca di un posto dove poter piangere.

Correva.

Roberta correva.

Aveva solo undici anni ma già non ce la faceva più di quella vita che le avevano rivelato sarebbe stata quella dei “grandi.”

Era stata felice quando andava alle elementari con le sue amiche, bambine quanto lei, ma almeno sincere e leali, mentre ora, che frequentava le medie, si ritrovava catapultata in un mondo che non riteneva più suo.

Che mondo era?

Frequentava una classe prevalentemente maschile con solo sei ragazze, cinque delle quali erano false,senza il minimo scrupolo nel divertirsi a giocare con i sentimenti degli altri.

C’era Elisa, una ragazzina mora con occhi celesti grandi ed espressivi. Il suo viso era dolce quasi quanto quello di un cerbiatto, ma in realtà celava solo tanto sadismo.

Era Elisa la ragazza che le faceva più male delle altre, con la sua vena di pura cattiveria che sfogava solo su di lei.

Roberta non capiva il motivo di tanto rancore verso lei , non ne vedeva di significato.

Per quanto ricordava lei era sempre stata leale e corretta con tutti in quella classe e, per quanto il suo animo timido glielo permettesse, si era sempre mostrata simpatica e socievole.

A loro non era bastato.

Non era bastato a Elisa, a Sara, a Michela e nemmeno a Giorgia; non era bastato a nessuna di loro.

Roberta posò la testa sulle ginocchia quando raggiunse il bagno e, dopo essersi fermata in prossimità del termosifone, si lasciò cadere a terra stringendosi le gambe al petto, come se fossero un’ancora di salvezza.

I singhiozzi iniziarono a venire meno.

Era dovuta scappare dall’aula scolastica nel ben mezzo della lezione per evitare di scoppiare in lacrime davanti a quella plebaglia che erano i suoi compagni di classe.

Anche se era solo una bambina, Roberta sapeva che la cosa peggiore che avrebbe potuto fare era scoppiare in lacrime davanti a loro, per far vedere quanta sofferenza le causavano le loro accuse.

E allora, da brava ragazzina orgogliosa, aveva trattenuto le lacrime, senza però celare la smorfia sofferente del suo viso e, quando oramai sentiva di non potercela più fare a ignorare gli schiamazzi divertiti di quelle oche e gli insulti dei ragazzi, si era alzata in fretta e furia urtando il banco di Silvio per uscire da quella carneficina che era diventata l’aula.

Aveva corso per i corridoi lasciandosi andare a un pianto disperato e quasi risentito fino a raggiungere il bagno e lasciarsi scivolare vicino al calorifero.

Roberta non capiva.

Non capiva cosa ci fosse di divertente nel deriderla senza motivo.

Non era un orrore della natura e, anche se non si considerava bella, sapeva di poter vantare un canone non indifferente; non era povera, ma alquanto benestante e, per quanto si sforzasse di esserlo, non era nemmeno una ragazza sfacciata, di quelle che possono risultare antipatiche anche per la loro troppo allegria.

Era una ragazzina normale, una giovane undicenne che si domandava il perché del loro comportamento.

Del suo comportamento.

Alzando la testa dalle ginocchia Roberta tirò su con il naso, avvicinandosi al lavandino per lavarsi le mani.

Nello specchio di fronte a lei vide il riflesso di una giovane donna confusa, il volto arrossato dal pianto e, per eliminare le prove di quello sfogo, si sciacquò con l’acqua gelida del lavandino e, sbuffando, si sfregò le mani sui pantaloni.

Non aveva voglia di ritornare in classe, non ne sentiva il vero bisogno e allora, con più naturalezza di prima, si lasciò cadere di fianco alla porta del bagno, facendo poggiare la schiena al muro.

Passandosi una mano tra i capelli castani si mise a riflettere, ancora, come sempre, su ciò che poteva spingere i suoi compagni a comportarsi così con lei.

Oramai frequentava quella classe da un anno e mezzo, abbastanza tempo da capire che i venticinque alunni che la componevano erano solo tante piccole pecore sotto il comando del caprone più grande.

Lui, Marco Diligenti, era la vera causa del suo dolore.

Al solo ricordare il suo nome Roberta strinse la mano a pugno fino a far sbiancare le nocche e sospirò quando, rilasciando la presa sul suo stesso arto, si accorse che il segno delle sue unghie risaltava palese sul palmo della mano.

Soffiò sui segni diventati rossi per attenuare il dolore e chiuse gli occhi.

Il volto biondo, curato, arrogante, stupido, ingenuo e anche fastidioso di Marco le balenò davanti come il peggiore degli incubi.

Rivide il suo sorriso prepotente a ricordarle che lui era più forte di lei e rivisse il momento in cui la sua agonia era iniziata.

Era stato lui, Marco, a dare il via a quello strano gioco che era diventato la sua tortura; era stato lui a deriderla per primo.

Essendo un ragazzino molto egoista, non si era mai preoccupato dei sentimenti di Roberta, limitandosi a soddisfare il suo bisogno di divertirsi.

E quale modo migliore se non far soffrire la povera ragazzina mora intimorita da qualsiasi novità?

Rammentava bene com’era iniziato quel circolo vizioso subito dopo che lei si era fatta cambiare di posto per poter stare vicino ad una ragazza.

Era stata per circa tre mesi la vicina di banco di Marco e, dopo che questi novanta giorni erano scaduti, aveva sentito il bisogno di cambiare aria, compagno di banco e anche amicizie.

Mai scelta era stata più sbagliata.

Se prima con Marco era riuscita a instaurare quasi un rapporto di amicizia, ora si ritrovava in un vero campo minato: lui non le dava tregua.

Sembrava non dormisse la notte per trovare nuovi insulti, scherzi e soprannomi da affibbiarle, per deriderla.

Roberta, per quanto trovasse assurdo il comportamento di Marco, ne era quasi affascinata: era sicura che dietro di tutto quello si celasse un vero motivo, ma per quanto si sforzasse, non riusciva a trovarlo. Stava concentrata per ore ad analizzare i suoi comportamenti, ma senza alcun risultato.

Seguendo l’esempio di Marco, poi, anche la restante parte della classe si era applicata nella “dolce” arte di deridere Roberta e, per quanto la cosa la infastidisse, non sapeva proprio come difendersi.

Aveva solo undici anni e sentirsi sola a combattere venticinque capre era una sensazione che non avrebbe augurato a nessuno. Nemmeno al suo peggiore nemico; nemmeno a Marco.

Facendo un breve calcolo mentale Roberta considerò che oramai era in quel bagno già da quindici minuti e che la sua fuga da quel brutto mondo doveva concludersi.

Facendosi coraggio, troppo per avere solo undici anni, si alzò per aggiustarsi la maglia e i pantaloni.

Si riguardò allo specchio, cercando di incurvare le labbra in un sorriso, poi uscì dal bagno camminando sicura.

A passo lento, come se questo potesse rimandare la sua tortura, raggiunse la porta della sua classe.

II C

Facendo leva sulla maniglia e appellandosi al suo carattere forte e deciso, Roberta aprì la porta e, soffocando un tremito, entrò in classe, a testa china.

Era esattamente come l’aveva lasciata: la professoressa di italiano stava interrogando Bruno Dittotto mentre la restante parte della classe, chi più e chi meno, faceva casino, disturbando la lezione e  divertendosi  sotto lo sguardo confuso ma anche svogliato dell’insegnante.

Senza giustificare nemmeno la sua assenza improvvisa alla professoressa, Roberta le sorrise timidamente con una leggera smorfia,per poi dirigersi verso il suo banco.

«Guarda chi è ritornata» la voce di Marco, tanto nota quanto fastidiosa, la fece tremare visibilmente «Treccia la schifezza» la derise chiamandola per cognome.

Roberta, da sotto il tavolo, chiuse gli occhi cercando invano di farsi scivolare addosso quell’insulto frivolo e stupido.

In sè per sè, lo doveva riconoscere, non era nemmeno tanto offensivo come appellativo quello datole da Marco ma quando un coro si alzò per l’alula ripetendo come una sinfonia dell’eterno Mozart quella cantilena assurda, Roberta, non poté fare a meno di sentire gli occhi bruciarle ancora.

Perché mi vogliono tutti così male? Si chiese mentre anche la sua vicina di banco iniziava a ridere per le cattiverie che le stava rivolgendo Marco e che lei stava ignorando apertamente.

«Allora Roberta» le disse ancora il suo incubo vivente sporgendosi verso di lei «come sta il tuo fratellino storpio?».

A quell’insulto la ragazzina sbarrò gli occhi facendo trapelare tutto il suo odio, tutta la sua malinconia e il suo dolore.

Socchiuse leggermente gli occhi per evitare che il dolore le facesse perdere la lucidità e strinse debolmente le mani intorno alle forbici come a trovare un appiglio, un’ancora di salvezza.

Il suo fratellino.

Aveva davvero osato deridere anche il suo Luca? Quel bambino dolce e tenero di soli otto anni che era costretto a camminare sulle stampelle a causa dell’incidente stradale che avevano avuto solo l’anno prima?

Davvero si era abbassata a insultare il suo piccolo Luca?

Con gli occhi nuovamente lucidi, Roberta evitò di darle la soddisfazione di vederla cadere e cedere sotto i suoi insulti.

Loro non vogliono offendere Luca, pensò, loro vogliono offendere ME.

Una  volta considerato anche quell’aspetto, la rabbia di Roberta andò ad attenuarsi ma il bruciore per quell’ingiusto comportamento la faceva ancora ribollire visibilmente.

Stringendo le mani più forte sotto il banco si ripromise di non piangere.

«Non rispondi Treccia?» la incitò Gianluigi, il compagno di banco di Marco dando mano forte al suo supremo compare.

«Sai com’è ‘Luì» rispose per lei Marco con fare altezzoso «anche lei sa di esser inferiore per questo non si sente a suo agio per le nostre troppe attenzioni».

La risata di scherno dei suoi amici fece sì che anche quell’insulto andasse dritto a colpire il cuore della ragazzina, ma Roberta  sopportò in silenzio anche quel duro colpo a quel suo povero muscolo, ormai straziato.

Il suo orgoglio la tenne ferma sulla sedia, senza farla nemmeno rantolare per il dolore.

Era il 1995

Salve a tutti. Questa storia credo sia una di quelle meglio analizzate da me, meglio descritte..
Non mi piace la trama, non mi piace come è stata rappresentata ma ho pianto scrivendola. Mi sono immedesimata in Roberta, ho provato a fare mio il suo dolore.Ho cercato di capire Marco, il suo atteggiamento.
Ho descritto, sottoposto ad un esame dettagliato anche gli altri mille personaggi e spero  di averlo fatto bene.
La storia descritta non è autobiografica ma so per certo che molte persone si sono ritrovate in questa condizione **
Per loro, per aiutarli a superare questo dolore: non stateci male perchè molte volte il rancore è la cosa più brutta al mondo. Roberta lo capirà,accoglierà, abbraccerà e poi dissolverà! Roberta crescerà, cresciamo con lei.
Ps_ nel prossimo capitolo la nostra protagonista avrà ventisei anni :)
Ringrazio tantissimo Gaia, grazie di tutto tesoro. Grazie anche a te, Daniela **
LA STORIA E NEMMENO I PERSONAGGI IN FOTO NON SONO STATI SCRITTI/USATI A SCOPI DI LUCRO

  
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