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Autore: Kuri    18/11/2010    1 recensioni
Maledizione. Dove diavolo era andato a cacciarsi quello psicopatico?
Eppure, proprio nel momento in cui pensò che avrebbe voluto stringere le dita nel punto in cui la rada peluria di una barba rossiccia copriva la pelle tesa sulla trachea di Sebastiano, sul viso di Dalila comparve un sorriso.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dalla metà di ottobre sto partecipando ad un corso di scrittura creativa, una cosa di cui sentivo il bisogno da moltissimo tempo. L'esercizio di questa settimana consisteva nel redarre un breve racconto traendo l'ispirazione da un articolo di giornale (io ho optato per la notizia di un tipo che è rimasto chiuso tre giorni nel bagno della propria azienda).
Lo so che il racconto non è scritto in modo eccelso, e che lo stile potrebbe essere reso più fluido (questo secondo me è stato anche un po' colpa del fatto che dovevo far stare tutto in due facciate di documento word T.T), però ho scoperto di essere irrimediabilmente, totalmente innamorata di questi due personaggi. Poi mi sono accorta che effettivamente il fandom mi sbuca alle spalle quando meno me lo aspetto, e comunque assomigliano un po' a Taiga e ad Ami di Toradora - giuro, è stato inconsapevole! XD - però li amo troppo!
Vorrei solo condividere con voi quella che è una fuffolata abnorme ma che, non so perchè, mi mette tanto buon'umore! Enjoy! XD







Ali di carta





“Toc, toc! Ci sei?”
Quando entrò nell'ufficio, Dalila fece fatica a trattenere la trepida emozione con cui aveva infilato la testa oltre lo stipite della porta. La sua domanda, tuttavia, riecheggiò nell'ufficio vuoto senza ricevere risposta. I lineamenti aguzzi del suo viso si accigliarono allora con malcelato disappunto e i dentini candidi, perfetti come tanti piccoli soldati, crepitarono tra di loro con un suono sommesso. Si era arrovellata tutto il giorno per trovare una scusa poco più che decente per entrare nell’ufficio di Sebastiano e non aveva minimamente preso in considerazione il fatto che lui potesse non essere al suo posto.
Maledizione. Dove diavolo era andato a cacciarsi quello psicopatico? Eppure, proprio nel momento in cui pensò che avrebbe voluto stringere le dita nel punto in cui la rada peluria di una barba rossiccia copriva la pelle tesa sulla trachea di Sebastiano, sul viso di Dalila comparve un sorriso.
Un perfetto sorriso da idiota innamorata, un raccapricciante ghigno che da un po' di tempo era arrivato per avvertirla, non senza un moto di totale orrore da parte sua, di essere irrimediabilmente persa per Sebastiano.
Avanzò di qualche passo all'interno dell'ufficio, guardinga, lanciando occhiate bramose verso la scrivania dall'ordine quasi casalingo, che pure le faceva venire voglia di appoggiarci un braccio sopra per scaraventare a terra tutto, semplicemente per non dover assistere a tanta fastidiosa perfezione. Dalila aveva adocchiato, sul ripiano lucido di legno, un blocchetto degli appunti, in cui la grafia precisa di Sebastiano aveva tracciato parole e piccoli disegni, scarabocchiati probabilmente durante qualche telefonata fatta al magazzino dell'azienda per sincerarsi dell'arrivo di una fornitura. Si avvicinò piano, con attenzione. Come ogni volta che si ritrovava nell'ufficio di Sebastiano e lui sembrava scomparso dalla faccia della terra, si divertiva a sfogliare il suo blocco sperando, con un palpito improvviso che le strozzava la bocca dello stomaco, di veder scritto il proprio nome.
Dalila sporse le labbra in una smorfia. Niente di niente, neppure una traccia di penna tanto assurda da poterla illudere che si avvicinasse a qualcosa di più interessante di una 'fornitura di un bancale di C15 al magazzino sei', o 'contattare sig. Donati per carico spedizione Parigi', oppure 'è ora di farla finita'. Stava per gettare irritata il blocco sulla scrivania quando i suoi occhioni verdi si spalancarono per il terrore.
È ora di farla finita?
Le sembrò che il suo cuore esalasse un ultimo, soffocato battito.
Cosa aveva intenzione di fare quello squilibrato, prima che lei potesse dirgli quanto le piaceva?
Il suo corpo tremò e le sue dita si contrassero sui fogli del blocco.
I problemi di Sebastiano erano noti a tutti, in azienda. Almeno cinque volte al giorno aveva l'abitudine di sparire, senza avvisare nessuno, senza che nessuno osasse dire o fare qualcosa. Semplicemente, Sebastiano diventava irreperibile.
Dalila, all'inizio, non si era molto curata della cosa. Era già il sesto stage di fila che faceva, incapace di tenersi un posto di lavoro per più di tre mesi a causa di un carattere che la rendeva molto simile ad una bomba ad orologeria sempre sul punto di detonare, ed era troppo impegnata a mitigare l'aria da teppista che chiunque, ad una prima semplice occhiata, le attribuiva senza darle possibilità di scampo. Perciò non aveva prestato molta attenzione al ragazzo altissimo che guidava una vecchia Cinquecento, dalla capigliatura rossa simile ad un cespuglio di rovi e dalle pochissime parole. In definitiva, l'aveva sempre giudicato parecchio insignificante.
Poi, un giorno che non ricordava più se di pioggia o di sole, si era avviata verso le macchinette del caffè nel disperato tentativo di ingoiare la bile amara che la sua responsabile sembrava in grado di farle sgorgare a fiumi. La macchinetta si era presa la sua moneta senza contraccambiare con il caffè e lei, totalmente furiosa, le aveva tirato un calcio con tale violenza che i suoi denti avevano sbattuto tra di loro con uno schiocco secco.
“Ahi!” aveva sentito provenire dal distributore. Si era guardata intorno stupita, pronta a spezzare il collo a chiunque fosse stato tanto idiota da farle uno scherzo simile in quel momento. Poi, quando si era sporta per capire da dove fosse venuto quel lamento, l'aveva visto. Perfettamente incastrato tra la macchinetta e il muro, Sebastiano la stava salutando con un breve cenno della mano e un sorriso enorme che le aveva fatto subito battere forte il cuore nel petto e avvampare come una cretina fino alla punta delle orecchie. Aveva poi scoperto, da quelle oche delle sue colleghe, che Sebastiano era agorafobico e che andava ad infilarsi nei posti più stretti e scomodi riuscisse a trovare per potersi rilassare con calma. Fossero armadi porta-documenti o semplicemente lo spazio tra la porta e il muro, quello era l'unico modo che aveva per sentirsi tranquillo e scaricare lo stress della giornata.
Eppure, Dalila non avrebbe mai immaginato che potesse arrivare a desiderare di farla finita. Era stata proprio l'espressione di placida serenità che compariva sul viso di Sebastiano quando lo trovava rinchiuso nel ripostiglio delle scope ad averla fatta innamorare, e non gli avrebbe mai e poi mai permesso di lasciarla lì come una scema a struggersi per quel sentimento ridicolo e insulso.
Dalila si mise a correre, calpestando la moquette aziendale con le scarpe da ginnastica strappate. Uscì dall'ufficio di Sebastiano, lungo il corridoio silenzioso, finché non arrivò in prossimità dei bagni, il luogo dove lui preferiva in assoluto rinchiudersi. Entrò dentro sbattendo la porta con rabbia, facendo trasalire un uomo che si trovava agli orinatoi, il quale si affrettò a richiudersi la patta dei pantaloni fissandola con un'espressione di terrore.
“Sebastiano, vieni fuori, non fare il coglione!” urlò Dalila mentre picchiava con i pugni contro le porte candide. Tentò di scardinare l'unica porta chiusa, ma l'innocente occupante del loculo le offrì una strenua resistenza determinata dalla disperazione.
Si precipitò fuori dalla stanza, il petto scosso da un respiro ansante di preoccupazione.
Improvvisamente, uno spiffero d’aria gelido le accarezzò la nuca. Dalila si voltò. In cima alle scale che portavano al tetto terrazzato dell’azienda, la porta lievemente aperta lasciava passare l’aria con un sibilo agghiacciante.
Si gettò sui gradini, muovendo le braccia con foga per tentare di rimanere in equilibrio. Quando spalancò la porta, un guizzo leggero, niente di più di uno sfarfallio in un angolo del suo campo visivo, le strozzò il respiro.
“No!” gridò correndo verso la balaustra, mentre il vento le sferzava i lunghi capelli sul viso. Si sporse oltre la ringhiera di metallo e guardò verso il piazzale di cemento, le pupille già dilatate per l’orrore.
Niente. Né sangue per terra, né viscere o cervella spappolate sullo zerbino d’entrata, né braccia disarticolate rivolte verso il cielo. Solamente un aeroplanino di carta che svolazzava placido con i movimenti ondeggianti di un ubriaco.
“Non dovresti stare lì, così rischi di cadere…” disse la voce di Sebastiano alle sue spalle.
Dalila si voltò, cercando di districare la massa di capelli arricciati che le era scesa sul viso. Lui era lì, vivo, seduto a terra e stretto tra la parete ruvida del fabbricato e quella metallica della saletta delle caldaie. Ai suoi piedi si trovava una risma di carta candida da cui lui aveva già preso un foglio che aveva iniziato a piegare.
Dalila si avvicinò a Sebastiano e si andò ad accucciare di fronte a lui, lanciandogli la peggiore occhiata di cui era capace il suo sguardo smeraldino.
“Sei proprio un idiota… mi hai fatto prendere uno spavento terrificante. Appena esci di lì ti ammazzo di botte” gli disse guardando il foglio di carta diventare un aeroplanino.
Lui rise senza emettere un suono, inondandola della sua allegria ingenua e psicotica. Era così grande, il suo sorriso, che lei credette per un momento che il suo cuore fosse diventato come quel piccolo aeroplano e avesse preso il volo direttamente dalle lunghe dita di Sebastiano.
Dalila appoggiò le mani a terra e si sporse, chiudendo gli occhi con un tremito delle palpebre, e scoprì che le labbra di lui erano dolci come il suo sorriso e la sua figura allampanata e discreta.
Quando si separarono, lei sentì l’aria scivolarle nuovamente nei polmoni, come dopo una lunga apnea.
“Questo non vuol dire che non ti picchierò…”













   
 
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