Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Evazick    21/11/2010    5 recensioni
Sally Hayek è la sfigata dark/rocker della sua scuola, in un minuscolo paesino dove qualunque diversità è bandita e presa in giro. E lei lo sa bene. Non ha amici, è sempre sola, rinchiusa nel suo mondo di musica e buio. Finchè a scuola non arriva un nuovo compagno, Jonathan, che entrerà bruscamente nella vita di Sally e verrà sconvolto dalla personalità della ragazza...
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Sì, questi personaggi mi appartengono. Se volete scrivere qualcosa su di loro, chiedetemi cortesemente il permesso prima. Ci tengo molto a questi due ù.ù

 

“Ehi, Sally! SALLY!”

Ignorali.

“Sally!”

Continua a camminare a dritto. Se ti giri, è finita.

“Sally, dov’è il tuo Jack?”

Perfetto.

Ero abituata a quella battuta assurda da quattro anni, dalla prima media fino ad adesso, in seconda liceo. Il fatto che aveva fatto scatenare tutto era stato un mio vecchio progetto sul mio film preferito, Nightmare Before Christmas: il mio preferito da quando avevo otto anni. Per questo progetto ci fu anche una visione del film in classe, e tutti i miei compagni, dopo averlo visto, iniziarono a prendermi in giro. No, non solo per il film. Vedete, il fatto è che anch’io mi chiamo Sally, ho lunghi capelli rossi e sono costantemente coperta di cicatrici. Non sto scherzando. Queste cose una volta erano un orgoglio per me, in quel momento non più.

La cittadina dove vivevo contava talmente pochi abitanti che i miei compagni di classe, dalle elementari ad ora, erano sempre stati gli stessi. Anche tra i ragazzi ero conosciuta come ‘quella di Nightmare’.

La mentalità dei ragazzi della mia età era… rosa, se vogliamo dire. Ero l’unica in tutto il paese a essere più nera degli altri, e non solo per Nightmare. Tim Burton, Neil Gaiman, Evanescence, My Chemical Romance, libri di vampiri, vestiti neri… molto diversi in confronto agli Zac Efron, Jonas Brothers, libri adolescenziali e vestiti alla moda dei miei coetanei.

Non sono poi così nera, pensai quel giorno nel corridoio della scuola. Mi piace solo Nightmare. E Coraline. E Tim Burton. E… Okay, forse sono un po’ dark.

Presi i libri dal mio armadietto, dove qualcuno aveva scritto sopra con un pennarello HERE LIVE THE PUMPKIN QUEEN, evidentemente pensando di farmi uno scherzo. Ma, al contrario, rimasi contenta di quella scritta, e non cercai mai di scoprire chi l’avesse fatta.

La prima lezione della mattinata era Inglese. Niente male, per iniziare la scuola dopo le vacanze natalizie. Arrivata in classe, mi sistemai al mio vecchio banco al centro dell’aula, e non dissi nulla quando tutti cercarono di evitare il posto accanto al mio: ormai ero abituata a quella scena.

La professoressa entrò in classe precisa come la morte. Dopo aver fatto l’appello, disse: “Bene, ragazzi, l’anno nuovo vi ha portato due novità. La prima è che il corso di teatro mette in scena un musical, tratto da un film.”

Per favore, ditemi che non è Grease, pensai, simulando dentro di me un conato di vomito.

“È un film abbastanza vecchio, degli anni ’90…”

Fiu, pericolo scampato.

“… precisamente del 1993, The Nightmare Before Christmas.”

COSA?!?!?

Tutta la classe si girò a guardarmi. La professoressa non si accorse di nulla, e continuò imperterrita: “Allora, chi sarebbe disposto a farne parte?”

Io lo avrei voluto con tutto il cuore, ma, prima ancora di poter alzare la mano, Jason, il bullo della scuola (e il più cretino e rincoglionito di tutti) urlò: “Professoressa, non vede che Sally è perfetta? Non ha nemmeno bisogno di truccarsi e vestirsi, con quelle pezze da piedi che porta!” La classe scoppiò in una risata generale. Io rimasi impassibile, sperando che Jack Skeletron entrasse e mi salvasse, in qualche maniera.

La professoressa fulminò Jason, e si rivolse a me: “Allora, Sally? Ti piacerebbe?”

Se mi piacerebbe?! Dio, penso proprio di sì! “Sì,” dissi timidamente.

“Perfetto. Nessun altro vorrebbe partecipare?”

Nessuno fiatò. Probabilmente lo spettacolo avrei dovuto farlo da sola, cambiando voce e vestiti nel giro di mezzo secondo.

“Va bene, vorrà dire che chiederò in altre classi,” sospirò la professoressa. “L’altra notizia che volevo darvi è che avrete un nuovo compagno trasferitosi da poco in città. Entra pure,” disse, rivolgendosi a qualcuno fuori dalla porta. Un ragazzo entrò in classe, ed era il più bello che avessi mai visto.

Era alto, magro, pallido, con capelli neri notte, e due occhi azzurri come il ghiaccio. Quando si voltò verso di noi, gli occhi cambiarono colore, diventando del color blu scuro dei mari più profondi. Era vestito non elegantemente, come mi aspettavo, ma con una maglietta bianca semplice e un paio di jeans. Ai piedi portava un paio di normalissime scarpe da ginnastica bianche. Quel ragazzo avrebbe potuto essere un perfetto dark per il colore della sua pelle e dei capelli, ma si capiva che, in realtà, era come tutti gli altri.

“Allora, Jonathan, siediti lì accanto a Sally,” disse la professoressa, facendomi deprimere. Io accanto a quel perfettino? Preferivo scavarmi la fossa con le mani.

Il ragazzo si avvicinò e mi salutò. “Ciao.”

“Ciao,” risposi io, col miglior tono acido possibile, in modo da troncare subito i rapporti.

Ci fu qualche minuto di silenzio, poi lui disse: “Senti, non conosco nessuno qui. Perché non diventi la mia guida in questo inferno?”

Mi girai verso di lui. “E perché la tua guida dovrebbe essere la dark, la sfigata di questo posto?”

“Bè… in un certo senso, i dark mi attirano. Anche se tu non lo sembri tanto.” Rise.

Lo fulminai con lo sguardo, sperando che uscissero veramente dei fulmini dai miei occhi, in modo da carbonizzargli quella perfetta pelle bianca e farlo cadere stecchito a terra.

Continuai ad ignorarlo perfettamente per tutta la lezione, fingendo di non sentirlo quando parlava. Appena suonò la campanella, afferrai al volo lo zaino e mi lancia a tutta velocità verso l’aula successiva.

Come osa, pensai durante il tragitto, come osa dire che non sembro una dark? Cazzo, si è accorto di cosa ho addosso?! Quel giorno indossavo la mia amata gonna di velluto, una maglietta nera con scritto WELCOME TO THE BLACK PARADE, calze a rete e le mie amatissime Converse coi teschi, talmente distrutte che mi avrebbero potuto abbandonare in qualsiasi momento. È vero, non sono una vera dark, sono più sullo stile ‘rockettaro’, ma mi piace definirmi così, e lui non può permettersi di trattarmi così!

Rimasi di umore nero per tutta la giornata, ma, appena uscii di scuola alla fine delle lezioni, sentii qualcuno che mi afferrava il braccio. Quando mi girai per dirgliene due, mi accorsi di ritrovarmi davanti al Perfetto Jonathan. Che diavolo voleva?

“Che vuoi?” gli chiesi, incazzata nera.

“Mi dispiace per quello che ti ho detto stamattina, devo averti fatta arrabbiare a morte.” Sembrava veramente dispiaciuto, cosa che mi sorprese molto. Tuttavia rimasi impassibile, e mi limitai a dire: “Scuse accettate. Bye bye.” Feci per andarmene, ma Jonathan continuò.

“Per favore, smettila di essere arrabbiata con me. Che ne dici se ricominciamo da capo?” Allungò una mano e si presentò: “Ciao, sono Jonathan Carter. Bè.. qui non conosco nessuno, che ne dici di darmi una mano ad orientarmi?” In quel momento fece il più bel sorriso che avessi mai visto. Il malumore mi passò subito. Gli strinsi la mano e dissi: “Certo. Piacere, Sally Hayek.”

Mentre ci avviavamo verso casa (avevo appena scoperto che stava molto vicino a me), non potei fare a meno di pensare: Non male, il ragazzo.

 

“Oggi è arrivato un nuovo compagno di classe,” annunciai a mia madre appena entrata in casa. Appoggiai lo zaino ai piedi della porta e mi avviai verso la cucina. “Un certo Jonathan Carter.”

“Intendi i nuovi vicini che si sono trasferiti dall’altra parte della strada?” mi chiese lei, portando il pranzo in tavola.

“Sì.”

“E com’è?” mi chiese ancora, sedendosi. Mia madre sperava costantemente nell’arrivo di un Bravo Ragazzo che mi riportasse sulla Retta Via, ma sapevo bene che mi preferiva così, nera al 99 (quasi 100) per cento, che completamente rosa e con un cervello minuscolo. “Quando arriverà il giorno in cui inizierà a piacerti Hello Kitty, mi preoccuperò seriamente.” mi diceva spesso. Anche se litigavamo spesso, in fondo era una buona madre.

“Vedessi, mamma! Ha la pelle bianchissima come la mia, capelli neri e due occhi color ghiaccio. Se lo lasciassero nelle mie mani, lo renderei un dark perfetto!”

“Meno male che non lo faranno, allora,” rise lei, arruffandomi i capelli.

“Spiritosa. E comunque, non è l’unica buona notizia.”

“Sentiamo, qual è la prossima?”

“Il corso di teatro mette in scena Nightmare Before Christmas, e io mi sono offerta volontaria!”

Una leggera ombra passò sul viso di mia madre, e sospirai. Sapevo bene cosa significava: non dovevo essere continuamente fissata su queste cose. Ma, dato che si trattava di teatro, lasciò correre e disse: “È bellissimo, tesoro. Qualcun altro di classe tua si è offerto volontario?” Le lanciai un’occhiata che significava un sarcastico Secondo te?

Lei continuò: “Ti faranno anche cantare?”

“Spero proprio di no, altrimenti farò crollare tutto il palco!”

“Non essere stupida, ti sento tutte le volte che ti chiudi in camera a cantare, e non sei così male.”

“Okay, allora dopo pranzo darò inizio al Sally Hayek Show!”

Appena finii di pranzare, mi rinchiusi in camera mia, mi misi le mie cuffie da Dj, accesi l’Ipod e scorsi le canzoni fino a Desolation Row dei My Chemical Romance, e iniziai a cantare a tutto fiato.

 

They’re selling postcards of the hanging

They’re painting the passports brown

And the beauty parlor is filled with sailors

The circus is in town

Here comes the blind commissioner

They’ve got him in a trance

One hand is tied to the tight-rope walker

The other is in his pants

And the riot squad they’re restless

They need somewhere to go

As Lady and I look out tonight

From Desolation Row

 

Cinderella, she seems so easy

“It takes one to know one” she smiles

And she puts her hands in her back pockets

Bette Davis style

And in comes Romeo moaning

“You belong to me I believe”

And someone says “You’re in the wrong place, my friend

You better leave”

And the only sound that’s left

After the ambulances go

Is Cinderella sweeping up

On Desolation Row

 

Now at midnight all the agents

And the superhuman crew

Come out and round up everyone

That knows more than they do

Then they bring them to the factory

Where the heart-attack machine

Is strapped across their shoulders

And then the kerosene

Is brought down from the castles

By insurance men who go

Check to see than nobody is escaping

To Desolation Row

 

Right now I can’t read too good

Don’t send me no more letters, no

Not unless you got a mail back

From Desolation Row

 

Continuai a cantare a squarciagola per una mezz’oretta abbondante, finchè mia madre non si affacciò alla porta di camera mia. Mi fermai e chiesi: “Che c’è?”

“Alla porta c’è un ragazzo che chiede di te. Penso sia il Jonathan di cui mi parlavi prima.”

Lui QUI?! Non potei fare a meno di essere stupita. Poi l’imbarazzo mi colpì come una palla. Spero che non mi abbia sentito cantare!

Andai alla porta d’ingresso con l’Ipod in mano e le cuffie al collo. A quanto pare, mamma aveva proprio ragione: lì davanti c’era Jonathan Carter, in carne e ossa. La prima cosa che disse fu: “Belle cuffie.”

Le guardai: erano nuovissime, comprate appena un mese prima, e svolgevano molto bene il loro lavoro. “Grazie,” gli dissi. “Cosa ci fai qui?”

“Ehm… problemi di lezione,” rispose, indicando lo zaino che aveva sulle spalle.

“Capito. Entra e vediamo quanto sei disperato.” Gli feci strada lungo il corridoio fino in camera mia. Appena entrato, la sua espressione fu di assoluto shock. Non potei fare a meno di sorridere tra me e me.

Per chi non era mai entrato in camera mia, era sempre un bello shock. Sul muro davanti alla porta c’era la scrivania, con sopra il computer portatile e tutte le mie action figure, in totale una ventina. Sopra, attaccato al muro, c’era un mega poster che avevo fatto io, dove c’erano tutte le persone che rendevano la mia vita meno dura ogni giorno: Tim Burton, Neil Gaiman, Amy Lee, Gerard Way, Jared Leto, Billie Joe Armstrong… in mezzo al poster c’era la scritta THANK YOU, GUYS.

Sulla parete di sinistra c’era il letto, con un copriletto nero e diversi cuscini neri, di cui uno di preziosissima seta, comprata durante un viaggio in Cina. C’erano anche tre pupazzi che avevo provato (senza successo) a cucire da sola: uno in particolare, Venerdì, aveva un bottone che penzolava e un braccio mancante. Sul muro c’era la locandina di Nightmare Before Christmas e un poster di Alice in Wonderland, con un Johnny Depp alquanto schizofrenico.

Alla parete di destra c’era il mio armadio marrone che conteneva tutti i miei vestiti neri, soprattutto le mie magliette, di cui andavo fierissima: ogni singola scritta che si trovava lì sopra l’avevo fatta io, prendendo frasi da canzoni o libri. Accanto c’era uno specchio con una cornice nera molto gotica che avevo trovato in un mercatino dell’usato. La parete dove c’era la porta era tappezzata di altri poster. Bisogna dire che, anche se a mia madre non piaceva la mia camera, me la lasciava abbellire come mi pareva.

“Bè… benvenuto nell’antro della strega,” dissi a Jonathan, ancora sotto evidente shock. Io continuai: “Appena torni sulla Terra, raggiungimi sul letto e fammi vedere di cosa hai bisogno.” Detto questo, mi sdraiai sul letto, stringendo tra le braccia Venerdì e posando le cuffie, che avevo ancora al collo.

“È… incredibile. Non avevo mai visto una stanza così,” disse, sedendosi sul letto accanto a me. Io mi misi a sedere con le gambe incrociate. Lui si riprese e mi mostrò di cosa aveva bisogno.

“Latino? Cosa c’è di così difficile nel latino?”

“Praticamente tutto,” sorrise lui.

“Sciocchezze. Quello che serve a latino è solo buona memoria, tutto qui. Impari a memoria declinazioni, verbi, complementi e compagnia varia, punto.”

“Quando parli così, sembri quasi una secchiona.”

Gli lanciai addosso Venerdì. “Non sono una secchiona! Sono solo… brava.”

“Quindi secchiona,” continuò lui.

Gli lanciai la stessa occhiata fulminante di quella mattina, poi lasciai perdere. A dire la verità, il mio primo impeto fu quello di saltargli addosso urlando: “IO TI AMMAZZO!” ma, considerando quanto era stato carino scusandosi con me, accantonai il piano. Mi limitai a dire: “Chiamami ancora secchiona e scordati il latino.”

Passammo tutto il pomeriggio a studiare, anche se Jonathan ogni tanto si distraeva guardandosi intorno. Probabilmente si sentiva osservato, considerato tutte le persone che lo fissavano, da Johnny Depp a Venerdì, che pareva pronto ad assalirlo da un momento all’altro. Quando andò via, mia madre mi raggiunse e commentò: “Complimenti per il buon gusto, Sally. È veramente un bel ragazzo.”

“Visto?” dissi, facendole la linguaccia. Lei mi diede scherzosamente uno schiaffo, e io me ne tornai in camera cantando.

 

La mattina dopo, mentre andavo a scuola in bicicletta, fui presa da un attimo di felicità (cosa strana, considerando cosa avrei dovuto sopportare per tutta la giornata). Avete presente, no? Vi viene voglia di cantare a squarciagola, assordando chiunque incontrate. Bè, fu esattamente quello che feci: mentre passavo per il centro città, assordai chiunque fosse nei paraggi con Blood, in realtà una tacita presa di culo a chiunque mi prendeva in giro:

 

Well, they encourage your complete cooperation
Send you roses when they think you need to smile
I can't control myself because I don't know how
And they love me for it, honestly I'll be here for a while

So give them blood, blood
Gallons of the stuff
Give them all that they can drink and it will never be enough
Give them blood, blood, blood
Grab a glass because there's going to be a flood!

 

In lontananza vidi il gruppo di puttane più famoso tra i ragazzi, le ragazze che, per un appuntamento insieme, erano disposte a concedersi in qualunque modo. Non sembravano essersi accorte di me, oppure mi ignoravano. Decisi di usare la cosa a mio favore.

A celebrated man amongst the gurneys
They can fix me proper with a bit of luck
The doctors and the nurses they adore me so
But it's really quite alarming cause I'm such an awful fuck (why thank you!)

Mi avvicinai e suonai il campanello, spaventandole tutte. Passai in mezzo a loro, spaventate a morte dalla ragazza dark. Mentre mi allontanavo le sentivo chiamarmi in tutti i modi possibili, nomi che sarebbero andati meglio a loro, e cantai l’ultima strofa della canzone:

 

I gave you blood, blood
Gallons of the stuff
I gave you all that you can drink and it has never been enough
I gave you blood, blood, blood
I'm the kind of human wreckage that you love!

 

Arrivai a scuola coperta di sudore, ma soddisfatta per quello che avevo appena fatto. Accidenti, sopportavo le angherie di quelle troie da quattro anni, una rivincita ogni tanto mi serviva per non dare di matto!

“Ehi, Sally!” mi chiamò qualcuno mentre legavo la bici. Mi aspettai che fossero i soliti stupidi, ma scoprii che invece era Jonathan, che mi veniva incontro con un sorriso smagliante. Sembrava che fossimo amici da sempre, e non da un giorno solo.

“Ciao!” lo salutai di rimando, ma non facemmo in tempo a dirci altro: primo perché suonò la campanella, secondo perché vidi arrivare le troie, capeggiate da Angela, entrare dal cancello e dirigersi verso di me gridando trionfalmente: “Eccola lì!”

“Ehm, scusa Jonathan, ma devo scappare,” gli dissi, con le gambe che fremevano di correre.

“Perché?”

“Te lo spiego dopo, ciaoooooo!” gli urlai mentre filavo in classe. Non che avessi paura di affrontare quelle stupide, ma preferivo avere un piano di attacco pronto, dato che le avrei riviste a ricreazione. Cosa che successe puntualmente.

 

“Ehi, Hayek, come ti è venuta la fottuta idea di investirci stamattina?” La voce di Angela era talmente stridula e incazzata che la sentivo benissimo sopra il casino della ricreazione. La vidi arrivare con altre due delle sue schiave, con uno sguardo che mi avrebbe incenerito.

“Investirvi? Ma se vi ho avvisato prima che arrivassi…” dissi con l’aria da finta santarellina più convincente che mi riuscisse. Cosa inutile, visto che Angela mi tirò uno schiaffo che mi fece quasi cadere a terra. Mi toccai la guancia bruciante, ma sostenni lo sguardo di quella troia.

“E quella canzone del cazzo, ci stavi prendendo per il culo, vero Hayek?!”

“Non capiresti quando ti prendono per il culo nemmeno se ti avvisassero prima, troia di merda,” le risposi, ora incazzata almeno quanto lei.

Angela sorrise. “Non penserai mica che il nuovo arrivato ti corra dietro, Hayek? Sta con te solo perché sta facendo un safari, e voleva incontrare un rarissimo esemplare di Sfigata Dark.” Rise insieme alle altre. Mi ero preparata mentalmente a una cosa del genere, e sapevo cosa dire.

“Immagino che prima o poi verrà anche da te, allora. Dopotutto, non è da tutti i giorni vedere una Puttana Senza Cervello a piede libero.” 1 a 1, palla al centro.

Angela stava fremendo dalla rabbia, ma si controllò più di quanto fosse possibile nei limiti umani. “Stai attenta, Hayek. Un giorno potrebbe succederti qualcosa di brutto,” disse, e si allontanò con le sue schiave. Le osservai andarsene, poi ripresi a massaggiarmi la guancia colpita: Dio se faceva male!

Quasi non mi accorsi che Jonathan mi stava venendo incontro preoccupato. “Che ti è successo?” mi chiese, vedendo la mia guancia rossa fuoco.

“Niente. Non preoccuparti, passerà tra poco.” Cercai di andarmene, ma lui mi trattenne. Provai una leggera rabbia nei suoi confronti: perché doveva sempre starmi così appiccicato? “Jonathan, lasciami! Perché stai sempre dietro a me?”

Lui sembrò sorprendersi un attimo, sufficiente abbastanza per liberarmi dalla sua presa e andare alla lezione successiva mentre la campanella suonava.

 

Sono nata dal ventre di un velenoso incantesimo, sconfitta, spezzata e cacciata dalla tana, ma mi alzo, mi alzo in alto e vedo. Sono stata appesa a un albero fatto di lingue dei deboli, i rami erano ossa di ladri e bugiardi, ma mi alzo, mi alzo in alto e vedo. Hmm, se scrivessi questo nel tema per casa mi farebbero un esorcismo,” dissi tra me e me quel pomeriggio, impegnata coi compiti di Inglese, un’autobiografia. Non che ci fosse niente di interessante da raccontare nella mia vita. Vagai per un attimo con la mente a quella mattina, quando la prof di Inglese aveva indetto il primo incontro per il musical di Nightmare Before Christmas, quello stesso pomeriggio. Ero eccitata dall’idea di poter essere scelta per la parte di Sally, ma probabilmente sarei stata relegata come comparsa o, al massimo, Vedo. Sospirai e mi riconcentrai sul tema, continuando a canticchiare la traduzione di Night Of The Hunter: “Prega il tuo dio, apri il tuo cuore, qualunque cosa tu faccia non avere paura del buio, copriti gli occhi, il diavolo dentro. Una notte da cacciatore, un giorno avrò la mia vendetta, una notte da ricordare, un giorno tutto questo finirà. Battezzata da una puttana dal seme di un bastardo, piacere di incontrarti ma preparati a sanguinare, mi alzo, mi alzerò, mi alzerò. La scuoierò viva, la lacererò, spargerò le sue ceneri, seppellirò il suo cuore, ma mi alzo, mi alzo in alto e vedo.

 

Quando arrivai al teatro cittadino, quel pomeriggio, scoprii che vi partecipava un gruppo consistente di ragazzi, la maggior parte dei quali miei persecutori. Fui stupita di vedere Angela e, in fondo alla sala, nascosto in un angolo, Jonathan.

“Tu! Che ci fai qui?” gli chiesi, sorpresa.

“Mi è proibito forse partecipare?” disse lui. “Nella mia vecchia scuola frequentavo il corso di teatro, e speravo di continuare qui. E poi… non canto nemmeno tanto male.” Rise.

Già, peccato che tu non sappia nemmeno una canzone. Mi girai e guardai le altre persone: Angela era davvero orrenda. Si vedeva benissimo che cercava in tutti i modi di ottenere la parte femminile principale, quella di Sally, ed era vomitevole vedere come si era impegnata: si era tinta i capelli di un rosso uguale al mio, e si era comprata una maglia e una gonna nera, ma ai piedi aveva le sue solite scarpe rosa con un tacco spropositato. Sembrava che si fosse travestita per Halloween solo per metà.

“Va bene, ragazzi, iniziamo!” disse la prof, Miss Johnson, battendo le mani. Tutti si zittirono subito.

Lei si schiarì la voce. “Grazie. Bene, vorrei farvi sapere che ho già deciso i vostri ruoli per lo spettacolo, a seconda delle vostre capacità.” Riuscii ad intravedere Angela entusiasta tra le sue compagne, aspettandosi ovviamente l’assegnazione del ruolo di Sally a lei.

La Johnson tirò fuori una cartellina, da cui prese un foglio: si inforcò gli occhiali e iniziò a leggere. Io ero un fascio totale di nervi. Se Angela sarà Sally, ‘La scuoierò viva, la lacererò, spargerò le sue ceneri, seppellirò il suo cuore’, pensai, citando i 30 Seconds To Mars. Non ce la facevo più per la tensione.

“Dunque, il ruolo di Jack Skeletron è stato assegnato a… Jonathan Carter,” disse la prof. L’interpellato sbarrò gli occhi: evidentemente non si aspettava di essere scelto per il ruolo principale, anche se il suo aspetto fisico aiutava molto. La Johnson gli sorrise: “Spero che tu sappia cantare bene, Jonathan.”

Dal loro angolo, Angela e le sue amiche continuarono a chiocciare: il ruolo principale maschile era di quel gran figo del nuovo arrivato, che immensa fortuna! Io non feci nemmeno caso ai loro commenti, troppo agitata per farlo.

“Il ruolo di Sally, invece, è stato assegnato a…” Quella pausa enfatica mi sembrò durare un’eternità. Pensavo di poter scoppiare a piangere da un momento all’altro.

Angela e Jonathan trattenevano il fiato.

Pensai di star per avere un infarto.

La Johnson aprì la bocca per parlare…

Dio, ti prego…

“… Sally Hayek!”

Mi prese sul serio un colpo. Non ci posso credere, ce l’ho fatta! Mi sentii gli occhi pieni di lacrime di felicità. Angela, invece, mi guardava come se volesse uccidermi da un momento all’altro. Si alzò in piedi, incazzata a morte, e urlò: “E io, miss Johnson? Non ci sono altre parte femminili!”

La Johnson replicò: “Oh, sì, ce n’è un'altra, Angela. Penso che ti piacerà molto.”

Quale altra parte femminile? Non ce ne sono… Appena capii di quale ruolo parlava la prof, dovetti fare del mio meglio per non scoppiare a ridere, anche se un sorriso mi increspava le labbra. Cazzo, hanno ragione a dire che la vendetta ha un sapore dolce! Come ci godo!

Angela non diede segni di aver capito. La prof continuò: “Tu, Angela, sarai Vedo.”

A queste parole, iniziai a ridere come una matta.

 

 

“MI HANNO PRESO, MI HANNO PRESO!!” urlai a mia madre appena entrai in casa, abbracciandola di slancio e iniziando a strillare come una matta. Lei si lamentò un po’, poi si liberò dal mio abbraccio e mi chiese: “Nello spettacolo?”

“SI!!! E mi hanno dato la parte di Sally!” Ero eccitata come una bambina entrata nel più bel negozio di giocattoli nel mondo, e ancora non riuscivo a crederci. Anche mia madre era contenta.

“E chi sarà il tuo adorato Jack?”

“Jonathan! Ce lo vedo benissimo, nei panni di quello scheletro… il personaggio Disney più sexy.”

“Sally!”

Risi. “Dai, stavo scherzando. Ma aspetta, le belle notizie non sono finite. Angela era venuta in teatro vestita di nero e con i capelli rossi come i miei, cercando di fare impressione sulla Johnson. Quando ha scoperto che il ruolo di Sally era mio, ha urlato ‘E io, miss Johnson? Non ci sono altre parte femminili!’ e la Johnson ha risposto ‘Oh, sì, ce n’è un'altra, Angela. Penso che ti piacerà molto.’ In pratica, le ha rifilato la parte di Vedo! Ho riso come una matta, finalmente la strega avrà quel che si merita!” Ero talmente eccitata che non vidi la porta della cucina e andai a sbattere contro lo spigolo, procurandomi un taglio sulla fronte.

“Oddio, Sally, ti sei fatta male? Aspetta, vado a prendere un cerotto,” disse mia madre.

“No, ha già smesso di sanguinare. È solo un altro taglio da aggiungere alla mia collezione.” Mi volatilizzai in camera mia, dove afferrai Venerdì per le braccia e iniziai a fare un girotondo, cantando: “Kidnap the Angela, see what we will see, lock her in a cage and then throw away the key!!

 

Il giorno dopo, a scuola, tutti mi stavano fissando. Più del solito, voglio dire. E non erano nemmeno delle belle occhiate: sembrava quasi che avessi strappato il ruolo ad Angela con un abile mossa da cattiva dei fumetti. Iniziai a guardare due o tre persone con un bellissimo sorriso da Joker, e quelle distolsero subito lo sguardo.

Incrociai Angela solo una volta in tutta la giornata: lei mi fulminò, e io mi limitai a mostrarle la maglietta di quella mattina, dove c’èra scritto C’MON, LET’S KIDNAP THE SANDY CLAWS!  L’avevo scritta la sera precedente, per far ribollire quella troia di rabbia. E riuscii perfettamente nel mio intento, ad essere modesta.

“Ti attirerai le cattiverie di tutta la scuola con quella addosso,” mi ammonì Jonathan appena mi vide.

“Vuoi dire più del solito?” chiesi, sarcastica, posando lo zaino sul mio banco.

“Non sto scherzando. Ieri sera Angela parlava con alcuni ragazzi, e cercava un piano per sbarazzarsi di ‘quella cazzo di dark’. Se hai bisogno di qualunque cosa, non ho problemi a stare tutto il giorno con te.” Negli occhi di Jonathan c’era una vera preoccupazione, e quella mattina erano del colore del mare dopo una tempesta. Mi inoltrai nei suoi occhi ancora di più, finchè non vidi qualcosa di diverso… vidi… qualcosa che non mi sarei mai aspettata… vidi…

Amore?

Distolsi subito lo sguardo e rimasi zitta per tutta la lezione, imbarazzata. Adesso capivo perché era sempre attaccato a me, perché non aveva problemi a proteggermi. Mi chiesi se anche la ripetizione di Latino non fosse una scusa per vedermi, anche se ci conoscevamo da un giorno appena.

E io? Io cosa provavo nei confronti di quel ragazzo pallido, coi capelli del colore dei corvi, e con gli occhi che ogni giorno erano un mare diverso? Eravamo solo amici, questo lo sapevo, e non ci saremmo mai spinti oltre, perché io non provavo quello che provava lui per me.

Oppure ero troppo orgogliosa per ammetterlo?

Quando fui sul punto di scoprire la verità, la campanella ruppe i miei pensieri come avrebbe fatto con una campana di vetro, e rimasi a guardare tutti gli altri uscire, compreso Jonathan, che venne inghiottito dalla folla.

 

Tornando a casa in bicicletta, continuai a rimuginare su Jonathan e me. Non lo amavo, ma sentivo che per me era molto di più che un amico.

Era stata la prima persona che non si era fatta problemi sul mio aspetto e sui pregiudizi degli altri e che era venuta a cercarmi. Quel primo giorno sembrava quasi che fosse lui l’emarginato e io la persona venuta a salvarlo, e questo mi faceva piacere. Mi venne in mente il sorriso che mi aveva rivolto, e le sue scuse.

Smettila di essere arrabbiata con me.

Ero davvero così importante per lui? Speravo che un giorno lui mi desse una risposta.

Così immersa nei miei pensieri, non mi accorsi dei motorini che mi sfrecciavano accanto e che mi stavano accerchiando, come dei predatori con una preda. Mi risvegliai soltanto quando uno dei ragazzi suonò il clacson, facendomi sobbalzare. Ebbi un momento di panico.

“Ehi, Hayek, perché non hai voglia di fare un giro con noi?” disse Jason, facendomi un occhiolino in un modo disgustoso. Gli altri risero. Io provai a salvarmi la pelle, cercando di passare tra due motorini alla mia sinistra, ma loro notarono la mia mossa. “No, cara Sally, ora devi venire con noi.” Mi resi conto di non avere altra scelta. Erano in cinque, e una ragazza mingherlina come me non poteva niente contro dei giocatori di football con gli ormoni impazziti probabilmente istigati da una puttana di mia conoscenza. L’unica cosa buona era che mordevo bene e avevo dei gomiti ossuti, ma sapevo che quelle armi non mi sarebbero bastate.

Mi portarono in un vicolo cieco alla periferia del paese, dove non abitava più nessuno ed eravamo chilometri lontani dal centro. Loro scesero giù dai motorini, ma io rimasi in sella alla mia bici, stringendo le mani sul manubrio. Provai a fuggire via, ma loro mi afferrarono per il braccio come se niente fosse.

“Dai Sally, non vuoi sapere perché sei qui? Prova a rilassarti, sarà tutto più facile,” continuò Jason con quel tono che mi faceva vomitare. Improvvisamente diede uno spintone alla bici, e io caddi insieme a lei per terra, tra le risate di scherno degli altri. Ero incastrata, e uno dei pedali mi si era conficcato nella gamba, causandomi un immenso dolore. Jason levò la bici da sopra di me e la portò dalla parte opposta del vicolo. Tentai di alzarmi, ma uno degli altri ragazzi, Mike, mise il suo stivale sopra il mio petto, impedendomi di muovermi. Li guardai tutti e cinque, imprimendo nella mia mente quel momento: ci conoscevamo da quando eravamo piccoli, perché ora mi facevano questo? Perché dovevano avercela tanto con me solo perché ero diversa?

Jason tornò e il suo piede prese il posto di quello di Mike sopra il mio petto. “Vedi, Sally,” iniziò, “ad Angela non è piaciuto il fatto che tu le abbia rubato il suo ruolo in quel modo, proprio per niente. Insomma, lei è la regina della scuola, tu la sfigata dark e senza amici, perché non è toccato a lei essere la protagonista? Certe volte il mondo va proprio al contrario.” Rimase in silenzio per qualche secondo, e io capii definitivamente quello che avevo sospettato: c’era Angela dietro a tutto questo. Era questa la vendetta di cui parlava Jonathan. Se soltanto gli avessi dato retta…

“Quindi mi ha detto: ehi, perché tu e i tuoi amici non date una lezioncina a quella stronza? E io ho detto: sicuro, nessun problema. Dicci solo cosa fare.” Sorrise. “Non immaginavo che avesse in mente questo.”

Il suo piede premette ancora più forte sul mio petto, e mi sentii mancare l’aria. Non dissi niente, non volevo che quei pezzi di merda si divertissero a sentire le mie urla. Poi Jason levò il piede dal mio petto, mi afferro per il colletto della maglia, mi sollevò come se fossi una piuma, e sbatté la mia testa sul muro dietro di me.

La testa mi rimbombò per qualche momento e la vista mi si oscurò, poi rimisi tutto a fuoco. Jason continuava a sorridere, mentre tutti gli altri ammiravano la sua prodezza: picchiare la dark del paese, che eroe sarebbe diventato! L’avrebbe messa a tacere per sempre, e lei non si sarebbe mai più fatta viva. E il cavaliere avrebbe ucciso il drago.

Aveva ragione, Jason: certe volte il mondo va proprio al contrario.

Jason mi risbatté per terra e iniziò a picchiarmi duramente, come se volesse farmi a pezzi. Gli altri iniziarono ad aiutarlo, e io sentivo i loro calci ovunque sul mio corpo. Una mano si avvicinò al mio viso per graffiarmi e ne approfittati: la morsi con tutta la forza di cui ero capace, facendo urlare Mike di dolore. “Attenti, questa stronza morde pure!” disse agli altri, tirandomi poi un calcio sulla bocca. Sentii il labbro che si spaccava e il sangue che scorreva.

In lontananza arrivò il rumore di una bici che si avvicinava, poi qualcuno entrò nel vicolo e disse: “Lasciatela stare!”

Quando vidi chi era il mio salvatore, quasi esultai dalla gioia. Jonathan era in piedi, con le mani strette a pugni e i muscoli tesi. Il viso pallido era rosso dalla rabbia e gli occhi erano un oceano in tempesta e gli scintillavano. Tutti smisero di picchiarmi.

“Calma amico, non stavamo facendo niente di male,” disse Jason con sfacciataggine.

“Ah! Quindi picchiare Sally vi sembra fare niente.” La rabbia di Jonathan era controllata a malapena, lo sentivo nella sua voce e nei tremori del suo corpo.

“Dici lei? Se vuoi darle qualche calcio fai pure, non penso che le farà male,” continuò Jason sorridendo. Ovviamente si aspettava che il nuovo fosse dalla sua parte, ma non era così.

“L’unica persona a cui darò un calcio sarete voi se non vi sbrigate ad andarvene. Potrei denunciarvi tutti, sapete? Penso che qualche anno di riformatorio potrebbe farvi bene.”

Tutti risero. “E a chi pensi che crederebbe la polizia? Al nuovo arrivato o ai ragazzi del posto?”

Jonathan fece un sorriso da Stregatto. “Non lo so, ma sappiate che mio padre è il nuovo commissario della città. Fossi in voi scapperei via come il vento.”

E così fu: dopo due minuti non c’era più traccia di Jason e gli altri, se non i lontani echi dei motorini. Jonathan si avvicinò a me, preoccupato. “Sally, mi senti?”

“Tranquillo, non mi hanno ucciso, mi hanno solo picchiato,” dissi con un pizzico di ironia.

“Dio. Come hanno potuto farlo, Sally? Ti conoscono da così tanto tempo…”

“Me lo chiedo anch’io. Ma so che è stata Angela a dire loro di farlo, per vendicarsi della parte.”

“Per lo spettacolo?! Ma è una cosa stupida!”

“Ma non per Angela, la reginetta della scuola. È sempre abituata ad avere tutto dalla vita, al contrario di me. Io mi sono dovuta fare il culo per ottenere ogni cosa che ho adesso…” Iniziai a piangere come non facevo da anni. Piansi per me, per quello che avevo dovuto sopportare tutti quegli anni, per tutto il dolore che mi avevano causato, anche se avevo sempre tenuto a bada le lacrime e avevo continuato a camminare a testa alta. L’unica cosa che ero riuscita a guadagnarmi senza bisogno di fare niente era quel ragazzo stupendo che in quel momento era preoccupato per me.

“Vieni, ti porto a casa,” mi disse, sollevandomi tra le braccia come se non pesassi niente. “Verrò io a riprendere la tua bici più tardi. Okay?” Annuii lentamente e affondai la mia testa nel suo petto.

Non so come fece la gente a non vederci, ma probabilmente tutti stavano facendo finta di niente. La mia maglietta nera era sporca di sangue, e le mie Converse avevano perso un altro pezzo di suola.

Mia madre ci stava osservando dalla finestra e, appena mi vide in quelle condizioni, si catapultò fuori di casa. “Oddio, Sally, che ti è successo? Chi è stato a farti questo?” Io rimasi zitta, con la testa ancora nel petto di Jonathan.

Appena entrati, Jonathan mi posò delicatamente sul divano e, insieme a mia madre, cercò di curare le mie ferite meglio che potevano. Quando tutta l’operazione fu terminata, riuscii a camminare fino in camera mia, dove mi spogliai, mi misi la camicia da notte e mi infilai nel letto, mentre Jonathan andava a recuperare la mia bici. Quando rientrò in camera mia, gli chiesi: “In che condizioni è?”

“Perfette, non ha neanche uno sgraffio.” Rise. “Come fai a preoccuparti per la tua bici, quando sei messa molto peggio di lei?”

Gli feci un debole sorriso.

Rimase tutto il pomeriggio lì con me a chiacchierare e a distrarmi, come se ci conoscessimo da sempre. Rimase anche a cena, ma, quando verso le nove dovette andare a casa, lo afferrai per la manica e gli chiesi: “Ti prego, resta anche stanotte.”

Lui sbarrò gli occhi, non aspettandosi quella richiesta. “Sally, devo andare a casa.”

“Per favore, domani è sabato e non c’è scuola, non sarà un problema per i tuoi genitori. Racconta loro quello che vuoi, ma per favore, rimani.”

Mi rispose con quel sorriso. “D’accordo.”

Chiamò i suoi genitori e disse loro cosa era successo: lo fecero rimanere a casa mia per quella notte, e il padre disse che il giorno dopo sarebbe venuto per raccogliere la mia denuncia.

Quando tornò nella mia camera, gli indicai i dischi che erano sulla scrivania. “Metti quello che ti ispira di più.”

Jonathan rovistò tra i miei dischi, commentando: “Hai qualcosa che non sia rock o metal? O qualche gruppo che io conosca?” Gli sorrisi. Alla fine prese un disco che non riconobbi da lontano e lo infilò nello stereo. Le prime note di End Credits riempirono la mia camera.

“La colonna sonora di Coraline?” gli chiesi sbalordita quando lui si sedette sul letto.

“Era l’unica cosa che conoscevo.”

“Se conosci Coraline, hai il diritto a tutto il mio rispetto.”

“Uao, che onore!” mi prese in giro lui.

“Idiota,” replicai, tirandogli un pugno. Lui si lamentò scherzosamente.

Rimanemmo così per buona parte della serata, chiacchierando del più o del meno. Io chiedevo a Jonathan della sua vita prima che si trasferisse, lui mi chiedeva dove avessi trovato tutti le cose che erano in camera mia e come avevo conosciuto tutti quei gruppi musicali e film. Scoprii che anche a lui piaceva Neil Gaiman, e ci mettemmo a discutere su quale libro fosse il migliore: io sostenevo che fosse Coraline, Jonathan replicava che ero di parte e che il migliore in assoluto era American Gods.

Al momento di andare a letto lui disse che avrebbe dormito sul pavimento, ma io replicai: “Assolutamente no, il mio salvatore non deve dormire in terra come un poveraccio qualunque. Dormirai nel letto con me.”

Lui rimase in silenzio, scioccato.

“Tranquillo, non ho nessuna intenzione di perdere la verginità a quindici anni in questo modo,” lo rassicurai. Jonathan sembrò più tranquillo, si levò i vestiti rimanendo in mutande e entrò nel letto con me. Sentivo il suo calore accanto a me, e mi sentii protetta come non mai. Di impulso lui mi abbracciò, intrappolandomi tra le sue braccia. E in quel preciso istante, tutte le domande che mi ero fatta quel giorno ebbero le risposte che cercavano: erano nascoste da qualche parte in fondo al mio cuore, ma ero sempre stata troppo orgogliosa per ammetterle.

Mi avvicinai ancora di più a Jonathan, che non si ritrasse, e lo baciai sulla bocca. Dopo un attimo di resistenza, anche lui mi baciò, con un amore che pensavo non avrei mai provato in vita mia, mentre le note di Mechanical Lullaby ci avvolgevano. Anche se ero impegnata a baciare la mia anima gemella, mi sembrò che tutti i personaggi dei miei poster e i miei pupazzi avessero iniziato ad applaudire, perché la loro amica aveva finalmente trovato qualcuno con cui stare.

 

Immaginate l’imbarazzo di mia madre la mattina dopo quando venne a svegliarci e ci trovò nello stesso letto, con Jonathan che mi abbracciava. Chiuse piano la porta e poi andò a lavoro, lasciandoci soli e ancora addormentati.

Quando mi svegliai, vidi che Jonathan non era accanto a me, e mi chiesi se non fosse stato un sogno. Poi, vedendo la sua borsa sulla mia sedia, capii che tutto era stato una bellissima realtà. Sorrisi dolcemente tra me e me.

 

La settimana seguente fu la più bella di tutta la mia vita. Ormai era pubblico, tutti lo sapevano: io e Jonathan eravamo una coppia. Sally Hayek & Jonathan Carter. Sembrava un’impresa di pompe funebri.

Non era l’unica bella notizia: Jason e i suoi compagni erano stati arrestati dopo che io avevo sporto denuncia al padre di Jonathan. I lividi sul mio corpo, la testimonianza di Jonathan e alcune macchie di sangue ritrovate nel vicolo confermarono la mia versione dei fatti. Adesso tutti mi guardavano con un’espressione che non era né di scherno né di superiorità. Era paura.

Non avevo fatto parola riguardo ad Angela: pensai che la punizione più grossa per lei fosse guardare come la sfigata le avesse fregato il ragazzo nuovo. Ogni volta che la incrociavo nei corridoi mi scoccava uno sguardo malvagio, ma non mi faceva più paura come un tempo. Ora ero più forte. Anche le prove per il musical andavano a gonfie vele: Jonathan, dovetti ammetterlo, era un perfetto Jack Skeletron, con i suoi capelli neri e la pelle bianca. La prima volta che lo vidi comparire in scena con il suo costume quasi mi prese un infarto: sembrava fosse uscito direttamente dal film di Tim Burton. Ogni volta che cantava Il lamento di Jack ero sull’orlo delle lacrime, sembrava che non stesse recitando, ma che stesse provando quel dolore in prima persona.

Anch’io non ero male, come Sally: i capelli rossi erano un grande aiuto in più (significavano niente parrucca), e mi trovavo a mio agio con il vestito di stracci e le scarpe nere col tacco alto. Interpretavo La canzone di Sally con una voce talmente straziata che nessuno in sala, dopo che avevo cantato, aveva gli occhi asciutti. Inutile dire che la scena del duetto e del bacio finale era la cosa che a me e Jonathan riusciva meglio. Angela poi si era ritirata dal musical, sostenendo che a lei il teatro non le era e non le sarebbe mai piaciuto. Pareva proprio di essere nella favola della volpe e l’uva.

In quella settimana ero più felice che mai: i compagni di spettacolo erano più gentili con me, avevo messo a tacere Angela e gli altri, avevo il ragazzo più bello del mondo come fidanzato. Ogni volta che mi rinchiudevo in camera mia a cantare sentivo che sarei potuta andare avanti per ore e ore dalla felicità che provavo.

Cosa non mi aspettavo, invece, era che la mia rovina stesse per sbucare da dietro l’angolo.

 

Il martedì successivo, mentre ero in bagno a metà della lezione di Algebra, vidi Angela che entrava con due altre puttane. Le ignorai totalmente, ma, mentre mi lavavo le mani, diedi un’occhiata a loro nello specchio: Angela non sembrava incazzata, e sorrideva pure. La cosa mi preoccupò leggermente.

“Allora, come ti va la vita, Hayek?” mi chiese lei, con un enorme sorriso malvagio della serie So qualcosa che tu non sai. Non le risposi, continuando a farmi gli affari miei, ma lei continuò: “Vedo che tra te e Jonathan va tutto a meraviglia. E così anche in quel fottuto musical. E tutti…”

“Che cazzo vuoi, Angela?” le chiesi, girandomi e affrontandola. La fissai negli occhi e lei continuò a sorridere.

“Penso solo che il rapporto tra te e Jonathan potrebbe avere qualche… problema, in questo momento.”

“Cosa. Hai. Fatto. A. Jonathan.” La mia rabbia era a stento controllata, e lottavo contro l’impulso di saltare addosso ad Angela.

“Io? Veramente ha fatto tutto da solo. Guarda qua.” Tirò fuori dalla tasca il suo telefono (ovviamente rosa), premette qualche tasto e poi rivolse lo schermo nella mia direzione. Aveva fatto partire un video registrato un paio di giorni prima, in cui c’era Jonathan: vedevo lontano un miglio che era ciucco come un alpino. E parlava di me, e non nel modo in cui un ragazzo dovrebbe parlare della sua fidanzata.

È meglio che non ripeta qui tutte le cose che erano registrate in quel video: basta dire che parecchi erano insulti rivolti alla sottoscritta, e provenivano quasi tutti da Jonathan. Le lacrime mi stavano salendo agli occhi, mi veniva da vomitare, ma mi limitai ad aumentare la mia stretta sul lavandino al quale era appoggiata. Quando il video terminò, Angela si limitò a riporre il telefono nella tasca. Mi fissò per un ultimo istante, poi io corsi fuori dal bagno in tutta fretta mentre la campanella suonava.

In classe erano tutti andati alla lezione successiva, tranne Jonathan, che mi stava aspettando col mio zaino. Glielo strappai di mano e andai via senza di lui. Alla lezione successiva mi misi a sedere al banco e iniziai a scrivere sul mio diario. Sentii Jonathan che si sedeva accanto a me e che mi chiedeva: “Cos’hai, Sally?” Io feci finta di non sentirlo, come se fosse un fantasma. In quel momento entrò il professore e lui smise di parlare. Dopo circa un quarto d’ora, mi arrivò un bigliettino: Mi spieghi cosa diavolo hai e perché non mi consideri? J.

Non persi tempo e risposi, scrivendo sull’altro lato del foglietto: Perché dovrebbe importarti della tua ‘fidanzata strana, dark e pateticamente infantile’?. Rispedii il bigliettino al mittente, e osservai la sua reazione nel leggere una delle frasi tratta dal video.

L’espressione di Jonathan in quel momento si può riassumere in due sole parole: Oh, cazzo.

“Sally, ascolta…” iniziò, ma non gli diedi tempo di continuare: alzai la mano e chiesi al professore: “Scusi, potrei cambiare banco?” e indicai un tavolo dall’altra parte della classe, vuoto.

“Certo, ma… Sally, hai qualche problema?”

“No.” Guardai Jonathan. “Solo una mosca che mi dava fastidio, ma penso che di là non mi seccherà più.” Mi spostai con baracca e burattini e non degnai Jonathan di uno sguardo per tutta la lezione. Quando suonò la campanella di fine lezioni, mi lanciai verso il cortile con Jonathan che urlava: “Sally, aspettami!” Andai a slegare la bicicletta all’albero dove era legata, e lui mi raggiunse, preoccupato. “Sally, ascoltami, io… non volevo dire quelle cose, è solo che…”

“È solo che cosa? È solo che eri ciucco come un alpino? Oppure è stata Angela a farti dire quelle cose? Allora, Jonathan? Quale scusa scegli? Pensaci pure quanto vuoi, appena hai la risposta vienimi a cercare.” Saltai in sella alla bici, ma lui mi afferrò un braccio.

“Ti prego Sally, non essere così infantile.”

“Infantile? Infantile io?! No, Jonathan, hai proprio scelto la persona sbagliata a cui dare dell’infantile! E sai perché? Perché tu sei peggio che essere infantile, tu sei un traditore! Eri la prima persona di cui io mi fidassi da anni, hai guadagnato la mia fiducia e l’hai buttata via per qualche lattina di birra e una puttana che ti riprendeva! Mi fai schifo!” Ormai stavo urlando, tutti ci stavano fissando e il cortile era in totale silenzio, spezzato solo dalla mia voce. Gli sguardi rivolti verso di noi non erano di trionfo, ma di tristezza: a quanto pareva, qualcuno capiva come mi stessi sentendo in quella situazione. Le lacrime mi rigavano le guance, ma me le asciugai col dorso della mano.

“Dammi un’altra possibilità…” mi implorò Jonathan.

“Un’altra possibilità?! Ah ah, questa è bella! Cosa pensi che sia la vita, un gratta e vinci? Sei stato sfortunato, tenta ancora? Io te l’ho data una possibilità, Jonathan, ma tutto questo è colpa tua. Sei tu che hai mandato tutto a puttane.” Mi strattonai dalla sua presa e iniziai a pedalare velocemente verso casa, nel silenzio più assoluto.

 

Mia madre capì che ero incazzata nera dal modo in cui sbattei la porta d’ingresso, come se volessi sbriciolarla. Si affacciò dalla cucina e disse: “È pronto, Sally.”

“Mi dispiace mamma, ma in questo momento non ho molta fame,” le dissi, dirigendomi con lo zaino ancora sulle spalle in camera mia. Lascia la porta aperta e gettai lo zaino sul letto con tutta la forza che la rabbia mi dava. Mamma si affacciò e mi chiese: “Cos’è successo?”

“Vuoi saperlo, mamma? Vuoi sapere cos’è successo oggi a scuola? Bè, una puttana di mia conoscenza mi è venuta a rivelare che il mio ragazzo si è ubriacato davanti a mezza scuola e mi ha insultato molto pesantemente, se proprio lo vuoi sapere. Oh, e appena lui l’ha saputo mi ha chiesto di perdonarlo e di dargli un’altra possibilità. Ti rendi conto, un’altra possibilità! Mi viene da ridere al solo pensiero, dare un’altra possibilità a quel pezzo di merda!” Dissi tutte queste cose in tono ironico, mentre mia madre inorridiva. Alla fine la tristezza mi colpì, e continuai a dire, piangendo: “Come ha potuto farlo, sapeva che lui era l’unica cosa importante per me, come ha potuto…” Caddi a sedere per terra, con le mani sugli occhi per fermare le lacrime. Mia madre si sedette accanto a me e mi abbracciò forte, e io ricambiai, sapendo che per ora quello era l’unico tipo di amore che mi era concesso.

 

Quel pomeriggio lo passai sospesa in una specie di trance.

Ero sdraiata sul letto e fissavo il mio armadio, senza però vederlo. Non pensavo nemmeno, nella mia mente c’era il nero più totale. Rivedevo la scena tra me e Jonathan nel cortile di seguito, come se fosse un disco rotto. Non piangevo nemmeno più, avevo versato tutto quello che il mio corpo conteneva.

La situazione cambiò verso le sei, quando mia madre entrò e disse: “C’è Jonathan al telefono, ti vuole parlare. Che gli dico?”

Rimasi in silenzio, poi sentenziai: “Digli che lo mando affanculo.”

Lei sospirò. “Gli dirò che non sei in vena di parlargli.” Richiuse la porta e mi lasciò di nuovo affogare nel mio dolore. Sentivo che stavo scendendo nella profondità marine, e la superficie si stava allontanando sempre di più… mi chiesi quando avrei toccato il fondo, se c’era.

 

Il giorno dopo mia madre mi tenne a casa da scuola, capendo benissimo che non era ancora il momento di affrontare Jonathan e Angela. Rimasi tutta la mattina in camera mia a guardare i miei film preferiti: Nightmare Before Christmas, Coraline, Alice in Wonderland. Guardai anche La Sposa Cadavere e Edward Mani Di Forbice, in modo da poter finire di piangere le mie lacrime. Il pomeriggio decisi di andare a fare un giro in bici per scaricare la rabbia rimanente. Risi pensando a un mio vecchio progetto: girare per la città in bici con uno stereo legato al portapacchi che suonava a tutto volume Thank You For The Venom. Mi chiesi se magari non avessi potuto farlo: ora mi sentivo più emarginata che mai, e un’altra piccola stranezza sul mio curriculum non avrebbe peggiorato la situazione più di così.

 

La settimana seguente fu soprannominata da me in seguito I Sette Giorni Dell’Oblio.

Andavo a scuola ma non seguivo le lezioni, ascoltavo cosa mi diceva mia madre ma non la sentivo veramente, guardavo la televisione ma non capivo cosa stesse trasmettendo. L’unica cosa reale in quella settimana era la musica, quei momenti in cui tornavo a galla dal mare per rivedere il sole. Certo, mettevo canzoni tristi, ma mi sembrava che la mia vita avesse più senso. Nemmeno le prove per il musical mi attiravano. Arrivavo per ultima e me ne andavo per prima, per evitare Jonathan. Ovviamente non potevo evitarlo durante le prove, e la scena del bacio non era più così romantica: mi limitavo a dargli un bacetto a stampo e poi mi staccavo subito da lui. Sembrava che niente riuscisse ad emozionarmi, e forse era vero: Jonathan non solo mi aveva tradita davanti a tutti, ma aveva portato via con sé la parte del mio cuore che apparteneva a lui.

 

Due giorni prima della prima del musical, ero in camera mia che ascoltavo la musica sdraiata sul letto. Per qualche strana idea, mi alzai e frugai nel mio armadio, per poi trovare il mio caro Oracolo: era una boccia di vetro che un tempo conteneva il mio pesciolino rosso Red, ed ora era riempito di foglietti di carta con citazioni. Quando ero indecisa o in altre situazioni, chiudevo gli occhi e prendevo tre bigliettini, per poi interpretarne il responso in qualche modo.

Tornai al letto e mi sedetti lì sopra a gambe incrociate, con l’Oracolo davanti a me. Chiusi gli occhi e vi infilai la mano, smuovendo un po’ i bigliettini, poi ne pescai tre, uno alla volta. Riaprii gli occhi e guardai il contenuto del primo bigliettino.

Fai attenzione a cosa desideri.

Ovvero? Non dovevo desiderare la morte di Jonathan perché sarebbe potuto accadere? Tanto meglio, un bastardo in meno sulla faccia della Terra. Lessi il secondo biglietto.

Non allevierò il tuo dolore.

“Grazie tante Oracolo, questo lo sapevo da me,” borbottai, aprendo il terzo biglietto.

Rimasi a bocca aperta.

Non riesco a trovare la mia strada di casa, ma è attraverso te e lo so.

Centrato in pieno.

Perché Jonathan mi aveva tradita, era vero… ma era stato costretto, in un certo senso. Dentro di me sapevo che era l’unica persona di cui mi sarei potuta fidare al mondo, e che la mia strada di casa era attraverso lui.

“Oracolo del cazzo,” sibilai, afferrando Venerdì e lanciandolo verso la porta chiusa. Ero arrabbiata perché sapevo che aveva ragione. Anche se facevo fatica ad ammetterlo… quel ragazzo mi mancava. Mi aveva salvato da un vero e proprio pestaggio, non si era fatto problemi ad accettare tutte le mie stranezze, e in quella settimana paradisiaca aveva esplorato il mio mondo senza mai accennare di volersene andare o di lasciarmi. Due lacrime mi passarono sulle guance: io ero pronta a perdonare Jonathan… ma lui era pronto a riprendermi?

 

Il giorno delle prove generali mi recai in teatro con un’ora di anticipo: un ragazzo di prima che partecipava allo spettacolo, Billy, mi aveva detto che la Johnson mi voleva vedere per sistemare una faccenda riguardo al mio costume. Spinsi l’immensa porta di legno ed entrai.

“Miss Johnson?” chiamai, ma mi rispose il silenzio più assoluto. Strano, visto che tutte le luci erano accese, comprese quelle sul palco, dove troneggiava un immenso pianoforte. Mi mancò il respiro: mia madre mi aveva mandato a lezione di piano da quando avevo sette anni, ma avevo smesso di suonare da dopo l’incidente di Nightmare; non volevo dare ai miei persecutori un altro appiglio per prendermi in giro. Ma in quel momento il pianoforte esercitava un’attrazione irresistibile su di me: senza preoccuparmi del fatto che non ci fosse nessuno, salii sul palco e mi avvicinai allo strumento. Passai le dita sul coperchio della tastiera, feci girare lo sgabello, poi mi misi a sedere e aprii il coperchio, rivelando i tasti bianchi e neri. Da quanto tempo, pensai. Appoggiai le mani sui tasti e iniziai a ripassare la mia canzone:

 

Il vento porta la paura

Di una tragedia che accadrà

Accanto a lui sono sicura

Ma penso al peggio che verrà

I miei pensieri son per lui, ma non si accorge

Dell’emozione

Che accende in me

Chissà se capirà

Se il fato lo vorrà…

 

Amico mio, qual è la via?

Dove ti porta la follia?

Vorrei venire anch’io con te

Ma l’incertezza è forte in me

Non so se un giorno mi vorrai

Per te soltanto

Per questo ho pianto

Perché io so

Che il sogno svanirà

E non si avvererà…

 

Ci fu un rumore improvviso alle mie spalle, e smisi subito di suonare. “Chi c’è?” dissi, senza ricevere risposta. “Miss Johnson, è lei?” continuai. Vidi una figura avvicinarsi verso di me da dietro le quinte, e mi spaventai nel non riconoscerla. “Sta’ lontano, o mi metto a urlare,” la minacciai.

La figura fece un altro passo avanti. “Non ti sembra di esagerare?” mi chiese, emergendo completamente dall’ombra.

Il mio cuore perse un colpo.

Era Jonathan.

Invece di corrergli incontro dicendogli che lo perdonavo con tutto il cuore, rimasi seduta sullo sgabello e fissando il ragazzo negli occhi. “Fammi indovinare… sei tu che hai detto a Billy di farmi venire qui, vero?”

Lui annuì: sembrava preoccupato e ansioso. “Non sapevo più come contattarti: a scuola non esistevo per te, a casa tua madre mi diceva sempre che non c’eri e non avevo il coraggio di venirti a trovare… ma Sally, devi capire che non ho detto quelle cose apposta. Angela mi aveva chiesto di andare a una festicciola a casa sua, dicendomi che mi avresti aspettato lì. Ovviamente tu non c’eri, ma prima ancora che potessi rendermene conto ero alla quinta lattina di birra e stavo dando fuori di matto. Loro hanno iniziato a stuzzicarmi su di te, e io… non so nemmeno io cosa ho detto, ma non penso delle cose belle, vista la tua reazione. Quando quel giorno abbiamo litigato, Angela è poi venuta da me e mi ha detto: ‘Te l’avevo detto, Jonathan, Hayek non è la ragazza giusta per te. Che ne dici di riprovare con una personalità diversa… tipo me?’ Si vedeva lontano un chilometro che aveva organizzato tutto per farci separare. Io le ho risposto che era una stronza bastarda, una vipera, la persona più subdola del mondo, che nemmeno da morto mi sarei fidanzato con una persona del genere. Lei è scoppiata a piangere e io me ne sono andato. Ti giuro Sally, non è passato giorno a cui non abbia pensato a come farmi perdonare.” Rise. “Sai, ho pensato mille volte a cosa ti avrei detto se fossi riuscito a rivederti… ma in questo momento ho le parole attaccate in gola con la colla.”

Sorrisi in modo dolce. “Penso che un semplice ‘scusa’ possa bastare.”

“Già.” Aspettò un momento, poi disse. “Scusa, Sally. Scusa se ti ho fatto stare male, scusa per le lacrime che hai versato, scusa per il tuo cuore infranto. Penso di aver finalmente capito di quanto tu sia importante per me. Mi perdoni?”

Lo fissai ancora negli occhi: non erano del colore del mare, ma del cielo più azzurro e limpido del mondo, un cielo senza nuvole, senza preoccupazioni all’orizzonte. Ma era anche un cielo carico di pioggia, che sarebbe potuto esplodere da un momento all’altro con la parola sbagliata. Mi alzai, mi avvicinai a Jonathan e lo abbracciai. “Ti perdono con tutto il cuore.”

Lui ricambiò l’abbraccio, e sentii le sue lacrime bagnarmi il viso. Quando si fu calmato, mi chiese con un sorrisetto: “Lo sai qual è uno dei diminutivi di Jonathan?”

Feci di no con la testa nel suo petto, anche se sospettavo la risposta.

Lui rimase un attimo in silenzio, poi disse: “Jack.”

Questa volta scoppiai io a piangere. Jack e Sally, l’amore perfetto che supera ogni ostacolo, ogni pericolo… il mio sogno di quando ero bambina, fidanzarmi con Jack Skeletron, si era finalmente realizzato. Tirai su col naso e chiesi a Jonathan: “Posso chiamarti Jack d’ora in poi?”

Rise. “Se ti fa piacere.”

Rimanemmo qualche minuto abbracciati, dondolando al ritmo di una musica silenziosa. Poi iniziai a cantare: “Hello there, the angel from my nightmare, the shadow in the background of the morgue, the unsuspecting victim of darkness in the valley. We can live like Jack and Sally if we want where you can always find me, and we’ll have Halloween on Christmas, and in the night we’ll wish this never ends, we’ll wish this never ends…

Jonathan cantò la seconda strofa, che parla di un ragazzo che vorrebbe chiedere scusa alla sua ragazza e che rimane sveglio tutta la notte a pensarla. Where are you? And I’m so sorry, I cannot sleep, I cannot dream tonight. I need somebody and always this sick strange darkness comes creeping on so haunting every time. And as I stared I counted the webs of all the spiders catching things and eating their insides, like indecision to call you and hear the voice of treason. Will you come home and stop this pain tonight? Stop this pain tonight…

 

Quel giorno, durante le prove generali, io e Jonathan eravamo tornati gli stessi di sempre, e la scena del bacio ebbe finalmente il romanticismo che meritava. Mentre andavamo via, la Johnson ci chiese: “Finalmente siete tornati ad essere un po’ romantici. Cosa vi è successo nell’ultima settimana?”

Io guardai Jonathan. “Solo un piccolo problema di coppia, ma niente di grave.” Gli diedi un bacio sulla guancia. “Niente potrebbe togliermi il mio Jack.”

Anche mia madre percepì la mia felicità appena entrai in casa. Quando la vidi in salotto, incontrai il suo sguardo e non ci furono bisogno di parole: mi buttai addosso a lei e la abbracciai mentre piangevo, stavolta, lacrime di felicità.

 

“Oddio, sono già tutti in sala!” esclamai io sbirciando dal sipario chiuso. Era la sera della prima ed eravamo lì a provare dalle quattro del pomeriggio, ma nessuno era ancora riuscito a superare l’ansia che ci divorava. Io avevo già indossato il mio costume e mi ero truccata, come tutti, ed adesso mi facevo rovinare dall’ansia. Jonathan cercava di mantenersi calmo, ma era ansioso tanto quanto me: fortunatamente i suoi cerchi neri intorno agli occhi erano stati fatti con un trucco a prova d’acqua, altrimenti avrebbe avuto delle lacrime nere sulle guance per il sudore. Passeggiava su e giù per il palco ripassando le battute; io mi avvicinai a lui e lo fermai. “Hai il pipistrellino tutto storto,” gli dissi, raddrizzandoglielo.

“‘Pipistrellino’?” mi chiese lui ridendo.

“L’ho sempre chiamato così. I farfallini sono a forma di farfalla, ma questo è a forma di pipistrello, quindi… pipistrellino.” Finii di sistemarglielo. “Fatto.”

Jonathan mi scostò una ciocca di capelli dagli occhi e mi baciò in fronte. Sorrisi e poi tornai a dare un’occhiata alla platea.

“Guarda, c’è mia mamma laggiù! Ci sono anche i tuoi genitori, Jonathan… non ci posso credere, c’è anche Angela! Non che abbia la faccia più felice del mondo, ad essere sincera.” Jonathan mi diede un colpetto sulla spalla per interrompere le mie frasi nervose. “Sally, tra poco iniziamo.”

“Oh, giusto.” Mi portai sul centro del palco, dove c’erano anche gli altri ragazzi, e misi la mia mano sopra le loro. Li guardai uno a uno: Billy, il nostro Bau Bau, infilato nel suo immenso sacco di tela; Mark, Susie e Joshua, che interpretavano Vado, Vedo e Prendo; Arianne e Julia, le due streghe, che mi avevano dato una mano con il costume ed altre cose; Sam, nella parte di Babbo Natale; e tutti gli altri. In quel momento sentii di appartenere a un gruppo, e che tutte quelle persone erano davvero mie amiche: non potei fare a meno di sorridere. Jonathan disse: “Al mio tre, ragazzi. Uno, due… tre!”

“MERDA, MERDA, MERDA!!” urlammo come portafortuna e poi ci spargemmo dietro le quinte e sul palco. Mentre sparivo dietro le quinte, feci l’occhiolino a Jonathan, che ricambiò con quel sorriso di cui mi ero innamorata.

Le luci sul palco si spensero.

Il pubblico si zittì.

Il sipario si aprì.

La magia iniziò.

 

Lo spettacolo filò liscio, liscissimo. Scoprii che mi piaceva stare sul palco e recitare nei panni di qualcun altro, e la mia Canzone di Sally ebbe l’effetto previsto: non c’era un occhio asciutto in tutta la platea. Ma il momento in cui mi emozionai di più fu il finale.

In teoria avrei dovuto essere su una collina coperta di neve, ma alla fine ero sempre sul palco, coperto da neve finta. Mi sedetti nella parte sinistra del palco e iniziai a fare m’ama non m’ama con un fiore. Smisi appena un secondo prima che Jonathan iniziasse a cantare e mi girai.

Mia cara amica dimmi se posso restare accanto a te. Tra quelle stelle leggo che…” Jonathan, il mio amato Jack, uscì dalle quinte a destra e camminò lentamente verso di me, mentre io mi alzavo sempre lentamente. Attaccai a cantare insieme a lui: “… il tuo destino, a me vicino, ha scelto noi, ed ora siamo qui…

Ormai io e Jonathan eravamo a qualche centimetro di distanza. Lui mi porse le mani e io misi le mie sopra le sua, mentre terminavamo di cantare: “… per sempre in due, così.”

E, mentre la musica sfumava, ci avvicinammo e ci baciammo appassionatamente, intensamente, come se al nostro posto ci fossero i veri Jack e Sally. Il pubblico applaudì, e solo quando tutti gli altri attori ci raggiunsero sul palco io e Jonathan ci staccammo. Salutammo il pubblico e ci inchinammo almeno cinque volte, poi una voce gridò: “Bis, bis, bis!” e tutti si unirono al coro. Presi il coraggio a due mani e dissi: “Volete il bis, gente? Eccolo a voi!” Afferrai Jonathan per il colletto della giacca e lo baciai di nuovo con tutte le mie forze, facendogli perdere il fiato mentre il pubblico continuava a delirare. Mi staccai da lui e gli sorrisi, abbracciandolo. Niente avrebbe potuto turbare la mia felicità. O almeno, non in quel momento.

 

The End.

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Evazick