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Autore: EffieSamadhi    22/11/2010    6 recensioni
“Danny, sono stata innamorata di te per un anno, e non te ne sei mai accorto.”
“Non è vero. Semplicemente non sapevo come fartelo capire.”
“Danny, come faccio a sapere che non consideri quella notte uno sbaglio?”
“Basta che tu me lo chieda.”
“Mentiresti.”
“Oh, Montana, vuoi smetterla di credere di sapere tutto di me? Sei irritante, quando fai così.”
“Andiamo, Danny. Se anche riuscissimo a mettere insieme una storia, per quanto credi che andrebbe avanti? Un paio di mesi? Un anno, al massimo?”
Danny sentì dei rumori confusi all’interno dell’appartamento. Probabilmente Lindsay stava calciando via le scarpe e stava mettendo via il cappotto. E lui se ne stava lì in corridoio come un cretino, con le mani appoggiate allo stipite della porta e i muscoli tesi. E quella domanda che gli si attorcigliava sulla lingua, in modo molto fastidioso… “Montana…”
“Che c’è?” ribatté lei, infastidita.
“E se fosse per sempre?”

[Sequel di "Nothing Compares To You"]Danny e Lindsay hanno finalmente fatto l'amore. Settimane dopo, arriva il momento di un confronto, dopo il quale tutto dovrà per forza cambiare.
Spero lo possiate gradire.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Danny Messer, Lindsay Monroe
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ahi, mi amor!'
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CSI: NY

New York, giorni nostri

 

            Lindsay stava andando al lavoro a piedi, come ogni mattina. Le cuffiette dell’mp3 erano al loro posto, e stavano contribuendo a farle iniziare bene la giornata. Lindsay era una vera e propria drogata di musica. Erano i Guns’n’Roses, quel mattino, ad imprimere ai suoi piedi il ritmo giusto. Nel bel mezzo di Sweet Child O’Mine, Lindsay si fermò, colta da una leggera fitta all’addome. Chiuse gli occhi e strinse i denti, mentre Slash continuava nel suo assolo. Quando si fu ripresa dalla crisi, Lindsay fermò la musica e si sfilò le cuffiette, riponendo tutto a casaccio nella borsa. Si passò una mano sulla fronte, cercando di asciugarsi il sudore. Non poteva andare avanti così. Non poteva continuare a vivere così. Doveva decidersi a scoprire la verità.

            Sull’ottantesima c’era una farmacia. Non era distante da lì. Poteva fare una piccola deviazione e arrivare al lavoro in orario. Usciva sempre con parecchio anticipo. Camminò spedita fino al negozio, ma giunta sulla porta indugiò per qualche secondo. Che cosa avrebbe pensato di lei, l’uomo dietro il bancone? Eccone un’altra che ha fatto sesso con un uomo a caso, e che ora si trova un regalino. Ma Danny non era ‘uno a caso’, e non avevano fatto soltanto del buon sesso. Quella notte di sette settimane prima si erano amati, e il fatto che lei lo evitasse da quel momento non cambiava le cose. Lei era innamorata di Danny, e molto probabilmente Danny era innamorato di lei, e avevano fatto quello che ci si aspetta che facciano due innamorati. Non avrebbe dovuto sentirsi giudicata, dopotutto non aveva niente di cui rimproverarsi, però…

            “Buongiorno. Che cosa posso fare per lei?”

            “Io vorrei… vorrei… vorrei delle informazioni sul vaccino antiinfluenzale.”

            Uscì dalla farmacia con un opuscolo idiota infilato nella borsa, e in netto ritardo per il lavoro.

 

*

 

            “Lindsay! Stavo per chiamarti, ero preoccupato.”

            “Scusa, Mac. C’era traffico.”

            “Già. I marciapiedi di New York possono essere davvero affollati, a volte” ribatté lui, osservandola con un sopracciglio alzato.

            Lindsay sospirò. Mac sapeva che andava sempre al lavoro a piedi. Tutti lo sapevano. “Scusa, mi sono fermata per sbrigare una commissione, e ci ho messo più del previsto.”

            “Vaccino antiinfluenzale?” osservò lui, indicando l’opuscolo che spuntava dalla sua borsa.

            “Oh, non credo lo farò. L’anno scorso sono stata piuttosto… comunque, mi parlavi di un nuovo caso?”

            Mac decise di non porre l’accento sul fatto che Lindsay stava cambiando discorso. “Sì, abbiamo una ragazza senza vita nel bel mezzo di Central Park. Vuoi occupartene tu?”

            “Certo.”

            “Avverto Flack, sta andando sul posto. Stella e Danny sono già lì.”

            “O-ok” balbettò Lindsay, cercando di nascondere il disagio. Se avesse saputo che Danny era stato assegnato al caso, avrebbe cercato in ogni modo di tirarsene fuori. E invece, c’era finita dentro fino al collo. “Prima di andare, posso… posso fare una telefonata?”

            “Certo. Dirò a Flack di aspettarti giù in garage.”

            Lindsay controllò di essere sola e si chiuse in bagno, poi compose il numero della dottoressa Walters. Aveva sgraffignato il suo biglietto da visita dal bancone della farmacia, in un momento di distrazione del farmacista. “Qui è lo studio della dottoressa Walters. Come posso aiutarla?”

            “Salve, io mi chiamo Lindsay Monroe. Vorrei prenotare una visita.”

            “Certo. Quando ha intenzione di venire?”

            “Questo pomeriggio, sarebbe possibile?”

            “La dottoressa è libera alle diciotto.”

            “Perfetto.”

            “Monroe, ha detto?”

            “Sì, è Monroe. Grazie, a stasera.”

            Lindsay chiuse la comunicazione e lasciò andare un sospiro, che nel vuoto del bagno sembrò rimbombare. Poi si alzò. Flack la aspettava in garage.

 

*

 

            Risolsero il caso entro quel pomeriggio. La ragazza era stata uccisa dall’ex fidanzato, geloso del fatto che si fosse rifatta una vita senza di lui, e l’aveva uccisa, lasciando però la scena piena di tracce e indizi. Lindsay finì di compilare il proprio rapporto e lo consegnò a Stella. “Ottimo lavoro, Lindsay, come sempre. Non so come faremmo, senza di te.”

            “Già” sospirò la ragazza.

            “Ehi, ti senti bene? Mi sembri pallida…”

            “No, è tutto ok. Accidenti, è tardi. Devo andare. Ho un…”

            “Tranquilla, non devi giustificarti con me” la rassicurò il detective Bonasera, sorridendole.

            Lindsay corse allo spogliatoio per prendere le proprie cose. Mentre richiudeva l’anta, una voce familiare la fece voltare. Danny, stranamente, l’aveva evitata per tutto il giorno, e ora se ne stava lì, in piedi a un metro da lei, e la guardava fisso. “Lindsay, possiamo parlare?”

            “Danny, sono… ehi, ma tu non mi chiami mai…”

            “Lo so” la interruppe lui, avvicinandosi un po’, senza staccarle gli occhi di dosso.

            “Danny, io devo andare.”

            “Prima parla con me. Che sta succedendo?”

            “Non… non capisco. A che cosa ti riferisci?”

            “Lo sai. A noi due. Da quando è successo non hai fatto altro che evitarmi.”

            “Danny, io sono un po’ confusa, e…”

            “Sono passati quasi due mesi, Lindsay.”

            “Danny, io non…” iniziò, per interrompersi quasi subito. Una fitta la colse all’improvviso, e un conseguente conato di vomito la sorprese. Non faticò a distinguere il proprio pranzo nella pozza verdastra che si era formata a terra. Una pozza che comprendeva anche le scarpe di Danny. “Scusa. Devo andare.”

 

*

 

            “La dottoressa Walters la riceverà tra pochi minuti” la rassicurò una voce, probabilmente la stessa che aveva sentito al telefono. Si trattava di una giovane ragazza afroamericana sui venticinque anni, con un pancione di almeno sette mesi. Lindsay fece correre lo sguardo lungo la sala d’attesa: tutte le donne sfoggiavano con orgoglio le loro pance, di diverse misure. Lei doveva sembrare dannatamente magra, in confronto a tutte loro.

            “Di quanti mesi è?” si sentì chiedere.

            “Oh, io non… io non sono sicura di essere incinta” rispose, voltandosi verso la donna con i capelli rossi che l’aveva interpellata.

            “Oh. Beh, io credo che lo sia. I suoi occhi hanno qualcosa di speciale. Brillano.”

            “Oh. Beh, grazie.”

            “Monroe” disse la receptionist. Lindsay sorrise e si alzò, camminando verso la dottoressa Walters, che sorrideva.

            “Dunque, Lindsay Monroe. Non l’ho mai vista da queste parti.”

            “E’ la prima volta che vengo qui. Ho preso il suo biglietto da visita da un’amica.”

            “Credo di sapere perché è qui. La prego, si tolga il maglioncino e si stenda sul lettino.”

            La voce di quella donna era maledettamente rassicurante. Le ricordava la voce di sua madre. Chissà com’era il Montana, in quel periodo. Lindsay si rilassò, mentre la dottoressa Walters le ungeva il ventre con il gel – era davvero freddo, non era una balla da film! – e iniziava a sondarla. Dopo alcuni interminabili secondi, la donna puntò l’indice contro il monitor. “Eccolo.”

            Lindsay si sollevò sui gomiti, fissando lo stesso punto. “Come?”

            “Quello è suo figlio.”

            Avvertì una strana sensazione di vuoto allo stomaco, e il desiderio di mettersi a piangere, ma non per la disperazione. Era felice. Era contenta. Era disorientata. Non riusciva a spiegarsi il perché di quegli stati d’animo così differenti tra loro. “Quel puntino…”

            “…diventerà un bambino. O una bambina.”

            Lindsay si ripulì, si rivestì e prenotò una visita per la settimana successiva. Poi iniziò a camminare verso casa sua, con le cuffiette dell’mp3 infilate nelle orecchie. La sola persona in grado di calmarla era Sarah McLachlan. Ascoltò Angel per dieci volte consecutive.

 

*

 

            Salì le scale come un automa, senza fissare altro che non fosse lo scalino successivo. I suoi passi erano attutiti dalla moquette, ma tanto non avrebbe comunque fatto caso al loro rumore. Stava per infilare la chiave nella serratura, quando si accorse che davanti alla porta del suo appartamento c’era qualcosa.

            “Danny! Che ci fai qui?”

            “Sono venuto a farmi risarcire. Ho dovuto buttare le scarpe.”

            “Scusa” balbettò Lindsay, rendendosi conto di avere ancora tra le mani la sua cartella clinica. La cartella clinica che conteneva le immagini della sua prima ecografia.

            “Montana, quella è una cartella clinica?”

            “Sì… no, è… di un’amica.”

            “C’è il tuo nome, sopra. Non stai bene?”

            “No, Danny, io… io sono solo molto stanca. Ci vediamo domani” tagliò corto lei, superandolo e infilando la chiave nella toppa.

            Approfittando di un attimo di distrazione, Danny le sottrasse il fascicolo e lo aprì. In un modo o nell’altro, avrebbe scoperto la verità su Lindsay. Lei, nel frattempo, aveva aperto la porta e si era voltata, cercando di riprendersi la cartella. “Danny, è una faccenda privata, e…”

            “No” la interruppe lui, alzando gli occhi azzurri su di lei. “Non è una faccenda privata. Qui dice che sei incinta.”

            “Danny, non…” iniziò lei, sentendo che le lacrime iniziavano a salire.

            “Lindsay, qui dice che sei incinta di sette settimane. Sette settimane fa è quando noi…”

            “Danny…”

            “Perché non me l’hai detto, Lindsay? Avevo il diritto di sapere che…”

            “L’ho scoperto solo stasera, Danny. E grazie per aver rovinato tutto!” Urlò le ultime parole, riprendendosi il fascicolo e chiudendo la porta con un colpo secco.

            Danny rimase in piedi dal lato sbagliato della porta, incredulo. Incredulo, sì, ma non arreso. “Perché non mi hai detto che stavi male, Montana? Perché mi eviti da quando siamo stati insieme? Pensavo che mi amassi!”

            “Danny, vai via.”

            “Non dici sul serio, Montana. Lo sai, non puoi mentirmi. Dimmi solo perché non hai voluto dirmi niente prima!”

            “Perché non sapevo come avresti reagito!”

            “E che cosa aspettavi? Che ti vedessi arrivare in ufficio con un neonato appeso al collo?”

            “Spiritoso” bisbigliò lei dall’altra parte della porta.

            “Ti ho sentita, Montana.”

            “Danny, sono stata innamorata di te per un anno, e non te ne sei mai accorto.”

            “Non è vero. Semplicemente non sapevo come fartelo capire.”

            “Danny, come faccio a sapere che non consideri quella notte uno sbaglio?”

            “Basta che tu me lo chieda.”

            “Mentiresti.”

            “Oh, Montana, vuoi smetterla di credere di sapere tutto di me? Sei irritante, quando fai così.”

            “Andiamo, Danny. Se anche riuscissimo a mettere insieme una storia, per quanto credi che andrebbe avanti? Un paio di mesi? Un anno, al massimo?”

            Danny sentì dei rumori confusi all’interno dell’appartamento. Probabilmente Lindsay stava calciando via le scarpe e stava mettendo via il cappotto. E lui se ne stava lì in corridoio come un cretino, con le mani appoggiate allo stipite della porta e i muscoli tesi. E quella domanda che gli si attorcigliava sulla lingua, in modo molto fastidioso… “Montana…”

            “Che c’è?” ribatté lei, infastidita.

            “E se fosse per sempre?”

            Lei non rispose.

            Lui non si mosse.

 

*

 

            La porta si aprì di scatto, senza preavviso, e Danny crollò come un sacco di patate. Lindsay strillò per lo spavento. “Danny! Che ci fai qui?”

            Il detective si stiracchiò, alzandosi. “Non aprivi e non mi rispondevi, così ho aspettato.” Gettò un’occhiata all’orologio: non riusciva a credere che fossero già le otto del mattino.

            “Danny, io…” iniziò lei, abbassando gli occhi.

            L’uomo la bloccò, appoggiando le mani sullo stipite della porta. “Montana, rispondi alla mia domanda.”

            “Quale domanda?”

            “Lo sai.”

            “Intendi…”

            Danny annuì. “Se non fosse solo per qualche mese? Se fosse per sempre?”

            “Danny, nessuno mi assicura che durerà per sempre. Potresti innamorarti di un’altra, e…”

            “Montana, negli ultimi due mesi mi hai trattato come non si tratta nemmeno un topo di fogna. Non mi hai parlato, non hai risposto alle mie chiamate, non mi hai mai nemmeno guardato… se fossi l’idiota che pensi, non ci avrei pensato due volte, prima di trovarmi qualche altra donna con cui passare il mio tempo. Ma ormai… ecco, Montana, io ormai ho scelto te.”

            Lindsay avvertì un peso allo stomaco. Il nodo alla gola si strinse. “Tu hai… cosa?”

“Io ho scelto te, Montana” sussurrò ancora lui, prima di baciarla.

Lindsay si staccò presto da lui. “Io non…” iniziò, prima di correre via.

            Dal bagno arrivò il rumore dello sciacquone. Danny entrò e si chiuse la porta alle spalle, sorridendo. In un modo o nell’altro, ce l’avrebbero fatta.

            Sarebbe durata per sempre.

   
 
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