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Autore: miseichan    22/11/2010    14 recensioni
Uno stronzo. Un avvocato cinico e spregiudicato. Un avvocato che non crede nella giustizia. Sempre lo stesso avvocato che odia il suo lavoro, la sua vita, il fatto che a trentatrè anni suonati è ancora single e vive come se ne avesse diciassette. Un avvocato a cui non brillano più gli occhi dorati. Chissà se un paio di occhi da cerbiatto umidi di lacrime non possano compiere un miracolo, riportandolo in qualche modo a vivere davvero.
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Cercavi giustizia, hai incontrato me

 

Host

 

 

 

Troppo.

Quando finalmente riuscii a riprendere i sensi, quello che sentii fu troppo.

Un ronzio ininterrotto nelle orecchie, un pulsare ritmico alle tempie. L’odore di sangue nell’aria.

E la cosa più fastidiosa era probabilmente la certezza che il sangue fosse il mio.

Impiegai diversi minuti a convincere il resto del mondo a fermarsi. Quindi, con tutte le difficoltà annesse, tentai di mettermi a sedere.

Una volta riuscitoci, mi ritrovai a dover discutere di nuovo con il mondo: ma perché non la smetteva di girare, porca miseria?!

Mugugnai, chiudendo gli occhi.

Perché tutte a me? Perché?!

Riaprendo lentamente le palpebre, lanciai un’occhiata prudente alla strada: deserta. Mancava poco alla fine dell’isolato e ancora meno al mio ufficio, eppure l’idea di camminare, in quel momento mi sembrava assurda. Lasciai che lo sguardo indugiasse sulle macchie rosse che imbrattavano la strada. Non erano ben visibili: rischiarate appena dalla luce del lampione alle mie spalle.

Erano però numerose macchie, il che significava tanto sangue.

E se quel sangue era mio, la domanda sorgeva naturale: perché non mi sentivo dilaniare dal dolore?

Incerto della mia stessa decisione mi alzai in piedi, le gambe divaricate e le mani sulle ginocchia, cercando di non sbilanciarmi e rimanere approssimativamente eretto. Avvertii chiaramente il pulsare alla testa che aumentava, mentre un dolore sordo allo stomaco si faceva sentire per la prima volta. C’era però qualcosa che non andava: il viso, ecco cosa.

Era come se fosse tutto sotto anestesia, il che non andava bene per niente.

Sollevai una mano, l’intenzione di sfiorare la prima zona sopra il collo, ma all’ultimo cambiai idea.

Meglio aspettare, decisi. Che fosse per codardia, per premura o per qualunque altra cosa.

Presi un bel respiro, il cervello che cominciava a carburare e m’incamminai.

Normalmente impiegavo poco più di cinque minuti a percorrere la distanza che mi separava dall’ultimo palazzo.

Normalmente quella stessa distanza la percorrevo in silenzio.

Non fu così.

Impiegai quasi venti minuti e non un solo secondo riuscii a godere il silenzio che mi avvolgeva.

Fra un inciampo e uno sbilanciamento, fra una pausa e l’altra, tutto quello che sentii fu una vocetta stridula e soddisfatta. Una vocetta orgogliosa, vincitrice.

Una vocetta che non faceva altro che rinfacciarmi i miei errori: dall’aver colpito Mike all’aver offerto un gelato a Bella. Errori, errori, nient’altro che errori.

E aveva ragione.

Non potevo che darle ragione. Annuivo fra me e me, concordavo, acconsentivo.

Quasi non mi accorsi di essere arrivato davanti al portone del palazzo: immerso in una penombra sconcertante, rischiai anzi di sbatterci contro. Quando vidi la maniglia tanto familiare fissarmi perplessa capii di aver raggiunto la mia meta. Misi solo un piede sullo scalino, le dita che frugavano nelle tasche alla ricerca disperata delle chiavi e fu per grazia divina che le trovai.

- Leggermente brillo, avvocato? -

Trasalii, colto alla sprovvista ed arretrai d’istinto, finendo con il battere la schiena contro il muro.

Mi accorsi solo in quel momento della figura seduta sullo scalino, poco lontano da me: non riuscivo a distinguerne i tratti, sapevo soltanto che non mi andava di parlare.

- Ha bisogno di una mano? -

La voce, non potei fare a meno di costatare, era senza alcun dubbio femminile: dolce, pacata, volutamente voluttuosa.

Non c’era alcun cenno di minaccia in quella voce, ma solo interesse, premura e sfida.

Scossi la testa, girando le chiavi nella toppa ed abbassando finalmente la maniglia.

Entrai nel palazzo, facendo per chiudere la porta ma la mano di lei me lo impedì, poggiandosi sul vetro e spingendo per aprire.

- Ho bisogno di parlare con lei, avvocato -

- Io invece non ne sento il bisogno, le assicuro –

Cercai ancora di chiudere, ma lei oppose resistenza.

- Per favore -

Supplica. Era come se mi stesse pregando. Lasciai andare la porta, stanco di spingere. Le forze che lentamente sembravano abbandonare il mio corpo.

Lei entrò, chiudendosela alle spalle.

Ancora stordito, iniziai a salire le scale. Quattro rampe, mi ripetevo: sono solo quattro rampe.

La porta dell’ufficio mi apparve dinanzi come un miraggio: sollevato all’idea di rientrare finalmente in un luogo sicuro, feci gli ultimi scalini con slancio.

Fu con impazienza che mi fiondai all’interno della stanza: le chiavi ancora in una mano e le dita strette attorno alla maniglia.

Una parte di me avrebbe voluto poter crollare a terra e baciare il pavimento.

Conscio solo vagamente della presenza alle mie spalle, lasciai la porta aperta dietro di me. Gettai le chiavi sul primo piano orizzontale e mi avviai verso il bagno, senza curarmi di accendere le luci.

Conoscevo quei luoghi a menadito, non avrei potuto sbagliare.

Con un calcio ben assestato aprii la porta del bagno, avvicinandomi cauto al lavandino.

Sempre senza accendere la luce mi guardai attorno, senza sapere cosa fare.

- Problemi? -

La voce proveniva dalla mia sinistra: con la coda dell’occhio individuai la ragazza poggiata allo stipite della porta e mi strinsi nelle spalle. Ignorandola, arrotolai le maniche della camicia fino ai gomiti e presi un bel respiro.

Il cuore in gola, le mani aggrappate al lavandino, accesi con un dito la luce sotto lo specchio.

La stanza si rischiarò lentamente, dandomi modo di vedere pian piano i tratti del viso che stentavo a riconoscere come mio.

Un fischio soffocato partì dalla mia indesiderata ospite.

- Sei messo proprio male – mormorò, la voce che si affievoliva.

Non risposi, limitandomi a guardare con sconcerto il mio volto riflesso nello specchio appannato.

Porca Eva, come mi avevano ridotto…

Un occhio violaceo e tumefatto, il labbro inferiore spaccato, lo zigomo gonfio e il naso sanguinante.

Come diavolo era possibile che non sentissi assolutamente niente dal collo in su?

Sconvolto, aprii il rubinetto dell’acqua fredda e la lasciai scorrere per qualche minuto. Sarebbe stato il caso di farmi vedere da un medico?

Sgranai gli occhi, il pensiero che andava a Carlisle senza neanche passare per il via: cosa avrebbe detto Carlisle? Trattenni il respiro, sentendo già nelle orecchie le urla che Esme avrebbe cacciato. No, non potevo assolutamente presentarmi da loro in questo stato.

Poco ma sicuro, avrei dovuto aspettare un bel po’.

Mi piegai sul lavandino, sciacquando per prime le mani. Le riempii di sapone alla vaniglia, il mio preferito, e ripetei l’operazione diverse volte, prima di trovare il coraggio di passare al viso.

Lo sciacquai lentamente, con attenzione. Cercai di togliere tutto il sangue, sia fresco che rappreso.

Impiegai più dieci minuti e fu con sollievo che sentii il volto riprendere sensibilità.

In quel momento la sensibilità equivaleva al dolore, ma era sicuramente meglio così.

- Cos’è, hanno cercato di rovinarle quella bella faccia d’angelo che si ritrova? -

 Afferrai l’asciugamano alle mie spalle e mi voltai verso di lei. Tamponandomi con prudenza, cercai di asciugarmi ed al tempo stesso di non toccare zone lese.

Mi sembrava impossibile: ogni punto che toccavo bruciava come se la stoffa fosse un tizzone ardente. Con una smorfia l’allontanai dal viso.

- Cosa vuole da me? – chiesi, frustrato e contrariato.

Non avevo più neanche il diritto di soffrire in santa pace, porca miseria!?

- Un lavoro -

Sgranai gli occhi, puntandoli immediatamente su di lei.

Avevo capito bene?

La osservai da capo a piedi, chiedendomi se le allucinazioni non fossero un effetto dovuto al recente pestaggio.

La figura slanciata ed esile, vestiti ricercati, lunghi capelli biondi e labbra carnose in un viso sottile e decisamente attraente.

Indugiai senza rendermene conto sulle curve della ragazza, furono poi le sue parole a riportarmi alla realtà.

- Mi sono laureata in legge – cominciò, fissando sicura gli occhi azzurri nei miei – Ciò che più desidero è diventare un avvocato. Lei è il migliore e lo sa bene -

Si fermò solo un attimo, le labbra che le tremavano.

- Voglio imparare da lei – sentenziò, un sorrisetto appena visibile sul volto teso e concentrato.

Sorrisi, incredulo a quelle parole, scuotendo impercettibilmente la testa.

- Non se ne parla -  dichiarai, la voce dura.

- Non deve pagarmi – sussurrò lei, il dubbio che le s’insinuava nello sguardo – Sarebbe solo un tirocinio –

Scossi la testa, mentre una fitta di dolore mi costringeva a serrare le labbra.

- Sono disposta a lavorare come segretaria, come assistente… quello che vuole – provò ancora lei.

Feci per dire qualcosa ma il sapore di sangue sulla lingua mi bloccò.

Con la coda dell’occhio mi osservai allo specchio: il labbro aveva ripreso a sanguinare.

Avvicinai titubante l’asciugamano alla bocca, timoroso di procurarmi soltanto nuovo dolore, quando la mano piccola ed elegante della ragazza mi fermò il polso.

Mi tolse il panno dalle mani, avvicinandosi e sollevandosi sulle punte per potermi guardare meglio.

- Ci penso io – sussurrò, il fiato che mi solleticava il mento.

Un sorriso appena accennato sulle labbra, mi tamponò il labbro senza che sentissi alcun dolore.

- Non mi sono presentata – disse, puntando gli occhi nei miei.

Non mi mossi, lasciando che mi poggiasse una mano sul braccio.

Si avvicinò ancora di un passo e poggiò le labbra sulla mia guancia, parlandomi nell’orecchio:

- Rosalie – bisbigliò, facendomi rabbrividire – Rosalie Hale -

Socchiusi gli occhi, la mente che si svuotava.

Non riuscivo a collegare i pensieri, a trattenerli… fuggivano via, infischiandosene di me.

Avrei dovuto capirlo che non era un bene, così come avrei dovuto accorgermi del rumore di una porta che veniva spalancata. 

 

*

 

 

Ed ecco il nuovo capitolo!

Dite la verità, sono stata veloce? ^^

 

Mmm… da dove comincio?

Per prima cosa vorrei ringraziarvi tutti ** Mi aspettavo di essere linciata e invece, ricevo più commenti di quanti ne abbia mai ricevuti *__*

Stavo per piangere, ragazze, lo sapete? Siete riuscite a farmi commuovere ^^

Ho risposto a tutte, come potete vedere o nella vostra posta o nella pagina recensioni, e devo ammettere che ringraziarvi all’infinito non sarebbe sufficiente. Siete state fantastiche, uniche, magnifiche!

Spero di risentirvi, di sapere cosa ne pensate, voi e i tanti altri lettori silenziosi =)

Ancora grazie e un bacione a tutti,

Sara

 

 

 

 

   
 
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