La
vanità è donna, dice l’adagio.
Giusto,
sacrosanta verità. Soprattutto in alcuni casi.
Peccato
però che, nella loro sconfinata sapienza, nella notte dei
tempi, i saggi che per
il bene dei posteri diedero origine ad utili proverbi e massime, non
avessero
previsto eccezioni al quadrato. Anzi, nel caso di Haruka e Michiru, la
vanità
non andava solo moltiplicata per sé stessa ed il suo
coefficiente d’impatto sul
prossimo, ma addirittura al cubo e con effetti entropici
sull’universo.
Invero,
se quei vegliardi giudiziosi si fossero posti l’assioma
riferendosi a loro due,
femmine non solo conviventi, ma ognuna regina nella sua categoria e
molto restia
a cedere lo scettro, di certo quel particolare proverbio sarebbe stato
un po’
più esplicativo.
Se
ci aggiungiamo poi che la natura malauguratamente, o fortunatamente se
la si
vuole vedere dal loro punto di vista, aveva provviste entrambe
d’un innegabile
eccellenza e quindi ad una preoccupante propensione nel darsi un sacco
d'arie, in
modi del tutto speculari giacché le particolarità
pavoneggianti dell’una e
dell’altra potevano innescare
processi
ineluttabili di distruzione, allora quei vecchietti senza dubbio
più che un
motto avrebbero suggerito ai loro progenitori di non moltiplicarsi o, a
limite,
di sopprimerle alla nascita. Se non altro per il bene
dell’umanità.
Ma
andiamo per ordine, giacché, per raccontare questa triste
vicenda, bisogna
specificare fin da subito che c’è
vanità e vanità. Per cui è bene
esplicitare
immediatamente che quelle di Haruka e Michiru erano assai differenti
tra loro.
La
violinista infatti era dotata d’un tipo di
altezzosità discreta, quasi
impalpabile e a tal punto naturale, da sembrare addirittura assente.
Come dire
che la maggior parte dei suoi interlocutori se ne lasciavano fuorviare
e che ai
più Michiru appariva talmente modesta e alla mano che
sarebbe stato addirittura
una calunnia delittuosa definirla piena di sé. Chiaramente
ciò avveniva perché quest’ultima,
bontà sua, poteva fregiarsi di una bellezza preraffaellita,
tipo madonna con e
senza bambino, e di modi tanto graziosi e delicati da rendere
invisibile agli
occhi ed alle orecchie altrui il suo alto tasso di boria.
Va
da sé che la Vanitosa Delicatessen, ceppo antropologico cui
Michiru apparteneva,
era
normalmente affetta da un bipolarismo alla dottor Jekyll e Mr Hide. Di
conseguenza, sua radicata e inoppugnabile convinzione era di non essere
per
niente fatua. Al
punto che, se la sua
consapevolezza di ciò fosse stata risvegliata, la cosa
avrebbe potuto minarne
seriamente la stabilità.
Quanto
ad Haruka invece, la sua anamnesi di primo acchito appariva assai
peggiore essendo
essa affetta da una sindrome di vanità aggressiva,
soprannominata dagli esperti
del settore con il nome di Sindrome da A.L.O. Ossia
l’Arroganza alla Lady Oscar, giacché se
non fosse stato per il capello corto e la millantata
identità maschile, Haruka sarebbe
stata la candidata ideale a portarne lo scettro di novella emula per il
nuovo
millennio. Ma, al di là delle mere somiglianze fisiche e
strutturali, nonché
della sua propensione a fare il gallo sulla mondezza sempre e comunque
ed
insidiare l’incorruttibilità delle fanciulle
più nobili, la presunzione della
bionda non era altro che il frutto di anni ed anni di complimenti e
lisciamenti
di penne gratuiti e addirittura pretesi. Tanto che, semmai ce ne avesse
avvertito mancanza, la pena fisiologica era una sequela di lamentele
infinite e
di bronci assai difficili da stemperare.
Lapalissiano
quindi che per lei, da sempre pasciutasi alle lusinghe altrui, rispetto
alla vanità
della sua compagna, veniva posseduta da una consapevolezza di
sé bella che
sveglia e che sarebbe molto meglio non mortificare. Altrimenti le
conseguenze non
sono solo sarebbero state uccelli per diabetici, ma addirittura pali
per i turchi.
E per coloro non ne capissero il velato senso, li si rimanda alle
famose
supposte dell’Anatolia, ovverosia quelle inoculate con tanta
delizia dal
Principe Vlad dei Carpazi agli ottomani invasori.
Data
questa necessaria premessa, ciò che di seguito
verrà narrato è la cruenta
tenzone che si scatenò tra Haruka e Michiru a causa dello
scontro titanico tra
le loro disfunzioni radicate.
Era
una giornata come tante e nell’appartamento
dell’amore miss Splendida
Splendente, da sempre convinta di essere fantastica, persino
mentre si toglieva i calli dai
piedoni, fissava sovrappensiero la sua bella intenta ad intrattenere il
presidente di una famosa associazione filantropica e la sua assistente.
Una
volta tanto un simile appuntamento non si svolgeva
nell’ufficio del suo
impresario ma tra le mura domestiche poiché Michiru, quando
si trattava di
beneficenza, tendeva ad essere molto meno formale.
Quanto
ad Haruka, si era attavolata con loro per forza di cose, non aveva
nulla da
fare ed era curiosa, e perciò sorbiva tranquilla il suo
caffè persa nei propri
pensieri. Ciononostante le era palese che i due pendevano letteralmente
dalle
labbra di Michiru e che la guardavano con tanta ammirazione che, una
volta
tanto, escludeva lei dal centro della scena. Quindi, visto che
generalmente
quand’erano insieme era lei l’accentratrice, lungi
dall’adontarsene, per il
momento tentò, stranamente, non di prenderla come
un’offesa al suo amor
proprio, quanto come un’occasione per valutarla con
disincanto, come se le
fosse estranea e quella fosse la prima volta che la vedesse.
“Bona.”
Fu il primo pensiero. “Eccitante.” Il successivo.
“Elegante”. Quello dopo. Poi,
tanto per non smentirsi pensò: “Culo di
marmo.” Ed era inevitabile, dal momento
che Michiru si alzò per prendere altro tè e le
diede la schiena.
E
non si stupì affatto della sua spassionata valutazione
perché, nonostante la
buriana dei primi mesi di passione si fosse leggermente sedata, ma non
tanto da
non darle addosso in qualsiasi momento e ambiente congeniale (dalla
casa al suo
camerino), Haruka non poteva non classificarla con quegli innegabili
termini.
Pure, al di là delle sue compiaciute stime, si disse che
normalmente Michiru
sembrava non dare peso alle sue pregevolezze. Se ne schermiva e
perlopiù le
faceva passare come se fossero banalità. Per la qual cosa,
seguitò a riflettere
la bionda, non senza una punta di stizza irragionevole, in lei
trovavano
terreno fertile tutti gli appaltatori di spettacoli filantropici, i
quali
spesso ne richiedevano la delicata presenza e superba prestazione per
sponsorizzare le loro opere.
“E
chissà”, si chiese fissando l’uomo che
le stava prospettando l’ennesima
esibizione, “se anche sta mummia imbiancata medita gli stessi
aggettivi.”
Indubbiamente,
calcolò, quando Michiru suonava le donazioni si elevavano di
pari passo con l’altezza
delle sue tette. Quindi, ne concluse ghignando, presa dalle sue
meditazioni e
perdendosi parte significativa della conversazione, il principio primo
della
democrazia doveva essere cambiato.
“La
maggiorata vince sempre!” Pensò e
sghignazzò silenziosa, valutando i seni a
coppa di champagne di fronte a lei. D’un tratto
però si accorse che tre coppie
d’occhi interrogativi la fissavano. Evidentemente ad un certo
punto, mentre era
in estatica contemplazione dei capitelli corinzi della sua donna e i
pensieri
le scivolavano in un mondo di piaceri e sconcezze, le avevano chiesto
qualcosa.
Ma cosa?
Diede
un colpetto di tosse per darsi un tono e con la solita faccia di bronzo
cercò
di pararsi le terga chiedendo: “In che senso?”
“Nel
senso”, fece l’anziano benefattore, ma non
abbastanza attempato, pensò Haruka
intercettandone lo sguardo, da non buttare di tanto in tanto
l’occhio al
decolté di Michiru, sebbene nel frattempo le si stesse
rivolgendo col tono che
si usa con i ritardati, “che se lei accettasse la nostra
proposta sarebbe un
bel gesto.”
“Proposta?
Quale Proposta?” Pensò mentre quello continuava ad
errare dalle parti della
scollatura con occhio da rapace. Così, per distoglierne
l’attenzione dalla sua
evidente ignoranza, ma soprattutto dallo scollo generoso di Michiru,
fece finta
di allungare le gambe e gli tirò un bel calcione sotto al
tavolo. Dopodiché,
chiedendo scusa per le sue lunghe ed impacciate estremità,
si rivolse con un
sorriso affascinante
all’assistente del tizio in cerca di ragguagli.
“Ma
di preciso che cosa mi si sta chiedendo di fare?” Chiese
inclinando la testa e
accompagnando il suo sorriso magico ad uno sguardo obliquo che, lo
sapeva
benissimo, faceva tremare gli elastici delle mutande a tutte le donne
dai nove
ai novant’anni.
“Basterebbe
la presenza.” Rispose quella con aria sognante, al che
Michiru, che già si stava
teletrasportando nelle fantasie della segretaria, la quale si stava
immaginando
nel suo triste ufficio, non più tanto mesto, posizionata a
sponda di scrivania
con Haruka che le faceva il servizio completo più gli
straordinari, troncò
bruscamente quel quadretto idilliaco sbottando seccamente:
“Beh ma che
significa? Mica può fare la bella statuina!”
Dettò
ciò e resasi conto di aver perso molto della sua dolce
apparenza,
opportunamente celò il mostro verde dietro una facciata
soave e continuò:
“Haruka al massimo potrebbe fare una comparsata, ma mi
dispiacerebbe molto se poi
che si sentisse del fuori luogo. In fondo non ha nulla per cui esibirsi
in quel
contesto.” Aggiunse con aria partecipe, ma lasciando
intendere a chi la
conosceva bene, che la cosa poco le garbava.
Errore,
imperdonabile sbaglio, giacché niente scatenava di
più in diavoletto bizzoso
che covava nei meandri tortuosi dell’indole iraconda di
Haruka.
Chi
si credeva di essere quella bamboccia per vietare qualcosa a lei?
Pensò infatti
molto più che impermalita. E d’accordo che non
sapeva affatto che accidenti
volessero quei due da lei e che in effetti al massimo poteva suonare i
piattini
in quel gotha di talenti musicali, ma
se
pure si fosse trattato di leggere in yiddish le istruzioni di una
friggitrice
ad un pubblico di scimpanzé, avrebbe accettato comunque. Per
quale ragione? Perché
la sua donna pensava di poterglielo proibire, minchia!
Quindi,
ignorando Michiru come se non avesse proferito parola,
guardò i due ed annuì
meditabonda. “Accetto.” Affermò
guardando sfidante Michiru, inconsapevole ancora
di cosa avrebbe fatto poi una volta sul palco e spalancando le porte di
quello
che poi sarebbe stato un inferno.
“In
fondo”, continuò sempre fissando di tralice a
Michiru, che la guardava
nascondendo a stento l’ira, “un evento che si
rispetti non può dirsi tale senza
di me. E poi“, proseguì senza pensarci proprio a
mitigare la presunzione delle
sue sparate, “se i protagonisti di questo spettacolo sono
esclusivamente
persone dalla indiscussa classe ed eleganza”, e qui
gratificò di un cenno la
violinista che per un momento, uno solo, credette che le si stesse
facendo un
complimento, salvo poi venire immediatamente smentita,
“qualsiasi
manifestazione di questo tipo alla lunga diventa una vera e propria
palla. Due
coglioni così! Accidenti, dopo un paio d’assolo a
base di musica da camera,
dormirebbero tutti e addio pingui donazioni!”
Detto
ciò, finalmente l’uomo si distrasse dai bon bon
magici di Michiru e capì
all’istante l’antifona. Certo non gli era del tutto
chiaro, ma qualcosa dentro
di lui intuì che Haruka si nutriva dell’altrui
attenzione così come i
pipistrelli vampiro delle pampas sudamericane, i quali necessitano
quotidianamente di una quantità di sangue pari al peso del
proprio corpo, sennò
le cellule del loro cervello muoiono. Indi comprese che, con la
presenza di un
simile fenomeno sul palco, quella maratona di bontà avrebbe
avuto una tale dose
di pepe da evitare qualsiasi collasso comatoso. Pertanto la
precettò entusiasta,
ignorando che a quella manovra Michiru ebbe un soprassalto visibile.
“Cooooosa?!?!?!”
Pensò infatti allibita. Dividere la con
quell’egocentrica?! Ma non se ne
parlava! Eppure continuò a sorridere serena a beneficio
degli astanti, i quali
mai avrebbero immaginato quanto le si stava scatenando a quella
prospettiva.
Già,
Michiru, anche se in maniera molto più subdola ed inconscia,
seguiva la medesima
dieta vampiresca di Haruka e di conseguenza esigeva le luci della
ribalta tutte
per sé. Ciononostante non poteva opporsi, pena perdere quel
suo disincanto tutto
acqua e sapone.
Quanto
ad Haruka, non se l’immaginava per niente, era del tutto
all'oscuro del bisogno
di Michiru di essere continuamente incensata. Ordunque, anche volendo
andare a
cercare il pelo nell’uovo, ma pure da qualche altra parte
trattandosi di loro
due, non poteva sapere ciò che le veniva debitamente
nascosto. Anche perché
Michiru asserendo di essere la meno petulante, ovvero
l’adulta della coppia, ne
faceva un vessillo da spiattellarle ad ogni occasione. Certo, dopo sei
mesi di
convivenza Haruka forse avrebbe potuto fare uno sforzo
d’immaginazione,
probabilmente avrebbe dovuto applicare quantomeno la sua profonda,
molto
profonda in alcuni casi, conoscenza dell’intimo femminile per
capirlo da sola.
E presumibilmente le si sarebbe fatto torto nel farglielo notare, anche
se, va
detto, un minimo di galanteria da parte sua sarebbe stata prassi. La
normalità
insomma.
Ma
visto che Haruka era Haruka, davanti ad uno stimolo muto ed indotto,
tipo una lingerie
nuova, o un differente french, un trucco più accurato, un
costume da bagno
tanto succinto da essere inesistente o uno spacco decisamente
vertiginoso,
preferiva che fosse l’arrapamento a parlare laddove un mare
di chiacchiere
perditempo non avrebbero reso altrettanto bene l’idea e
avrebbero posticipato la
calata in posizione orizzontale.
O
in piedi. O in ginocchio. O circense volendo, quando per una felice
coincidenza
si ritrovavano entrambe col medesimo pensierino dopo una lunga seduta
di
stretching in palestra o in piscina.
Comunque
sia Michiru, dacché aveva affidato il suo cuore, e non solo,
nelle grandi mani
di Haruka, aveva visto calare vertiginosamente la sua dose giornaliera
di
moine. Indubbiamente l’allenatore sbavava per lei, ogni
occasione era buona
infatti per prenderle la mano ed aiutarla ad uscire dalla vasca, per
non
parlare della faccia che faceva quando se la ritrovava davanti tutta
bagnata e
coperta solo dal sottile costume olimpionico. Stesso dicasi per i suoi
colleghi
orchestrali, fiori e cotillon abbondavano nel suo camerino e doveva
difendersi
da ogni sorta di serenata, romanticheria dandy e minacce di suicidio,
poiché la
vena fatalista dei suoi colleghi artisti era piuttosto accentuata. I
compagni
di studio poi facevano a gara per sederle vicino, per il brivido,
purtroppo
solo momentaneo, di poterne respirare il profumo e
d’osservarla da vicino.
E guai a camminare in strada, se c’era un
cantiere aperto veniva subissata di fischi e spesso gli operai addetti
alla
manutenzione delle fogne erano finiti a gambe all’aria nelle
chiuse dopo aver
avuto la visione fugace delle sue cosce.
Insomma
da questi, ai ragazzini che affollavano il metrò, su, su
fino ai demiurghi
delle vari filarmoniche con cui si esibiva, i quali nonostante i
capelli
bianchi e le mani tremule, viaggiavano ben forniti di viagra nella pia
speranza
di un suo gradevole assenso, tutti facevano a gara per dirle e
dimostrarle
quant’era bella, affascinante, incantevole e, in definitiva,
gnocca.
Ma
un conto è quando un complimento ti viene fatto da un
maniaco in tuta da
lavoro, divisa scolastica o frak, ben altro invece sarebbe stato se a
sussurrarlo fosse stata la voce suadente di colei che amava e che
magari in
quel momento se ne fosse stata addirittura in posa per lei. Magari
coperta solo
da un solo tralcio di vite come un novello Dioniso.
Ma
Haruka era Haruka e Michiru preferiva di gran lunga non fare una piega,
né lamentarsene,
perché ci aveva messo tanto ad accalappiarla e non voleva
che per una stupida
questione d’amor proprio tutto finisse a ramengo. Senza
contare che le dosi di
sesso selvaggio a cui si era rapidamente assuefatta avevano funto da
repellente
allo scontento. In fondo, si diceva china sul libro di fisica,
applicando quale
ripasso, ma anche come soprappiù, la regola del rasoio di
Occam, poteva essere lo
stesso ad ogni situazione no?
Perciò,
se a parità di soluzioni quella più semplice era
quella esatta, ne aveva
concluso che era molto meglio un orgasmo multiplo garantito,
anziché una lite
basata sulla mancanza di riguardo che caratterizzava Haruka. E per
questo
motivo le acque erano rimaste chete. Ma lo tsunami incarnato da
quell’ingaggio
stava cominciando a montare. Anche se, naturalmente, gli organizzatori
le avevano
assicurato che sarebbe stata la star assoluta della serata. Sebbene,
avessero chiosato
tra il suadente ed il ragionevole, visto che il nome di Haruka era di
primissimo piano come il suo e tale da attirare altrettanta gente, e di
conseguenza altrettanti cospicui fondi, che ne pensava se avesse fatto
da
presentatore alla serata? Loro
trovavano
che quella veste le calzasse a pennello.
Così
una si era elettrizzata e l’altra sdegnata, pur facendo finta
di nulla, ed alla
fine un’entusiasta Haruka aveva accettato e Michiru aveva
cominciato a
masticare amaro.
“Non
le basta fare la civetta con tutto il creato?” Ruminava notte
per notte man a
mano che il giorno del loro duetto si avvicinava. “Adesso
deve venire a fare la
zoccola anche nel mio territorio?!”
E
così fu che quando la famigerata sera giunse la
manifestazione Uniti per
l’Africa fin dalle prime battute prese a tramutarsi in
qualcosa di molto simile
ad una rissa verbale, intervallata da siparietti osé.
Ma
del resto né Haruka, né gli organizzatori, al
momento della stipula potevano
prevedere il macello che sarebbe successo a metterle nello stesso
pollaio, scatenando
la competizione tra l’ego mostruoso di Michiru e quello
altrettanto monumentale
di Haruka. Praticamente Gozzilla contro Gamera.
Così
fu che tutta azzimata, nel suo smoking più abbagliante,
Haruka si diede a
presentare quella serata di gala. Parlantina e verve non le mancavano,
spudoratezza meno che mai. Quindi il pubblico si divertì
moltissimo alle sue
battutine, agli intermezzi spassosi con i vari comici di grido con cui
duettò ed
al sensualissimo tango cui si diede con la vocalist dei Gotan Project
sulle
note di Differente, mentre Michiru dalle quinte faceva finta di provare
mentre in
realtà si rodeva il fegato.
“Se
non le toglie subito la mano dal culo giuro che le spacco il violino
sul muso!”
Pensò al culmine del ballo quando, per l’appunto,
la nostra, onde coreografare
correttamente quella danza sensuale, andava a porre alla cantante una
mano sulle
terga e l’altra ad afferrarle il viso per mimare un ardente
bacio seguito da un
altrettanto plateale casquet.
Va
detto che onestamente lo sbaciucchio più che simulato fu
autentico, ma Haruka
non se ne preoccupò, presa com’era
dall’ebbrezza del momento. E poi, in fondo,
c’erano solo qualche migliaio di persone
nell’auditorium, compresa Michiru, che
l’avevano vista, giusto? Mica tanti in fondo, senza contare
che era di dominio
pubblico la sua passione per quel ballo e per quel gruppo. Era andata a
tutti i
loro concerti su suolo nazionale sì o no? Era finita sui
giornali anche per
questo! E allora? Dov’era il problema??
Ah,
candida Haruka. Donna dalle verità lampanti e dalle
spiegazioni sempre logiche!
Doveva immaginarselo che sarebbe bastato questo ad aizzare
l’ira funesta della
pelide Michiru, non già figlia di Peleo, ma pelide in quanto
le si erano
rizzati tutti i peli dalla rabbia.
Eppure
fece di più, andò oltre, giacché,
quando fu il momento dell’esibizione della
sua amata si profuse per donarle la presentazione più
roboante e spettacolosa
possibile.
“Ed
ora ladies and gentleman, madame set messieurs, signore e
signori”, fece mentre
le luci della ribalta illuminavano lei sola, “ho
l’onore, nonché il piacere di
presentarvi un momento di assoluta
perfezione…” Volutamente qui si
fermò per prolungare fino allo spasmo
l’attesa e quindi continuò magniloquente,
“… un momento che in genere ho il
privilegio di gustare da sola, ma che stasera condivido con
voi… una grande
artista, una grande donna che viene ad offrirci la sua splendida arte
nonché la
sua affascinante persona... signori e signore, le vostre mani devono
darsele di
santa ragione per applaudirla… ecco a voi
Michiruuuuuuuuuuuuu
Kaioooooooooooohhhhh!”
Dopo
questo po’ po’ d’introduzione Michiru
fece il suo ingresso millantando modestia
e sorridendo sobria, quasi a voler contraltare il chiassoso cappello
fattole da
Haruka. Inoltre l’espressione soave ben le occorreva per
celare accuratamente
l’incazzatura che ancora le bruciava dentro per lo
spettacolino di poco prima.
Per cui, quando fu a portata d’orecchio della bionda,
simulò un sussurro grato
e le sibilò all’orecchio un troia di una potenza
tale, che se fosse stato una
pallottola avrebbe potuto stendere un elefante.
Haruka
a quell’appellativo ed al tono di foce furibondo con il quale
era stato
proferito, non perse un grammo di savoirfaire, ma anzi le sorrise
amorevole
davanti al pubblico e prese a riempirla di complimenti, piuttosto che
dare il
via all’esibizione mentre nella cabina di regia gli addetti
si disperavano e
quelli dell’impianto luci non sapevano che fare.
“Guardatela
tutti, quant’è incantevole.”
Cominciò a dire prendendole una mano e facendole
fare un volteggio perché gli astanti potessero rimirarsela
adeguatamente avanti
e indietro. “Non trovate che questo vestito esalti
viepiù la sua bellezza?”
Domandò retorica facendo scorrere una mano sul raso lucido
del peplo che
indossava. Poi prese un’espressione affranta guardandone
l’acconciatura dopodiché,
magnanima, attorcigliandosi una setosa ciocca attorno alle dita,
continuò:
“Peccato che con in capelli tirati su mi ricordi molto Marge
Simpson!”
Un
boato di risate coprì il “beccati
questo!” che le rifilò Haruka a quel punto,
ma Michiru era una donna che aveva molte frecce al suo arco.
“Prego
signori e signore”, fece dolce accostandosi al microfono
quando il fragore
dell’ilarità cominciò a scemare,
“vengo qui stasera a voi per una serata di
musica e magia. Il contrario, vi assicuro, di quel che mi tocca vivendo
con
questo bel tomo.” Fece ghignando e guardandola da sotto in su
con fare
valutativo, mentre il direttore di scena cercava di attirarne
l’attenzione
sbandierando come un disperato il copione. Anche perché
erano in diretta sul
canale nazionale.
Michiru
fece finta di non vederlo, indi girò attorno alla bionda
accarezzandole appena
le spalle e prese a decantare le beltà del suo uomo.
“Bell’oggetto per arredare
la casa, nevvero?” Chiese mentre in sala ricominciavano a
scrosciare le risate.
“Certo voi lo vedete qui stasera bardato a festa. Ma sapeste
che cosa avvilente
è tornare a casa e ritrovarmelo in salotto con le mutande di
lana, i calzini a
metà polpaccio che tristemente pesca da un ramen istantaneo
mentre l’aria è ammorbata
dalle sue ascelle pestilenziali!” Detto ciò
avvicinò l’impertinente nasino
all’insù alla zona incriminata e, per la delizia
del pubblico pagante, esclamò
in un sorpreso:” Accidenti amore, hai fatto la doccia per
l’occasione!”
Con
questo Michiru credeva di averla stesa, ma Haruka era pronta di spirito
e
soprattutto, durante la sortita della sua bella, le aveva giurato una
sanguinosa vendetta, tale da far impallidire Edmond Dantés.
Di
conseguenza, mentre ormai il regista si dava manifestamente a craniate
nel muro
e il direttore di produzione già si vedeva ad elemosinare
sotto i ponti,
sorrise divertita come se quello fosse stato un battibecco ben
orchestrato e
precedentemente concordato.
“Sapete
una cosa?” Fece portandosi sul bordo del palcoscenico e
dialogando col pubblico
come un consumato anchorman. “Michiru Kaioh è un
portento, ha un talento
innegabile, eppure lo coltiva assidua… sempre a solfeggiare,
notte e giorno…
giorno e notte… proprio stanotte sapete l’ho
sentita chiaramente, invece di
dormire stava solfeggiando… addirittura in bagno
pensate… tirava certi do di
petto che tremavano i vetri… accidenti, non lo sapevo che la
crema di fagioli
di miso facesse così bene alle corde vocali!”
Esclamò mentre gli uomini in
platea ridevano sguaiatamente e le signore ostentavano stupore
scandalizzato.
Per non parlare degli addetti tutti che se avessero potuto le avrebbero
fucilate sul posto.
Pure
gli alti papaveri della tv di stato ancora non le avevano censurate,
continuando a mandare in onda il tutto, giacché lo share
stava raggiungendo
delle vette mai viste prima. E
quando
Michiru si portò in avanti intenzionata a replicare e Haruka
gleil’impedì,
aggiungendo un’altra delle sue perle, “Le so fare
anch’io le serate di musica e
magia… infatti dopo che la trombo deve sparire!”,
improvvisamente le famiglie
che erano davanti alla tv videro comparire le vedute nazionali
accompagnate
dalla musica d’arpa de
"Le sonate
di clavicembalo" di Pietro Domenico Paradisi.
Sfortuna
questa che non toccò invece a quanti erano là, i
quali seguirono con pedissequo
interesse, nonché tanta partecipazione, le donne
parteggiando apertamente per
Michiru, gli uomini dichiaratamente per Haruka,
l’alterco colorito che ne seguì.
“A
chi fai sparire immondizia!?”
“A
te imbecille!”
“Perché
non te ne ritorni da quella zotica?!” Sbottò la
violinista puntando il dito in
direzione di Shanaya Yamamay che casualmente era seduta in prima fila.
“E
tu perché non torni da quella tirachiodi di tua
madre?!” Fece Haruka indicando
Sachiko Kaioh che era tornata da Vienna per l’occasione e
pentita assai tentava
di nascondersi sotto la calda coltre del suo visone. Ciò
comunque non le impedì
di vedere la sua leggiadra figliola scagliare il suo preziosissimo
Stradivari
in direzione di Haruka e quest’ultima afferrarlo al volo
perché non si
fracassasse. A questo punto il regista decise di rischiare il tutto per
tutto e
mandò in scena contemporaneamente il corpo di ballo della
delegazione francese,
che entrò a passo di carica mentre l’orchestra
suonava il Can Can, e il soprano
russo Yulia Michova vestita da Grimilde che proprio non sapeva che
cazzo fare
in quel casotto. Di più, con voce stridula attraverso
l’interfono comunicò a
tutti gli altri partecipanti di precipitarsi sulla ribalta,
perciò maghi,
equilibristi, il coro polifonico dell’abbazia benedettina di
Montecassino e
l’intero cast dei teatri Nō, Kyōgen e Takarazuka, tutte
vestite da maschi, si
precipitarono in scena finendo gli uni addosso agli altri provocando
una ressa
che presto degenerò in rissa.
Così
fu che le attrici otokoyaku cominciarono a scazzottarsi con i pii
confratelli,
mentre musumeyaku si presero ad unghiate e tirate di capelli con le
ballerine
francesi che mostravano loro il sedere in segno di disprezzo. Michiru
tirò
appresso ad Haruka tutti gli attrezzi dei giocolieri, facendole un
onorevole
occhio nero con una clavetta, mentre quest’ultima dal
cilindro del mago
continuava ad estrarre conigli e colombe che non le erano per nulla
utili al
contrattacco né la difesa. Intanto i funamboli nel caos
generale rischiarono di
strozzarsi con le loro funi e la cantante cominciò a
bestemmiare, con degli
acuti davvero pregevoli, nel dialetto natale di Minsk.
A
questo punto, disperato il regista fece chiudere il sipari, generando
così lo
sconcerto e la rabbia del pubblico pagante, che in quanto tale voleva
assistere
a quel grandioso spettacolo, che tracimò dalla platea fin
sulle tavole del
palcoscenico in una vera e propria invasione di campo. Vendette
represse e
ritorsioni a lungo covate all’interno dell’alta
società trovarono finalmente
sfogo in quel tumulto, famiglie appartenenti da generazioni alle caste
di
samurai e shogun se le suonarono di santa ragione in nome dei loro avi,
mentre
quelli che discendevano da i ronin fungevano da picchiatori liberi. In
quella
baraonda Michiru andò a caccia di Shanaya per cavarle
finalmente gli occhi,
mentre Haruka dovette difendersi da Sachiko che tentò di
strangolarla con il
suo collo di zibellino.
Il
programma in tv ebbe uno share altissimo, le donazioni fioccarono, ma
l’authority della decenza decretò dure condanne
per tutti coloro. Quanto ad
Haruka e Michiru furono condannate per direttissima a seicento ore di
lavoro
socialmente utile.
E
così, giorni dopo, se ne stavano in tuta da lavoro a
spazzare le strade. I
paparazzi ci andarono a nozze, i fan ne approfittarono per avvicinarle
e tra un
bidone d’umido e uno d’indifferrenziata trovarono
il modo anche di
riappacificarsi tra di loro dopo una settimana di gelo. Tanto, che
quando
arrivò la proposta di replicare il loro magnifico show in
concomitanza del natale,
Haruka non ebbe affatto bisogno di pensarci per declinare la gentile
offerta…
N.d.A.
Arieccomi
dopo una lunga latitanza, vi sono mancata? Azz chi è che mi
ha fatto una
pernacchia?! Scherzi a parte mi scuso, coprendomi il capo di cenere,
con quanti
seguono le avventure di queste due dementi per il tempo lungo per cui
le ho
trascurate. Non è stata una cosa volontaria ma, siccome
spero di esprimermi
sempre al mio meglio, laddove ho creduto di non esserne in grado, ho
preferito
attendere tempi migliori. Percò i mesi sono trascorsi e me
ne sono restata nel
mio antro. Spero tanto che questo ritorno sia gradito e che questa
nuova follia
lo sia altrettanto. Un grazie speciale a tutti quelli che mi seguono e
commentano. ;)
Aurelia