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Autore: Aurelia major    23/11/2010    5 recensioni
Stralci dalla teoria alla pratica, quando l’amor conteso, inseguito, ipotizzato e alla fine compiuto, si trasforma in convivenza. E la vita comune si sa, non è mai una passeggiata…
Genere: Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Haruka/Heles
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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La vanità è donna, dice l’adagio.

Giusto, sacrosanta verità. Soprattutto in alcuni casi.

Peccato però che, nella loro sconfinata sapienza, nella notte dei tempi, i saggi che per il bene dei posteri diedero origine ad utili proverbi e massime, non avessero previsto eccezioni al quadrato. Anzi, nel caso di Haruka e Michiru, la vanità non andava solo moltiplicata per sé stessa ed il suo coefficiente d’impatto sul prossimo, ma addirittura al cubo e con effetti entropici sull’universo.  

Invero, se quei vegliardi giudiziosi si fossero posti l’assioma riferendosi a loro due, femmine non solo conviventi, ma ognuna regina nella sua categoria e molto restia a cedere lo scettro, di certo quel particolare proverbio sarebbe stato un po’ più esplicativo.

Se ci aggiungiamo poi che la natura malauguratamente, o fortunatamente se la si vuole vedere dal loro punto di vista, aveva provviste entrambe d’un innegabile eccellenza e quindi ad una preoccupante propensione nel darsi un sacco d'arie, in modi del tutto speculari giacché le particolarità pavoneggianti dell’una e dell’altra potevano innescare  processi ineluttabili di distruzione, allora quei vecchietti senza dubbio più che un motto avrebbero suggerito ai loro progenitori di non moltiplicarsi o, a limite, di sopprimerle alla nascita. Se non altro per il bene dell’umanità.

Ma andiamo per ordine, giacché, per raccontare questa triste vicenda, bisogna specificare fin da subito che c’è vanità e vanità. Per cui è bene esplicitare immediatamente che quelle di Haruka e Michiru erano assai differenti tra loro.

La violinista infatti era dotata d’un tipo di altezzosità discreta, quasi impalpabile e a tal punto naturale, da sembrare addirittura assente. Come dire che la maggior parte dei suoi interlocutori se ne lasciavano fuorviare e che ai più Michiru appariva talmente modesta e alla mano che sarebbe stato addirittura una calunnia delittuosa definirla piena di sé. Chiaramente ciò avveniva perché quest’ultima, bontà sua, poteva fregiarsi di una bellezza preraffaellita, tipo madonna con e senza bambino, e di modi tanto graziosi e delicati da rendere invisibile agli occhi ed alle orecchie altrui il suo alto tasso di boria.

Va da sé che la Vanitosa Delicatessen, ceppo antropologico cui Michiru apparteneva,   era normalmente affetta da un bipolarismo alla dottor Jekyll e Mr Hide. Di conseguenza, sua radicata e inoppugnabile convinzione era di non essere per niente fatua.  Al punto che, se la sua consapevolezza di ciò fosse stata risvegliata, la cosa avrebbe potuto minarne seriamente la stabilità.  

Quanto ad Haruka invece, la sua anamnesi di primo acchito appariva assai peggiore essendo essa affetta da una sindrome di vanità aggressiva, soprannominata dagli esperti del settore con il nome di Sindrome da A.L.O.  Ossia l’Arroganza alla Lady Oscar, giacché se non fosse stato per il capello corto e la millantata identità maschile, Haruka sarebbe stata la candidata ideale a portarne lo scettro di novella emula per il nuovo millennio. Ma, al di là delle mere somiglianze fisiche e strutturali, nonché della sua propensione a fare il gallo sulla mondezza sempre e comunque ed insidiare l’incorruttibilità delle fanciulle più nobili, la presunzione della bionda non era altro che il frutto di anni ed anni di complimenti e lisciamenti di penne gratuiti e addirittura pretesi. Tanto che, semmai ce ne avesse avvertito mancanza, la pena fisiologica era una sequela di lamentele infinite e di bronci assai difficili da stemperare.

Lapalissiano quindi che per lei, da sempre pasciutasi alle lusinghe altrui, rispetto alla vanità della sua compagna, veniva posseduta da una consapevolezza di sé bella che sveglia e che sarebbe molto meglio non mortificare. Altrimenti le conseguenze non sono solo sarebbero state uccelli per diabetici, ma addirittura pali per i turchi. E per coloro non ne capissero il velato senso, li si rimanda alle famose supposte dell’Anatolia, ovverosia quelle inoculate con tanta delizia dal Principe Vlad dei Carpazi agli ottomani invasori.  

Data questa necessaria premessa, ciò che di seguito verrà narrato è la cruenta tenzone che si scatenò tra Haruka e Michiru a causa dello scontro titanico tra le loro disfunzioni radicate.

Era una giornata come tante e nell’appartamento dell’amore miss Splendida Splendente, da sempre convinta di essere fantastica,  persino mentre si toglieva i calli dai piedoni, fissava sovrappensiero la sua bella intenta ad intrattenere il presidente di una famosa associazione filantropica e la sua assistente.

Una volta tanto un simile appuntamento non si svolgeva nell’ufficio del suo impresario ma tra le mura domestiche poiché Michiru, quando si trattava di beneficenza, tendeva ad essere molto meno formale.

Quanto ad Haruka, si era attavolata con loro per forza di cose, non aveva nulla da fare ed era curiosa, e perciò sorbiva tranquilla il suo caffè persa nei propri pensieri. Ciononostante le era palese che i due pendevano letteralmente dalle labbra di Michiru e che la guardavano con tanta ammirazione che, una volta tanto, escludeva lei dal centro della scena. Quindi, visto che generalmente quand’erano insieme era lei l’accentratrice, lungi dall’adontarsene, per il momento tentò, stranamente, non di prenderla come un’offesa al suo amor proprio, quanto come un’occasione per valutarla con disincanto, come se le fosse estranea e quella fosse la prima volta che la vedesse.

“Bona.” Fu il primo pensiero. “Eccitante.” Il successivo. “Elegante”. Quello dopo. Poi, tanto per non smentirsi pensò: “Culo di marmo.” Ed era inevitabile, dal momento che Michiru si alzò per prendere altro tè e le diede la schiena.

E non si stupì affatto della sua spassionata valutazione perché, nonostante la buriana dei primi mesi di passione si fosse leggermente sedata, ma non tanto da non darle addosso in qualsiasi momento e ambiente congeniale (dalla casa al suo camerino), Haruka non poteva non classificarla con quegli innegabili termini. Pure, al di là delle sue compiaciute stime, si disse che normalmente Michiru sembrava non dare peso alle sue pregevolezze. Se ne schermiva e perlopiù le faceva passare come se fossero banalità. Per la qual cosa, seguitò a riflettere la bionda, non senza una punta di stizza irragionevole, in lei trovavano terreno fertile tutti gli appaltatori di spettacoli filantropici, i quali spesso ne richiedevano la delicata presenza e superba prestazione per sponsorizzare le loro opere.

“E chissà”, si chiese fissando l’uomo che le stava prospettando l’ennesima esibizione, “se anche sta mummia imbiancata medita gli stessi aggettivi.”

Indubbiamente, calcolò, quando Michiru suonava le donazioni si elevavano di pari passo con l’altezza delle sue tette. Quindi, ne concluse ghignando, presa dalle sue meditazioni e perdendosi parte significativa della conversazione, il principio primo della democrazia doveva essere cambiato.

“La maggiorata vince sempre!” Pensò e sghignazzò silenziosa, valutando i seni a coppa di champagne di fronte a lei. D’un tratto però si accorse che tre coppie d’occhi interrogativi la fissavano. Evidentemente ad un certo punto, mentre era in estatica contemplazione dei capitelli corinzi della sua donna e i pensieri le scivolavano in un mondo di piaceri e sconcezze, le avevano chiesto qualcosa. Ma cosa?

Diede un colpetto di tosse per darsi un tono e con la solita faccia di bronzo cercò di pararsi le terga chiedendo: “In che senso?”

“Nel senso”, fece l’anziano benefattore, ma non abbastanza attempato, pensò Haruka intercettandone lo sguardo, da non buttare di tanto in tanto l’occhio al decolté di Michiru, sebbene nel frattempo le si stesse rivolgendo col tono che si usa con i ritardati, “che se lei accettasse la nostra proposta sarebbe un bel gesto.”

“Proposta? Quale Proposta?” Pensò mentre quello continuava ad errare dalle parti della scollatura con occhio da rapace. Così, per distoglierne l’attenzione dalla sua evidente ignoranza, ma soprattutto dallo scollo generoso di Michiru, fece finta di allungare le gambe e gli tirò un bel calcione sotto al tavolo. Dopodiché, chiedendo scusa per le sue lunghe ed impacciate estremità, si  rivolse con un sorriso affascinante all’assistente del tizio in cerca di ragguagli.

“Ma di preciso che cosa mi si sta chiedendo di fare?” Chiese inclinando la testa e accompagnando il suo sorriso magico ad uno sguardo obliquo che, lo sapeva benissimo, faceva tremare gli elastici delle mutande a tutte le donne dai nove ai novant’anni.

“Basterebbe la presenza.” Rispose quella con aria sognante, al che Michiru, che già si stava teletrasportando nelle fantasie della segretaria, la quale si stava immaginando nel suo triste ufficio, non più tanto mesto, posizionata a sponda di scrivania con Haruka che le faceva il servizio completo più gli straordinari, troncò bruscamente quel quadretto idilliaco sbottando seccamente: “Beh ma che significa? Mica può fare la bella statuina!”

Dettò ciò e resasi conto di aver perso molto della sua dolce apparenza, opportunamente celò il mostro verde dietro una facciata soave e continuò: “Haruka al massimo potrebbe fare una comparsata, ma mi dispiacerebbe molto se poi che si sentisse del fuori luogo. In fondo non ha nulla per cui esibirsi in quel contesto.” Aggiunse con aria partecipe, ma lasciando intendere a chi la conosceva bene, che la cosa poco le garbava.

Errore, imperdonabile sbaglio, giacché niente scatenava di più in diavoletto bizzoso che covava nei meandri tortuosi dell’indole iraconda di Haruka.

Chi si credeva di essere quella bamboccia per vietare qualcosa a lei? Pensò infatti molto più che impermalita. E d’accordo che non sapeva affatto che accidenti volessero quei due da lei e che in effetti al massimo poteva suonare i piattini in quel gotha di talenti musicali,  ma se pure si fosse trattato di leggere in yiddish le istruzioni di una friggitrice ad un pubblico di scimpanzé, avrebbe accettato comunque. Per quale ragione? Perché la sua donna pensava di poterglielo proibire, minchia!

Quindi, ignorando Michiru come se non avesse proferito parola, guardò i due ed annuì meditabonda. “Accetto.” Affermò guardando sfidante Michiru, inconsapevole ancora di cosa avrebbe fatto poi una volta sul palco e spalancando le porte di quello che poi sarebbe stato un inferno.

“In fondo”, continuò sempre fissando di tralice a Michiru, che la guardava nascondendo a stento l’ira, “un evento che si rispetti non può dirsi tale senza di me. E poi“, proseguì senza pensarci proprio a mitigare la presunzione delle sue sparate, “se i protagonisti di questo spettacolo sono esclusivamente persone dalla indiscussa classe ed eleganza”, e qui gratificò di un cenno la violinista che per un momento, uno solo, credette che le si stesse facendo un complimento, salvo poi venire immediatamente smentita, “qualsiasi manifestazione di questo tipo alla lunga diventa una vera e propria palla. Due coglioni così! Accidenti, dopo un paio d’assolo a base di musica da camera, dormirebbero tutti e addio pingui donazioni!”

Detto ciò, finalmente l’uomo si distrasse dai bon bon magici di Michiru e capì all’istante l’antifona. Certo non gli era del tutto chiaro, ma qualcosa dentro di lui intuì che Haruka si nutriva dell’altrui attenzione così come i pipistrelli vampiro delle pampas sudamericane, i quali necessitano quotidianamente di una quantità di sangue pari al peso del proprio corpo, sennò le cellule del loro cervello muoiono. Indi comprese che, con la presenza di un simile fenomeno sul palco, quella maratona di bontà avrebbe avuto una tale dose di pepe da evitare qualsiasi collasso comatoso. Pertanto la precettò entusiasta, ignorando che a quella manovra Michiru ebbe un soprassalto visibile.

“Cooooosa?!?!?!” Pensò infatti allibita. Dividere la con quell’egocentrica?! Ma non se ne parlava! Eppure continuò a sorridere serena a beneficio degli astanti, i quali mai avrebbero immaginato quanto le si stava scatenando a quella prospettiva.

Già, Michiru, anche se in maniera molto più subdola ed inconscia, seguiva la medesima dieta vampiresca di Haruka e di conseguenza esigeva le luci della ribalta tutte per sé. Ciononostante non poteva opporsi, pena perdere quel suo disincanto tutto acqua e sapone.  

Quanto ad Haruka, non se l’immaginava per niente, era del tutto all'oscuro del bisogno di Michiru di essere continuamente incensata. Ordunque, anche volendo andare a cercare il pelo nell’uovo, ma pure da qualche altra parte trattandosi di loro due, non poteva sapere ciò che le veniva debitamente nascosto. Anche perché Michiru asserendo di essere la meno petulante, ovvero l’adulta della coppia, ne faceva un vessillo da spiattellarle ad ogni occasione. Certo, dopo sei mesi di convivenza Haruka forse avrebbe potuto fare uno sforzo d’immaginazione, probabilmente avrebbe dovuto applicare quantomeno la sua profonda, molto profonda in alcuni casi, conoscenza dell’intimo femminile per capirlo da sola. E presumibilmente le si sarebbe fatto torto nel farglielo notare, anche se, va detto, un minimo di galanteria da parte sua sarebbe stata prassi. La normalità insomma.

Ma visto che Haruka era Haruka, davanti ad uno stimolo muto ed indotto, tipo una lingerie nuova, o un differente french, un trucco più accurato, un costume da bagno tanto succinto da essere inesistente o uno spacco decisamente vertiginoso, preferiva che fosse l’arrapamento a parlare laddove un mare di chiacchiere perditempo non avrebbero reso altrettanto bene l’idea e avrebbero posticipato la calata in posizione orizzontale.

O in piedi. O in ginocchio. O circense volendo, quando per una felice coincidenza si ritrovavano entrambe col medesimo pensierino dopo una lunga seduta di stretching in palestra o in piscina.

Comunque sia Michiru, dacché aveva affidato il suo cuore, e non solo, nelle grandi mani di Haruka, aveva visto calare vertiginosamente la sua dose giornaliera di moine. Indubbiamente l’allenatore sbavava per lei, ogni occasione era buona infatti per prenderle la mano ed aiutarla ad uscire dalla vasca, per non parlare della faccia che faceva quando se la ritrovava davanti tutta bagnata e coperta solo dal sottile costume olimpionico. Stesso dicasi per i suoi colleghi orchestrali, fiori e cotillon abbondavano nel suo camerino e doveva difendersi da ogni sorta di serenata, romanticheria dandy e minacce di suicidio, poiché la vena fatalista dei suoi colleghi artisti era piuttosto accentuata. I compagni di studio poi facevano a gara per sederle vicino, per il brivido, purtroppo solo momentaneo, di poterne respirare il profumo e d’osservarla da vicino.  E guai a camminare in strada, se c’era un cantiere aperto veniva subissata di fischi e spesso gli operai addetti alla manutenzione delle fogne erano finiti a gambe all’aria nelle chiuse dopo aver avuto la visione fugace delle sue cosce.

Insomma da questi, ai ragazzini che affollavano il metrò, su, su fino ai demiurghi delle vari filarmoniche con cui si esibiva, i quali nonostante i capelli bianchi e le mani tremule, viaggiavano ben forniti di viagra nella pia speranza di un suo gradevole assenso, tutti facevano a gara per dirle e dimostrarle quant’era bella, affascinante, incantevole e, in definitiva, gnocca.

Ma un conto è quando un complimento ti viene fatto da un maniaco in tuta da lavoro, divisa scolastica o frak, ben altro invece sarebbe stato se a sussurrarlo fosse stata la voce suadente di colei che amava e che magari in quel momento se ne fosse stata addirittura in posa per lei. Magari coperta solo da un solo tralcio di vite come un novello Dioniso.

Ma Haruka era Haruka e Michiru preferiva di gran lunga non fare una piega, né lamentarsene, perché ci aveva messo tanto ad accalappiarla e non voleva che per una stupida questione d’amor proprio tutto finisse a ramengo. Senza contare che le dosi di sesso selvaggio a cui si era rapidamente assuefatta avevano funto da repellente allo scontento. In fondo, si diceva china sul libro di fisica, applicando quale ripasso, ma anche come soprappiù, la regola del rasoio di Occam, poteva essere lo stesso ad ogni situazione no?

Perciò, se a parità di soluzioni quella più semplice era quella esatta, ne aveva concluso che era molto meglio un orgasmo multiplo garantito, anziché una lite basata sulla mancanza di riguardo che caratterizzava Haruka. E per questo motivo le acque erano rimaste chete. Ma lo tsunami incarnato da quell’ingaggio stava cominciando a montare. Anche se, naturalmente, gli organizzatori le avevano assicurato che sarebbe stata la star assoluta della serata. Sebbene, avessero chiosato tra il suadente ed il ragionevole, visto che il nome di Haruka era di primissimo piano come il suo e tale da attirare altrettanta gente, e di conseguenza altrettanti cospicui fondi, che ne pensava se avesse fatto da presentatore alla serata?  Loro trovavano che quella veste le calzasse a pennello.

Così una si era elettrizzata e l’altra sdegnata, pur facendo finta di nulla, ed alla fine un’entusiasta Haruka aveva accettato e Michiru aveva cominciato a masticare amaro.

“Non le basta fare la civetta con tutto il creato?” Ruminava notte per notte man a mano che il giorno del loro duetto si avvicinava. “Adesso deve venire a fare la zoccola anche nel mio territorio?!”

E così fu che quando la famigerata sera giunse la manifestazione Uniti per l’Africa fin dalle prime battute prese a tramutarsi in qualcosa di molto simile ad una rissa verbale, intervallata da siparietti osé.  

Ma del resto né Haruka, né gli organizzatori, al momento della stipula potevano prevedere il macello che sarebbe successo a metterle nello stesso pollaio, scatenando la competizione tra l’ego mostruoso di Michiru e quello altrettanto monumentale di Haruka. Praticamente Gozzilla contro Gamera.  

Così fu che tutta azzimata, nel suo smoking più abbagliante, Haruka si diede a presentare quella serata di gala. Parlantina e verve non le mancavano, spudoratezza meno che mai. Quindi il pubblico si divertì moltissimo alle sue battutine, agli intermezzi spassosi con i vari comici di grido con cui duettò ed al sensualissimo tango cui si diede con la vocalist dei Gotan Project sulle note di Differente, mentre Michiru dalle quinte faceva finta di provare mentre in realtà si rodeva il fegato.

“Se non le toglie subito la mano dal culo giuro che le spacco il violino sul muso!” Pensò al culmine del ballo quando, per l’appunto, la nostra, onde coreografare correttamente quella danza sensuale, andava a porre alla cantante una mano sulle terga e l’altra ad afferrarle il viso per mimare un ardente bacio seguito da un altrettanto plateale casquet.

Va detto che onestamente lo sbaciucchio più che simulato fu autentico, ma Haruka non se ne preoccupò, presa com’era dall’ebbrezza del momento. E poi, in fondo, c’erano solo qualche migliaio di persone nell’auditorium, compresa Michiru, che l’avevano vista, giusto? Mica tanti in fondo, senza contare che era di dominio pubblico la sua passione per quel ballo e per quel gruppo. Era andata a tutti i loro concerti su suolo nazionale sì o no? Era finita sui giornali anche per questo! E allora? Dov’era il problema??

Ah, candida Haruka. Donna dalle verità lampanti e dalle spiegazioni sempre logiche! Doveva immaginarselo che sarebbe bastato questo ad aizzare l’ira funesta della pelide Michiru, non già figlia di Peleo, ma pelide in quanto le si erano rizzati tutti i peli dalla rabbia.

Eppure fece di più, andò oltre, giacché, quando fu il momento dell’esibizione della sua amata si profuse per donarle la presentazione più roboante e spettacolosa possibile.    

“Ed ora ladies and gentleman, madame set messieurs, signore e signori”, fece mentre le luci della ribalta illuminavano lei sola, “ho l’onore, nonché il piacere di presentarvi un momento di assoluta  perfezione…” Volutamente qui si fermò per prolungare fino allo spasmo l’attesa e quindi continuò magniloquente, “… un momento che in genere ho il privilegio di gustare da sola, ma che stasera condivido con voi… una grande artista, una grande donna che viene ad offrirci la sua splendida arte nonché la sua affascinante persona... signori e signore, le vostre mani devono darsele di santa ragione per applaudirla… ecco a voi Michiruuuuuuuuuuuuu Kaioooooooooooohhhhh!”

Dopo questo po’ po’ d’introduzione Michiru fece il suo ingresso millantando modestia e sorridendo sobria, quasi a voler contraltare il chiassoso cappello fattole da Haruka. Inoltre l’espressione soave ben le occorreva per celare accuratamente l’incazzatura che ancora le bruciava dentro per lo spettacolino di poco prima. Per cui, quando fu a portata d’orecchio della bionda, simulò un sussurro grato e le sibilò all’orecchio un troia di una potenza tale, che se fosse stato una pallottola avrebbe potuto stendere un elefante.

Haruka a quell’appellativo ed al tono di foce furibondo con il quale era stato proferito, non perse un grammo di savoirfaire, ma anzi le sorrise amorevole davanti al pubblico e prese a riempirla di complimenti, piuttosto che dare il via all’esibizione mentre nella cabina di regia gli addetti si disperavano e quelli dell’impianto luci non sapevano che fare.

“Guardatela tutti, quant’è incantevole.” Cominciò a dire prendendole una mano e facendole fare un volteggio perché gli astanti potessero rimirarsela adeguatamente avanti e indietro. “Non trovate che questo vestito esalti viepiù la sua bellezza?” Domandò retorica facendo scorrere una mano sul raso lucido del peplo che indossava. Poi prese un’espressione affranta guardandone l’acconciatura dopodiché, magnanima, attorcigliandosi una setosa ciocca attorno alle dita, continuò: “Peccato che con in capelli tirati su mi ricordi molto Marge Simpson!”

Un boato di risate coprì il “beccati questo!” che le rifilò Haruka a quel punto, ma Michiru era una donna che aveva molte frecce al suo arco.

“Prego signori e signore”, fece dolce accostandosi al microfono quando il fragore dell’ilarità cominciò a scemare, “vengo qui stasera a voi per una serata di musica e magia. Il contrario, vi assicuro, di quel che mi tocca vivendo con questo bel tomo.” Fece ghignando e guardandola da sotto in su con fare valutativo, mentre il direttore di scena cercava di attirarne l’attenzione sbandierando come un disperato il copione. Anche perché erano in diretta sul canale nazionale.

Michiru fece finta di non vederlo, indi girò attorno alla bionda accarezzandole appena le spalle e prese a decantare le beltà del suo uomo. “Bell’oggetto per arredare la casa, nevvero?” Chiese mentre in sala ricominciavano a scrosciare le risate. “Certo voi lo vedete qui stasera bardato a festa. Ma sapeste che cosa avvilente è tornare a casa e ritrovarmelo in salotto con le mutande di lana, i calzini a metà polpaccio che tristemente pesca da un ramen istantaneo mentre l’aria è ammorbata dalle sue ascelle pestilenziali!” Detto ciò avvicinò l’impertinente nasino all’insù alla zona incriminata e, per la delizia del pubblico pagante, esclamò in un sorpreso:” Accidenti amore, hai fatto la doccia per l’occasione!”

Con questo Michiru credeva di averla stesa, ma Haruka era pronta di spirito e soprattutto, durante la sortita della sua bella, le aveva giurato una sanguinosa vendetta, tale da far impallidire Edmond Dantés.    

Di conseguenza, mentre ormai il regista si dava manifestamente a craniate nel muro e il direttore di produzione già si vedeva ad elemosinare sotto i ponti, sorrise divertita come se quello fosse stato un battibecco ben orchestrato e precedentemente concordato.

“Sapete una cosa?” Fece portandosi sul bordo del palcoscenico e dialogando col pubblico come un consumato anchorman. “Michiru Kaioh è un portento, ha un talento innegabile, eppure lo coltiva assidua… sempre a solfeggiare, notte e giorno… giorno e notte… proprio stanotte sapete l’ho sentita chiaramente, invece di dormire stava solfeggiando… addirittura in bagno pensate… tirava certi do di petto che tremavano i vetri… accidenti, non lo sapevo che la crema di fagioli di miso facesse così bene alle corde vocali!” Esclamò mentre gli uomini in platea ridevano sguaiatamente e le signore ostentavano stupore scandalizzato. Per non parlare degli addetti tutti che se avessero potuto le avrebbero fucilate sul posto.

Pure gli alti papaveri della tv di stato ancora non le avevano censurate, continuando a mandare in onda il tutto, giacché lo share stava raggiungendo delle vette mai viste prima.  E quando Michiru si portò in avanti intenzionata a replicare e Haruka gleil’impedì, aggiungendo un’altra delle sue perle, “Le so fare anch’io le serate di musica e magia… infatti dopo che la trombo deve sparire!”, improvvisamente le famiglie che erano davanti alla tv videro comparire le vedute nazionali accompagnate dalla musica d’arpa  de "Le sonate di clavicembalo" di Pietro Domenico Paradisi.

Sfortuna questa che non toccò invece a quanti erano là, i quali seguirono con pedissequo interesse, nonché tanta partecipazione, le donne parteggiando apertamente per Michiru, gli uomini dichiaratamente per Haruka,  l’alterco colorito che ne seguì.

“A chi fai sparire immondizia!?”

“A te imbecille!”

“Perché non te ne ritorni da quella zotica?!” Sbottò la violinista puntando il dito in direzione di Shanaya Yamamay che casualmente era seduta in prima fila.

“E tu perché non torni da quella tirachiodi di tua madre?!” Fece Haruka indicando Sachiko Kaioh che era tornata da Vienna per l’occasione e pentita assai tentava di nascondersi sotto la calda coltre del suo visone. Ciò comunque non le impedì di vedere la sua leggiadra figliola scagliare il suo preziosissimo Stradivari in direzione di Haruka e quest’ultima afferrarlo al volo perché non si fracassasse. A questo punto il regista decise di rischiare il tutto per tutto e mandò in scena contemporaneamente il corpo di ballo della delegazione francese, che entrò a passo di carica mentre l’orchestra suonava il Can Can, e il soprano russo Yulia Michova vestita da Grimilde che proprio non sapeva che cazzo fare in quel casotto. Di più, con voce stridula attraverso l’interfono comunicò a tutti gli altri partecipanti di precipitarsi sulla ribalta, perciò maghi, equilibristi, il coro polifonico dell’abbazia benedettina di Montecassino e l’intero cast dei teatri Nō, Kyōgen e Takarazuka, tutte vestite da maschi, si precipitarono in scena finendo gli uni addosso agli altri provocando una ressa che presto degenerò in rissa.

Così fu che le attrici otokoyaku cominciarono a scazzottarsi con i pii confratelli, mentre musumeyaku si presero ad unghiate e tirate di capelli con le ballerine francesi che mostravano loro il sedere in segno di disprezzo. Michiru tirò appresso ad Haruka tutti gli attrezzi dei giocolieri, facendole un onorevole occhio nero con una clavetta, mentre quest’ultima dal cilindro del mago continuava ad estrarre conigli e colombe che non le erano per nulla utili al contrattacco né la difesa. Intanto i funamboli nel caos generale rischiarono di strozzarsi con le loro funi e la cantante cominciò a bestemmiare, con degli acuti davvero pregevoli, nel dialetto natale di Minsk.

A questo punto, disperato il regista fece chiudere il sipari, generando così lo sconcerto e la rabbia del pubblico pagante, che in quanto tale voleva assistere a quel grandioso spettacolo, che tracimò dalla platea fin sulle tavole del palcoscenico in una vera e propria invasione di campo. Vendette represse e ritorsioni a lungo covate all’interno dell’alta società trovarono finalmente sfogo in quel tumulto, famiglie appartenenti da generazioni alle caste di samurai e shogun se le suonarono di santa ragione in nome dei loro avi, mentre quelli che discendevano da i ronin fungevano da picchiatori liberi. In quella baraonda Michiru andò a caccia di Shanaya per cavarle finalmente gli occhi, mentre Haruka dovette difendersi da Sachiko che tentò di strangolarla con il suo collo di zibellino.

Il programma in tv ebbe uno share altissimo, le donazioni fioccarono, ma l’authority della decenza decretò dure condanne per tutti coloro. Quanto ad Haruka e Michiru furono condannate per direttissima a seicento ore di lavoro socialmente utile.

E così, giorni dopo, se ne stavano in tuta da lavoro a spazzare le strade. I paparazzi ci andarono a nozze, i fan ne approfittarono per avvicinarle e tra un bidone d’umido e uno d’indifferrenziata trovarono il modo anche di riappacificarsi tra di loro dopo una settimana di gelo. Tanto, che quando arrivò la proposta di replicare il loro magnifico show in concomitanza del natale, Haruka non ebbe affatto bisogno di pensarci per declinare la gentile offerta…

 

 

 

N.d.A.

Arieccomi dopo una lunga latitanza, vi sono mancata? Azz chi è che mi ha fatto una pernacchia?! Scherzi a parte mi scuso, coprendomi il capo di cenere, con quanti seguono le avventure di queste due dementi per il tempo lungo per cui le ho trascurate. Non è stata una cosa volontaria ma, siccome spero di esprimermi sempre al mio meglio, laddove ho creduto di non esserne in grado, ho preferito attendere tempi migliori. Percò i mesi sono trascorsi e me ne sono restata nel mio antro. Spero tanto che questo ritorno sia gradito e che questa nuova follia lo sia altrettanto. Un grazie speciale a tutti quelli che mi seguono e commentano. ;)

Aurelia

 

 

 

 

   
 
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