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Autore: Lady Asia_20    23/11/2010    1 recensioni
Toby è un ragazzo tranquillo, serio e responsabile, che vive ad Amandil, una cittadina del Canada, a ridosso del Lago Manitoba. Si divide tra la scuola, i suoi due amici di sempre, Cheveyo e Marc, il lavoro visto che all'improvviso si ritrova solo al mondo.. Sarà l'arrivo di Nicholas e Riley a sconvolgere la sua vita. Ma loro nascondono un segreto...che condizionerà inevitabilmente la vita di Toby..
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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L'angelo della notte - Cap 1

 

 

L’angelo della notte…

 

 

 

 

 

 

 

Prefazione.

 

 

 

Soltanto la processione senza fine dei giorni, dei mesi, degli anni.

Il mio maestro mi ha lasciato solo ad imparare la lezione più dolente,

che alla fine siamo soli, e non c'è nient'altro,

solo la fredda, buia e desolata eternità...

 

Erano i miei nemici…

Sapevo che un giorno avrei dovuto prendere delle scelte definitive…

E mi aspettavano giorni terribili, in cui il senso di colpa, il dolore, lo schifo che provavo per me stesso mi avrebbero attanagliato…

Avrei sempre dovuto scegliere tra quegli occhi verdi intensi come uno smeraldo, ma profondamente buoni e tristi e quelle iride nere come la notte, attraenti e crudeli come una lama che affonda sempre di più tra le carni lacerate…

Dentro mi sentivo morire, dentro sentivo il peso delle mie scelte e delle mie responsabilità..

Solo di una cosa ero consapevole…che prima o poi, avrei dovuto ucciderli entrambi…

 

 


















Capitolo uno.

 

 

Una stranissima sensazione svegliarsi la mattina e avere l’impressione che durante la notte, una mano estranea ha toccato il tuo viso, lasciando una strana sensazione sulla guancia. Una sensazione di freddo, di vuoto, di eternità che non avevo mai sentito prima d’ora. Sono…turbato, senza ombra di dubbio. Cerco di sollevarmi dal letto, facendo leva sulle braccia e mi tocco quella cascata di capelli riccioli che spesso mi inondano la fronte facendomi impazzire e cerco di razionalizzare.

Mi alzo dal letto, come un automa, gesti meccanici, sempre gli stessi. Raggiungo la finestra al piano superiore della mia villetta e guardo fuori. Quel lago immenso che sovrasta ogni cosa, di quel colore verde azzurro quasi accecante.

Intorno al Lago di Manitoba, nascono le leggende più inquietanti, più assurde che avessi mai potuto immaginare. Fino a quel momento, non avevo mai dato peso alle chiacchiere della mia famiglia, dei miei nonni. Ma da qualche tempo a questa parte, avevo cominciato ad avere delle strane sensazioni, delle strane percezioni. Come questa notte…avevo avuto l’impressione che una mano mi avesse toccato, realmente.. Guardai attorno, in cerca di qualche prova tangibile a quello che avevo percepito, ma nulla. Nella notte era piovuto e non un segno era rimasto impresso nel terreno perfetto.

Non troppo lontano da qui, nasce la piccola cittadina di Amandil, dotata di tutto il necessario per poter vivere tranquillamente una vita serena ed appagata. Conosco tutti qui, ci sono nato e cresciuto, la mia famiglia era rispettata e benvoluta in questa zona sperduta del Canada. Ma Amandil, nonostante fosse incontaminata e sperduta nella natura, sembrava avere segreti inconfessabili, avvenimenti che nessuno avrebbe mai potuto immaginare.

Il mio nome è Tobias, Tobias Cohen, vivo da solo da quando la mia famiglia, a poco a poco, si è spenta come un fiammifero lasciandomi quella casa come unico appoggio e sostentamento. Ho visto morire tutte le persone a me care, l’una dopo l’altra, per ultimi i miei adorati nonni che mi hanno sempre amato e cresciuto come il loro figlio. Nonostante la morte dei miei genitori, quando ancora ero molto piccolo, non potevo dire di essere stato infelice, i miei nonni paterni mi avevano dato tutto l’amore e l’affetto di cui erano stati capaci ed io, ero cresciuto forte e per quanto possibile sereno. Poi un anno fa, Meredith e Carlos si erano spenti anche loro, lasciandomi nel vuoto più assoluto. Adesso, non avevo più nessuno a cui appoggiarmi.

Mi chiedevo spesso perché i membri della mia famiglia, fossero morti così, l‘uno dopo l’altro nel susseguirsi di eventi che sembravano alquanto poco chiari. Non avevo idea di cosa fosse accaduto realmente, ma una parte di me, sentiva che tutto era fuori posto, che gli avvenimenti accaduti avessero una chiave di lettura diversa. Perché i miei nonni mi avevano istruito alle leggende che popolavano Amandil!?

Sorrisi lasciando che una parte della mia bocca si sollevasse in un ghigno divertito. Appoggiai le mani al davanzale e scrollai il capo con decisione mentre mi ripetevo che ero pazzo, stavo diventando enigmatico e criptico almeno quanto Carlos.

Abbandonai la finestra, cercando di riacquistare quella lucidità che finivo per perdere ogni volta che ripensavo al passato e scesi al piano inferiore agilmente, mentre con un gesto veloce accendevo la radio, sintonizzata sul mio canale preferito. Quella casa un tempo piena di voci, di allegria, sembrava un lontano ricordo, eppure, nonostante tutto, mi sembrava di percepire la presenza della mia numerosa famiglia accanto a me, come se la loro anima fosse ancora lì a seguirmi e a sostenermi.

Certamente la mia vita, si era complicata molto. Avevo perso un anno di scuola con la morte dei nonni, avevo dovuto trovare un lavoro che mi permettesse di mantenermi alle esigenze della vita e le nuove difficoltà sorte, mi avevano destabilizzato per molti mesi. Adesso, cominciavo a stare meglio, ma sapevo che avrei dovuto rinunciare a molte cose, non per ultimo alla possibilità di frequentare l’università che era esageratamente costosa per le mie esili condizioni economiche.

Sono le sette del mattino, fuori dalla vetrata che si apre sul lago di Manitoba, sta sorgendo il sole, con quel colore rosso chiaro che mi illumina la casa di un calore che non si sentiva più da mesi ormai. Il sole, per troppi mesi aveva ceduto il posto alla nebbia e alla neve, facendo diventare il lago un incontrastato lastrone di ghiaccio scintillante. Per quanto fossi fuori dal mondo, non potevo certo dire che quel posto non mi offrisse nulla, amavo la natura, gli animali e svegliarmi la mattina con un paesaggio nuovo ogni volta, mi faceva sentire bene. Avevo aspettato per molto tempo il sole ed adesso, si stava riflettendo sulle acque ancora fredde e mezze ghiacciate di quella immensa conca d’acqua.

Preparai velocemente la colazione, anche mangiare era diventato un lusso, presi la prima pentola che mi capitò sotto mano e feci cuocere due uova strapazzandole. Oggi era una giornata infernale, avevo bisogno di energia. La scuola era l’unico momento in cui potevo riposarmi un pò, ma successivamente avevo il turno lungo al pub e avrei finito stasera tardi.

Lavorare al pub, mi faceva guadagnare bene, Justin mi pagava in modo corretto le ore che facevo, inoltre mi diceva che attiravo le donne al locale e questo lo rendeva soddisfatto. Per quanto mi riguardava, odiavo essere l’esemplare da osservare e tutti quei volti girati mente passavo di lì, mi creavano solo un gran disagio. Ma dovevo lavorare, era necessario, quindi potevo passare sopra a certe cose.

Come al solito mi sedetti sul piano cottura, presi un piatto e versai la poltiglia di uova. Notai un pezzo di pane che sicuramente avevo dimenticato la sera prima e lo morsicai voracemente.  La casa era piacevolmente tiepida, anche se ero in maglietta e boxer non sentivo freddo, mi ero accomodato sul piano cottura, accanto la finestra e con tranquillità guardavo nascere quel nuovo giorno.

Lascia per un istante vagare la mia mente, poi tornai con i piedi per terra e notai che il tempo passava sempre troppo velocemente. Posai il piatto nella lavastoviglie. La richiusi e mi affrettai a salire di sopra dove una doccia bollente mi stava aspettando. Raccolsi tutta la biancheria che mi serviva e quella da lavare, poi andai in bagno mentre lasciai scorrere l’acqua in modo che si scaldasse. Quando voltai il viso, notai che il dopo barba che preferivo, era posato sul lavabo. Mi avvicinai lentamente, era da due giorni che non facevo la barba.. Ed ero certo che lo avevo rimesso al suo posto due giorni fa..

Sollevai il viso al cielo e cercai di ricordare meglio, ma ero troppo confuso per esserne certo. Alla fine, aggrottando le sopracciglia, rimisi al suo posto sulla mensolina la boccettina e cominciai lentamente a spogliarmi.

Cominciavo a non spiegarmi troppe cose qui ad Amandil.

Decisi di non farmi domande più del dovuto, sapevo che se avessi convinto la parte più impulsiva di me, avrei finito con entrare in una spirale che volevo evitare. Troppi misteri si agitavano tra le pieghe di quella apparente tranquilla cittadina e conoscendomi avrei finito col cacciarmi nei guai. Avevo per anni lasciato tacere la mia voglia di sapere, la mia curiosità su argomenti che i miei nonni non amavano affrontare chiedendomi apertamente di non farmi venire strane idee in testa. Non dovevo farlo adesso, ora che la mia via era già abbastanza complessa.

Mi lavai in fretta, mentre pensavo a quello che avrei affrontato in questa nuova settimana che iniziava. Per quanto amassi Amandil, mi rendevo conto che la mia vita, non era come quella di un normale ragazzo della mia età. Avevo diciannove anni, frequentavo scuola, lavoravo per mantenermi, uscivo raramente con gli amici, dovevo conservare una casa che a  momenti mi sembrava crollare in testa.

Persi la cognizione del tempo mentre feci meccanicamente tutti i gesti consecutivi al lavarmi. Mi asciugai, mi vestii velocemente e presa la borsa con i libri, mi precipitai al di fuori dell’abitazione, chiudendo l’uscio a chiave. Mi ritrovai fuori di casa alle prese con la ma jeep wrangler nera, che di prima mattina proprio non ne voleva sapere di partire senza scaldarsi un pò prima, peccato che non ero nelle condizioni di permettergli questo lusso oggi.

Subito feci una leggera retromarcia, poi a poco a poco superai lo sterrato, per arrivare sulla strada vera e propria. Sarei arrivato presto alla piccola cittadina di Amandil, tutta costruita in legno e dall’aspetto antico, affascinante, quanto misterioso e cupo per certi aspetti.

Nella nostra comunità vivevano anche una minoranza di Cheyenne, gli indiani nativi del Canada del nord, si erano inseriti perfettamente nella città, ormai da molti secoli, tanto che le nostre tradizioni si erano spesso confuse e mescolate con le loro pratiche. Si viveva in una strana e alquanto surreale armonia, non per niente uno dei miei più cari amici faceva parte della tribù indiana. Cheveyo, era uno dei miei più cari amici, ero cresciuto insieme a lui. Mio padre e suo padre, erano sempre stati molto uniti. Adahy, il padre di Cheveyo, mi considerava come un figlio e spesso insieme a sua moglie Yepa, mi ospitavano a casa loro per non lasciarmi troppo solo.

Faceva parte delle mie amicizie più strette anche Marc Mellory. I Mellory, erano molto influenti ad Amandil, infatti erano una delle famiglie più ricche di tutta la cittadina. Il padre di Marc era il proprietario della banca di città, ma lui, sembrava disprezzare quel mondo pieno di situazioni comode e facili. Parlavamo spesso insieme delle nostre vite e per quanto ne fossi stupito, Marc sembrava dannatamente attratto dalla mia vita e a quella di Cheveyo, seppure la nostra esistenza non avesse nulla di eccitante. Ogni cosa che facevamo era ottenuta con il sudore della nostra fatica, con il rimboccarsi delle maniche anche per avere un pezzo di pane in più. Forse era proprio questa voglia di cavarsela da soli, che rendeva la nostra vita così interessante agli occhi del nostro amico.

Quando imboccai la strada per entrare nel centro della cittadina, cominciai a sorridere per la buffa vita che quella gente conduceva, passata soprattutto a litigare per le cose più stupide. Appena entrato in città, già potevo notare la Signora Stuart litigare col fornaio, perché alla notte faceva troppo rumore. Oppure il Signor White inveire contro il cane del fruttivendolo perché aveva il vizio di appollaiarsi sul suo porticato e abbaiare tutto il giorno. Amandil era questo, una cittadina come tante altre, in cui le vecchiette ti osservano passare ed immediatamente la loro curiosità e il loro chiacchiericcio si concentrano su di te. Sanno tutto della tua vita, di quello che sei e vogliono anche avere la pretesa di sapere quello che sarai. Sorrido, mentre oltrepassando quelle vie conosciute a memoria, riconosco l’edificio grigio dove ho passato la maggior parte dei miei giorni in questi ultimi cinque anni. La Saint Andrew è l’unica scuola superiore della nostra città, nonostante questo funziona piuttosto bene. Gli insegnanti amano fare il loro lavoro e cercano di invogliarci come possono.

Posteggio al solito posto, vicino al vecchio furgoncino di Cheveyo che appena mi vede, mi corre incontro aspettando che scenda dall’auto.

-Ehi…ciao fratello..- mi dice Cheveyo raggiungendomi.. –Ti trovo bene…-

-Anche tu sei in forma oggi…- gli dico picchiandogli un pugno sul petto… -Allora!?-

-Cerco un pò di quiete..- mi dice sbuffando sonoramente.. –Non ne posso più…-

-Perché!?- gli chiedo preoccupandomi.. –Di nuovo problemi con i tuoi!?-

-Gli spiriti si stanno agitando…- mi dice grave… -Gli anziani dicono che sta arrivando qualcosa che non è per niente buono…-

-Che vuol dire!?- gli chiedo sorridendo…

-Quando gli spiriti si agitano, significa che sta arrivando un cambiamento…- mi dice Cheveyo grave… -Non solo per noi…per tutti…-

-Puoi spiegarmi per favore!?- gli chiedo con un sorriso enigmatico.. –Non capisco…-

-Non so che dirti di più…- mi spiega lui evasivo.. –Purtroppo non ci è permesso sapere tutto, ai capi clan viene raccontato ogni cosa, ma non a noi ragazzi… Dicono che siamo pericolosi e…pettegoli…-

-Su questo non ci piove…- gli dico ridendo.. –La prima cosa che hai fatto è stato spifferarlo a me infatti…-

-Smettila Toby…l’ho fatto perché mi fido…- dice lui rimproverandomi.. –Ma qualcosa di grosso sta succedendo.. E non sono per niente tranquillo…-

-Ok…scusami…- gli dico diventando serio.. –Sono stato insensibile.. senti Cheve, quante volte gli spiriti si sono sbagliati!? Potrebbe essere così anche questa volta…-

-Questa volta è diverso Toby…- mi dice lui puntando i suoi occhi dentro ai miei.. –è diverso…lo sento anche io qualcosa nell’aria di diverso… Qualcosa che non ho mai percepito fino ad ora…-

Cosa potevo dirgli!? Che questa notte anche io avevo percepito qualcosa di strano in casa mia?!

Quello era stato sicuramente un caso, frutto della mia immaginazione, ma era un dato di fatto che a volte ad Amandil erano accadute cose che non potevano avere spiegazioni del tutto razionali. La morte dei miei parenti ad esempio…sembrava sempre avvolta da un ombra, da qualcosa di misterioso che nel tempo forse mi era sempre stata nascosta.

-Cheve…Amandil è sempre stata misteriosa..- gli rispondo io.. –Se fossi in te non mi lascerei coinvolgere troppo…-

-Toby…tu non hai mai dubbi su quello che ti circonda…!?- mi chiede perforandomi con lo sguardo…

-Ho sempre avuto migliaia di domande a cui non avevo risposta..- gli rispondo evasivo.. –Ma se cercassi la verità, forse finirei per mettermi nei guai e la mia vita è già un casino così…-

-Arriva Marc…- mi dice Cheve inclinando il capo e terminando quel discorso all’improvviso..

Marc era un burlone, la vita non gli aveva mai fatto mancare nulla e la sua vita tranquilla e negli agi, aveva contribuito a renderlo un ragazzo estremamente solare e incline ai divertimenti, sempre e comunque.

-Ho clamorose novità…- disse sorridendo a abbracciandoci…

-Immagino..- disse Cheve alzando gli occhi al cielo..

-Questa volta è veramente una novità..- disse lui staccandosi da noi e parandosi davanti con la sua esile figura.. –Abbiamo visite in città…-

-Che tipo di visite..!?- gli chiedo alzando un sopracciglio…

-A quanto pare uno nuovo…- dice lui appoggiandosi alla macchina e accendendosi una sigaretta..

-Un nuovo studente!?- chiede Cheve non curante…

-Esatto…e a quanto pare, sembra essere proprio nella nostra classe…- dice Marc soddisfatto delle novità di cui si fa portavoce…

-Come sai tutte queste cose!?- gli chiedo con un ghigno…

-Le so da quando ho scoperto che le nonne me le devo fare amiche e non nemiche, rubandogli le uova dai pollai…- ride lui tranquillo..

Lentamente ci avviammo verso l’entrata, la campanella stava suonando e trascinai Cheve e Marc con me. Pensavo a questo nuovo arrivato, mi sembrava strano che qualcuno arrivasse proprio nel bel mezzo di un anno scolastico gia avviato da mesi, ma abbozzai e finì per assecondare Marc che continuava a parlare del suo nuovo feeling con le nonne di Amandil.

Marc rispetto a me e Cheve era un ragazzo esile, con capelli castani uguali agli occhi, piccoli e furbi. I suoi capelli sempre con una piccola cresta e ingellati, lo rendevano simile ai bulli di città, sempre perfetti e con i vestiti delle firme migliori. Ma nonostante questa parvenza, sicuramente di bel aspetto, Marc era altro, altro che però conoscevamo solo io e Cheve, i suoi migliori e unici amici. Spesso gli occhi di Marc sembravano quelli di un gatto, quasi indifeso, ma lui non era affatto innocente e casto. Amava divertirsi, spesso senza rendersi conto che nella sua voglia di evasione, finiva per ferire o danneggiare gli altri. Era un ragazzo un pò superficiale , ma era comunque buono con chi amava molto. Poco incline alle responsabilità forse, probabilmente solo per ripicca a suo padre che lo aveva cresciuto con un fardello di decisioni già prese per lui e per nome suo. Cheve invece era un ragazzo estremamente responsabile nonostante la sua età, probabilmente Marc non aveva combinato molti casini, perché la nostra influenza era sempre stata troppo potente. Avevamo un buon ascendente su di lui e non era un caso che i pasticci li combinava solo quando non eravamo insieme.

Cheve era fisicamente il più possente, anche se la mia struttura corporea si avvicinava alla sua più che a quella minuta di Marc. Era alto, robusto con dei muscoli evidentissimi e sporgenti. I suoi occhi erano grandi e neri come la pece esattamente come i suoi capelli. Aveva un sorriso coinvolgente, era un gigante buono Cheve, per me era come un fratello.

Quando entrammo in aula, notai che le ragazze erano in fermento. Secondo le voci il nuovo arrivato doveva essere un bellissimo ragazzo.

-Ehi amico…- mi disse Marc sorridendo… -Da quanto ho capito, sembrerebbe che il novellino sia qui per stroncarti il primato di ragazzo più corteggiato di Amandil…-

-Era ora…- dissi io ridendo.. –ero stanco di mietere vittime…-

-Smettila di fare il sarcastico Toby…- mi dice lui sedendosi sul mio banco… -Se io fossi stato al tuo posto mi sarei dato seriamente da fare…-

-Marc…per fare come tutti voi dovrei essere esattamente come voi…- dico con tatto… -Peccato che ogni volta che mangio devo stare attento al portafoglio e il più delle volte, è tanto se riesco a comprarmi un paio di pantaloni in più per non andare in mutande!!!-

-Credo che per le ragazze non sarebbe un problema vederti in mutande…- disse lui sorridendo malizioso…

-Sei un cretino…- dico ridendo, mentre vedo Desi osservarmi con ostinazione…

Desi è stata la mia prima ragazza. Era dolcissima, bellissima, ma….io non potevo dargli assolutamente nulla di quello che lei desiderava. Le ragazze della sua età amavano passare la giornata con il loro ragazzo, andare in vacanza con il loro ragazzo, magari fare gite fuori Amandil che io purtroppo non potevo permettermi. Stare con lei voleva dire chiedergli di rinunciare a tutto e non potevo permetterlo. Il fatto che la mia vita fosse caratterizzata da una rinuncia dopo l’altra, non voleva dire che il mio stato fungesse da condizionamento per gli altri. Le sorrisi debolmente mentre con il mio atteggiamento cercavo il modo migliore per non illuderla o ferirla. Lei mi piaceva davvero, ero stato davvero bene in quel periodo, quando lei mi stava vicino. Ma non poteva funzionare, forse perché…non mi ero innamorato o forse perché ultimamente ero troppo concentrato su di me, sul come sopravvivere per pensare ad altro.

-Mmm…- mi dice Cheve avvicinandosi al mio orecchio da dietro…. –Hai spezzato il cuore alla piccola Desi…-

-Mi spiace...lo sai…- gli dico voltandomi indietro mentre scrollo la testa in segno di diniego.. –Sai perché l’ho fatto..-

Lui mi osserva con serietà e sospira, Cheve non era del tutto d’accordo sulla mia decisione. Ma io non volevo essere un peso per nessuno, volevo che lei fosse libera di vivere la sua adolescenza come meglio poteva, senza rinunciare a nulla. Io non avevo potuto farlo e non che ne facessi una colpa ai miei nonni, ma….forse, in condizioni diverse, avrei voluto farlo.

Quando entrò il professore, ci voltammo tutti e prima che la classe potesse prendere a mormorare, dietro di lui un ragazzo sconosciuto prese posto affianco alla cattedra. Non so spiegare la sensazione che provai quando tra tanti volti, il suo sguardo si posò sul mio, senza alcuna motivazione apparente.

Era come se un freddo polare, pungente e affilato che si fosse impossessato di me. Aveva degli occhi color smeraldo meravigliosi, cosi espressivi, così intensi che mi sembrava di sprofondarvi dentro. Contornati da delle ciglia folte e scure, come i capelli che portava leggermente spettinati, non troppo corti. Non aveva abbandonato il mio sguardo finché il professore aveva preso a parlare. In quel momento sembrò risvegliarsi dal torpore e il suo viso indagatore, distogliendosi dal mio, mi procurò un senso di libertà non indifferente.

Il professore di italiano usava troppe parole e il più delle volte inutilmente, la sua proprietà di linguaggio era ben nota a tutti, ma adesso aveva un ulteriore soggetto a cui dimostrare le sue capacità intellettive. Le settimane a venire, sarebbero state un tormento nel sentirlo pavoneggiarsi della sua esilaranti conoscenze.

Cominciai a sentire mormorare le ragazze intorno a me, mi voltai verso Marc sorridendo e con sollievo mi lasciai scappare una piccola risata sommessa. Per il novellino si sarebbe aperto un periodo fatto di persecuzioni assurde, le ragazze di Amandil erano piuttosto passionali.

Il posto di Nicholas, così si chiamava, era proprio accanto al mio. Quando si avvicinò a me si limitò a sorridermi un pochino, ma non mi rivolse la parola mentre passandomi davanti metteva a posto le sue cose. Era indubbiamente bellissimo, di una bellezza quasi sconvolgente e surreale. Notai all’orecchio sinistro un orecchino con una forma assai singolare, una sorta di dragone, argentato e blu, piccolo e fine.

Quel ragazzo aveva un’aura di mistero intorno a lui che avrebbe incuriosito chiunque, anche io che ero poco incline a farmi trascinare. Sbirciai con la coda dell’occhio e trovai quel suo sguardo penetrante, voltato verso di me. Ma ancora una volta, non mi disse nulla, aprì leggermente la bocca e subito si voltò, immediatamente assillato da un gruppo di amiche di Desi che cercavano di ingraziarselo.

Sembrava un ragazzo gentile, educato. Non lo osservai più di tanto, seguire le lezioni era importante per me, mi consentiva di non dover passare troppo tempo sui libri. Ogni tanto sentivo le ragazze fare qualche domanda al nuovo venuto e provai un pò di tenerezza per lui, magari non  gliene interessava nemmeno una.

Notai più diffidenza da parte dei ragazzi, ma d’altronde non poteva che essere così. La competizione bruciava nelle loro vene e quel Nicholas, con quel suo modo di fare e la sua bellezza, aveva già attirato una buona parte delle ragazze dalla sua parte.

La mattinata era passata con velocità, tra poco tempo cominciava il mio turno al pub. Ovunque si ci voltava l’argomento principale era il nuovo arrivato dagli occhi smeraldo. I ragazzi già sputavano veleno abbondantemente e senza una buona motivazione, le ragazze  erano gia partite all’attacco con una santificazione imminente. Era abbastanza ridicolo. Non mi sarei mai voluto trovare nella sua situazione, in mezzo a due fuochi fatui pronti a divampare impetuosi.

Preparai la borsa e quando uscii dalla porta dell’aula, mi scontrai proprio con lui. Nicholas…

Ero soprappensiero, mentre controllavo di aver preso tutto e non essermi dimenticato nulla. Scontrai il suo braccio possente, mentre imbarazzato e dispiaciuto alzavo gli occhi per scusarmi.

Ancora, quel suo sguardo perforatore, quegli occhi che per un istante mi fecero dimenticare tutto quello che avevo attorno. 

-Scusami…- gli dico semplicemente.. –Sono sempre distratto…-

-No…non ti preoccupare…- non avevo fatto caso fino ad ora alla sua voce, così profonda, così ammaliante.. C’era qualcosa in quel ragazzo che non fosse attraente!? Benché non fossi una donna, potevo comprendere cosa a loro potesse piacere e quel ragazzo, sembrava possedere tutte le carte in regola per far impazzire le ragazze di Amandil.

-Beh…- gli dico io con leggera difficoltà.. –Arrivo complesso devo dire…-

-Beh…l’accoglienza non è stata proprio delle migliori, ma in fondo…- fa un sorriso leggero, enigmatico…

-Già…- sorrido annuendo.. –Assalito dalle ragazze e ignorato da buona parte dei ragazzi…-

-Ho provato a scambiare qualche chiacchiera ma…sembrano diffidenti..- mi dice con uno sguardo deciso…

-Dagli un pò di tempo..- dico sollevando le spalle.. –Soffrono della competizione ma….gli passerà…-

-Anche tu ci sei passato!?- mi chiede sorridendo..

-Ehm…- dico scrollando il capo… -Per me è stato un pò diverso…sono nato e cresciuto qui… Li conosco da una vita, sono stati un pò meno diffidenti…-

Sorride di gusto e per qualche istante mi osserva tranquillo, per poi guardare il lungo corridoio.

-Ora…io devo andare..- gli dico gentilmente..

Lui sorride timidamente, alzo la mano in segno di saluto e comincio a percorrere quel piccolo tratto di corridoio che mi divide dalla scale. Poi ripenso a Nicholas che percorre quelle stanze deserte, solo. Mi fa tenerezza…odio i processi di esclusione che si creano quando una persona nuova arriva in un posto dove non conosce nessuno. Mi volto indietro e lui è ancora lì, appoggiato alla parete.

-Nicholas…- dico con tono pacato.. –Se ti va, puoi stare con me e i miei amici… Sono sicuro che per loro non è un problema… Pensaci…-

-Grazie…- mi dice sorridendo e mettendo le mani in tasca… -Magari da domani sarà un giorno migliore..-

Gli sorrido un poco annuendo, non avevo compreso se il suo fosse un si o un no, ma almeno gli avevo proposto di entrare in contatto con qualcuno, volevo almeno provare a farlo sentire meno fuori luogo.

Non sapevo perché mi ritrovassi a fare questo, forse semplicemente perché se mi fossi trovato al suo posto, mi sarei sentito terribilmente solo ed era una bruttissima sensazione.

Mi ritrovai fuori nel cortile, l’aria era tiepida e mi sembrava quasi impossibile che i raggi del sole mi stessero accarezzando la pelle così dolcemente.

Alzai gli occhi al cielo, socchiudendo le palpebre.

Poi quella sensazione di essere osservati mi aveva preso alla sprovvista.

Voltai di scatto il mio viso alla foresta lì accanto, come se qualcosa dietro i cespugli o gli alberi mi stesse osservando con talmente avidità, da spogliarmi di tutto quello che avevo. Ero sicuro che dietro alla vegetazione non ci fosse nulla, gli animali non sarebbero mai riusciti ad essere così immobili, eppure qualcosa dentro mi rendeva inquieto. Cosa mi stava succedendo!?

Cercai di muovere qualche passo verso i fitti alberi, ma poi realizzai di essere completamente soggiogato dalla superstizione di Cheve e mi sentii totalmente stupido. Sorrisi tra di me e tornai verso l’auto che distava a pochi passi da me.

Cercai di tranquillizzare la parte più impulsiva di me, quella che mi spingeva a vedere sotterfugi e misteri fitti intorno a me, ma…sapevo che non era niente di reale. Tutte superstizioni che nel tempo i vecchi avevano cercato di inserire nella nostra storia, forse per renderla più interessante agli occhi dei turisti. E a quanto pare, con tempo io ero diventato influenzabile come tutti gli altri, peccato che non avevo alcuna intenzione di credere veramente a tutte quelle stupidaggini.

Arrivai perfettamente in orario al Pub di Justin, che appena mi vide mi disse di andarmi a cambiare velocemente, come al solito il locale era pieno. Mi infilai velocemente nella porta secondaria, quella che dava accesso alle cucine e trovai tutti i miei compagni di lavoro.

-Ehi Toby…- disse Mary la cameriera che mi aiutava a servire ai tavoli…

-Ciao Mary… Pienone!?- gli chiedo mentre velocemente mi lavo le mani e mi infilo il gilet nero della divisa…

-Come sempre…Justin è già incazzatissimo…- mi dice guardandomi con aria scocciata e correndo da una parte all’altra mentre cerca qualcosa…

-Perché!?- gli chiedo urlando dalla stanza attigua, mettendomi i jeans scuri che portavo per lavorare…

-Sembrerebbe che non trovi sua moglie…- mi dice con sguardo malizioso.. –E…insomma, sappiamo tutti com’è Stefy…-

Stefy….la moglie infedele di Justin. Lui l’aveva sposata per permettergli di avere il permesso di soggiorno, ma…era anche vero che era pazzo di lei. L’amava con tutto se stesso e la cosa peggiore era…che lei lo  sapeva.  Non riusciva ad essergli fedele e ogni volta, confessava i suoi tradimenti con disarmante sincerità. Non sapevo dire cosa potesse esser peggio per lui, avevo solo conosciuto un tipo d’amore, quello profondo e sincero, vissuto tra persone che si amavano davvero. In questo i miei genitori erano stati un esempio.

Justin era come un padre, da quando i miei nonni se n’erano andati a volte si prendeva cura di me, dandomi qualcosa da portare a casa per mangiare o lasciandomi consumare qualcosa al locale senza doverlo pagare. Si era affezionato a me e spesso mi parlava anche dei suoi problemi famigliari. Per me sarebbe stato impossibile vivere così, prima o poi sarei impazzito. Io, l’avrei lasciata libera di continuare a vivere la sua vita, quella che voleva.. Io avrei voluto accanto qualcuno che mi amava davvero.

-Lui dovrebbe fare solo una cosa…- dice John, l’aiuto cuoco, comparendo all’improvviso in cucina.. –sbatterla fuori di casa…-

-Lui non lo farebbe mai..- gli dico convinto…

-Beh…allora si vede che fare il cornuto gli piace…- dice Jennifer mentre raccoglie le pentole da lavare..

-Vorrei vedere voi se vi trovaste al suo posto..- dissi io cercando di comprendere Justin..

-Suvvia Toby…- mi dice Mary appoggiando la mano allo stipite della porta.. –Non si possono accettare certi atteggiamenti.. Quella si farebbe anche le gambe del tavolo se potesse e ti ha messo gli occhi addosso già da un pò.. Se fossi in te correrei ai ripari…-

-Non sono interessato a quel tipo di donna..- dico sorridendo e andando verso la sala principale..

Mentre percorro lo stretto corridoio vedo arrivare justin imbufalito. È davvero furioso, paonazzo in volto. Appena mi vede mi batte una pacca sulla spalla e poco dopo lo sento gridare, inveire in cucina accusando gli altri di battere la fiacca.

Quando arrivai buona parte della scuola era lì a pranzare. Mi affrettai a raggiungere il bancone, dove molti clienti aspettavano di avere il conto per andarsene.  Mike, il barman era impegnato a preparare le varie bevande e in sala scoppiava un continuo boato di proteste per chi ancora non era stato servito.

-Eccola la nostra speranza…- sentii urlare al tavolo più lontano.. –Toby abbiamo fameeeeee…-

-Purtroppo mi hanno fornito di due sole braccia e due sole gambe…- rispondo sorridendo.. –Un secondo di pazienza e sono da voi per le ordinazioni…-

Già comincia una giornata impossibile.. Justin dovrebbe decidersi una volta per tutte ad assumere più camerieri. Mary pur essendo brava è veramente di un lento allucinante e io avrei bisogno di un aiuto un pò più sostanziale. Cerco di togliermi dai casini, quando vedo entrare dalla porta principale del locale Nicholas.

Per qualche istante lo osservo, poi riprendo ad ascoltare le ordinazioni e controllo che tutti mi abbiano detto quello che desiderano. Si guarda un pò attorno, poi lo vedo sedersi al bancone mentre solo ordina qualcosa a Mike. Velocemente corro in cucina per dare le ultime richieste e ritorno nel salone, dove da una parte all’altra reclamavano la mia attenzione.

Ogni tanto buttavo un occhio su Nicholas e non so, mi sembrava incredibilmente solo. I suoi occhi non si erano distolti un secondo da quel bicchiere, dove albergava un liquido marroncino, ma non sembrava gradirne molto il sapore. Chissà cosa lo preoccupava così intensamente.

Dopo due ore di intense scorribande avanti e indietro, il locale si liberò quasi del tutto, tranne dei miei compagni di scuola che rimanevano lì quasi tutto il pomeriggio a giocare a bigliardo a studiare come se fossero in biblioteca, insomma, quel locale aveva un sacco di funzioni e Justin ne era sicuramente felice, visto i grandi introiti che ne ricavava. Quando fui sicuro che nessuno per il momento avesse bisogno di me, posai la spugna con cui avevo lavato tutti i tavoli e mi portai affianco a Nicholas, che stupito guardò lo sgabello accanto a se trascinarsi.

-Oh…- disse sorridendo… -Mi sembrava strano che qualcuno avesse il coraggio di avvicinarsi..-

-Tranne le ragazze…!?- chiedo ridendo…

-Già…- dice lui annuendo.. –Tranne le ragazze…-

-Mi spiace…- gli dico sinceramente.. 

-Perché!?- mi chiede confuso…

-Non si stanno comportando bene..- gli dico guardandoli sconcertato… -Insomma…potrebbero almeno invitarti con loro e provare a socializzare..-

-Potrei farlo anche io..- mi dice sorridendo..

-Nicholas è diverso…- gli dico con aria stupita.. –Se andassi là a proporti, ti sentiresti un ficcanaso o ancora peggio, un intruso che cerca di farsi spazio.. O sbaglio!?-

Lui mi sorrise abbassando lo sguardo, avevo fatto centro.

-Non mi hai ancora detto…- mi disse lui un pò in difficoltà… -Come ti chiami…-

-Mi spiace…- dico io sorridendo apertamente.. –Sono sempre di fretta e non mi sono presentato…Tobias Cohen… Ma qui mi conoscono come Toby..-

-Bene…- mi dice lui porgendomi la mano.. –Piacere di conoscerti Tobias…-

-Toby andrà bene…- gli dico gentile…

La sua mano era....fredda, molto fredda. Subito alla mente arrivò un’immagine sfocata, con così tanta potenza che mi provocò una vertigine assurda e una sensazione diversa dalle altre. Ma…non riuscivo a capire cose fosse. So solo che spalancai gli occhi, mentre un moto d’angoscia mi attraversava il petto. Mi appoggiai un poco al bancone, mentre Nicholas preoccupato si era alzato dalla sedia cercando di capire cosa avessi.

-Toby….stai bene!?- mi chiese aiutandomi a sedermi..

-Si….si….- gli dico sedendomi tranquillamente… -Sono solo stanco, dovrei dormire un pò di più…-

Lui si era riseduto davanti a me e aveva continuato a osservare il mio volto, che molto probabilmente a poco a poco stava riprendendo colore. Mi sentivo decisamente meglio dopo questo strano capogiro, così, quando arrivarono accanto a me Cheve e Marc, mi ero ripreso del tutto.

-Fratello…vedo che hai fatto amicizia…- disse Cheve sorridendo amichevolmente a Nicholas…

-Beh….qualcuno doveva pur farlo!!- dissi io pavoneggiandomi e ridendo…

-Toby è stato molto gentile, devo dire che non essere trattato come un alieno da qualcuno è stato piuttosto confortante…- rispose tranquillo Nicholas..

-Il mio nome è Cheveyo…- disse porgendo la mano al nuovo venuto…

-Piacere…il mio nome lo sapete già…- disse lui salutando cordialmente anche Marc…

-Comunque…devi  sapere che siamo un pò tutti dei lupi di mare..- disse Cheve dando una pacca a Marc.. –Siamo ragazzetti un pò stupidi, ma vedrai che superato l’impatto ti troverai bene ad Amandil…-

-Non ne dubito..- disse Marc sorridendo.. –Basta solo che le mie prede, rimangano mie..-

-Lo prometto…non vi sarò d’intralcio ragazzi…- disse lui sorridendo, quasi nascondesse un segreto che non potevamo comprendere…

-Eh…però hai già messo in ombra uno di noi..- disse Marc tirandomi una sberla sul collo..

-Perché!?- chiese lui alzando un sopracciglio confuso..

-Come perché!?- chiese Cheve alzandosi e prendendo il mio viso tra le mani.. –Lo vedi questo faccino da angioletto!?-

Lui sorridendo annuisce con la testa e come al solito mi punta quegli occhi assurdi sullo sguardo. Quasi riesce a ipnotizzarmi quando ha quel viso così tenero e indifeso. Distolgo gli occhi, dando una gomitata a Cheve che tossendo molla la presa.

-Beh insomma, hai di fronte l’unico ragazzo che abbia fatto impazzire tutte le donne di Amandil…- disse Cheve sghignazzando..

-Non ascoltarli…- gli dico io avvertendolo… -Non riescono a pensare lucidamente quando si tratta di ragazze…-

-Beh…non lo trovo così difficile…- risponde lui sorridendo.. –Toby ha le carte in regola per corteggiare una ragazza.. Poi anche fisicamente è messo bene…-

-Si ma ora tu…gli hai rotto le uova nel paniere…- risponde Marc parandosi dietro di lui e ridendo…

-Sono certo che non cambierà nulla..- disse Nicholas convinto…

-Ah no…- gli dico io prendendo il block notes e avviandomi verso il tavolo da dove mi chiamavano.. –Sentiti libero di agire come vuoi…non ho tempo per queste cose…-

Li lascio soli mentre ridono e scherzano come amici di vecchia data e mi sento felice, sereno perché se non altro mi sono sentito utile per qualcosa. Sapevo perfettamente che nonostante l’impatto, Cheve e Marc sarebbero stati felici di conoscere Nicholas e che non avrei incontrato un muro da parte loro. Erano due ragazzi straordinari, mi sentivo davvero onorato di averli affianco e sapevo che Nicholas si sarebbe sentito a suo agio.

Presi le ordinazioni e chiesi a Mike di aiutarmi con i cocktail che mi erano stati chiesti.

Cheve stava ridendo con Nicholas, mentre evidentemente gli stavano raccontando qualcosa di me. Lui rideva animatamente, mentre facevano finta di nulla quando mi voltavo verso di loro con sguardo interrogativo.

Sembrava trovarsi bene insieme a quei due mattacchioni, quindi non mi preoccupai più di tanto e lasciai che si conoscessero un pò, in modo che Nicholas potesse entrare agevolmente a far parte del gruppo se lo desiderava.

Decisi di raggiungerli poco dopo per capire se volevano qualcosa da mangiare o da bere.

-Allora…dopo esservi divertiti alle mie spalle..- dico incastrando il collo di Marc tra il mio petto e il mio braccio.. –Volete qualcosa!?-

-Cameriere…faccia il suo lavoro.. Mica l’abbiamo chiamata…- disse Cheve con aria irritante..

-Attento fratello..- gli dico sorridendo.. –Oh Toby diventa manesco…-

-Mi fai davvero paura Toby…- disse Cheve ridendo..

Mi sento reclamare da un gruppo di uomini seduti al tavolo da gioco e immediatamente li raggiungo.

Ritorno al bancone e mentre preparo le ordinazioni, avverto nuovamente quella sensazione che avevo sentito la notte precedente. Questa volta però sento una fitta lancinante, che sembra perforarmi il collo. Cerco di ingoiare la saliva, ma è come se la gola si fosse ghiacciata all’improvviso, come se qualcosa mi impedisse di respirare, di inghiottire. Subito mi aggrappo al marmo del bancone e cerco di respirare piano piano, per recuperare il controllo. Socchiudo gli occhi e a poco a poco, nonostante ancora presente sento attutirsi quella strana sensazione.

Quando mi volto per prendere una bicchiere e preparare la bevanda, davanti a me…vedo un ragazzo.

Non lo conoscevo…ero sicuro di non averlo mai visto. Mi scrutava profondamente, con ostinata presunzione, mentre i suoi occhi neri come la pece mi scombinavano la mente. Ero rimasto letteralmente ammutolito, mentre avevo quasi l’impressione di avere il suo volto a pochi centimetri dal mio. Invece la sua mano sorreggeva il viso perfettamente definito, mentre era comodamente seduto sullo sgabello e appoggiato al di là del bancone che ci divideva.

Lo osservai senza comprendere ancora per qualche istante…ero certo di non averlo mai visto, quindi di non conoscerlo. Essere guardato con così tanta insistenza mi metteva a disagio, se poi ero osservato con fare strafottente e con così sfacciataggine, il disagio diventava fastidio. Era assolutamente vietato essere scortesi con i clienti, quindi cercai il modo di interrompere quella scomoda situazione.

-Posso offrirle qualcosa!?- chiedo abbassando lo sguardo e continuando quello che avevo interrotto..

-Hai degli occhi davvero singolari…- mi dice serio, sfoggiando una voce attraente, roca, profonda… -Sembrano…così sofferenti…-

-Cosa le posso offrire!?- dico facendo finta di nulla…

-Occhi azzurri, che cambiano colore, diventano chiarissimi o blu scuri…- mi dice non perdendo un singolo gesto che compio.. –In più il contorno è sempre azzurro intenso…con lunghe ciglia folte e nere…-

Poso il bicchiere che ho in mano e mi appoggio sospirando alla lastra di marmo, per un pò mi limito a sorridere sollevando un lato della bocca, poi alzo lo sguardo e non accenno a lasciarlo finché non la smetterà di analizzarmi.

-Hai intenzione di analizzarmi ancora per molto..!?- gli chiedo con un sorriso sulla bocca, ma con tono poco accomodante..

-Per caso ti da fastidio!?- mi chiede appoggiandosi allo schienale dello sgabello con fare audace..

-Semplicemente non capisco perché mi stai scrutando…- gli chiedo con poco tatto…

-Forse perché…- mi dice avvicinandosi al viso.. –mi ricordi qualcuno!?-

Lo osservo alzando le sopracciglia, mentre voltandomi verso i miei amici, noto Cheve e Marc guardare lo sconosciuto con sospetto e Nicholas stranamente teso, allerta, mentre con una mano sul tavolo sfiora il legno antico e poco levigato. Ritorno al mio interlocutore, sorridendo e mantenendo la calma.

-Io non ti conosco…- gli dico chiaramente, quasi al limite della maleducazione..

-Le cose sono due allora..- mi dice con un sorriso smagliate… -O non ci siamo mai visti, o forse…te ne sei dimenticato…-

-Non dimentico tanto facilmente…- dico sorridendo.. –Ho buona memoria…-

-Allora…mi sbaglio con qualcun altro…- disse poco convinto…

-Probabile…- gli dico aspettando ancora la sua ordinazione…

-Quelli sono i tuoi amici!?- mi chiede accennando a Cheve, Marc e Nicholas al tavolo…

-C’è qualche problema!?- gli chiedo sorpreso…

-No…ma non hanno un aspetto accomodante…- sorride divertito.. –hanno tutta l’aria di volermi…incenerire…-

-Forse perché hanno notato che essere interrogato mi fa venire i nervi…- gli dico con un sorriso scocciato..

-Posso avere una birra!?- mi chiede con quel suo viso da provocatore..

-Certo…- gli rispondo mentre vedo Mary passarmi davanti…

La raggiungo un istante e gli chiedo di occuparsi del tavolo da gioco, erano tutti pronti gli aperitivi quindi poteva occuparsi di portarli dai clienti. Corro in cucina, dove teniamo la scorta di birre e prendo il cestello pieno, che avrei dovuto mettere a posto a breve.

Quando arrivo, quello strano e bellissimo ragazzo mi stava aspettando e guardava spesso verso il tavolo dei miei amici, dove loro erano tornati a ridere e scherzare. Avanzai tranquillo mentre posavo la scatola della birra ai miei piedi e cercavo nel frigo al di sotto, una bevanda fresca da servire al cliente. Quando la trovai mi alzai e feci per prendere un bicchiere in cui versarla.

-No…non ti disturbare oltre…- mi dice con un sorriso travolgente, troppo bello per essere reale.. –La berrò così, dalla bottiglia…-

-Perfetto..- gli dico annuendo…

-Ecco..- dice lanciandomi sul bancone una banconota per pagare il conto… -Tieni pure il resto come mancia…-

Si fece per allontanare quando si voltò su se stesso e camminando al contrario, mi guardò un ultima volta. Era stupefacente, talmente bello da mozzarti il fiato. Che si poteva dire di un ragazzo del genere, era semplicemente di una bellezza perfetta. Capelli scuri, occhi scuri che sembravano una notte senza stelle, quelle ciglia che mettevano in risalto le iridi quasi surreali da quanto sembravano fredde. Quella bocca piccola e piena che si piegava in un ghigno perfido e allo stesso tempo ammaliante. Il corpo statuario e perfettamente proporzionato, sicuramente leggermente più possente del mio.

Chi era!? Mi sentivo stranamente curioso…

-Dimenticavo…- mi disse quando oramai fu vicino alla porta… -Complimenti per gli occhi…-

Rimasi sconcertato. Quello mi stava prendendo in giro…o altrimenti non sapevo davvero cosa pensare.

Ritornai al bancone e ancora turbato, non so bene per quale motivo, ripensai a quei pochi istanti.

Continuai a preparare bevande che a intervalli regolari Mary mi chiedeva, poi vidi Nicholas raggiungermi.

-Tutto….ok!?- mi chiede con tono preoccupato…

-Si certo..- gli dico sorridendo…

-Quello…ti ha dato fastidio!?- mi chiede evasivo, con un sorriso tranquillo e divertito…

-No…probabilmente aveva solo voglia di divertirsi un pò…- gli rispondo con un sorriso… -Peccato che io non fossi proprio dell’umore adatto…-

-Non lo conosci!?- mi chiede non curante..

-Non ho idea di chi sia..- gli rispondo tranquillo… -Sono certo di non averlo mai visto…-

-Capisco..- risponde evasivo.. –Beh….adesso devo andare…-

-A domani allora…- dico mentre lo osservo andarsene…

-Ah…Nicholas!!- guardo Cheve raggiungere il nuovo membro del gruppo e sorridergli amichevolmente.. –Domani insieme agli altri abbiamo organizzato una serata in riva al lago… Mangiamo lì e balliamo, ci scateniamo.. Proprio vicino a casa di Toby.. Vieni con noi dai…-

-Va bene..- risponde lui annuendo… -A domani Cheveyo…-

-Ciao…- si sorridono, poi Nicholas scompare dalla porta…

Cheve mi raggiunge, mi chiede una birra e mentre se ne va, sorride.

-Mi piace quel tipo…- dice soddisfatto.. –Tranquillo, divertente… Andremo d’accordo…-

-Avevo solo qualche dubbio su Marc…- dico io mentre recupero la birra.. –Diamogli il tempo di sentirsi a suo agio e credo passeremo dei bei momenti insieme..-

Quella giornata era stata…come dire, surreale!?

Benché non fosse accaduto niente di particolare avvertivo uno strano peso opprimermi il corpo, la mente. Mi sentivo come schiacciato da qualcosa di troppo grande, di troppo potente perché potessi sollevarlo da solo.

Quando Nicholas mi era stato vicino, davanti a me era passata un’immagine, del tutto sfocata e che non avevo assolutamente riconosciuto o definito nei suoi contorni. Ma mi aveva lasciato un senso di oppressione dentro, che mi aveva accompagnato per tutto il giorno, anche la sera mentre stanco mi aggiravo tra i tavoli per servire i nuovi clienti del pub.

Quando finii il turno era tardissimo, avrei ancora dovuto terminare un paio di cose ma la mattina dopo avevo lezione e Justin decise di finire lui al posto mio, in modo che potessi riposarmi un poco. Salutai tutti, mentre ormai in cucina si stavano mettendo in ordine le stoviglie e raggiunsi velocemente la macchina parcheggiata lì affianco. Ero distrutto, ma cercavo di raggruppare più ore possibili di lavoro per mantenermi il meglio possibile. Questo significava…tanta fatica, qualche soldo in più in tasca per gli imprevisti, ma poco riposo e scarse ore di sonno.

Erano le tre del mattino. Esattamente tra quattro ore ricominciava una nuova giornata.

Arrivai a casa in pochissimo tempo, tutto era buio e silenzioso. C’erano solo le onde leggere che si muovevano lente contro la spiaggetta circostante. E la luna si specchiava tra quelle acque blu, con giochi di luce e scintillii meravigliosi.  

Decisi di entrare in casa, ma…il sonno era passato, non sentivo nemmeno un briciolo di stanchezza portarmi a chiudere gli occhi. Le palpebre non sembravano avere proprio voglia di chiudersi.

Guardare il lago mi rilassava sempre, osservare la vita che lo popolava mi faceva capire che al mondo, c’era chi  era solo come me ma….che nonostante tutto, avevo un mondo attorno e che prima o poi qualcuno sarebbe arrivato a riempirlo.

Cos’era quel vuoto che mi sentivo dentro ogni volta che entravo in quella casa!?

Sentivo morire una parte di me, sentivo ogni volta qualcosa pesarmi come un macigno. Mia madre mi mancava da morire, in questi casi, lei avrebbe saputo sicuramente cosa dirmi, come confortarmi. Decisi di sedermi al solito posto, sul piano cottura, quella grande mensola di legno in cui mia madre era solita posizionarsi ogni volta che papà partiva per un viaggio.

Toccare ogni singola parte di quella casa, era come ripercorrere anni di vite, di sentimenti, di emozioni, sentire l’anima dei miei antenati sorridere e gridare dentro di me. La nostra vecchia casa sul lago, era sorta secoli fa ed era stata mantenuta in piedi con amorevole cura dai miei predecessori, con ristrutturazioni, lavori per rimodernarla e per tenerla sempre al passo con i tempi. C’era sempre qualcosa che rimaneva intatto, quel profumo che voleva dire amore, quell’atmosfera di famiglia di affetto che mi avvolgeva.

Mi alzai improvvisamente dalla posizione in cui ero e mi diressi davanti a quella porta che non era mai più stata aperta. Quella porta che significava tutto. Quello stesso uscio che avrebbe significato riaprire un vecchio e doloroso capitolo della mia vita. E appesa lì, ancora intatta, quella coccarda nera a lutto.

In dodici anni, non era mai stata tolta. Mia nonna, Meredith, sembrava volerla vedere lì per alimentare un risentimento ed un odio che non comprendevo, che non capivo.

Quando, già adolescente, decisi che era venuto il momento di cambiare, di togliere il lutto, mia nonna me lo impedì. Avevo staccato la coccarda e chiavi alla mano, avevo deciso che sarei entrato, che avrei finalmente vissuto quella stanza che da quando erano morti i miei genitori, era rimasta intatta. Esattamente come loro l’avevano lasciata. Ma quella volta, il mio tentativo fu inutile. Mio nonno mi scoprì nella stanza e quando lo comunicò a Meredith, la chiave scomparì dalla circolazione improvvisamente.

Forse, fu proprio da lì che cominciai a farmi qualche domanda in più. Forse fu da lì che cominciai a chiedermi perché fino ai sei anni, la mia famiglia mi raccontava delle leggende di Amandil e dalla morte dei miei genitori, quelle storie fantastiche divennero un solo lontano ricordo, tanto che non ne ricordavo una con un senso logico.

Mi feci forza e sfiorai quella maniglia gelida, mai più impugnata in quei lunghi anni. Potevo ancora sentire le lacrime pungermi gli occhi ripensando al quel bambino terrorizzato tra le braccia di Meredith, stringersi all’unica luce di speranza che gli era rimasta.

Affondai lentamente la mano nell’impugnatura e lasciai che la porta cigolasse, per poi aprirsi lentamente, con estenuante calma, prima di scorgere quel letto a baldacchino di un bianco panna. Entrai lentamente, quasi avessi paura di invadere il loro sonno, di disturbare il loro riposo. Era passato troppo tempo da quando bambino entravo urlando in camera e buttandomi su di loro, sicuro che due braccia forti mi avrebbero accolto. Sospirai mentre la mano correva su quei mobili, su quel letto morbido e ancora profumato, che sapeva di lei e della sua dolcezza. Sulla seggiola a dondolo ancora la vestaglia di seta rosa che usava la notte per ripararsi dal freddo. La presi in mano e portandola al naso, respirai profondamente, sentendomi riempire i polmoni dell’affetto materno, quello vero e incondizionato.  

Cominciai a guardarmi intorno, aprendo i cassetti un pò ovunque, cercando un qualcosa che potessi tenere sempre con me, qualcosa che mi dicesse che facevano parte del mio essere.

Mentre rovistavo nei cassetti, all’improvviso trovai un gioiello.

Un gioiello strano, sembrava molto antico e sulla parte posteriore, era inciso quello che era il nostro stemma di famiglia. Una farfalla adagiata su un pugnale. Rivoltai quell’oggetto tra le mani più di una volte, sulla parte anteriore aveva una forma arrotondata, al suo interno una farfalla blu era perfettamente conservata in un liquido quasi denso. Doveva essere un’esemplare assai raro da quanto era bella, aveva le ali blu e i contorni neri, di una bellezza fine ed elegante. Era protetta da quel vetro, che la rendeva ancor più lucente e una catenella in ametista viola, le conferiva quasi l’aspetto di un talismano. Alzai gli occhi, guardandomi attorno.

C’era qualcosa che mi sfuggiva, io non avevo mai visto questo gioiello o forse, ero troppo piccolo per ricordarmene. Affondai le mani ancora nel cassetto, in cerca di altri articoli che mi potessero dare qualche spiegazione, ma non trovai nulla, niente che potesse dirmi che fosse quell’oggetto particolare.

Mi sentivo stranamente inquieto, era come se quel talismano avesse al suo interno energie negative che convergevano verso di me, che avevano la capacità di influire sul mio umore.

Sentivo la testa scoppiare e riconoscevo che tutti quei dubbi, quelle domande che cominciavo a pormi, non avevano alcun fondamento.

Non avevo alcun motivo di dubitare della mia famiglia, di credere che dietro ad essa si nascondessero dei segreti, eppure…mi sembrava che ci fossero troppi pezzi del puzzle che non tornavano. C’era un pezzo della mia vita, che sembrava avere buchi assurdi, come se la mia mente appositamente fosse riuscita a cancellare eventi o situazioni spiacevoli che mi avevano lasciato dentro un senso di angoscia.

Cos’erano!? Sembravano ricordi appesi a qualche evento particolare, che mi aveva sconvolto ma che nonostante tutto non riuscivo a ricordare, anche se ero ad un passo per entrarne in mezzo. Decisi di tenere con me il talismano e corsi via da quella stanza, trascinando con me quella porta scricchiolante.

Mi appoggiai alla soglia, mentre sentivo dietro la mia testa, la coccarda nera morbida accarezzarmi il capo. Raggiunsi velocemente la cucina , aprii l’acqua fredda e vi buttai sotto la testa…

Il gettito gelido mi fece quasi mancare il respiro, come se una lama mi avesse tagliato la testa a metà, ma a poco a poco, mi tranquillizzai e lasciai gocciolare i capelli mossi e fradici.

Quella sensazione angosciosa, di ricordi rimossi era scomparsa, non la sentivo più. Cercai di asciugare i capelli con l’asciugamano che avevo lì affianco, mentre quei riccioli ribelli, prendevano nuovamente posto naturalmente e scompostamente.

Mi adagiai di fronte al caminetto, mentre mi accovacciavo sul divano appallottolandomi su me stesso.

Respirai a fondo molte volte, cercando di riprendere un controllo che avevo perduto. I capelli umidi mi fecero tremare violentemente, quindi decisi di accendere il caminetto e mi procurai la legna necessaria.

Mi sedetti affianco al camino, in modo che potessi scaldarmi più velocemente e quando fu sufficiente mi avvolsi sulla coperta appoggiata al divano e mi appoggiai ad esso.

Non so, forse esausto e preoccupato, il sonno arrivò velocemente. Sentivo i sensi abbandonarmi e i nervi rilassarsi, mentre le mani stavano perdendo il contatto con quello che avevano attorno. Ben presto non sentii più nulla.

Non fu certo una notte tranquilla, dormii poco più di due ore e malissimo. Mi rigirai nel divano molte volte, sempre in un continuo dormi veglia, agitato e sconnesso.

E ancora una volta, percepii una presenza attorno a me. Forse era il momento in cui dormivo più profondamente, ma sentii distintamente una mano sfiorarmi il mento e toccarmi leggermente le labbra. Mi mossi un poco, ma non appena realizzai che qualcuno poteva essere lì realmente, mi agitai nel sofà, alzandomi velocemente ancora con gli occhi impastanti nel sonno. Mi guardai attorno velocemente per capire quello che stava accadendo, ma di nuovo, nulla.. Non c’era alcun segno di presenze umane nella stanza, le vetrate erano chiuse, intorno a me niente faceva presupporre una intrusione a scopo di rapina o altro. E il mistero si infittiva…il mio disagio aumentava, le mie domande senza risposta diventavano sempre più fitte…

A breve, le lontane campane della chiesa di Amandil, sarebbero suonante con tutta la loro potenza, facendo destare dal sonno chi ancora dormiva profondamente nel loro letto caldo e accogliente. Guardai quel talismano appoggiato alla tavola, mentre velocemente decidevo come comportarmi.

La mia figura, riflessa nella vetrata del salone, mi permetteva di vedere me stesso e di scoprire un volto teso, agitato….non impaurito, quello no, ma se la mia famiglia davvero aveva dei segreti, che non erano mai stati svelati, questo non prometteva bene. Mi avvicinai a quella immagine riflessa e guardai intensamente quegli occhi blu, che spesso avevano ipnotizzato molte persone vista la rara bellezza che possedevano.

Io ero sempre stato un ragazzo semplice, non mi ero mai soffermato all’apparenza delle cose. Odiavo la superficialità e l’ignoranza che ne scaturiva. Ero dell’opinione che una volta passato del tempo, il fascino esteriore di ognuno di noi, veniva meno e a quel punto la bellezza interiore, era l’unica cosa che ci rimaneva. Quando mi guardavo allo specchio, indubbiamente vedevo un ragazzo molto bello, non potevo dire il contrario, sarei stato ipocrita, ma non avevo basato la mia vita su quello. Se solo avessi voluto, avrei avuto tutte le ragazze che volevo, eppure….non me ne ero mai approfittato, perché amavo rispettare chi mi era intorno, considerare che oltre ai miei sentimenti, c’erano anche le emozioni e le anime altrui.

La natura indubbiamente mi aveva donato fascino e bellezza, ma avevo anche coltivato la mia mente, in modo che oltre che con il cuore, ragionassi anche con la testa. E la mia testa, per mia fortuna o per mia sfortuna, non riusciva a compiere un passo senza prima averci pensato su un millennio.

Guardai quei riccioli neri, quegli occhi chiari, quel fisico statuario riflesso nello specchio trasparente e mi sembrava di chiedere a me stesso, cosa dovessi fare, se era  giusta la decisione che stavo per prendere. Se il mio segreto fosse stato scomodo, coinvolgere qualcuno sarebbe stata una pessima idea.

Ma decisi velocemente… La mia famiglia non poteva avere segreti scomodi, era impossibile..

Sospirai convincendomi del fatto che la mia immaginazione, i miei dubbi, corressero troppo velocemente e inutilmente. Raggiunsi il piano superiore, mi lavai con fretta e con altrettanta velocità mi rivestii raggiungendo l’auto.  

Quando fui in auto, collegai il cavo dell’auricolare al cellulare e effettuai la chiamata che mi interessava.

Dopo qualche squillo, sentii la subito la voce di Cheve rispondermi tranquilla. Mi rasserenai all’istante..

-Ehi fratello…- mi dice sollevato.. –Che mi dici?! Come mai mi chiami…!?-

-Ti passo a prendere Cheve…- gli dico senza dargli spiegazioni.. –Tieniti pronto…tra poco sono lì…-

-Toby….è tutto ok!?- mi chiede preoccupato..

Aspetto prima di rispondere, non so cosa dirgli. Vorrei potergli dire che è tutto a posto e che mi sento tranquillo, ma non è così. Se non parlavo con qualcun rischiavo di impazzire, troppe cose cominciavano a diventare poco chiare e io avevo troppi dubbi per sentirmi sereno. Avevo solo bisogno di sentirmi dire che ero semplicemente condizionato da quello che Cheve mi aveva detto, ma che non avevo nessun motivo per sentirmi così confuso.

-Io…veramente non lo so Cheve…- gli rispondo con calma… -Ho bisogno di parlarti, ma non per telefono, non me la sento…-

-Dove sei…!?- mi chiede con tono apprensivo…

-Sono quasi sotto casa tua….scendi…- gli dico riattaccando…

Percorro ancora qualche metro, poi, svoltando l’angolo incontro lo sguardo di Cheve che correndo mi raggiunge, con agilità monta sulla jeep e io mi allontano velocemente.

-Ti sei messo n qualche casino!?- mi chiede preoccupato…

-No…- gli dico guardandolo profondamente… -Ti sembro il tipo!?-

-No…- dice lui scuotendo la testa.. –Ma è la prima volta che ti vedo così teso…-

-Te l’ho detto…ti devo parlare…- gli dico guardandolo con tranquillità…

-Dove andiamo…!?- mi chiede con un sorriso sornione..

-Ovvio…nel nostro posto segreto…- gli dico io con un flebile sorriso…

Il nostro posto segreto… Era una piccola radura in cui una piccola cascata, creava  un ruscello che scorreva fino a valle alimentando il Lago Manitoba. Quel posto, ce lo aveva mostrato Denny, mio padre, in una delle nostre escursioni della domenica. Prendeva me e Cheve e ci raccontava che era importante conoscere i luoghi che ci circondavano, scoprendo anche i più piccoli luoghi sperduti. Per poterne godere, per poter passare momenti spensierati e avere un luogo tutto nostro come ritrovo, in modo da sentirci a casa.

Eravamo rimasti totalmente incantati da quel luogo, sperduto tra le montagne che circondavano Amandil e ogni volta che avevamo un problema serio di cui parlare, ci rifugiavamo in quella radura, sicuri che nessuno ci avrebbe scoperti. Era come trovarsi al centro del mondo ma…sicuri che nessuno ci avrebbe notati. Le montagne intorno ad Amandil, dominavano il territorio del Canada, alte e impetuose si inserivano in quelle pianure diventando un centro di attrazione, eppure, quasi nessuno si ci avventurava.

Con il mio fuori strada, era facile arrivare abbastanza vicini alla nostra meta. Mi avventurai in quelle stradine piccole, sterrate e Cheve, con aria furtiva, mi osservava di soppiatto, cercando di captare cosa potessi provare in quel momento. Cercando di capire cosa potesse turbarmi.

Quando arrivammo, lì dove la strada si interrompeva, proseguimmo per dici minuti a piedi, senza parlare mentre con preoccupazione a volte toccavo la tasca, in cui conservavo quello strano amuleto. Arrivammo a un piccolo tunnel naturale, in cui i rami degli alberi si erano intrecciati tra di loro formando quel piccolo rifugio quasi del tutto buio. In fondo ad esso una gran luce illuminava debolmente quel piccolo tragitto e in poco tempo, ci trovammo in quel piccolo paradiso. Il sole si stava alzando nel cielo, illuminando la valle sottostante, i deboli raggi del sole, scaldavano quella fredda mattinata mentre qualche piccola goccia della cascata trasportata dal vento ci fece tremare qualche istante. Cheve si era avvicinato al piccolo torrente, mentre aveva immerso una mano nella acque trasparenti e gelide. Semplicemente aspettava…cercava di lasciarmi il tempo necessario per decidermi a parlare.

Lo raggiunsi e estrassi dalla tasca l’amuleto, tenendolo in mano custodito.

-Tuo padre….ti ha mai parlato della mia famiglia!?- gli chiedo diretto..

-Che domanda Toby…- mi dice sorridendo Cheve.. –Nella mia famiglia si è sempre parlato di voi…sai quanto mio padre volesse bene a Denny…-

-Lo so…- gli dico io perplesso.. –Ma quello che mi chiedo è se ti ha mai detto di qualche strano avvenimento…o di un segreto che mio padre doveva custodire, ma di cui non ha mai parlato con nessuno…-

-Denny non aveva segreti..- disse Cheve sicuro.. –o perlomeno non ne aveva con mio padre…-

-Ci sono cose che a volte non sai come dire…- gli dico io evasivo.. –Non possiamo mai conoscere completamente una persona…-

-Su questo ti do ragione…- disse il mio amico annuendo.. –ma insomma…stiamo parlando di tuo padre.. La persona più trasparente che abbia mai conosciuto!! Adahy me lo dice continuamente che Denny era speciale e che tu sei come lui…-

-A volte ho l’impressione che qualcosa non torni…- dico sedendomi accanto a lui..

-Si può sapere che ti succede!?- mi dice lui guardandomi deciso, mentre i suoi occhi scuri si fanno dolci..

-Ho trovato una cosa a casa…e speravo che tu sapessi qualcosa a cui collegarlo…- dissi aprendo la mano che nascondeva l’amuleto…

-Cos’è!?- mi chiede Cheve avvicinandosi a me e osservando attentamente il talismano che ho tra le mani..

-Non lo so…sembra quasi un talismano…- dico confuso, senza sapere cosa potesse farsene la mia famiglia di un amuleto..

-Questo è un talismano Toby…- mi dice Cheve del tutto certo..

-Era quello che sospettavo…era troppo diverso da un normale gioiello…- gli rispondo mentre lo osservo da vicino… -Come fai ad essere così sicuro che è un amuleto!?-

-Emana una strana energia…non so come spiegarlo.. Guarda…- mi disse facendomi notare il liquido che si muoveva… -è come se  ogni volta che lo muovi, si formino delle strane onde, una strana forza.. Porta inquietudine…-

-Mi angoscia…- dico io stringendolo tra le mani.. –Mi porta ansia, preoccupazione… Non capisco…-

-A chi appartiene!? Lo hai scoperto!?- mi chiede tranquillo, come se escludesse del tutto che potesse appartenere alla mia famiglia..

-L’ho trovato nella cassettiera della stanza dei miei genitori…- dico pensando che capisse…

-Sei entrato nella stanza!?- mi chiede sorpreso…

-Si…questa notte…- gli dico sempre più confuso.. –Non riuscivo a dormire ed ero sempre più inquieto.. Così, frugando nei cassetti in cerca di qualcosa che potessi portarmi dietro, nel tentativo di avere qualcosa di loro sempre accanto, ho trovato quello…-

Lo stringo tra le mani, mentre quella strana sensazione di angoscia, diventa sempre più palpabile, sempre più evidente. Era come se in quel talismano si nascondesse qualcosa di così penoso, che non riuscivo a sopportarlo. Cheve sembrava curioso, ma allo stesso tempo non capiva la portata della mia preoccupazione, forse perché ancora non gli avevo detto tutto quello che sapevo.

-Ma hai capito di chi è o no!?- mi chiede nuovamente, questa volta inchiodandomi con lo sguardo…

-Si che l’ho capito…- gli dico voltandomi a guardare i suoi occhi scuri e lucenti.. –Appartiene alla mia famiglia Cheve…-

Lo vedo sgranare gli occhi, mentre leggo chiaramente dentro di lui un momento di smarrimento, di confusione, di panico e poi la mia stessa espressione…l’ansia, mille domande a cui non potevo dare risposte. Per un istante, cerca di riprendere il controllo di se stesso, si prende le grandi mani l’una nell’altra e le sfrega rumorosamente. Le osserva con troppa concentrazione per un gesto così semplice, poi dopo qualche istante mi fa l’unica domanda a cui potevo dare una risposta.

-Come fai a sapere che appartiene alla tua famiglia…?!- mi chiede con sguardo rilassato ma allo stesso tempo pensieroso..

-Guarda…- gli dico avvicinandomi a lui e girando l’amuleto… -Lo vedi questo!?-

-Un pugnale con una farfalla appoggiata…- mi dice lui osservando attentamente l’incisione…

-Esatto…quello è lo stemma della mia famiglia…- gli spiego vagamente…

-Non sapevo che avevate uno stemma…- mi dice lui sorridendo…

-Se è per quello nemmeno io..- dico guardando Cheve con un ghigno.. –L’ho scoperto per caso un paio di anni fa… C’era una foto, in cui compariva chiaramente, ma non ricordo altro.. Come in altri casi, i miei nonni furono evasivi.. Mi dissero solamente che quello, era lo stemma di famiglia…-

-Abbastanza inquietante Toby come stemma..- mi disse lui con delicatezza…

-Un pugnale…e una farfalla…- dico guardandolo comprensivo.. –non è proprio il massimo…-

-Beh…se non altro ha un certo fascino…- dice lui cercando di sdrammatizzare...

-Cosa devo fare?!- gli chiedo con tristezza..

-Toby…cosa vuoi fare!?- mi dice lui mettendo una mano sulla gamba, per confortarmi.. –Non hai nessun elemento…è strano ovviamente, ma è inutile tormentarsi.. Non hai nessuno che possa aiutarti a spiegare alcune cose…se solo ci fossero ancora Carlos e Meredith…-

-Mi devo rassegnare ad avere domande senza risposte!?- dico tra il convinto e il deluso…

-Io non credo  che la tua famiglia abbia segreti inconfessabili…- mi disse lui sorridendo…

Se era per quello nemmeno io ci credevo, sembrava davvero assurdo che la mia semplice famiglia potesse nascondere segreti inconfessabili. E pensandoci bene, forse stavo solo diventando paranoico.

-Pensa Toby se ti trovassi un cadavere in cantina…- disse lui ridendo sonoramente.. –Finalmente le tue tristi giornate si movimenterebbero un pò…-

Scossi la testa sorridendo e cercai di pensare che tutto quello che stavo provando, quello che mi stava succedendo, probabilmente era dovuto al fatto che l’ultimo anno era stato infernale. Le mie certezze, con la morte dei miei nonni, erano crollate e ritrovarmi solo, con tutte quelle domande che spesso mi balenavano in testa, non era facile perché loro erano gli unici che potevano darmi delle risposte.

Ma anche se dietro a questa storia ci fosse stato un qualche mistero, non poteva essere nulla di così terribile o inquietante. I miei genitori erano sempre stati meravigliosi, dolci, affettuosi. Avevo un ricordo tenerissimo di loro.

Parlare con Cheve mi fece sentire molto più sereno, tranquillo. Anche lui aveva conosciuto i miei familiari e il fatto che anche lui la pensasse come me, mi rendeva sicuramente molto più sicuro della mia posizione. Rimanemmo lì ancora qualche istante, mentre la tranquillità finalmente si impossessava di me, di ogni centimetro del mio corpo. Mi sdraiai sull’erba profumata, mentre qualche piccolo fiore faceva capolino qua e là nel bel mezzo della radura. Presi lentamente un piccolo filo d’erba, affilato e mentre lo sforavo, mi procurò una leggera ferita al dito. Subito raccolsi la piccola goccia di sangue che si era fatta strada lungo l’indice e l’asciugai con un piccolo fazzoletto che avevo a portata di mano nei miei pantaloni mimetici.

Poi sentii dietro di me, come un ringhio sommesso, mentre uno frusciare di cespugli era divenuto evidente e continuo. Mi voltai immediatamente, mentre con fare protettivo mi parai davanti a Cheve, che guardingo mi si era affiancato immediatamente.

-Che cos’è stato!?- mi  chiede guardandomi con viso grave…

-Non saprei..- gli dico mentre con attenzione e tranquillità mi osservo intorno.. –Ma qualsiasi cosa fosse, non era di certo in tempo di pace…-

-Quello è un dato di fatto..- mi disse Cheve con aria preoccupata..

Cercai di far fermare quel piccolo rivolo di sangue che tranquillo, scorreva lungo la mia mano.

Nuovamente, sentii uno frusciare tra le piante e un ringhio più tranquillo, ma pur sempre minaccioso. Cercai di avvicinarmi alla fitta vegetazione, per tentare di capirci qualcosa, mentre sentii dietro agli alberi qualcosa di incredibilmente veloce muoversi sinuosamente, emettendo un piccolo sibilo minaccioso. Sembrava quasi volermi avvisare di non avvicinarmi, come se cercasse di tutelarmi, altrimenti, non mi avrebbe risparmiato.

-Cheve…raggiungi la macchina…- gli dico autoritario…

-Che cosa!?- mi dice contrariato.. –Io non ti mollo qui…potrebbe essere qualsiasi cosa… Un orso, un puma…-

-Non essere stupido Cheve…- gli dico tranquillo.. –Lo sai anche tu che sei più lento di me nella corsa…allontanati piano piano da qui e vai sulla jeep.. Dovrebbe esserci un fucile.. Eventualmente, se non fossi ancora arrivato torni indietro ad aiutarmi…-

-Vieni via con me…- mi dice lui agitato..

-Lo sai anche tu che è troppo rischioso…- gli dico cercando di non gridare troppo.. –se ci mettiamo a correre entrambi la confusione potrebbe irritarlo ancora di più… Senti come si sposta velocemente?! Non possiamo rischiare…-

-Va bene…- mi disse lui ancora poco convinto.. –ma non ti muovere di un millimetro Toby… Giuro che se fai qualche cazzata te la vedrai con me dopo!!!-

-Se sono ancora vivo…- ironizzo io, con tono canzonatorio…

-Idiota…- sibila lui, mentre sento i suoi passi felpati allontanarsi con calcolata tranquillità…

Mi volto lentamente, mentre vedo che Cheve è scomparso dalla mia vista. I movimenti al di là della fitta vegetazione si sono fatti meno frenetici, ma ugualmente veloci e regolari. Aspetto solamente di confrontarmi a viso aperto con chi al di là della vegetazione, si muove agitandosi, emettendo qualche soffocato ringhio.

Mi sento stranamente guardingo, come se tutti i miei sensi fossero diventati talmente sensibili da percepire anche movimenti di piccola entità, appena percettibili. Mi sento strano, quasi euforico.

E finalmente sento avvicinarsi a me qualcosa.

Ti sto aspettando…

Dal buio della foresta, qualcosa…sta prendendo forma…

  
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