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Autore: Bec77    23/11/2010    1 recensioni
Sofia era una bambina strana, non solo per il suo atteggiamento: i suoi occhi erano grandi, color della giada, e i suoi capelli lunghi, lisci e lucidi come l'onice; la sua pelle era perlacea, così chiara da sembrare trasparente. Molte volte sua madre, quando entrava nella stanza per rimboccarle le coperte e la vedeva investita dalla luce lunare, la scambiava per un fantasma.
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Epilogo


Era successo. Sofia era morta la notte di Natale, nello stesso istante in cui il Salvatore nasceva. Era terribilmente ironico tutto ciò. Ciò che l'aveva ridotta in lacrime nel suo letto d'ospedale, però, era stato il non poter essere al suo fianco nel momento in cui chiudeva gli occhi sul mondo, a tenere la sua piccola manina scheletrica.
Sofia era nata sottraendole inconsapevolmente sei anni di vita, ed era morta per ridarglieli. C'era qualcosa di incredibilmente ingiusto in tutto ciò. Per questo aveva continuato ad urlare tutta la notte, fino a che un sordo dolore al petto non l'aveva costretta a smettere; non le cinghie, non i medici e quelle loro dannate siringhe, ma il dolore. Il dolore per la morte di una figlia che in realtà aveva fatto di tutto per salvarla, senza dirle nulla. Ora riusciva a spiegarsi molte cose, tra cui anche il significato dei suoi sguardi apparentemente apatici. E la donna volle rivivere tutti quei momenti nella sua mente, in una sorta di atto autolesionista; volle ricordarli uno per uno, e piangere per ognuno di essi fino a sentire le tempie martellare per lo sforzo.
Probabilmente divenne veramente pazza, alla fine. I medici non la rilasciarono mai, non le permisero di presenziare nemmeno al funerale della sua bambina. Si chiese mille volte, da dietro le sbarre della sua stanza, mentre guardava il cielo, dove potessero averla sepolta. Amava immaginare una piccola lapide bianca con scritte dorate a fianco a quella del suo amato e defunto marito, morto così presto da non poter nemmeno conoscere la loro piccola Sofia; se li immaginava incontrarsi e conoscersi in Paradiso, nei rari momenti di lucidità durante i quali si accorgeva di avere ancora abbastanza forza per piangere.
Con sé, la donna aveva portato le pietre che la sua piccola Sofia aveva collezionato grazie a quel maledetto gatto. Con regolarità, ogni domenica, la donna le tirava fuori dal cassetto e le disponeva sul materasso, fra le coperte, affiancandoci anche i cinque turchesi che le erano rimasti da quella fatidica mattinata. E fu proprio di domenica che quel gatto apparve di nuovo.
Il felino era sgusciato fra le sbarre, atterrando con un salto elegante sulla sedia posta sotto di esse, e l'aveva guardata con quei maledetti occhi gialli, contro cui lei aveva lanciato tutte le possibili maledizioni negli anni passati. Era troppo stanca per farlo anche in quel momento, però. Lo guardò con rassegnazione, notando ironicamente quanto fosse ingrassato in quegli anni, e come quella sua abitudine di portarsi dietro un fazzoletto con una pietra fosse rimasta immutata.
La pietra, che il felino buttò sul letto, si rivelò essere un turchese. Il sesto, quello che gli aveva lanciato contro. La donna lo prese in mano, muovendosi con esasperata lentezza. Calcolò mentalmente gli anni passati dalla morte della sua bambina.
Sorrise amaramente.
“Sono già passati sei anni. Sei venuto a mietere la mia anima, maledetto gatto?”
Il gatto non si mosse, ma i suoi occhi risposero per lui; ora la donna poteva vederci l'Inferno in quei sue specchi gialli, non più solo parole. Il felino voleva darle un assaggio di ciò che l'aspettava.
Si mosse con estrema lentezza, scendendo dal letto a piedi nudi. Si affacciò un'ultima volta oltre le sbarre, facendo passare una mano e un braccio. Stava scendendo la notte, notò, e le luci colorate della città che si vedevano dalla sua stanza sembravano volerle ricordare il giorno della morte della sua piccola Sofia. Era uno dei rari momenti di lucidità, quello, per cui non si stupì di veder cadere sul muretto bianco della finestra qualche lacrima. Stringendo nella mano il sesto turchese, la donna si girò verso il felino.
“E va bene: facciamola finita, demonio.”




“Mi dispiace molto, signore: sua moglie è stata trovata stamattina, impiccata nella sua stanza d'ospedale. Abbiamo tenuto alta la guardia per un certo periodo, pensavamo fosse fuori pericolo, ma...”
L'uomo dai capelli neri si prese la testa fra le mani, sconvolto e distrutto dalla notizia. Pensò alla piccola Sofia, che stava aspettando fuori da quella stanza di poter vedere la mamma dopo due mesi, e al fatto che non l'avrebbe mai più potuta vedere.
“Ha... sofferto?” chiese con voce tremante.
Il medico si aggiustò gli occhiali sul naso, sospirando indeciso.
“Pare che fosse preda di una delle sue solite allucinazioni quando si è soffocata. Non sappiamo quanto ci abbia messo per... esalare l'ultimo respiro, signore.”
L'uomo si passò una mano sul viso, asciugando le lacrime che, copiosamente, gli rigavano le guance scavate dalla stanchezza. Ancora una volta il pensiero andò alla sua piccola Sofia, e a cosa le avrebbe detto. Si chiese come poteva essere accaduto tutto ciò, per l'ennesima volta. Il medico lo guardò con l'indecisione ben evidente negli occhi, poi finalmente si decise.
“Devo chiederle una cosa.”
“M-mi dica, dot-tore.”
“Da quanto tempo e da quando sua moglie soffriva di queste allucinazioni?”
L'uomo si prese qualche secondo per riordinare le idee, poi, con bocca asciutta e umettandosi continuamente le labbra, rispose al medico con voce ancora singhiozzante.
“E' cominciato tutto quando dodici anni fa ho perso il lavoro. Rita aveva paura che non saremmo più riusciti a riprenderci economicamente – aveva paura della povertà, ed è entrata in paranoia. In più era appena nata Sofia...” Si fermò un attimo per riprendere il respiro. “Rita non voleva Sofia. Cercava di non darlo a vedere, riempiendola di premure come avrebbe fatto, secondo lei, una madre normale, ma non riusciva a non darlo a vedere. Così ha finito per entrare in depressione e... dopo un po' di tempo ha cominciato ad avere le allucinazioni: la trovavo la notte stesa per terra con una coperta, nella camera di nostra figlia, con gli occhi sbarrati e rivolti alla finestra; mormorava qualcosa ogni tanto, e nominava spesso un gatto e il nome di nostra figlia.”
Il medico, che aveva preso appunti in silenzio, fece un cenno d'assenso.
“Capisco. Mi risulta che prima di ricoverarla l'avete tenuta in casa per circa sei anni, è corretto?”
“Sì. Pensavamo che si sarebbe potuta riprendere... ma dopo sei anni non ce l'ho più fatta. Mi distruggeva vederla ridotta in quello stato. Addirittura non mi guardava più, non mi vedeva più... come se per lei fossi morto.”
Il medico sfogliò un rapporto.
“Sono state trovate delle pietre preziose sul letto di sua moglie, signore.”
L'uomo dai capelli neri si tirò su di scatto, sorpreso.
“Oh. Allora le aveva ancora con lei...”
“Sa cosa potevano significare per la signora, o se avevano qualche ruolo particolare nelle sue allucinazioni?”
L'uomo deglutì.
“Gliene regalavo una, a lei e a nostra figlia, ogni tanto. Rita ha sempre amato le pietre preziose, fino ad esserne ossessionata. Per lei avevano ognuna un significato... La sua pietra preferita era il turchese. Era anche la mia, perché era il colore dei suoi occhi.”
A quel punto la voce dell'uomo si spezzò, e con la testa fece segno di non farcela più.
Il dottore, quindi, lo congedò facendogli le sue condoglianze.
   
 
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