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Autore: ChelseaH    25/11/2010    4 recensioni
Harry lo stava ancora osservando, il sorriso tronfio sostituito da uno di tipo diverso. Uno di quelli che gli aveva già visto dipinto in volto qualche volta ma che non era mai riuscito a comprendere. L’unico lato di Harold Judd che gli risultava oscuro, quasi si trattasse del sorriso della Monna Lisa.
La Monna Judd.
[PUDD]
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dougie Poynter, Harry Judd
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: Tom Fletcher, Danny Jones, Harry Judd & Dougie Poynter purtroppo non mi appartengono, non ho alcun rapporto con loro e con questo scritto non intendo dare rappresentazione reale dei loro caratteri e/o delle loro azioni.


ATTENZIONE, SLASH!


NOTE.

Vorrei dedicare questa storia a Ichi che oggi compie gli anni e che me l'ha chiesta dandomi un prompt, cravatta. In origine mi pare me l'avesse chiesta Pones, ma la mia avversione profonda per il pairing - Pudd is only way - l'ha convinta a lasciarmela fare Pudd.


Ero talmente ansiosa di scrivere qualcosa all'altezza per te, che l'ansia mi ha fatto impiegare un mese per buttar giù quattro pagine di word che ovviamente non sono esattamente meritevoli, ma proprio per nulla. Ma insomma, eccola comunque qui questa piccola shottina… spero ti possa piacere almeno un pochino ç_ç

TANTISSIMI AUGURI DI BUON COMPLEANNO <3


Il titolo (così come i versi in fondo alla storia) sono presi da First date dei Bink 182.


Come tutte le mie storie sui McFly (tranne una, shhh!), l'AU sta ad indicare semplicemente che nella shot i quattro non sono famosi.


Detto ciò, se qualcuno fosse interessato a leggere le altre mie storie sui McFly, vi rimando al forum. Lo dico perché alcune persone mi hanno chiesto di pubblicare anche qua tutte le mie storie ma 1. avrebbero bisogno di una revisione massiccia (soprattutto quelle di 4/5 anni fa) e 2. è davvero troppa roba e io non sono munita di così tanta pazienza^^


Buona lettura ^___^


First date.

To Ichi


I party che Jazzie Poynter organizzava sarebbero probabilmente finiti dal primo all’ultimo negli annali di Corringham, dal momento che erano probabilmente gli unici degni di tale nome che la cittadina avesse mai visto. L’alcol scorreva a fiumi, il numero di invitati – ufficiali e ufficiosi – poteva fare invidia a quelli di certe feste universitarie che si vedevano in alcuni film americani, e raramente qualcuno rimaneva insoddisfatto o a bocca asciutta, in ogni senso possibile e immaginabile. L’unica pecca di queste feste era il luogo e Dougie Poynter lo sapeva fin troppo bene, chiuso a chiave com’era nella sua camera tentando di tirare fuori qualche accordo decente dal suo basso che riuscisse a sovrastare il chiasso procurato dalla sorella e dai suoi amici, impresa pressoché impossibile. Da quando la loro madre si era felicemente risposata, la casa di Corringham oltre ad essere abitata solo da loro due, era diventata una specie di night club aperto ventiquattrore al giorno senza nemmeno selezione all’ingresso e, a farne le spese, era sempre lui.

Lui che non riusciva a esercitarsi a dovere al basso.

Lui che ogni mattina doveva fare lo slalom fra i superstiti profondamente addormentati e dare una ripulita a tutto quanto.

Lui che notte dopo notte doveva tenere i capelli di Jazzie a bada mentre lei era china sulla tazza del gabinetto intenta a vomitare l’anima e a giurare e spergiurare che non avrebbe mai più toccato una goccia d’alcol per tutta la sua vita e che, la sera seguente, era di nuovo punto e a capo.

Lui che doveva destreggiarsi fra due lavori part-time differenti - e pessimi – per pagare le bollette e mantenere quantomeno decente il loro standard di vita.

Lui che raccontato in questa maniera, pareva quasi una sorta di eroe o di martire ma che in realtà era più incasinato perfino di Jazzie, con la differenza che invece di affogare i problemi in quantità spropositate di vodka e pomiciamenti random con perfetti sconosciuti, preferiva chiudersi in camera sua e suonare il suo fedele basso fino a quando le dita non perdevano sensibilità. Era una cosa che faceva fin da quando era piccolo, per coprire le urla dei suoi genitori che litigavano, gli insulti che il padre ubriaco lanciava alla madre, a lui, alla sorella. Poi suo padre se n’era andato, svanito nel nulla insieme alla sua riserva personale di alcolici, e ora usava quello strumento per coprire praticamente qualunque cosa, le voci nella sua testa, il battito del proprio cuore, i rumori molesti dei party selvaggi di Jazzie, il pensiero che da lì a qualche giorno l’avrebbe rivisto.

Harry Judd era qualcosa come l’esatto opposto rispetto a lui.

Di ottima famiglia aveva sempre frequentato le migliori scuole e i migliori ambienti, crescendo senza nemmeno sapere il significato di espressioni come crisi familiare e difficoltà a sbarcare il lunario. Non aveva neanche una sorella troppo vivace da tenere a bada e una casa da mandare avanti tutto da solo, dal momento che viveva in un loft nel pieno centro di Londra con due suoi amici d’infanzia e tutti gli aiuti del caso da parte dei genitori. Nonostante questo, Harry era stato la prima persona a capirlo fino in fondo, a capire tutto di lui e soprattutto ad accettare ogni lato di lui. Harry Judd era semplicemente il suo migliore amico, il migliore che avesse mai avuto.

In realtà Harry era molto più di tutto ciò, Harry era esattamente la personificazione della ragione per la quale Dougie non usciva con una ragazza da... da un tempo talmente lungo da risultargli quasi inquantificabile. Ovviamente il diretto interessato era all’oscuro di tutto, l’unica persona sulla faccia della terra con la quale si era confidato a proposito era Tom Fletcher, colui che sarebbe stato il suo migliore amico se non avesse avuto già Harry.

Anche Tom abitava a Londra, per dirla tutta lui era l’unico di un gruppo di inseparabili amici – Danny Jones era il quarto – che non poteva permettersi i costi della vita londinese. Ci aveva provato e dopo aver passato quattro mesi a far pagare la propria quota d’affitto a un Harry che non aveva battuto ciglio pur di tenerselo vicino, aveva deciso di tornare a testa bassa a Corringham, anche perché Jazzie si era sentita in diritto di trasferirsi da loro a tempo indefinito e Dougie non poteva certo lasciare che Harry mantenesse l’intera famiglia Poynter a proprie spese. Ma quel fine settimana ci sarebbe stata una rimpatriata alla scuola superiore che Tom aveva frequentato e il ragazzo aveva pensato di invitarli tutti quanti, dal momento che sulla partecipazione c’era scritto che si potevano portare altre persone. Probabilmente chi l’aveva scritto intendeva un’eventuale fidanzata, o sorella, o fratello... ma considerando che la ragazza di Tom aveva a sua volta frequentato quella scuola, loro potevano benissimo passare per i loro tre chaperon, anche se Dougie non sapeva esattamente cosa volesse dire.

Qualcuno tentò di aprire la sua porta riportandolo improvvisamente alla realtà.

Sospirò, ricordandosi del perché aveva l’abitudine di chiudersi a chiave mentre dall’altra parte una voce maschile imprecava e una femminile si lasciava andare ad una risatina isterica. Doveva fare un discorsetto a Jazzie, il fatto che un bel giorno l’uomo che all’anagrafe era segnato come loro padre si fosse volatilizzato, dopo aver passato anni a trattarli male tutti quanti, non la autorizzava a lasciarsi andare così tanto. La loro madre si era rialzata e si era ricostruita una vita, ora era felice. Perfino lui poteva definirsi felice, anche se il suo sogno più grande era riuscire a trasferirsi a Londra con i suoi amici, ma in fondo Corringham non era poi così distante e si vedevano tutto sommato spessissimo. Solo Jazzie non era ancora riuscita a uscire da quella spirale e in parte toccava anche a lui pagarne le conseguenze.

Sbuffò nuovamente mentre si alzava per riporre il basso nella sua custodia.

Tom e Danny suonavano la chitarra, Harry la batteria e tutti quanti insieme si dilettavano a suonare nel garage di Tom. Senza musica troppo alta che copriva ogni suono, senza doversi occupare di sconosciuti ubriachi che volevano darsi al sesso alcolico in camera sua, senza pensieri e senza preoccupazioni.

Non vedeva l’ora che arrivasse il weekend.


***


“Poynter.” Danny lo accolse in un abbraccio fraterno ridacchiando, mentre entrava in casa di Tom dove avevano appuntamento per andare poi tutti insieme al ritrovo scolastico dello stesso.

“Cosa?” gli chiese Dougie aggrottando la fronte e chiedendosi perché gli altri trovassero sempre qualcosa per cui prenderlo in giro.

“Pasticcione! – Harry lo attirò a sé tirandolo per la cravatta, dopo essere sbucato da chissà quale angolo buio del soggiorno di Tom. – Possibile che tu non sia nemmeno in grado di farti un nodo decente alla cravatta?” gli chiese unendosi alle risate di Danny e sistemandogliela a dovere.

Dougie sbuffò pretendendo di essere infastidito da quel trattamento, anche se la verità era che sarebbe stato capace di sbagliare il nodo solo per farselo sistemare da Harry. Che poi non fosse seriamente in grado di farsene uno decentemente, era un altro paio di maniche.

“Su andiamo, siamo già in ritardo!” la voce cristallina di Giovanna li invitò tutti verso l’uscita, e dire che lui era appena arrivato.

“Allora Dougie? Com’è andato il viaggio? Potevi evitare di prendere l’ultimo treno buono, almeno ti riposavi un po’!” Danny lo prese sottobraccio mentre uscivano e si avviavano verso la macchina di Tom.

“Guarda che non è reduce da dieci ore di viaggio.” ridacchiò Harry alle loro spalle raggiungendoli e scansando Danny prendendolo sottobraccio al posto suo.

Dougie adorava Harry.

Adorava il suo essere così inconsapevolmente possessivo nei suoi confronti.

Adorava il suo braccio stretto attorno alle proprie spalle che lo faceva sentire confuso, felice e protetto allo stesso tempo.

Ogni tanto si chiedeva cosa provasse Harry ogni volta che c’era contatto fisico fra di loro, se gli fosse mai successo di rabbrividire dall’emozione. Poi si ritrovava a scrollare la testa sconsolato, non riuscendo a trovare un singolo motivo plausibile abbastanza da giustificare lo scenario utopico che la sua mente amava così tanto proporgli.

Salirono sul sedile posteriore dell’auto e Danny ruppe il suo idillio segreto sedendosi in mezzo e iniziando a parlare a raffica dell’ultima partita del Bolton. Danny e l’ossessione per il calcio, qualcosa di noioso e irritante perfino quando non si metteva fra lui e Harry.

Sbuffò.

E Danny continuò imperterrito.

Chiuse gli occhi e appoggio la testa allo schienale cercando di rilassarsi, in fondo erano molto meglio le chiacchiere di Danny dei rumori molesti dei divertimenti di dubbio gusto di sua sorella.

“Tenete.” Giovanna interruppe il soliloquio di Danny allungando loro tre cartellini sui quali c’erano scritti i loro tre nomi.

“Lo so come mi chiamo.” tagliò corto Danny, smanioso di riprendere la sua cronaca in differita a beneficio di chi non aveva visto la partita, ovvero tutti loro.

Bolton? Seriamente? Probabilmente Danny Jones era l’unico in tutta la galassia a guardare le partite del Bolton.

“Vi servono per entrare.” lo interruppe nuovamente Giovanna.

“Gli esterni possono accedere al ritrovo solo se accompagnano qualche ex studente.” spiegò Tom.

“Ma ognuno può portare al massimo un accompagnatore.” proseguì la ragazza.

“Io accompagno te! – si offri Danny – Anzi no, farò l’accompagnatore di Tom.” aggiunse ripensandoci.

“Sarebbero cartellini contraffatti che dovrebbero farci sembrare ex studenti?” chiese Harry rigirandosi il proprio fra le mani con aria scettica.

“Esatto.” annuì Tom dal posto del conducente, con un fare talmente orgoglioso da far chiaramente capire che era stato lui a prepararli e ad avere l’idea.

“Non funzionerà mai.” sbadigliò Dougie richiudendo gli occhi.

“Perché devi sempre essere così catastrofico?” chiese Tom piccato.

“Perché non funzionerà e lo sai.” ripeté Dougie, che alla luce di quella rivelazione iniziava a chiedersi cosa li avessero invitati a fare.

“Io faccio l’accompagnatore di Tom.” si intromise Danny ribadendo il concetto già espresso.

“E io?” sbuffò Dougie riaprendo gli occhi e già immaginandosi di essere abbandonato sul marciapiede antistante la scuola, come un barbone qualunque.

“Tu sei il mio accompagnatore.” disse Harry come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Il ragazzo si voltò di scatto verso l’amico, certo di aver sentito male e invece Harry gli stava sorridendo sicuro di sé come al solito.

Deglutì a fatica, detto così sembrava quasi un appuntamento.

Il loro primo appuntamento.


***


Ovviamente furono esclusi dal ritrovo, abbandonati sul marciapiede antistante l’ex scuola superiore di Tom e Giovanna come due barboni qualunque.

Danny invece era riuscito a intrufolarsi, spacciandosi seriamente per l’accompagnatore di Tom e facendo passare quest’ultimo per gay tanta era la sua smania di ubriacarsi gratis. Perché Dougie sapeva benissimo che l’unica ragione per la quale l’amico non ci era stato a rinunciare all’evento, era l’alcol a fiumi e a scrocco che sperava sarebbe scorso per la sala, a uso e consumo degli invitati e dei loro accompagnatori.

“Bene, che facciamo di bello?” la voce allegra di Harry distolse la sua attenzione dal broncio che stava per mettere all’indirizzo di Danny Jones.

“Tu lo sapevi!” replicò con fare accusatorio, rendendosi improvvisamente conto che l’amico era tutto fuorché irritato o sorpreso dalla piega che aveva preso la serata.

“Pensavi davvero che saremmo riusciti a infiltrarci in tre? Era ovvio che noi due saremmo rimasti fuori. – fece spallucce – Devi ammettere che però è stato divertente, dai... e ora andiamo a divertirci per i fatti nostri.” aggiunse prendendolo sottobraccio e trascinandolo verso la fermata della metropolitana più vicina.

Se non avesse saputo che era impossibile, Dougie avrebbe quasi pensato che tutto ciò fosse stato premeditato dal batterista, che l’avesse fatto apposta per avere una serata da solo con lui senza dare troppo nell’occhio. Pensiero assurdo, se ne rendeva conto, anche perché non era la prima volta che uscivano insieme da soli e in ogni caso non avrebbero dovuto dare spiegazioni a nessuno, in fondo erano solo amici giusto?

Solo amici.

Almeno da parte di Harry.

Eppure il sorriso compiaciuto sul volto dell’altro... no, scrollò la testa energicamente liberandosi allo stesso tempo dalla sua stretta. Harry probabilmente si era reso conto che non sarebbero riusciti ad entrare solo nel momento in cui Giovanna aveva tirato fuori quegli assurdi cartellini coi nomi, esattamente come lui.

Era così preso da quei suoi ragionamenti paranoici, da ritrovarsi a sgranare gli occhi incredulo un quarto d’ora dopo abbondante, di fronte all’ingresso dei giardini di Peter Pan, come aveva sempre chiamato Hyde Park. Aveva seguito Harry senza badare alla strada e alle fermate della metropolitana, troppo sconvolto dal pensiero che tutto ciò potesse essere stato intenzionale e beh... a quanto pare dopotutto lo era.


***


“Razza di pasticcione, possibile che tu non sia nemmeno in grado di farti un nodo decente alla cravatta?” gli disse Harry cercando di sistemargliela.

Erano oltremodo vicini, seduti sotto la statua di Peter Pan, e nel silenzio della notte londinese a Dougie sembrava di sentir rimbombare il proprio cuore al punto da chiedersi come facesse l’altro a non sentirlo.

“Guarda che me l’hai fatto tu il nodo.” gli ricordò, deglutendo a fatica.

“No amico, non penso proprio.” replicò Harry esibendosi in uno di quei sorrisi così pieni di sé che lui adorava. – Ecco fatto.” aggiunse dopo avergli sistemato la cravatta per la seconda volta in poche ore.

“G-grazie.” balbettò, rendendosi improvvisamente conto del fatto che probabilmente era arrossito a tal punto da illuminare a giorno mezza città.

Harry lo stava ancora osservando, il sorriso tronfio sostituito da uno di tipo diverso. Uno di quelli che gli aveva già visto dipinto in volto qualche volta ma che non era mai riuscito a comprendere. L’unico lato di Harold Judd che gli risultava oscuro, quasi si trattasse del sorriso della Monna Lisa.

La Monna Judd.

Magari avrebbe potuto chiedere a Tom di disegnargliene una da appendere sopra al letto, fra un poster dei Blink e l’altro.

“A che pensi?” gli chiese il diretto interessato, riportandolo alla realtà.

“A... alla Monna Judd?” rispose, lui per primo scettico di fronte a quella definizione.

“Ovvero stai pensando che io sia come un’opera d’arte?”

Caro, vecchio, solito Harry pieno di sé.

E poi successe.

Di colpo, senza preavviso.

Le labbra di Harry.

Sulle sue.

Quel sorriso.

Di nuovo.

Non lo vedeva, lo sentiva.

Sulle sue labbra.

Sulla sua pelle.

Sarebbe potuto morire lì, in quell’istante, e non gliene sarebbe importato nulla.

Dannata Monna Judd.

La sua vita era un casino incommensurabile ma, dopotutto, se ogni tanto poteva avere serate come quella, andava bene anche così.


Let's go, don't wait, this night's almost over

Honest, let's make this night last forever

Forever and ever, let's make this last forever

   
 
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