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Autore: GurenSuzuki    25/11/2010    5 recensioni
Fanfic a 4 mani. GurenSuzuki&Tora.
“Il mio nome è Kyo. La vostra insegnante di matematica, la Signora Fuwa, ha avuto un incidente domestico e attualmente è ricoverata in ospedale con un braccio rotto e l’anca lussata. Ne avrà per qualche mese, ma a parte questo sta bene. Fino ad allora la sostituirò io. Per andare d’accordo con me ci sono solo tre regole da rispettare: Prestatemi attenzione quando spiego; Impegnatevi; e soprattutto, in tutto ciò che fate dalla mattina quando aprite gli occhi fino alla sera quando li chiudete, pensate sempre e solo con la vostra testa.”
Un insegnante fuori dalle righe, acuto e tenebroso e uno studente dalla mente brillante e ribelle. I loro mondi collideranno e, inevitabilmente, l'impatto li unirà.
KyoRuki.
Genere: Commedia, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Ruki
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CHAPTER 1




Un candido petalo dalle sfumature rosate entra dalla finestra aperta, posandosi delicato sul mio banco perfettamente lindo.
Lo prendo delicatamente tra due dita, saggiandone la consistenza quasi eterea: scivola come fosse seta.
Lo rinchiudo nel palmo puntando lo sguardo reso ghiacciato dalle lenti artificiali  sul panorama offerto dalle imposte spalancate: Tokyo si estende coi suoi palazzi grigi che da bambino mi ricordavano le guglie di un antico castello medievale. Di quelli che ricoprivano le pagine dei miei libri di favole e che credevo fossero un sogno stupendo. Sorridevo guardandoli. Ora capisco che sono solo abitazioni e fabbriche, nonostante un barlume di allegria riesca a trapelare dai loro profili, grazie al caldo sole primaverile.
Oggi è una giornata troppo bella per essere sprecata dietro a questo pezzo di legno, ad ascoltare una vecchia raggrinzita spiegarmi qualche assurda formula di Trigonometria che sicuramente non capirò -dato che nemmeno mi interessa farlo.
Vorrei solo uscire, respirare l'aria fresca e frizzante, sentire il sole scaldarmi la schiena: e invece sono bloccato qui ancorato coi piedi per terra.
Io non voglio stare a terra. Io voglio volare, spiegare le mie ali e librarmi in cielo, sentendo l'aria fredda dell'alta quota lambirmi la pelle del volto e scompigliarmi i capelli.
Chiudo gli occhi e simulo la sensazione che proverei con l'immaginazione: favoloso.
Poi, il mio ritaglio di perfezione viene sottratto dal suono trillante e fastidioso della prima campanella del lunedì: il primo giorno di scuola è forse il più frustrante, coadiuvato interamente dalla nostalgia dei giorni di libertà e dalla consapevolezza di avere innanzi a sè ben undici mesi di scuola.
Sospiro immaginando la signora Fuwa entrare col suo passo baldanzoso, ampollosamente vestita e col suo solito cipiglio poco amichevole aprire il registro, gracchiare l'appello e incominciare con le solite prediche, ormai di rito ad inizio anno per una classe turbolenta e poco partecipe come la nostra.
Prendo una penna e inizio a giocherellarci, conscio che non la userò per tutto il giorno.
Sto appunto rigirandomela tra le dita poco interessato, incassato nel banco, quando sento una voce sconosciuta -e maschile- salutare amichevolmente.
"Buongiorno a tutti"
... e questo chi è?




E così questo è il mio primo giorno in questo istituto.
Non posso fare a meno di trattenere un sorriso divertito.
Il mio primo giorno e già mi ritrovo a fronteggiare una classe descritta dal corpo docenti come un ritrovo di teppisti, tanto che nessuno voleva occuparsene.
Alla fine mi sono offerto di farlo io.
Non mi faccio di certo spaventare da un gruppo di marmocchi.
In fondo deve ancora nascere chi sarà in grado di sottomettermi.
Non conosco la parola sconfitta.
Così come non conosco la parola sottomissione.
E’ qualcosa che hanno imparato persino i miei genitori.
Nessuno ha il controllo della mia vita.
Nel momento in cui sono sgusciato via dal ventre di mia madre ed il mio cordone ombelicale è stato reciso, sono diventato un uomo libero.
Libero di vivere la sua vita come vuole.
E di compiere le sue scelte.
Ed io ho scelto di cantare.
Di far vibrare la mia voce al di sopra degli altri denunciando i mali di questo mondo corrotto.
Se in questo momento mi trovo a camminare nei corridoi di questo istituto, cercando di evitare degli alunni in ritardo che corrono come una mandria di bufali, è solo perché questa dannata società non ha posto per i poeti.
Per i sognatori.
Vuole materialismo.
Fatti concreti.
Fredda materia senza ideali.
Chi non segue questa regola, è tagliato fuori dalla società e destinato alla miseria.
Prima o poi riuscirò a realizzare il mio sogno.
E ci sono vicino, lo sento.
In fondo la mia è una delle voci più apprezzate nei locali notturni.
Ogni volta che salgo sul palco la piccola folla davanti ai miei occhi comincia ad agitarsi e ad invocare il mio nome come un esercito di soldati invoca il proprio condottiero trionfante.
Si, ormai manca poco.
E’ solo questione di tempo, poi finalmente riuscirò a compiere quel salto di qualità necessario per dedicarmi solo al canto.
Ma in attesa che questo accada vado avanti con il mio lavoro.
Mio padre avrebbe voluto che diventassi un medico.
Un pezzo grosso.
Pretendeva di manipolare la mia vita come se non fossi altro che un pezzo da gioco su una scacchiera.
Non lo accettavo.
Non potevo accettarlo.
Stare rinchiuso in uno studio non era quello che volevo dalla mia vita.
Mi sono ribellato e sono stato cacciato di casa.
Disconosciuto.
Senza che neanche la mia propria madre prendesse le mie difese.
Costretto a rifugiarmi dai miei nonni  per un tetto sopra la testa e a pagarmi gli studi solo con la potenza delle mie corde vocali.
Già gli studi.
Ho sempre odiato studiare.
Ma la verità è che senza un titolo di studio non si può fare niente in questa città e dovevo guadagnarmi da vivere.
I soldi che le mie esibizioni mi fruttavano erano quasi insufficienti per le spese scolastiche, tanto che per riuscire a coprirle dovevo trascorrere intere nottate insonni nei karaoke o in localacci malfamati che pur di attirare clienti accettavano di assumere minorenni..
Per quanto sia  un’amara e scomoda verità, non importa quanto talento si possa avere.
Finchè non riesce a sfondare, un vocalist non riuscirebbe nemmeno a pagarsi l’affitto di casa. A meno che  non faccia  anche un altro lavoro.
Credo di essere la dimostrazione vivente di questo.
Se volessi contare solo sugli introiti delle mie performance canore, non ce la farei a sostenere i costi della pigione per il mio appartamento  e tantomeno quelli delle bollette.
Ma non è stata solo per una futile questione di soldi che ho scelto di fare questo mestiere.
Dicono che i giovani sono il futuro.
La speranza per un mondo migliore.
Tante frasi usate solo per far leva sugli elettori da politici che in realtà dei giovani ed i loro problemi se ne sbattono altamente.
Ma io invece voglio crederci.
Voglio credere che un giorno una nuova generazione spazzerà via la corruzione e la crudeltà del mondo.  
E fin quando il mio sogno di condannare i mali che affliggono questa terra devastata  dall’alto di un palco non sarà realizzato, voglio essere uno di quelli che contribuiranno alla formazione di quei ragazzi che potrebbero salvare il futuro.
Perché in questo stesso istante, in uno dei banchi di queste aule, potrebbero esserci coloro che saranno in grado di abbattere i muri della crudeltà delle persone e risanare le ferite che storpiano la società e la faccia stessa della terra.
Ed io ho un solo modo per aiutarli: insegnargli a pensare con la loro testa.
A non tollerare costrizioni, né sottomissione, né schiavitù.
Solo in questo modo avranno le armi per realizzare i loro sogni.
Le stesse armi che sto usando io.
La campanella che annuncia l’ultimatum per gli allievi di entrare in classe trilla e mi distoglie dai miei pensieri.
Mentre continuo a camminare  il mio sguardo corre alle targhette sulle porte delle aule, alcune già chiuse altre ancora aperte, finquando non arrivo alla prima classe della giornata in cui avrò lezione: la V D.
Quella dei teppisti.
Senza esitare ne varco la soglia passando in rassegna con lo sguardo i suoi occupanti.
La mia scolaresca finquando la loro insegnante non sarà dimessa dall’ospedale.
Con un sorriso che  vuole essere il più amichevole possibile mi avvio verso la cattedra, salutandoli.
“Buongiorno a tutti.”
Un brusio perplesso si leva dal fondo dell’aula fino ai primi banchi.
Sicuramente si stanno chiedendo che fine abbia fatto la loro insegnante.
Con calma appoggio la cartellina e il registro che ho con me sul ripiano della cattedra, poi mi avvio alla lavagna.
Il familiare odore del gesso mi solletica le narici mentre afferro un gessetto nuovo e lo spezzo, lasciandone una metà nell’apposito contenitore  metallico, accanto al cancellino.
Con un movimento quasi artistico procedo a tracciare il Kanji di Kyo, occupando lo spazio intero della lavagna.
Kyo.
E’ così che mi presento a questi ragazzi.
Tooru Nishimura è il nome che mi hanno dato quei genitori che mi hanno voltato le spalle.
Il nome con cui questa società cinica e materialista mi ha schedato.
Il  nome di  uomo in ceppi.
Ma io ho spezzato le mie catene, sono libero da loro.
E il mio vero nome adesso è Kyo.
Completata la mia opera ripongo il pezzo di gesso ora smussato e mi volto verso i miei allievi.
Vedremo se sono davvero i teppisti che gli altri dicono che siano.
In fondo anche io sono stato definito un teppista solo per essere un uomo libero.
Nuovamente scandaglio la classe con lo sguardo in un’altra panoramica generale, poi passo alle presentazioni.
“Il mio nome è Kyo. La vostra insegnante di matematica, la Signora Fuwa, ha avuto un incidente domestico e attualmente è ricoverata in ospedale per un braccio rotto e l’anca lussata. Ne avrà per qualche mese, ma a parte questo sta bene. Fino ad allora la sostituirò io. Per andare d’accordo con me ci sono solo tre regole da rispettare: Prestatemi attenzione quando spiego; Impegnatevi; E soprattutto, in tutto ciò che fate dalla mattina quando aprite gli occhi fino  alla sera quando li chiudete, pensate sempre e solo con la vostra testa.”




Un ragazzo, che non dimostra più di 25 anni, è appena entrato, stretto nei suoi pantaloni di simil-pelle e una giacca dello stesso tessuto. Ha capelli biondi arruffati e sul suo volto svettano diversi piercing. Ha uno sguardo molto austero, quasi inviolabile, come avesse messo un lucchetto alla propria anima.
Va verso la lavagna -lasciando la porta aperta- e inizia a scrivere un Kanji. Mentre traccia le corpose linee col gesso precedentemente spezzato, noto che sulle dita della mano destra ha un tatuaggio... anzi, tre. Un tribale sull'indice e due scritte in una qualche lingua dell'est europeo su mignolo e anulare.
Quando termina di scrivere ripone il gesso e si fa da parte per permetterci di leggere.
Kyo.
Kyo.
Kyo!?
Sì, Kyo!
Fa ballare i suoi occhi castani per tutta la classe, osservandoci uno ad uno. Poi parla e una scarica infinita di brividi mi si propaga lungo la spina dorsale.
“Il mio nome è Kyo. La vostra insegnante di matematica, la Signora Fuwa, ha avuto un incidente domestico e attualmente è ricoverata in ospedale con un braccio rotto e l’anca lussata. Ne avrà per qualche mese, ma a parte questo sta bene. Fino ad allora la sostituirò io. Per andare d’accordo con me ci sono solo tre regole da rispettare: Prestatemi attenzione quando spiego; Impegnatevi; e soprattutto, in tutto ciò che fate dalla mattina quando aprite gli occhi fino alla sera quando li chiudete, pensate sempre e solo con la vostra testa.”
Dio. Non solo ha una voce profonda e sensuale... ma pure delle idee proprie. Sento che potrebbe iniziare a piacermi quest'assurda materia!
Non è male, in ogni senso. Mi incuriosisce il suo comportamento, i suoi sguardi e la sua gestualità.
Non ho mai fissato tanto intensamente qualcuno.
E' il classico insegnante che è per la libertà assoluta d'espressione, suppongo: credevo esistessero solo nei telefilm.
Continuo a giocare con la penna, e lo guardo con l'espressione più intensa che i miei occhi abbiano mai assunto, mentre Kyo si siede alla cattedra ed apre il piccolo registro che ha portato con sé.
Prende anche lui una bic e la scorre lungo tutto il foglio con la scansione dei nomi, poi inizia a fare l'appello.
Ogni lettera scivola tra quelle labbra adorne di un cerchietto metallico con la stessa fluidità dell'acqua e io mi ritrovo in balia delle onde.
"Natsu Aime"
La ragazza più corteggiata della classe alza una mano dalle unghie laccate di rosa shocking, sbattendo le lunghe ciglia finte e muovendosi un poco dietro al banco.
Kyo la guarda giusto un attimo e poi si rituffa sul registro, completamente disinteressato dai tentativi di abbordaggio di Natsu.
Credo sia un ragazzo parecchio corteggiato: insomma, non solo ha un viso armonioso e uno stile suo, è anche parecchio sopra le righe e in modo non troppo appariscente. Sembra quasi si voglia rivelare a pochi e sono determinato a raccogliere quest'assurda, ma quanto mai intrigante, sfida.
"Matsumoto Takanori".
Alzo con uno scatto fulmineo il braccio.
"Io, ma mi chiami Ruki" dico riabbassando l'arto.
Lui mette da parte il registro, allaccia le dita sotto al mento e vi si poggia per poi dire "Perchè, cos'ha il nome Takanori Matsumoto che non va?" con un sorrisetto sbilenco e terribilmente strafottente.
Io arriccio un angolo della bocca, per poi rispondergli, alzando lo sguardo dalla penna che ancora rigiro tra le mani "... Takanori Vicino al Pino*? Oh nulla" esalo ironico.
La classe si lascia andare a qualche risolino.
Lui socchiude lievemente gli occhi e poi inarca un sopracciglio cesellato, spronandomi a parlare senza usare parole, solo gli occhi. E' impressionante questo ragazzo.
Prendo fiato prima di parlare.
"Takanori Matsumoto è il nome con cui il mondo mi ha etichettato. Non sono io. Solo delle stupide lettere datemi da due persone che non mi conoscevano -e non è cambiato molto da allora. Il nome migliore che una persona può possedere è quello che si crea da sola. E il mio è Ruki."
Kyo apre gli occhi qualche millimetro di più, fissandomi quasi ipnotizzato. Poi sorride enigmatico e mi risponde in un modo che mi lascia esterrefatto.
"Mi piaci, Ruki."




“Mi piaci, Ruki.”
Le parole fluiscono spontanee dalle mie labbra, dirette verso il ragazzo seduto nel banco a destra dell’ultima fila.
Dal resto della classe si leva un sommesso brusio perplesso e la ragazza che ha cercato di ottenere le mie attenzioni durante l’appello mi fissa indignata.
La mia affermazione deve aver fatto scandalo, ma la cosa infine mi diverte.
Potranno scervellarsi per tutto l’anno per capire cosa abbia voluto dire con quel mi piaci, ma nessuno di loro potrà mai arrivare alla verità con assoluta sicurezza.
Quel Ruki mi piace.
Mi piace il modo in cui ragiona.
Mi piace il modo schietto in cui affronta qualcuno più grande di lui senza sottomissione o servilismo.
Mi piace il fatto che porti la sua divisa aperta, esattamente come facevo io.
Mi piace quel ciuffo fuxia che spicca tra il nero dei suoi capelli e che lo distingue dal resto della classe.
Mi piace il suono cristallino della sua voce.
Ma più di ogni altra cosa, mi piace perché pensa nel modo giusto.
Nel mio stesso modo.
Quel modo che mi sono ripromesso di insegnare a questi ragazzi per rovesciare le sorti di un’umanità destinata alla sofferenza.
Continuo a guardarlo negli occhi, resi azzurri da qualche paio di lenti artificiali, godendo del loro stupore.
Chissà a cosa sta pensando questo figlio della ribellione.
Mi piacerebbe saperlo.
Sorrido ancora, poi termino di fare l’appello.
Tutti presenti.
Bene, per essere una classe indisciplinata almeno non hanno saltato il primo giorno di scuola.
Con calma mi alzo e vado a chiudere la porta, tornando a far risuonare la mia voce.
Si zittiscono all’istante.
Probabilmente li incuriosisco.
“Sapete una cosa ragazzi? Il vostro amico Ruki ha ragione.” Comincio tornando verso la cattedra, saltando a sedere sul suo ripiano, prima di proseguire “Il miglior nome per una persona è quello che quella stessa persona compone per se stessa. Per questo motivo, la prima lezione di oggi la passeremo in questo modo: voglio che prendiate un foglio, uno qualsiasi, ci scriviate il nome che vi hanno imposto alla nascita e sotto questo quello che invece voi scegliete per voi stessi. Perché sarà con quello che io vi chiamerò d’ora in avanti. Esattamente come voi mi chiamerete sempre Kyo, in ogni circostanza. Persino di fronte al Preside se dovesse capitare.”







Finalmente la campana dell'ultima ora trilla, lasciandoci liberi.
Ripongo celermente i libri dentro la tracolla ed esco.
Il sole mi coglie impreparato e strizzo gli occhi. Infilo gli occhiali da sole e procedo spedito per la via che mi condurrà a casa.
Con le mani affondate nelle tasche, l'i-pod nelle orecchie che mi aiuta ad aprire le porte del mondo da sogno che ho creato procedo lungo le grandi e affollate strade di Tokyo, col sole a lambirmi il volto.
Quel prof, Kyo, mi piace.
Molto.
Le sue idee, il suo modo di fare schietto e diretto, la sua franchezza: tutto ha un effetto calamitico sulla mia mente, che ammetto essere ai limiti del ribelle.
Sembra abbia le mie stesse idee su molti punti. Mentre la classe pensava a che nome fosse meglio utilizzare per descriversi ha parlato un po'.
... e per la prima volta ho visto i miei compagni pendere dalle labbra di qualcuno, letteralmente.
E' incredibile, ha una presenza fortissima e una personalità complicata, di certo.
Ne sono estremamente affascinato.
Poi anche il fatto di usare dei nomi d'arte per chiamarci… è così schifosamente fuori dagli schemi che potrei amarlo.
Forse sta cercando di fare il grande, ma non mi importa: almeno ci prova.
Gli altri insegnati -così come gli adulti nella maggior parte dei casi- non tenta nemmeno di capire qualcosa di noi ragazzi. Restiamo sempre e comunque dei poveri bambini ignoranti, incapaci di articolare pensieri concreti e di avere idee nostre.
Mentre cammino, calpesto involontariamente dei piccoli fiori rosati, dai petali così simili a quello che si è posato sul mio banco stamattina.
A proposito: lo estraggo dalla tasca posteriore in cui l'avevo precedentemente infilato e lo faccio scivolare sulla pelle della mani senza guardarlo. E' così liscio che sembra realmente seta.
Passo per il parco, fermandomi su una panchina. Poggio la testa sullo zaino e fisso i rami di un ciliegio, genuflessi dal peso degli steli vergini in boccio.
Un fascio di luce si fa strada tra i delicati petali lievemente dischiusi, arrivando a centrare il mio occhio destro. Mi scosto.
Non vedo l'ora di sapere quando avrò un'altra ora con quel biondino.
Quel 'mi piaci' lanciato così enigmaticamente mi ha lasciato a dir poco perplesso. Insomma, è un qualcosa di totalmente inusuale da dire a uno studente, nonostante debba ricordarmi di star parlando di Kyo. Tutte le leggi vengono stravolte quando si tratta di lui, il giorno e la notte si uniscono e tutto va guardato al contrario.
E'… forte.
Incredibilmente.
Anche lui mi piace, parecchio, a tutto tondo. Ogni minima piccolezza sia riuscito a cogliere oggi mi ha stregato e affascinato a tal punto che ho maledetto la campana che segnalava la fine dell'ora: evento unico, non c'è che dire.
Però ho voluto lanciargli anche io un piccolo segnale, adesso sta a lui coglierlo.
Un ghigno mi si disegna in volto al pensiero di cosa gli ho lasciato scritto sul mio biglietto...








In fin dei conti come primo giorno non è stato poi male.
Oltre alla famigerata classe di teppisti ho avuto a che fare anche con due terze e una quarta, fin troppo disciplinate per i miei gusti.
Di quelle che si alzano dai banchi e si inchinano per salutare il professore.
Un gesto che ho sempre odiato.
E’ vero è un segno di rispetto verso l’insegnante, ma se l’insegnante stesso non ricambia quel saluto, allora non ha motivo di esistere.
Un professore non è in cima alla piramide del sapere.
Gli allievi hanno da imparare da lui, tanto quanto lui ha da apprendere dai propri alunni.
Qualcosa che molti sembrano ignorare.
Come se fosse qualcosa di inaccettabile.
Così, chiusi nella loro falsa superiorità, pretendono rispetto e dimostrazioni di quest’ultimo, quasi che quell’inchino fosse qualcosa che gli è dovuto per diritto, restituendo in cambio solo uno sguardo sprezzante.
Il preciso modo di comportarsi dei miei professori.
Li disprezzavo.
Li disprezzo ancora.
Disprezzo quel saluto ad inizio lezione così come disprezzo le persone dall’animo corrotto.
Il popolo di dannati che infesta la terra.
Gli ho vietato di inchinarsi di fronte a me.
Non devono più farlo.
I gesti meccanici e privi di sentimento sono per i soldati.
E loro invece sono solo ragazzi che si suppone debbano essere educati da uomini più saggi di loro ma che invece fanno di tutto per renderli gli uni uguali agli altri, soffocando la loro personalità.
Tutto l’opposto di ciò che desidero io.
Tutto l’opposto di come dovrebbe essere.
Scuoto il capo trascrivendo su un quaderno nuovo l’elenco dei nominativi degli allievi affiancati ai loro nuovi nomi.
Alla fine ho chiesto in ogni classe dove sono stato assegnato di scegliersi un nominativo.
Forse molti non hanno compreso il perché di questo gesto, ma non importa.
Confido che lo capiranno nei prossimi mesi.
Perché se credono di aver a che fare con il classico insegnante che assegna compiti impossibili, solo per il gusto di metterli in difficoltà, limitandosi a spiegazioni stentate… beh hanno sbagliato indirizzo.
Finalmente termino anche questa classe e passo alla successiva.
La V D.
Non posso fare a meno di lasciarmi andare ad un sorrisetto.
Me la sono conservata per ultima, come ciliegina sulla torta.
Ruki…
Confesso che è la prima volta che un allievo riesce a catturare istantaneamente la mia simpatia.
Ho pensato spesso a lui oggi.
Anche durante le prove di questo pomeriggio per lo spettacolo di stasera.
Guardo l’orologio appeso alla parete.
Sono le sette passate.
Ho più o meno due ore e mezza per prepararmi.
Abbastanza per trascrivere il loro elenco di nomi, prepararmi, andare al locale e mangiare qualcosa lì prima dello spettacolo.
Senza perdere tempo tolgo la fascia di carta, con su scarabocchiato il nome della classe, che tiene insieme quei fogli.
Sono molto soddisfatto di loro.
Ci hanno pensato su parecchio prima di scegliersi il loro nome.
Esattamente come avevo suggerito.
Decidere per se stessi un nome non è una passeggiata.
E’ qualcosa che fa fatto tenendo conto di quello che si prova nel proprio animo, delle proprie idee e di cosa si vuole trasmettere.
Solo considerando questi elementi sarà possibile creare un nome che sembra essere cucito addosso a chi lo porta da sempre, come un marchio indelebile che dichiara chi si è, cosa si vuole dalla vita, e quali sono i  propri sogni.
Un nome che potrebbero avere anche altre persone ma che se pronunciato richiamerà alla mente di chi lo ascolta solo ed esclusivamente quel soggetto che lo ha scelto per sé seguendo il flusso di emozioni della propria anima.
Esattamente come il nome Ruki, se fosse portato anche da dieci, cento, mille altre persone, mi farà pensare sempre e solo a quel ragazzo con i capelli neri e il ciuffo fuxia seduto all’ultima fila, con quel sorrisetto strafottente sulla faccia.
Aggrotto le sopracciglia, pensieroso.
Questo mi fa ricordare che proprio lui che aveva già il suo nome ha consegnato per ultimo.
Perplesso afferro il primo foglio sulla pila, ossia l’ultimo che mi è stato dato - il suo -.
E’ piegato a metà.
Senza indugiare oltre lo apro.
Che peste!
Non ha scritto neanche il nome e il cognome veri come avevo chiesto.
Semplicemente un enorme RUKI scritto a caratteri cubitali in inchiostro nero occupa l’intero spazio, poi la mia attenzione viene attirata da una scritta molto più piccola, in basso a destra.

‘Penso che potrei appassionarmi alla stupida materia che insegni.
                                                                                                    Ruki’

Beh…
Questo è…
Inaspettato.
Leggo più e più volte quelle righe cercando di capire cosa si celi dietro di esse.
Ironia?
Una sorta di ammirazione?
Un apprezzamento per la mia filosofia?
…un apprezzamento a ME?

Una risata sommessa fa sobbalzare le mie spalle prima di acquietarsi in un sorriso mentre porto l’estremità della mia penna tra i denti, mordendone piano il tappo.
Una brutta abitudine che dovrei perdere quella di mangiare le penne.
Credo di poterle classificare come uno dei miei alimenti base, ormai.
Cosa hai voluto dire, piccolo Ruki?
Mi hai restituito quel ‘mi piaci’ che ti ho lanciato senza darti modo di interpretarlo nella maniera corretta, facendo in modo che adesso abbia io qualcosa su cui scervellarmi tutta la sera?
Bravo.
Molto bravo.
Ti ammiro, Ruki.
Ma… sai una cosa?
Non credo esista un modo corretto di interpretare quel ‘mi piaci’.
Potrei dirti che mi piaci perché ragioni nel modo che io reputo corretto.
Perché sento che almeno in parte hai le mie stesse idee, solo guardando il modo in cui ti muovi e parli.
Perché il suono della tua voce è cristallino e deciso, privo di qualsivoglia accenno di sottomissione.
E anche perché con quella faccia da schiaffi e quel sorriso impertinente ti trovo molto carino, non lo nego.
In poche parole, mi piaci nella tua interezza.
Mi piaci a 360 gradi.
Per questo motivo, non c’è un preciso modo di interpretare quello che ti ho detto.
Perché non si riferisce a qualcosa di specifico della tua persona.
Ma a te in tutto e per tutto.
Sarà interessante confrontarmi con te, Ruki.
Non vedo l’ora, credimi.
Davvero non vedo l’ora.
Con un sorriso infilo quel biglietto nella tasca dei miei calzoni e mi metto al lavoro per completare il mio elenco.
Ho deciso.
Voglio darti un segno della mia stima, piccolo.
Anche se non lo saprai mai, questa sera sul palco la mia voce  vibrerà per te.













____________________________________________________________

*Ehggià, la traduzione in italiano di Matsumoto è proprio Vicino al Pino xDDD. Povero Ruru ç_ç


Tora’s note:
u.u”
Il titolo è preso dalla canzone 'Apple and Cinnamon' di Utada Hikaru, da qui l'ispirazione per la nostra opera letteraria u.u. Inoltre, come avrete già intuito in questo AU Kyo ha ancora il vecchio look che il sottoscritto adora (pochi tatuaggi, piercing e capelli biondi) così come Ruki e il suo stupendo ciuffo fuxia. XD


GurenSuzuki's note: bhe, che dire, credo non ci vogliano grandi commenti. Ruki ribelle e Kyo insegnante ghetto-style. La riproponiamo dopo un anno, qui nel fandom dei gazettE, sperando possiate apprezzarla nonostante la coppia travagliata. Che dire, non mi aspettavo di rivederla pubblicata, ma è un piacere poter riscrivere queste righe, una collaborazione divertente e produttiva, si spera xD. Un bacio ragazzuole.

   
 
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