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Autore: valecullen_thedevil93    02/12/2010    22 recensioni
questa è la mia prima storia su Raf e Sulfus e parte dal momento in cui termina il processo disciplinare per il sacrilegio, perciò non terrà conto di quello che è successo dopo nel cartone... "lo stage è ormai finito e Raf e Sulfus sono consapevoli che non si rivedranno mai più una volta tornati nelle loro rispettive città. Questo li spingerà a dichiararsi e a stare insieme gli ultimi giorni, anche con l'aiuto dei loro amici che li coprono, e si promettono che, nonostante le distanze, troveranno comunque il modo per vedersi. Ma qualcosa va storto; un'attacco a sorpresa di Reina scatenerà una violenta battaglia nella quale verrà sconfitta, ma prima di scomparire dirà qualcosa che spingerà Raf a prendere una decisione che cambierà per sempre il corso degli eventi. Ma prima di metterla in pratica succederà qualcosa fra lei e Sulfus, qualcosa di assolutamente magico e incredibile che porterà alla nascita di un piccolo, grande miracolo nella storia dei sempiterni." E' sia romantica che malinconica ma vi assicuro che se è una RafxSulfus quella che cercate, allora questa è la storia giusta.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ALLORA SALVE A TUTTE... LO SO HO UN IMMENSO RITARDO MA QUESTO MESE E' STATO VERAMENTE DIFFICILE PER ME... PURTROPPO E' MORTA RECENTEMENTE MIA ZIA, A CUI VOLEVO UN MONDO DI BENE, E LA VOGLIA DI SCRIVERE ERA VERAMENTE SCESA AI MINIMI STORICI... POI IERI SONO VENUTA A VEDERE DA QUANTO NON AGGIORNAVO E HO CAPITO CHE NON POTEVO FARVI ASPETTARE TANTO PER IL NUOVO CAPITOLO... COSI' IERI MI SONO MESSA DI BUZZO BUONO E HO SCRITTO DALLE TRE FINO ALLE CINQUE E POI DALLE OTTO E MEZZA ALLE UNDICI E MEZZO DI SERA E HO FINITO IL CHAPPY... FINALMENTE VE LO POSTO, SPERO MI POSSIATE PERDONARE PER L'IMMENSO RITARDO E CHE MI POSSIATE CAPIRE... IN QUESTO CHAPPY VEDRETE UNA SCENA GIA' VISTA IN QUELLO PRECEDENTE MA DA UN ALTRO PUNTO DI VISTA E AVRETE FINALMENTE LA CONFERMA AL VOSTRO DUBBIO: E' INCINTA? LO SCOPRIRETE SOLO LEGGENDO XDXDXD A VOI IL CHAPPY, RECENSIONI IN FONDO COME AL SOLITO ^^

6° CAPITOLO: "CAMBIAMENTI E NOVITA' (ULTIMA PARTE)"
POV RAF
Raggiunsi Agnese sul molo della nave, pronta a partire per il mio primo pomeriggio fuori dalla mia cabina. Sentivo però una strana inquietudine; il mio settimo senso ronzava come uno sciame di api in rivolta, e questo di solito significava grossi guai. Ma da chi e perché? Non avevo lasciato indizi dietro di me, quindi non poteva essere nessuno dei miei amici. Mi raggelai; poteva essere Reina? Se fosse sopravvissuta alla fenice, anche se ritenevo più probabile che adesso fosse uno spirito in cerca di vendetta, avrebbe voluto sicuramente vendicarsi, in primis di me, che ero stata la sua spina nel fianco per tanto tempo.
Fissai Agnese; se davvero qualcuno mi minacciava, allora anche lei era in pericolo e non potevo permetterlo. Stavo già pensando a una scusa che mi permettesse di tornare dentro la nave, lì non avrei sicuramente subito un attacco, quando la voce della mia compagna di viaggio mi distrasse dai miei pensieri funesti, «Raf, ehi Raf, mi senti?», mi chiese sventolandomi una mano davanti alla faccia e facendo schioccare le dita per attirare la mia attenzione.
Sobbalzai involontariamente e le feci un sorriso tirato, «si scusami. Ero sovrappensiero», le dissi cercando di nascondere la preoccupazione dai miei occhi.
Lei mi fissò con occhio indagatore e sospirò, «Raf, lo so che per te questo è un momento difficile», mi disse stringendomi la mano con fare affettuoso. Io mi irrigidii, come sempre quando parlavo di Sulfus, «ma non lasciare che la tristezza ti logori. Sei così giovane, hai tutta la vita davanti. Non lasciare che questo dolore ti distrugga. Devi essere forte, devi reagire, anche per lui. Credi che Sulfus ti vorrebbe vedere così?», mi chiese e io sobbalzai, mentre il dolore tornava prepotente in me, «non credo che vorrebbe vedere la ragazza che ama ridotta in questo stato. Non dico che sia facile, io per prima capisco e vedo che per te non è così, ma devi imparare a rialzarti dalle cadute della vita, altrimenti rimarrai sempre ferma al palo. Fa del tuo dolore la tua forza Raf; rialzati per affrontare più forte di prima le difficoltà, perché se sarai consapevole che eliminate quelle sarai libera di fare quello che vorrai, sarai libera prima di quanto tu pensi», concluse sorridendomi dolce. Nessuno mi aveva mai parlato così, nemmeno mia madre, che pure mi voleva un bene dell’anima. Le lacrime avevano preso già da un po’ a scorrere lungo il mio viso, il mio cuore toccato dalla dolcezza di quelle parole.
Singhiozzai e mi circondai il busto con le braccia, per cercare di ripararmi dall’ennesima fitta di dolore che avevo sentito vibrare gelida e implacabile come sempre all’interno del mio cuore distrutto e lacerato. La guardai afflitta, «mi manca da morire», le dissi singhiozzando, prendendomi il viso fra le mani, «ogni giorno che passa la lontananza diventa ancora più atroce. Lo sento fisicamente; è come se qualcuno mi stesse lentamente strappando una parte di me stessa. Percepisco i tessuti, le ossa, i tendini spezzarsi lentamente per la pressione e la forza esercitata su di loro e più mi allontano da lui, più sento il dolore farsi acuto e la pressione intollerabile. Quando arriverà il punto di rottura, come farò a sopravvivere? Se dentro di me sarò così danneggiata che neanche l’amore potrà più salvarmi?», le dissi singhiozzando, sapendo che le mie parole erano vere. Un giorno per me il dolore sarebbe stato insopportabile  e il mio corpo e il mio cuore avrebbero ceduto. Qualsiasi cosa, se sottoposta a troppa pressione, prima o poi si spezza, e il mio corpo stava raggiungendo il livello massimo di sopportazione. Avrei potuto raggiungerlo domani come fra due mesi, ma sarebbe sicuramente successo e allora, per me sarebbe stata la fine. Agnese mi abbracciò, stringendomi a se  e lasciandomi sfogare senza dire niente.
Quando finalmente riuscii a calmarmi mi staccai lentamente da quell’abbraccio che sapeva di casa e famiglia. Agnese mi fissò preoccupata, «Raf se non te la senti per oggi puoi restare sulla nave, faccio il giro da sola in città, non sei obbligata a seguirmi», mi disse dolcemente accarezzandomi una guancia.
Forse per me sarebbe stato meglio rimanere sulla nave considerato il fatto che la minaccia del mio nemico misterioso incombeva comunque su di me, ma, all’ultimo secondo, decisi di andare lo stesso. Non ce la facevo più a vivere segregata nella cabina della nave, dovevo rincominciare a vivere. Perciò presi un profondo respiro e le dissi, «no tranquilla vengo. Ho bisogno di respirare un po’ di libertà».
Lei mi fissò stupita ma felice che finalmente stessi reagendo. Annuì, mi prese per mano e mi trascinò fino alla fermata degli autobus. Il proto di Atene, il Pireo, non è collegato alla città, per raggiungerla serve una mezzoretta di macchina o bus. Ai lati della strada si notavano i resti delle mura che erano state costruite in modo che il porto, in caso di invasione, fosse protetto e potesse quindi rifornire la città di viveri e armi. Infatti mura della città e mura del porto erano collegate e non si interrompevano, permettendo quindi alla città assediata un contatto diretto con il porto.
Ci recammo alla biglietteria e prendemmo due biglietti andata e ritorno. Non potevamo stare molto in città, alle otto la nave sarebbe ripartita, ma avevamo comunque tre orette per spassarcela.
Quando scendemmo notai un tizio strano seduto tre file dietro di noi; era completamente bardato, con capello occhiali da sole e sciarpa. Mi accigliai; faceva un caldo assurdo, perché coprirsi in quel modo? Per soffrire un caldo terribile? Non aveva senso. Già quell’uomo non mi convinceva, in più il mio settimo senso, non appena lo avevo guardato, aveva cominciato a urlare pericolo in maniera assordante. Lo fissai bene, cercando di scorgere qualcosa sotto quell’ammasso di vestiti e quindi di capire chi si celasse veramente dietro a tutto quello. All’improvviso i suoi occhi incrociarono i miei e rabbrividii. Un brivido lungo e gelido, che scese lungo la mia spina dorsale come un cubetto di ghiaccio a contatto con la pelle. ormai ne avevo la certezza; era un devil in forma terrena. Il settimo senso produceva quella sensazione solamente quando un angel incontrava un devil sconosciuto e soprattutto con intenzioni non molto amichevoli. Questo voleva dire solo una cosa; era lui che mi minacciava.
Guardai preoccupata verso Agnese, seduta alla mia sinistra. Era ignara del pericolo che stava correndo e sapevo che era tutta colpa mia. Non dovevo assolutamente permettere che le facessero del male, era stata l’unica persona che, dopo essermene andata dalla Golden School, aveva dimostrato un minimo di compassione verso di me. Dovevo fare in modo che, quando mi avessero attaccata, sarei stata da sola.
All’improvviso il bus si fermò e capii che eravamo arrivati. Scesi con Agnese, stando attenta a non perdere il devil di vista. Purtroppo però, quando un gruppo di persone mi passò davanti, non lo vidi più e, quando finalmente le persone si tolsero dalla mia visuale, lui era sparito. Merda! Imprecai fra me e me. Ora lui avrebbe potuto attaccarmi senza problemi in qualsiasi momento, perché non potevo prevedere quando o come avrebbe diretto il suo attacco.
«allora Raf», cominciò Agnese, «da dove vogliamo cominciare?», mi chiese tutta eccitata perché finalmente era riuscita a trascinarmi fuori dalla cabina.
Ci pensai e decisi in fretta. Serviva un luogo che fosse chiuso e riparato in modo che, in mezzo ai terreni e in uno spazio chiuso, non avrebbe avuto possibilità di manovra. Perciò la mia decisione ovviamente ricadeva su, «un museo!!!», esclamai tutta contenta. Se fossi riuscita a tenere Agnese li dentro per tutto il resto del pomeriggio allora avrei scampato il pericolo. Poi non sarei più uscita dalla nave fino al termine della crociera, in modo che i miei nemici non avessero pretesti per attaccarmi in campo aperto.  
Ad Agnese si illuminarono gli occhi, «si ottima idea Raf!», urlò entusiasta lei, «ho sentito dire che vicino al centro c’è un fantastico museo di storia naturale», mi disse con gli occhi illuminati da una luce vivida. Mi sentii un po’ in colpa; se bastava così poco per farla felice avrei potuto farlo prima, «potremmo andare lì, che ne dici?», mi chiese entusiasta.
Io non potei fare a meno di sorridere del suo entusiasmo e le dissi di sì con il sorriso sulle labbra. Lei annuì e mi prese per mano per condurmi alla fermata d’autobus più vicina. Da lì studiammo un percorso adeguato e decidemmo quale autobus prendere per arrivare prima in centro e così guadagnare un po’ di tempo. aspettammo circa dieci minuti poi passò la nostra corsa e, svelte, salimmo. Dopo circa venti minuti di bus arrivammo proprio a circa cento metri dall’entrata del museo.
Dopo essere scese ci avviammo in quella direzione. Stavamo per entrare quando quel brivido mi colpì di nuovo. Mi voltai di scatto e incontrai gli occhi dello stesso devil di prima; occhi gelidi e freddi come quelli della notte, che mi scavarono nell’anima e mi fecero tremare di terrore. Non erano occhi normali, erano quasi spiritati. Quello che mi sorprese fu che non era solo; altre quattro persone stavano con lui, sempre bardate per non farsi riconoscere. Da quella lunga battaglia di sguardi fra me e loro, capirono che mi ero accorta che mi stavano seguendo e che non mi sarei fatta cogliere di sorpresa. Li vidi sogghignare e riprendere a parlare fra loro.
«Raf, ehi Raf, tutto bene?», mi chiese Agnese, scuotendomi una spalla e osservandomi preoccupata.
Sussultai e mi riscossi. La guardai negli occhi, fintamente rilassata, «si sto bene, ho solo avuto una sensazione di deja-vù», le dissi mentendo. Lei sembrò crederci.
Mi sorrise ed entrò nel museo, andando a fare la fila per i biglietti. Mi voltai di nuovo verso quel devil ma mi accorsi, con stizza, che lui e i suoi compagni erano spariti di nuovo. Perciò, con un sospiro di rassegnazione, mi affrettai e raggiunsi Agnese all’interno dell’edificio.
 
Quando uscii dal museo avevo, inaspettatamente, un sorriso sulle labbra. L’uscita mi aveva fatto più bene di quel che sperassi. Avevo assaporato di nuovo il gusto di stare in compagnia di una persona amica e, tutto sommato, mi ero divertita nell’ascoltare le storie di tutti quei personaggi dell’antichità terrena. Personaggi come Teddy Roosvelt e Gengis Khan mi avevano affascinato moltissimo, anche se la mia parte preferita era stata quella dedicata agli animali e alla loro storia sull’evoluzione. Avevo scoperto che adoravo cavalli e felini, mentre mi facevano assoluto ribrezzo le iene e gli avvoltoi. Erano animali che non esistevano nel mio mondo e per questo avevo cercato di imparare il più possibile su di loro. Mi ero persino dimenticata dei loschi figuri che sapevo ci avevano seguite per tutto il tempo.
Una volta fuori Agnese si accorse della mia espressione più rilassata in viso. La beccai ad osservarmi e mi incuriosii, «che c’è?», le chiesi, «ho qualcosa in faccia?».
Lei scoppiò a ridere e io la fissai confusa al massimo, «l’uscita ti ha fatto bene. Si vede che sei più rilassata», mi disse teneramente, dopo che l’attacco di risa sparì.
Io arrossii violentemente e mi sentii in colpa; non avevo il diritto di essere serena dopo quello che sicuramente Sulfus e gli altri stavano passando a causa mia. Io ero proprio l’ultima persona al modo che aveva il diritto di essere serena. Qualche lacrima scese dai miei occhi e Agnese subito si pentì di quello che aveva detto. Fece per dire qualcosa ma io con la mano le feci segno di tacere. A quel punto le parole sarebbero servite a ben poco.
«senti Raf», mi disse Agnese con rinnovata allegria, «che dici di mangiare un bel gelato per risollevarci il morale?», mi chiese tutta pimpante.
Il gelato? Che cos’era? Non ne avevo mai sentito parlare eppure in qualche modo mi suonava familiare. Ah sì, Andrea e Ginevra ne parlavano spesso quando volevano rilassarsi. Io non l’avevo mai mangiato, ad Angie Town non c’erano alimenti del genere, ma avevo sentito dire che era assolutamente squisito.
Feci un debole cenno di assenso, non potevo rifiutare perché avrei dato nell’occhio. Sperai solo che quegli esseri non trovassero il pretesto per attaccarmi ora che ero fuori e non più in uno spazio chiuso. Speravo che almeno la grandissima quantità di persone presente in strada li dissuadesse dal loro proposito di attaccare, almeno per risparmiare delle vite innocenti.
Io seguii Agnese che, con la cartina in mano, cercava di trovare una gelateria nelle vicinanze. Camminando arrivammo fino al parco cittadino che, da quello che vedevo sulla cartina, era veramente enorme. Faceva invidia persino a quello di Angie Town.
E proprio di fronte all’ingresso del parco, dall’altro lato della strada, una gelateria faceva bella mostra di se. Agnese si illuminò e mi ci tirò con forza. Vi entrammo e notammo che non c’era fila, così poteva farci subito.
«allora che prendete?», ci chiese il gelataio, un uomo che sembrava piuttosto affabile.
«due gelati da due», disse Agnese. Vidi il gelataio prendere due coni e aspettare l’ordinazione, «per me direi fiordilatte, limone e lampone». Il gelataio la osservò sorpreso da quell’accostamento di gusti così azzardato ma la accontentò.
Agnese prese il suo cono tutta soddisfatta. Il gelataio poi si voltò verso di me, «e tu cosa prendi cara?», mi chiese.
Io mi bloccai sul posto; e ora che gli rispondevo? Non avevo la più pallida idea di come fossero fatti i gusti che c’erano sulla lista appena alle spalle del negoziante. La fissai e scartai subito i gusti alla frutta, era l’ultima cosa di cui avevo voglia. Poi fra i gusti notai dei nomi familiari e decisi di optare per quelli, «allora io prendo cioccolato, nocciola e…», mi bloccai quando vidi il nome di un gusto strano ma che mi ispirava particolarmente. Sorrisi e aggiunsi, «croccante». Il gelataio annuì, decisamente la mia era una scelta molto più azzeccata di quella di Agnese.
Mi porse il cono con un sorriso e io lo ringraziai. Stavo per dargli i soldi ma Agnese mi anticipò, pagando per tutte e due. Io sbraitai e mi infuriai ma non la convinsi a cambiare idea e alla fine mi dovetti arrendere.
Uscite dal locale decidemmo di andare a mangiare il gelato dentro al parco, per respirare un po’ di aria pulita. Avevo cercato di dire che ero stanca e che preferivo sedermi ai tavolini del bar, ma lei aveva insistito e non ero riuscita ad oppormi.
Dentro, finalmente, decisi di assaggiare quell’alimento che avevo in mano. Con il cucchiaino di plastica raccolsi un po’ di tutti e tre i gusti e me lo portai alla bocca; era molto più freddo di quanto mi aspettassi ma il gusto era delizioso. Una vera apoteosi per le mie papille gustative. Sorridendo inforcai un’altra porzione e me la portai alla bocca.
Parlammo del più e del meno, finendo di mangiare i nostri gelati, ma io in realtà, tesa al massimo, scrutavo tra le persone e fra gli alberi del parco un eventuale segno di pericolo. Il mio settimo senso, da quando avevo messo piede all’interno di quei viali così ben curati, aveva cominciato a ronzare come un sciame di vespe, segno che c’era un pericolo imminente. Perciò stavo allerta e cercavo di capire da quale lato sarebbe arrivato il pericolo.
All’improvviso una scossa più forte mi ordinò voltarmi e, quando lo feci, inorridii; un plotone di sempiterni svolazzanti sopra il viale del parco, mi fissava ridendo vittorioso come coloro che hanno in mano la vittoria. Vidi un devil dalle ali e le corna nere caricare un colpo: una palla di energia gravitò sulla sua mano e la scagliò alla velocità della luce verso di noi.
«Agnese a terra!», urlai e, all’istante, le presi la mano e, di peso, la buttai fra gli alberi. Lei gridò di sorpresa e un altro urlo le uscì quando, proprio dove fino a pochi secondi fa c’eravamo noi, con un boato si aprì un enorme solco dovuto alla palla di energia.
Lei guardò la direzione da cui era arrivata l’attacco ma non vide nulla. Fortunatamente ora gli alberi ci coprivano, offrendoci un riparo momentaneo. Vidi i sempiterni, sia angel che devil, sparpagliarsi e iniziare a scrutare fra i rami per individuarci. Gli altri terreni cominciarono a scappare terrorizzati da qui, non rendendosi bene conto di cosa stesse succedendo.
«vieni fuori!», urlò lo stesso devil di prima, «forza Raf, fatti vedere! Sai avevo sempre saputo che gli angel erano coraggiosi ma evidentemente mi sbagliavo, sono solo dei codardi!», urlò, cercando di farmi venire allo scoperto.
Io non mi scomposi; era la classica tecnica del “provoca il nemico e fallo venire allo scoperto”. Era una tecnica vista e stravista, a cui io sapevo resistere benissimo.
«ho capito ti sei nascosta perché non vuoi giocare con noi», disse con voce fintamente dispiaciuta, «vorrà dire che ci divertiremo in altro modo. Magari con un po’ di tiro al bersaglio, che ne dite ragazzi?», chiese e tutti quanti risposero con una risata gelida e derisoria che mi fece venire i brividi.
All’improvviso li vidi guardare i terreni  e, inorridita, capii cosa volevano fare. Volevano attaccare i terreni! Loro non li potevano vedere, non avrebbero in alcun modo potuto capire cosa stava succedendo ne difendersi. Mi voltai decisa verso Agnese che si stava guardando intorno cercando di capire cosa stava succedendo, «qualunque cosa accada tu resta qui e non ti muovere d’accordo?», le ordinai perentoria, senza ammettere repliche.
Stavo per uscire allo scoperto ma una mano mi trattenne per il polso. Mi voltai incredula e vidi Agnese che mi fissava a metà tra il preoccupato e l’arrabbiato. Cercai di divincolarmi ma lei me lo impedì, «tu sai cosa sta succedendo non è vero?», mi chiese diretta.
Io la guardai sbigottita; aveva capito subito che io centravo qualcosa con quello che stava accadendo. Inutile cercare di mentire, era troppo sicura di se stessa. Perciò sospirai e le dissi, «si so cosa sta succedendo».
Lei stava già per ribattere ma io prima che potesse continuare la fermai, «ora però non c’è tempo per spiegarti tutto. Se non faccio in fretta molte vite umane andranno sprecate e non voglio che succeda», le dissi guardandola negli occhi decisa, facendole capire che non mentivo.
Lei mi fissò sgranando gli occhi per la paura. Ma poi rafforzò la presa, «prometti che sulla nave mi spiegherai tutto?», mi chiese con voce decisa.
Io la fissai negli occhi e glielo promisi. Lei sorrise soddisfatta e mi lasciò andare. Poi mi fissò negli occhi preoccupata, «fai attenzione. Qualunque cosa ci sia la fuori, ti può uccidere. Non voglio perdere un’altra persona importante per me», mi disse con le lacrime agli occhi.
Le sorrisi e annuii. Poi chiamai Cox. Stavo per ordinare la trasformazione in sempiterna ma mi bloccai, se mi fossi trasformata, il mio potere sarebbe stato subito localizzato e sarebbero arrivati altrettanto velocemente a cercarmi. Ma non potevo permettere che per colpa mia quegli esseri facessero del male a delle persone innocenti. Perciò con sguardo determinato, e sotto gli occhi sbigottiti di Agnese che fissava incredula Cox, ordinai la metamorfosi inversa. Per la prima volta dopo una settimana, sentii l’energia angelica scorrere prepotentemente dentro di me, ridonandomi quel vigore che avevo quasi dimenticato.
Agnese fissò incredula il punto in cui, ai suoi occhi, io ero sparita, perché ora che ero in forma sempiterna non mi poteva più vedere. Prendendo un respiro profondo, mi alzai in volo sopra la chioma degli alberi proprio davanti a quel plotone che stava per cominciare a sparare sui terreni indifesi.
Tutti si voltarono contemporaneamente verso di me e mi fissarono con sguardo glaciale e carico di odio. Mi accigliai; cosa avevo fatto loro per farmi odiare così?
Il capo si fece avanti, «angel Raf», esordì con tono solenne e allo stesso tempo sprezzante, «ti sei macchiata di un crimine imperdonabile; l’assassinio di Reina, sorella del nostro signore e padrone Syper. Perciò, per quanto concernono le leggi del nostro popolo, sei stata messa a morte. Se ti arrenderai a noi e ci seguirai senza fare storie, nessuno si farà male», mi disse ghignando, sicuro che avrei ceduto al suo ricatto. Illuso; non mi conosceva.
«e cosa ti fa pensare che ti seguirò per farmi ammazzare dal fratello…», mi bloccai all’improvviso quando mi resi conto di quello che quel devil aveva detto. Oh santissimi Gesù e Maria!
«Reina aveva un fratello?!», urlai sconvolta, mentre tutti guardavano male il loro capo e lui si portava una mano alla bocca, forse pentito di ciò che mi aveva rivelato. Questa era un’importantissima informazione per me; se Reina aveva un fratello, quest’ultimo avrebbe potuto voler vendicarla. Ora cominciavo a capire cosa avesse voluto dire quella neutra in punto di morte; che suo fratello l’avrebbe vendicata. Alla parte del ritorno non riuscivo ancora a dare una spiegazione logica; se lei era morta come sarebbe potuta tornare? Un morto era morto punto. Non poteva tornare in vita. O sì? Ma per il momento le mie domande avrebbero dovuto attendere, la situazione in cui mi trovavo non avrebbe ammesso cali di concentrazione senza delle conseguenze molto care.
Vidi il devil imprecare furibondo e capii di aver visto giusto; aveva lasciato trapelare troppe informazioni segrete. Poi si voltò verso di me, mettendo a tacere ogni rimprovero da parte dei suoi uomini, «prendetela!», urlò furioso, e tutti si lanciarono verso di me.
«Speed fly!», urlai, e mi lanciai in volo, scappando da loro. Una palla di energia mi filò a fianco andandosi a schiantare a terra, proprio a pochi centimetri da un terreno. Il pandemonio a terra aumentò ancora di più e mi resi conto che dovevo portare la battaglia lontano dai terreni. Se fossi rimasta vicino a loro, qualcuno si sarebbe potuto fare male gravemente.
Perciò deviai e mi alzai rapida verso il cielo, distogliendo così l’attenzione da terra. Se avessero voluto colpirmi, ora avrebbero dovuto mirare in alto. «fermatela accidenti! Il padrone la vuole viva!», urlò il capo, lanciandosi con gli altri al mio inseguimento.
Capii che se volevo vincere dovevo giocare d’astuzia e non di forza. Aumentai la velocità, stupendo me stessa; non ero mai andata così veloce, stavo quasi raggiungendo la velocità della luce. Questo avrebbe sicuramente giocato a mio favore; essendo più veloce di loro e quasi invisibile per via della velocità che avevo acquisito, avrei potuto coglierli di sorpresa. Ma avevo bisogno di un riparo. Fissai le nuvole sopra di me; ora sapevo cosa poteva darmelo.
Mi lanciai in mezzo alle nuvole, nascondendomi alla vista. Per loro sfortuna, essendo una angel, ero perfettamente di vedere attraverso le nuvole, visto che erano il mio elemento. La mia incognita era se anche gli angel che erano con loro potevano farlo; a quel che sapevo quando un angel rinnegava la sua specie perdeva i suoi poteri ma, di fatto, loro mi erano saltati addosso bersagliandomi con palle di energia magiche, quindi non sapevo dire se quelli fossero i loro poteri originari, oppure poteri acquistati dopo aver perso quelli angelici. Sapevo che Reina, che era stata una angel, aveva acquisito dei poteri con la sua trasformazione in neutra, ma non sapevo se era lo stesso per tutti loro.
Li vidi fermarsi e cercare di scrutare fra le soffici nuvole bianche. Vidi che gli angel aguzzavano la vista e si guardavano confusi tanto quanto i devil, quindi capii che i loro poteri non erano quelli originari ma quello acquisiti dopo. Ghignai soddisfatta; le condizioni stavano volgendo a mio favore.
«sparpagliatevi!», ordinò il loro capo con sguardo assassino in volto, «siete autorizzati a farle del male, ma il padrone la vuole viva, perciò non provate nemmeno a lanciare attacchi mortali, sono stato chiaro?», ordinò con voce imperiosa. Uhm questo era interessante; il fatto che non potessero attaccarmi in maniera violenta era un altro punto a mio favore, significava che io potevo fare il mio gioco senza troppi intoppi.
Tutto il plotone si riversò senza indugio fra le nuvole. Io sogghignai; ora era il mio turno di condurre il gioco. Rimanendo sempre in modalità Speed fly, cominciai a zigzagare da una nuvola all’altra, sempre senza farmi notare, per controllare la situazione. Vidi che un devil e una angel si stavano avvicinando a me, cercando, invano, di scrutare fra le nuvole. Aspettai qualche secondo e mi portai alla velocità della luce dietro di loro. Sentirono lo spostamento d’aria e si voltarono ma non abbastanza velocemente per proteggersi.
«Inflame!», urlai, e scagliai due palle di fuoco verso di loro. Li colpii in pieno e li vidi precipitare svenuti al suolo. Avevo volontariamente lanciato una bomba a bassa carica, giusto quello che serviva per metterli fuori combattimento per un bel pezzo; non volevo uccidere nessuno. Perciò inorridii quando li vidi venire avvolti da una luce viola, la luce dei neutri, per poi divenire cenere e sparire nel vento.
Mi pietrificai; che diavolo era successo? Non ero stata di certo io a ucciderli. Quindi perché li avevo visti scomparire sotto i miei occhi?
Sentii una risata gelida e mi voltai di scatto. Mi resi subito conto del mio imperdonabile errore; a causa dello shock causato dalla morte di quei due individui, ero rimasta ferma, senza preoccuparmi del fatto che, attirati dallo scoppio, gli altri sarebbero venuti a controllare di corsa e soprattutto, immediatamente.
Uno sguardo d’odio passò sul volto del capo quando si rese conto di cosa era successo, sostituito subito da uno di disprezzo, «che idioti!», sibilò sprezzante al punto dove erano spariti i suoi compagni, «vedi mia cara, quando uno di noi si ritrova in posizione di essere catturato dai nemici, e quindi sottoposto a degli interrogatori, si attiva automaticamente un incantesimo che ci fa diventare cenere. È una delle condizioni che ci vengono poste quando entriamo nell’esercito», mi spiegò disgustato.
Mi si accapponò la pelle dalla testa ai piedi per il ribrezzo che sentivo in quel momento. Come potevano essere così crudeli? All’improvviso sentii un fruscio dentro di me e, grazie ai miei sensi angel molto sviluppati, riuscii a capire che qualcuno, approfittando della mia distrazione, si era portato dietro di me per colpirmi alle spalle. Subito mi voltai e mi accorsi di non avere tempo sufficiente per contrattaccare. Perciò raccolsi tutte le mie forze e, sperando che fosse sufficiente per difendermi urlai, «Rock fly!». Subito una spessa corazza mi avvolse.
Lo sentii caricare il colpo, che poco dopo si abbatté su di me. La forza con cui aveva colpito era stata devastante. Caddi come un masso verso terra svenuta ma sempre protetta dalla mia corazza. L’impatto col terreno fu violentissimo ma, per fortuna, il mio scudo resse e, alzandomi, non sentii altro che un sordo indolenzimento a tutte le ossa. Guardai gli alberi del parco che, grazie al cielo, avevano attutito la caduta. Ringraziai tutti i santi del paradiso per quell’insperato colpo di fortuna.
Mi rialzai velocemente, conscia che dovevo approfittare del riparo che mi offrivano gli alberi, ma un improvviso dolore alla testa mi costrinse a barcollare su me stessa e ad appoggiarmi a un albero per non stramazzare al suolo. Mi portai dolorante una mano alla testa e la ritirai sporca di sangue; nella caduta evidentemente la protezione non aveva retto del tutto e mi ero tagliata in testa. Per fortuna non era un taglio profondo; non era niente che non si potesse curare con una buona dose di disinfettante e cerotti.
All’improvviso una palla di energia si schiantò a pochi passi da me, sollevando nuvole di polvere, rami e foglie. Io scappai nell’altra direzione, senza alzarmi in volo, cercando di sfruttare al massimo il riparo degli alberi. Altre palle di energia caddero sia vicino a me ma anche lontano. Capii che stavano facendo una specie di tiro al bersaglio perché ora ero nascosta alla loro vista.
«forza Raf, vieni fuori!», urlò uno di loro sghignazzando, scagliando palle di energia a destra e a manca. Notai che per fortuna ormai nessun terreno era rimasto dentro al parco.
Non avevo neanche finito di pensarlo che una bomba si schiantò vicinissima a me e la sua onda d’urto mi scagliò verso un albero. Non mi preoccupai, sapevo di essere trasparente, perciò ci sarei passata attraverso senza farmi niente. Invece mi stupii; sbattei violentemente contro il tronco, facendomi una male cane. Ricaddi a terra, totalmente stupita da quello che era appena accaduto; ero in forma sempiterna, teoricamente avrei dovuto attraversare gli oggetti. Come poteva essere che non fosse più così?
Decisi di rimandare le spiegazioni a più tardi. Questo però mi complicava notevolmente le cose; avevo un grosso svantaggio ora rispetto a loro. Inoltre dovevo fare in fretta a liberarmi se volevo evitare di trovarmi ancora lì quando gli altri sarebbero arrivati. Perciò c’era un’unica cosa da fare. Presi un bel respiro e mi librai in volo di fronte a quegli esseri spregevoli.
Tutti all’istante si voltarono verso di me. Il capo ghignò soddisfatto perché finalmente mi aveva fra le mani e nettamente in svantaggio, «a quanto vedo ti sei accorta del nostri incantesimo. Interessante il tuo taglio, sai, ti dona», mi disse sarcastico, lanciandomi un’occhiata di pura fiele.
«che avete fatto bastardi!», urlai in preda all’ira, cercando di trattenermi dal buttarmi alla cieca contro di loro, consapevole che se l’avessi fatto probabilmente sarei morta molto prima di fare qualunque cosa.
«non ti consiglio di arrabbiarti mia cara. Non sei nella posizione di farlo», replicò lui gelidamente, facendomi scendere numerosi brividi lungo la schiena. Sembrava veramente che a nessuno di loro importassero i valori della vita, «comunque se proprio ci tieni ti rispondo», mi disse sprezzante, «devi sapere che il nostro signore ha sviluppato un incantesimo che toglie ai sempiterni la capacità di attraversare gli oggetti. in pratica ora da quel punto di vista sei una terrena. E pensa che non bisogna fare niente per iniettartelo, basta solo colpirti con uno dei nostri colpi e il gioco è fatto. Interessante vero?», mi chiese ghignando.
Fuori ero completamente immobile, senza mostrare alcun segno di paura o cedimento, ma in realtà dentro tremavo; quanto era potente il fratello di Reina se era riuscito a realizzare un incantesimo del genere. Nemmeno lei riusciva a fare queste cose, a toglierci i nostri poteri. Avevamo davvero di che temere da questo nuovo avversario.
«prendetela!», urlò, e tutto il plotone mi si scagliò addosso contemporaneamente, chi da destra, chi da sinistra e chi da davanti a me.
Rimasi inattiva fino a che non vidi che non si potevano più fermare. All’ultimo istante, urlai, «speed fly!», e, alla velocità della luce, mi spostai, facendo scontrare tra loro parecchi guerrieri. Quando sbatterono l’uno contro l’altro, parecchie imprecazioni poco signorili attraversarono l’aria. All’istante alcuni di quelli che non si erano scontrati mi scagliarono addosso della palle di energia ma io, più rapida di loro grazie al mio potere riuscii a schivarle tutte. Quando ne scansai una, questa andò a finire contro un altro di loro che mi stava attaccando alle spalle. Capii così che non dovevo combattere, ma dovevo cercare di rivoltare contro di loro i loro stessi attacchi così, tenendo sempre attivato lo speed fly, attivai anche il Think fly. Mi collegai con tutte le menti dei miei nemici, anche se  mi costava un leggero sforzo e cominciai a leggere nella loro mente; in breve riuscii a prevedere tutte le loro mosse, così cominciai a portarmi nelle posizioni in cui sapevo si sarebbero colpiti tra loro.
Con quel metodo riuscii a fare andare fuori combattimento almeno tre sempiterni ma poi, capito il trucco, non so come, riuscirono a isolare le loro menti in modo che io non potessi ascoltarli. Non sapevo se considerarla una fortuna o un bel guaio; usare i miei poteri in quel modo mi stava stancando molto velocemente ma, d’altra parte, così non sarei più riuscita a prevedere le loro mosse. Infatti per poco non venni colpita da una palla di energia scagliata da uno di loro, che scoppiò a ridere, «ora non ridi più vero stronza?!», urlò.
Non sapevo per quanto ancora sarei riuscita a resistere; erano in troppi e mi attaccavano continuamente in modo che io non avessi tempo di contrattaccare a mia volta. Inoltre la mia velocità stava rapidamente diminuendo, non potevo tenere quel ritmo ancora per molto. Ben presto sarei stata alla loro mercé.
Ma, contro ogni mia previsione, il mio settimo senso si attivò proprio quando ormai stavo per considerarmi spacciata. Un urlo potente venne da dietro di me, un urlo che mi chiamava con amore e disperazione, «RAAAAAAAAAAAAAAAAF!!!».
Mi pietrificai all’istante e mi voltai subito verso la fonte del rumore e quello che vidi mi immobilizzò al mio posto; i miei amici stavano tutti lì a pochi metri da me, e in mezzo a loro, il volto sfigurato dal dolore ma allo stesso tempo pieno d’amore e preoccupazione, stava lui. Sulfus. Mi fissava con occhi ardenti, l’oro dei suoi occhi sembrava una fiamma viva a contatto con l’azzurro dei miei. Nonostante tutto, il suo sguardo era velato di una dolcezza disarmante, una dolcezza che mi fece capire che non mi odiava per quello che gli avevo fatto. Improvvisamente sentii un peso, un grosso macigno togliersi dal mio cuore, perché la mia paura più grande durante tutta l’ultima settimana era stata proprio questa.
Ed a dispetto di tutta la situazione in cui mi trovavo, mi sentii improvvisamente felice; felice perché finalmente avevo l’occasione di vederlo di nuovo anche se sapevo che non sarebbe potuto accadere nient’altro che uno sguardo fugace prima che io scomparissi nuovamente dalla sua vita e anche da quella dei miei amici che, al pari di lui, erano venuti a cercarmi e mi fissavano con la stessa espressione angosciata.
All’improvviso vidi il viso di Sulfus venire trasfigurato dalla disperazione, «Raf, attenta!», urlò, lanciandosi in volo verso di me velocissimamente, seguito subito dagli altri. Mi voltai all’istante e mi accorsi, troppo tardi, che il capo, approfittando della mia distrazione, mi aveva lanciato addosso una bomba. Era troppo tardi per proteggermi. Portai le mani davanti a me, cercando vanamente di attutire l’impatto che sapevo sarebbe arrivato.
Lo scontro fu molto violento e doloroso; venni sballottata via e caddi come un masso verso terra. La mia corsa si arrestò contro il muro di una casa e visto che, per colpa dell’incantesimo, ora non ero più trasparente, lo sfondai. Il dolore fu atroce  e mi attraversò da capo a piedi come milioni di stilettate roventi.
Caddi in una brevissima incoscienza. Mi risvegliai con le urla di lui che mi scuoteva disperato per le spalle, «RAF NON MI LASCIARE, MI HAI CAPITO?! NON OSARE NEMMENO PROVARCI, NON ADESSO CHE TI HO RITROVATA!», gridò agonizzante.
Riaprii gli occhi e mi ritrovai a fissare quelli grandi e color oro di Sulfus; erano pieni di lacrime represse ma il suo petto era scosso dai singhiozzi. «Sulfus», riuscii a sussurrare debolmente. I miei occhi si erano riempiti di lacrime, alla vista di quanto dolore gli avessi causato; riuscivo, ora che era vicino, a vedere le occhiaie molto marcate che gli contornavano gli occhi, per non parlare del viso cadaverico o del colore della sua pelle, ancora più bianca di come sarebbe stata normalmente.
I suoi occhi si accesero di speranza quando vide che mi ero leggermente ripresa, «sì, amore mio, sono qui», mi sussurrò teneramente, accarezzandomi dolce una guancia nel tentativo di rassicurarmi, «ora pensa solo a riposarti, ci sono io con te», mi disse, stringendo leggermente la presa su di me, per comunicarmi quanto gli fossi mancata. Dio, quanto lo amavo! Strinsi una sua mano nella mia, appoggiandole al mio petto.
Il dolore tornò violento e improvviso, concentrandosi sul basso ventre, dove delle acute stilettate di dolore sembravano volermi togliere il respiro, «fa male», sussurrai, la voce distorta dal dolore, provando a muovermi. Il dolore intenso mi costrinse a desistere; dovevo avere parecchie ossa rotte a giudicare dal male che sentivo in tutto il corpo. L’impatto era stato parecchio violento.
«shhhh tranquilla piccola, non sforzarti, ora ti porto subito in ospedale», mi disse debole, mentre i singhiozzi si facevano più rapidi e disperati, sicuramente dovuti al fatto che praticamente gli stavo morendo tra le braccia. No amore mio, non piangere, pensai. Tu devi sorridere sempre.
All’improvviso sentii le forze venir meno e capii che per me stava arrivando la fine; non ci sarebbero più state albe per me, ne baci, ne abbracci, ne sogni, ne avventure. Niente di niente. Per me si fermava lì e forse era meglio così, visto che per colpa mia erano tutti in pericolo.
Sorrisi dolcemente a Sulfus, cercando di fargli capire quanto lo amassi. Quello era un sorriso intriso d’amore, un sorriso solo nostro, l’ultimo sorriso che volevo condividere con lui prima di congedarmi da questa vita. Lo vidi sgranare gli occhi, mentre una lacrima solitaria, di cui non sembrava nemmeno rendersi conto, scivolava lungo la sua guancia destra. La mia testa reclinò di lato, la mano che stringeva la sua scivolò per terra e i miei occhi si chiusero. Era davvero finita.
Riuscii a sentire solo vagamente le urla disperate di Sulfus prima di abbandonarmi al buio, una specie di freddo limbo nel quale non riuscivo a sentire niente di niente. In quel momento tutta la mia vita mi passò davanti; rividi i momenti belli della mia infanzia con i miei genitori, il mio arrivo sulla terra, quanto tutto era cominciato, il mio primo incontro con Sulfus, tutti i bei momenti passati con le mie amiche, le numerose sfide angel contro devil, le lotte contro Reina, per arrivare all’ultima notte, quella che mi aveva fatto diventare una donna e che mi aveva regalato emozioni inimmaginabili. Avrei tanto voluto poter tornare a rivivere quelle emozioni ma sapevo che non sarebbe mai successo.
All’improvviso un fortissimo calore mi avvolse, facendomi lasciare il luogo freddo e oscuro in cui mi trovavo. Risalii lungo quell’abisso che mi aveva portata a fondo e, più metri risalivo, più avevo distintamente la percezione dei miei muscoli e del mio corpo. Sentivo il dolore scemare piano piano da ogni parte del mio corpo, fino a che anche le atroci fitte al ventre cessarono. Mi ritrovai in uno stato di beatitudine completa perché, anche se indistintamente, sentivo le sue braccia calde avvolgermi.
Riaprii lentamente gli occhi. Mi guardai attorno, frastornata per un attimo dalla luce forte, fino a che non riuscii a mettere a fuoco il viso di Sulfus a pochi centimetri dal mio. La sua fronte era imperlata di sudore per lo sforzo di avermi guarita e l’angoscia era visibile nel suo sguardo. Angoscia che sparì non appena i miei occhi si puntarono sui suoi. Gli sorrisi dolcemente e vidi la felicità più pura dilagare in lui. Le lacrime tanto represse sgorgarono dai suoi occhi e, di scatto, mi strinse con forza a se, seppellendo il viso sulla mia spalla, singhiozzando senza freni. Mi aggrappai a lui spasmodicamente, come se ne andasse della mia vita, e in un certo senso era veramente così; senza di lui io non ero niente, non esisteva nessuno che avrebbe mai potuto sostituirlo nel mio cuore. Lo amavo talmente tanto che mi sembrava di scoppiare d’amore; ero troppo piccola per contenerne così tanto.
Anch’io scoppiai a piangere stringendomi a lui, riversando nelle mie lacrime tutta la felicità che provavo in quel momento. Dio, quanto mi era mancato! Inspirai il suo profumo di menta a pieni polmoni e cominciai a sussurrare in una litania infinita il suo nome. La voragine del mio cuore adesso si era chiusa senza lasciare alcuna traccia del suo passaggio; sentivo la felicità totalizzante e completa che derivava dal sentire il suo corpo tra le mie braccia.
A malapena sentii le urla di giubilio dei miei amici quando videro che stavo bene. Sulfus si staccò da me e mi prese il viso tra le mani, stringendomi in una presa ferrea e facendomi appoggiare la mia fronte alla sua. Ci guardammo per un momento infinito negli occhi, perdendoci l’uno nello sguardo dell’altra; le lacrime continuavano a scendere dai nostri occhi, perciò gli presi il viso fra le mani e cominciai a cancellare le lacrime dalle sue guance con dolci gesti delle dita. In realtà, volevo di nuovo sentire la morbidezza della sua pelle sotto le mie mani; il contatto con il suo corpo era la cosa che mi era mancata più di tutto.
Il mio sguardo si focalizzò sulle sue labbra rosse e carnose a pochi centimetri dalle mie; sarebbe bastato così poco per avvicinarmi e farle combaciare. Dio solo sapeva la voglia che avevo di baciarlo ma mi trattenni; non sapevo se avrebbe gradito dopo tutto quello che gli avevo fatto passare. Anche se la voglia di baciarlo era devastante dentro di me cercai di frenarmi.
Fu lui però a togliermi qualsiasi dubbio. Mi attirò a se con foga, incollando letteralmente le sue labbra alle mie; mi baciò quasi con violenza mentre io non riuscii a fare altro che lasciarmi andare. Ci baciammo in una maniera che avrebbe dovuto essere dichiarata illegale; con un gemito dischiusi le mie labbra, facendo incontrare le nostre lingue. Ci stavamo letteralmente divorando, e non ci importava niente degli altri che ci guardavano scioccati. Eravamo due cocainomani in astinenza e dovevamo assolutamente farci un'altra dose della nostra eroina preferita, perché senza non saremmo sopravvissuti. Un bacio come quello non ce lo eravamo mai dati; ero un concentrato di passione e lussuria, una carica di puro erotismo che ci stava letteralmente travolgendo. Se non ci fossimo fermati, non mi sarei affatto stupita di ritrovarci a fare l’amore su quel pavimento.
Fortunatamente l’aria cominciò a mancarci, perciò fummo costretti a staccarci. Il suo sguardo era animato da pura luce e sapevo che anche per me era così. Lui mi fissava teneramente, accarezzandomi le braccia, le gambe e il corpo come se volesse appropriarsi di me per non lasciarmi più andare.
All’improvviso la sua espressione cambiò; passò repentinamente dalla felicità più pura alla più nera disperazione, «perché?», mi sussurrò angosciato, il viso ridotto a un'unica maschera di sofferenza,  «perché te ne sei andata?», mi chiese.
Mi sentii morire; era l’unica domanda che speravo non mi facesse. Tutto il dolore e i motivi che mi avevano spinto ad andarmene tornarono prepotentemente a galla. Erano stati oscurati solo temporaneamente dalla felicità del momento ma ero sempre stata consapevole del fatto che, presto o tardi, io mi sarei dovuta separare di nuovo da loro. La tristezza e il dolore tornarono prepotenti ad invadere il mio cuore.
Fissai Sulfus negli occhi, «io…», sussurrai mentre due lacrime mi scorrevano lungo il viso. lo vidi sgranare gli occhi, evidentemente preoccupato da ciò che poteva avermi spinto ad andarmene senza dire niente a nessuno.
Per un momento fissai i suoi occhi e la mia sicurezza vacillò; ero sicura che se avessi detto loro tutta la verità mi avrebbero aiutata e mi avrebbero perdonata per averli fatto soffrire. Ma io ero disposta a metterli in pericolo solo per poter rimanere di fianco a loro? Sapevo che era un pensiero egoistico, ma la cosa mi tentava e non poco. Sarebbe sicuramente stata la via più facile per me ma non potevo permettere che per una mia debolezza ci rimettessero tutti. Perciò il mio cuore si straziò per il dolore che la consapevolezza di quello che dovevo fare aveva portato con se. «scusami. Scusami tanto. Ti amo, non dimenticarlo mai», gli sussurrai, gli occhi e la voce pieni di lacrime. Ma d’altronde, in che altro modo avrei potuto sentirmi? Per la seconda volta in una settimana ero costretta a strapparmi il cuore per permettere alle persone  a cui volevo bene di salvarsi. Lo facevo per loro, ma niente  e nessuno mi avrebbe impedito di soffrire come un cane, come del resto avevo fatto per tutta la settimana.
Lui capì all’istante cosa volevo fare ma era già troppo tardi per fermarmi, «no Raf!!!», urlò cercando di impedirmi di attivare il mio potere ma non ci riuscì. «Think fly!», mormorai e subito una nuvola di incoscienza avvolse Sulfus e tutti i miei amici. Sentivo le loro menti fondersi per diventare un tutt’uno con la mia; dentro vi lessi tutta la sofferenza che avevo causato loro e quello fu peggio di tutto quello che avevo dovuto sopportare durante tutta la settimana. All’improvviso un grumo di dolore molto più potente di tutti quelli dei miei amici mi attirò inesorabile verso l’unico luogo in cui, in quel momento, non sarei mai voluta entrare. La mente di Sulfus. Era piena di un dolore tale che mi sentii uno schifo. Il mio e il suo dolore erano esattamente identici, stavamo soffrendo esattamente nello stesso modo e questo mi faceva talmente male che mi sembrava di svenire. Volevo fermarmi ma strinsi i denti; non potevo ancora smettere. Perciò, mentre impiantavo loro dei falsi ricordi fui costretta ad assistere alla maggior parte degli ultimi ricordi di Sulfus. Lessi tutto il suo dolore, la sua disperazione, il suo desiderio di farsi del male come conseguenza del pensiero di non essere stato abbastanza per me, che me ne fossi andata perché non me ne importava di niente e di nessuno. Poi vidi la vergogna che aveva provato per aver formulato quei pensieri, a cui non credeva nemmeno lui. Mi commossi; nonostante tutto il dolore che stava provando, non aveva mai dubitato di me ne di quello che provavo per lui. La prova che il nostro legame era puro e incorruttibile.
Proprio mentre finivo il processo di installazione dei ricordi fasulli nelle loro menti, mi imbattei nel ricordo di Sulfus della nostra prima notte. Mi colpii profondamente quello che aveva provato, la stessa identica sensazione di intenso e totalizzante piacere che aveva travolto anche me. Sentii le emozioni che aveva provato stando con me e non potei far altro che scoppiare a piangere; non meritavo che mi amasse così tanto.
Finalmente finii. Tutti erano svenuti sul pavimento e, quando si fossero svegliati, non avrebbero ricordato nulla del nostro incontro se non me che fuggivo ancora prima di farmi avvicinare. Mi abbassai sul corpo di Sulfus e mi stesi sul suo petto. Lo abbracciai, facendo finta per un momento che quello non fosse un addio. Inspirai il suo fresco profumo, consapevole che non avrei avuto più occasione di farlo. Alzai il viso e fissai il suo; sembrava così sereno nell’incoscienza, come se niente potesse turbarlo. Ma io sapevo che, quando si fosse svegliato, avrebbe sofferto come e forse più di me. Le lacrime scesero lentamente sul mio viso; non meritavo un ragazzo come lui e nemmeno amici come loro.
Mi abbassai lentamente sul suo viso e, trattenendo il fiato per la paura che si potesse svegliare proprio in quel momento, poggiai le mie labbra sulle sue, per un ultimo, rapido e casto bacio di addio. Le sue labbra si modellarono perfettamente sulle mie mentre sentivo per l’ultima volta la sensazione di completezza, che mi avvolgeva sempre quando stavo con lui, invadermi. All’improvviso lui gemette e dischiuse leggermente le labbra. Mi staccai subito, spaventata che mi avesse scoperto. Ma mi tranquillizzai; era ancora incosciente. Non lo dicevo per me; se si fosse svegliato, non sarei riuscita a dirgli addio per una terza volta, e avrei finito per tornare a casa con loro. E questo non potevo permettermelo. Però lo sentii sospirare il mio nome. Rimasi scioccata; perfino sotto l’effetto del Think fly riusciva ad avvertire la mia presenza. Un’ulteriore prova di quanto mi amasse.
Mi staccai con il cuore a pezzi da lui, salutai con lo sguardo i miei amici e mi affrettai a lasciare quel luogo. Appena in tempo. pochi secondi dopo che uscii dallo squarcio nel muro e mi nascosi dietro l’angolo, vidi Sulfus e gli altri alzarsi un po’ intontiti dal pavimento. Vidi Sulfus portarsi per un attimo le mani alle labbra e mi pietrificai; che si fosse accorto del mio bacio? No era impossibile, era ancora sotto l’effetto del Think fly quando l’avevo fatto. Eppure, per un momento, temetti e allo stesso tempo sperai che non avesse funzionato.
Ma la mia paura e le mie speranze svanirono non appena lo vidi scuotere la testa, agonizzante, e cercarmi con lo sguardo. All’improvviso crollò a terra, le spalle scosse da violenti singhiozzi. Quella visione mi fece talmente male che per poco non svenni a terra. Era atroce vedere Sulfus ridotto in quello stato per colpa mia. Ma d’altronde, che altro avrei potuto fare?
Improvvisamente tirò un pungo al suolo e si accasciò a terra. In quel momento dovetti trattenermi dal lasciare il mio nascondiglio e correre in suo aiuto. Lo amavo così tanto che non riuscivo a sopportare di vederlo così. Con uno sforzo immane però riuscii a trattenermi.
Vidi Gas prenderlo in spalla come se fosse stato un sacco di patate. Poi tutti, il viso triste e le lacrime agli occhi, volarono via.
Priva di forze, mi accascia contro il muro e, impotente, mi lascia scivolare a terra. Seppellii il viso fra le ginocchia e scoppiai a piangere. Stavo male come non lo ero mai stata in tutta la mia vita, neanche quella notte di una settimana fa ero stata così. Ora avevo visto come li avevo ridotti, come stavano male per colpa mia, e non riuscivo a sopportarlo.
Non so per quanto tempo rimasi lì ma dopo un po’ mi ricordai sia che dovevo raggiungere Agnese sia che dovevo ritrasformarmi in terrena per evitare che, quando fossero tornati indietro, il mio potere fosse ancora rintracciabile. Perciò, fra le lacrime e i singhiozzi, ordinai a Cox la metamorfosi. Pochi secondi e mi ritrovai nuovamente terrena.
Mi alzai traballando un po’ sulle gambe e mi avviai verso il punto dove lasciato Agnese. Camminavo tutta barcollante, gli occhi annebbiati dalle lacrime e la mente offuscata dal dolore. In poco tempo avevo affrontato due prove per me devastanti e ora stavo raggiungendo il limite, in tutti i sensi.
Mentre camminavo verso il parco vidi Agnese di fronte e me. Mi fissava stupita. Il mio aspetto doveva essere orribile; occhi gonfi e pesti per il troppo pianto, spalle scosse da singhiozzi, capelli crespi, arruffati e pieni di fuliggine per colpa della battaglia. Mi guardò con un misto di preoccupazione e pena e subito mi abbracciò forte. Io mi aggrappai a lei e scoppiai sulla sua spalla, disperata. Mi lasciò sfogare per un po’ tra le sue braccia e poi, mentre ancora mi stringeva a se, mi condusse dolcemente verso la fermata della navetta che ci avrebbe riportate alla nave giusto in tempo per la partenza.
Salimmo sopra la navetta senza dire niente. Io semplicemente continuavo a piangere sopra la sua spalla, cercando di eliminare attraverso le lacrime il grosso peso che sentivo nel cuore. Nonostante volesse una spiegazione per quello che era successo, non mi chiese niente, capendo il mio dolore, lasciandomi sfogare contro di lei. Per tutto il tempo del viaggio mi tenne stretta a se, cercando di calmarmi.
Quando arrivammo alla nave mi ero finalmente calmata. Le lacrime e i singhiozzi si erano arrestati, ma il dolore era comunque lì, vivo e bruciante, che mi corrodeva senza pietà cuore, mente e anima. Agnese mi fissò dolcemente negli occhi, «Raf sento, se vuoi rimandare le spiegazioni a domani non c’è problema, non ti preoccupare», mi disse con sguardo teso, al pensiero che questa mia crisi era stata molto più forte delle precedenti. Ma non volevo più mentire; non a lei che era la mia amica più fidata ormai.
Perciò sospirai e, fissandola negli occhi, le dissi, «no Agnese. È tempo ormai che tu sappia tutta la verità. Vieni andiamo nella mia cabina», e la presi per mano. Lei mi fissò stupita ma non obiettò. Mi seguì, un po’ titubante, nella mia stanza.
Quando entrai, chiusi la porta a chiave, lasciandola infilata nella toppa, per evitare che qualcuno con un passepartout come quello di Agnese entrasse. Poi andai alle tende e le tirai, in modo che nessuno da fuori vedesse qualcosa. Infine accesi il computer ed entrai nel programma del disco; avevo bisogno di qualcuno in particolare.
«insomma Raf », sbottò Agnese, «mi stai facendo saltare i nervi con questo tuo comportamento», mi disse arrabbiata.
Io la fissai gelidamente, «se non ti sta benne quello che sto facendo la porta è quella. Non posso rischiare che qualcuno oltre a te scopra il mio segreto», le dissi, inflessibile. Stavo infrangendo il VETO per lei, che almeno rispettasse le mie condizioni.
All’improvviso l’ologramma di Peter apparve al centro della stanza, cioè proprio a pochi centimetri da dove si trovava Agnese, che urlò e balzò indietro per lo spavento e la sorpresa di ritrovarsi uno spirito a pochi centimetri da lei.
Lui la guardò incredulo e poi spostò il suo sguardo su di me, «dimmi mia cara, cosa posso fare per te?», mi chiese dolcemente.
Io gli feci un piccolo inchino, «scusa se ti ho disturbato un’altra volta oggi, ma ho bisogno del tuo aiuto. Devi isolare la stanza come quando facciamo esercizio e inoltre devi anche fare un incantesimo che le permetta di vedermi anche nell’altra forma», gli dissi, cercando di rimanere sul vago verso la fine del discorso.
Lui sgranò gli occhi, «vuoi rivelare a lei del nostro mondo?!», quasi urlò lui, guardando schifato Agnese, che per la sorpresa era ancora a bocca spalancata e non aveva preferito parola.
Io annuii, «sì, è quello che intendo fare. Oggi sono stata attaccata», gli dissi tristemente, ricordando cose che non volevo ancora rivivere; lui trasalì, «e lei era presente. Perciò sì, è quello che intendo fare», conclusi.
Lui mi fissò e annuì. Subito chiuse gli occhi e si concentrò e avvertii il familiare cambiamento dell’aria tipico di quando si attiva un incantesimo. Lui riaprì gli occhi e mi disse semplicemente, «fatto», e poi sparì.
Agnese, per la prima volta da quando era entrata nella cabina, riuscì a parlare, «ma che diavolo era quello?», urlò sbigottita.
All’improvviso Peter riapparve e lei urlò di nuovo. Cominciava a diventare fastidiosa, «ehi bada a come parli, piano con le offese. Io sono un angel, sai!», gli disse in faccia schiumante di rabbia.
Io scoppiai a ridere e lui mi guardò stupito ma poi alzò gli occhi al cielo. Agnese invece sembrava leggermente spaventata, «Raf, c-che sta succedendo?», mi chiese con un tremito ben udibile nella sua voce.
«questo», le dissi, sorridendole dolce per rassicurarla, «Cox», chiamai poi, facendo apparire la mia adorata mascotte, «attiva la metamorfosi inversa!», le ordinai e lei, con uno svolazzo contento, eseguì l’ordine. Sotto gli occhi sbigottiti di Agnese, mi trasformai in angel. Le ali e l’aureola riapparvero addosso a me, mentre i vestiti tornavano quelli di sempre.
Quando finì e Cox ritornò dentro la fibbia della mia cintura, rimasi ferma immobile al centro della stanza, aspettando la reazione della mia migliore amica.
Lei mi fissava con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca spalancata in una O muta. Si avvicinò lentamente  a me, quasi terrorizzata dal mio reale aspetto. Allungò una mano e, titubante, provò a toccare una delle mie ali. Quando la sfiorò con la punta della dita, ritirò la mano come scottata, «è fredda!», sibilò sorpresa, sfregandosi incredula la mano.
Io scoppiai a ridere per l’assurdità della sua affermazione. Lei mi fissò interrogativa; finalmente si era ripresa dal suo stato di semi catatonia, «ma che cosa c’è da ridere?», mi chiese un po’ irritata dalle mie risate.
Io continuai a ridere ancora più forte, «dopo aver visto una cosa del genere, tra tutte le cose che avresti potuto dire, te ne esci con “è fredda!”», le dissi, tenendomi la pancia dal troppo ridere. Con il mio riso convulso, riuscii a stemperare la tensione che aleggiava nella stanza da quando era apparso Peter e anche Agnese scoppiò a ridere.
Esaurito l’attacco di ridarella ritornò seria, «che cosa sei Raf?», mi chiese guardandomi preoccupata e curiosa ma non spaventata. Beh, era già un buon inizio.
Io sospirai e mi sedetti sul letto. Appoggiai una mano di fianco a me, facendole segno di avvicinarsi a me. Lei si sedette di fianco a me e attese la risposta alla sua domanda, «sono una angel», le dissi e lei sgranò gli occhi, «una custode dei terreni. Noi angel siamo nati per custodire voi terreni ed aiutarvi a compiere le scelte giuste, ovviamente senza mai farci scoprire», le spiegai in poche e brevi parole.
Lei mi fissò incredula, «cioè vuoi dire che ogni terreno ha il suo angel personale?», mi chiese, avida di sapere.
Sorrisi della sua impazienza, «sì è esatto. Ma non esistono solo gli angel», le dissi interrompendola, prima che potesse farmi domande a raffica e quindi smontare tutto il discorso che mi ero preparata, «ci sono anche i nostri opposti, i devil». A quelle parole io, inevitabilmente, mi rattristai e la famigliare ondata di dolore mi scosse da capo a piedi, mentre Agnese spalancò ancora di più gli occhi, cosa che credevo impossibile. Mi feci forza e continuai, «i devil sono i tentatori dei terreni; devono confonderli per poterli portare a fare la scelta sbagliata e quindi ad allontanarsi dalla retta via. Per questo angel e devil sono sempre in competizione», gli dissi e verso la fine, non potei impedire alle lacrime di lasciare i miei occhi. Sì competizione; ormai io non consideravo più i devil dei nemici ma degli amici, e anche qualcosa di più. Bloccai quel pensiero prima di inoltrarmi in strade per me pericolose.
Lei mi fissò interrogativa; stava riconoscendo l’inizio delle crisi di pianto e isterismo che avevo sempre, solo che, logicamente, non riusciva a collegarle a questo contesto. Scossi la testa e ripresi a parlare; le spiegai cosa era il VETO, le parlai delle nostre città, Angie town e Zolfanello city, le descrissi la gerarchia che albergava fra noi sempiterni, con le Alte e Basse sfere al vertice, le illustrai la differenza fra guardian angel e stagisti, come si svolgeva lo stage, sia le rivalità ma anche i momenti divertenti avuti sia con angel che con devil. In pratica le raccontai tutto quello che c’era da sapere sul mio mondo.
Alla fine lei aveva uno strano luccichio negli occhi. Cominciò a battere le mani e a saltellare sul letto come una bambina di cinque anni di fronte al suo regalo di natale, «tu lo sai che ora non ti darò tregua con le domande, vero?», mi chiese con occhio sadico e io scoppiai a ridere, seguita da lei. Ma c’era ancora qualcosa che doveva sapere.
«Agnese», le dissi, prendendole le mani, «ascoltami attentamente. La vita di un sempiterno non è tutta rose e fiori come potresti pensare. Devi comprendere che se accetterai di portare il peso di questo segreto, sarai in pericolo», le spiegai, guardandola negli occhi seria come non lo ero mai stata. Temevo per lei e volevo che avesse ben chiaro cosa la aspettava se avesse deciso di accettare la situazione, «se pensi che la cosa per te sarà troppo dura da sopportare, io posso cancellarti la memoria e fare in modo che questo pomeriggio non sia mai esistito. La decisione però spetta a te», conclusi, guardandola negli occhi.
La vidi riflettere per qualche secondo e poi fissarmi decisa negli occhi. Senza aver bisogno di parlare, seppi qual’era la sua decisione. La abbracciai di slancio, sentendomi al sicuro. Quando ci staccammo riprese la parola, «chi ti minaccia Raf?», mi chiese.
«la neutra Reina e suo fratello», le dissi, gelida.
Lei mi fissò confusa, così io le parlai di Reina e di tutto quello che ci aveva fatto passare durante lo stage, le varie trappole, le cattiverie, il Limbo, Malachia. Ma quando arrivò il momento di spiegare come aveva sfruttato me e Sulfus per i suoi loschi piani, mi bloccai; il dolore tornò violento e lacerante e fui costretta a piegarmi su me stessa per cercare di lenire le terribili fitte che si erano impossessate di me.
Agnese subito di chinò su di me per cercare di aiutarmi, «Raf, Raf, che succede, ti senti male?», mi chiese, sostenendomi per le spalle.
Presi un bel respiro e mi preparai a raccontare, «ti ricordi cosa ti dissi una settimana fa sul perché fossi dovuta andare via?», le chiesi e lei annuì. «beh, c’era un fondo di verità in quelle cose. Me ne sono andata perché Reina ha minacciato di vendicarsi di me facendo del male ai miei amici. E non potevo permettere che succedesse, soprattutto che facesse del male a… Sulfus», dissi con uno sforzo, mentre le lacrime riprendevano a scendere copiose sul mio viso.
Lei sussultò, «Sulfus? Anche Sulfus è un angel?», mi chiese incredula.
Io alle sue parole singhiozzai violentemente. Se fosse stato un angel sarebbe stato molto più facile per noi, e non ci sarebbero stati tutti quei problemi che la nostra relazione aveva portato con se. Scossi la testa, «Sulfus è un devil», dissi in un sussurro fioco, aspettando la sua reazione.
Lei mi fissò scioccata, incapace di proferire parola. Presi la collana che avevo al collo e gliela passai, «questa me l’ha regalata lui. All’interno c’è una nostra foto», le dissi.
Lei subito, incuriosita, lo aprì e rimirò la foto. Osservai il viso di Sulfus per qualche secondo e distolsi lo sguardo; non riuscivo a reggere di osservare il suo viso. «caspita Raf, devo dire che è bellissimo», disse stupita Agnese, richiudendo il ciondolo e ripassandomelo. Me lo rimisi al collo. Lei poi mi sorrise dolce, «è per lui che piangi sempre e ti disperi così». Un’affermazione più che una domanda.
Annuii, «io e Sulfus abbiamo la stessa età, diciassette anni. Ci siamo conosciuti per la prima volta allo stage sulla terra», la mia voce malinconica cominciò a raccontare quello che era successo tra noi; mi appoggiai alla spalliera del letto e mi tirai le gambe al petto,  «non sapevamo ancora cosa ci aspettava, sapevamo solo che, in quanto io angel e lui devil, dovevamo per forza odiarci. All’inizio forse può anche essere stato così ma, ripensandoci, penso che tutte le litigate che facevamo servissero in realtà per non ammettere che ci eravamo innamorati l’una dell’altro a prima vista. Avevamo lo stesso terreno, perciò fu impossibile per noi evitare di far crescere i nostri sentimenti. Poi Reina cominciò a mettersi in mezzo; ci fece mordere da un ragno che aumentò i nostri sentimenti. Il suo scopo era ottenere un nostro bacio perché, se ci fosse riuscita, si sarebbe compiuto il sacrilegio che le avrebbe permesso di liberarsi dal Limbo. Cominciò a creare occasioni per far sì che io e Sulfus rimanessimo da soli e quindi, in un certo senso, spingerci a baciarci. I professori ovviamente non rimasero inattivi e si adoperarono per farci stare separati il più possibile, prima togliendoci il nostro terreno comune, e poi mettendoci alle costole una specie di guardia del corpo che doveva controllare tutti i nostri spostamenti. Ma in mezzo a tutto questo casino, nessuno si accorgeva che io e Sulfus ci stavamo innamorando sempre di più e che eravamo noi quelli che soffrivano di più in quella situazione. Nessuno sembrava rendersi conto che eravamo noi quelli che ci stavamo rimettendo di più, quelli che, da tutti quegli intrighi, ne sarebbero usciti comunque distrutti, sia che fosse finita bene, sia che fosse finita male.
E infine Reina creò l’occasione perfetta. Ci spedì nel passato e, finalmente, riuscì a farci baciare. È stato il nostro primo bacio ed è stato magico sia per me che per lui. Ma le cose sono andate diversamente da quello che ci aspettavamo; il bacio provocò un’onda sacrilega che causò un terremoto che rischiò di far crollare la città e di uccidere decine di persone. Inoltre quello era ciò che Reina aspettava da tempo; grazie a noi riuscì a liberarsi dal Limbo. Io e Sulfus venimmo accusati di sacrilegio e processati. Saremmo stati espulsi se i nostri amici non avessero dimostrato il coinvolgimento di Reina. Tuttavia tutti credevano che fra me e Sulfus non ci fosse niente, convinti che il nostro sentimento fosse stato semplicemente indotto da Reina per riuscire a liberarsi. Non era affatto così; eravamo innamorati come e più di prima ma eravamo consapevoli che la nostra storia non sarebbe mai potuta cominciare. Soffrivamo moltissimo entrambi, inoltre il nostro senso di colpa per il sacrilegio appena compiuto, ci spingeva a stare lontani per paura di creare altri problemi.
È passato così il secondo anno di stage, io e lui che ci ignoravamo e stavamo sempre più male. Quella lontananza forzata ci stava logorando dentro. Poi una settimana fa è arrivata la fine della scuola; sapevamo che saremmo tornati nelle nostre rispettive città e che non ci saremmo rivisti mai più e non siamo più riusciti a trattenerci. Abbiamo superato paure e sensi di colpa e ci siamo dichiarati. Abbiamo passato insieme quell’ultimo giorno. La mattina successiva, alla consegna dei diplomi, Reina ci ha attaccato; io e Sulfus l’abbiamo sconfitta ma nella mia testa ho sentito la sua voce che diceva che sarebbe tornata grazie a me e facendo del male alle persone che mi erano più care. Le conseguenze della mia decisione credo tu le conosca. Ma sai prima di andarmene è successa una cosa tra me e Sulfus, una cosa che volevamo entrambi disperatamente anche se non avevamo mai avuto il coraggio di ammetterlo a noi stessi», ma mi bloccai, improvvisamente rossa. Mi ero fatta trascinare dai ricordi e quel particolare era decisamente imbarazzante, soprattutto se ripensavo alla sfacciataggine che avevo avuto.
Lei mi fissò interrogativa, «cosa Raf?», mi chiese, visibilmente curiosa.
«abbiamo fatto l’amore», le dissi in un sussurro fioco, imbarazzata e con le guance in fiamme, nascondendo il viso fra le ginocchia per l’imbarazzo.
Lei urlò e mi abbracciò felice, mentre scoppiava a ridere come una ragazzina, «oddio Raf sono così contenta», mi disse, stringendomi a se, «ve lo meritavate dopo tutto quello che avete passato. Sono veramente impressionata; nonostante tutto quello che avete passato, il vostro legame è rimasto solido e puro. Non c’è dubbio che il vostro sia vero amore», mi spiegò, carezzandomi dolcemente la schiena.
Io non potei fare a meno di scoppiare a piangere. Lo sapevo e proprio per quello Sulfus mi mancava da morire. Non sapevo quanto ancora sarei riuscita a resistere alla sua lontananza; la distanza da lui mi stava uccidendo lentamente giorno dopo giorno.
Lei mi strinse più forte a se, sussurrandomi parole dolci per farmi calmare. Io, finalmente consapevole di avere una spalla su cui contare, mi lasciai andare alle dolci braccia di Morfeo.
 
NARRATORE
Il plotone del generale Lutalo, acciaccato e ridotto di numero, riapparve nello spiazzo del castello in Siberia. Tutti sapevano che, molto probabilmente, non avrebbero visto l’alba del giorno successivo. Il loro signore detestava i fallimenti e molto probabilmente per questo, considerando che era la missione a cui teneva di più, sarebbero morti tutti.
«devo andare da Syper», disse Lutalo ai suoi uomini, che tremarono visibilmente, «buona fortuna a tutti voi», disse, facendo loro il saluto militare prima di avviarsi verso la sala del trono.
Percorse i corridoi con estrema lentezza, cercando, per quanto possibile di ritardare quel momento di quei aveva una grandissima paura. Intanto Syper, tutto tranquillo, aspettava l’arrivo del suo più bravo e fidato luogotenente. Non aveva nessun dubbio sulla sua vittoria, era il migliore e anche i suoi uomini erano i migliori, per non parlare del fatto che una sola angel non sarebbe mai riuscita a resistere contro un intero plotone dei suoi soldati.
Proprio in quel momento sentì qualcuno aprire la porta della sala e, tutto contento, convinto di trovare Raf inerme fra le braccia dei suoi uomini, si girò verso il portone. Quello che vide invece lo fece andare su tutte le furie; Lutalo stava davanti a lui con lo sguardo basso e l’aria colpevole e impaurita.
«che cosa cazzo è successo?!», urlò furibondo Syper, andando a passo di carica verso Lutalo, che sembrava essersi fatto ancora più piccolo al grido del suo signore, «ora spiegami in maniera convincente perché cavolo quella angel è riuscita a sfuggirvi, nonostante foste venti contro una!», urlò Syper, talmente arrabbiato che i suoi poteri, fuori controllo, lanciarono una saetta verso il povero generale, che venne mancato di pochissimi centimetri.
Lui deglutì e si preparò a parlare, «le assicuro signore che non ci sono stati problemi. Purtroppo avevamo sottovalutato la potenza dei sentimenti degli amici di Raf, che l’hanno raggiunta nella metà del tempo che avevamo programmato. Se non fosse stato per loro, l’avremmo sicuramente catturata stavamo per sopraffarla», gli disse Lutalo, sperando che questa versione dei fatti gli addolcisse la pillola e lo facesse ricredere sul suo omicidio.
Syper si portò le dita di una mano alla bocca, pensieroso, e cominciò a camminare avanti e indietro per la sala del trono, rimuginando su pensieri sconosciuti al suo interlocutore. All’improvviso si fermò e un sorrisino beffardo gli spuntò sul volto, «in fondo, non è una così grande tragedia; anzi forse è stato meglio così», disse ridendo selvaggiamente, negli occhi una luce crudele che non si era mai vista.
Lutalo lo fissò interrogativo, «meglio così, mio signore? Ma l’angel ci è sfuggita», disse, con un’evidente espressione confusa.
Syper si voltò lentamente verso di lui; la luce che Lutalo intravide nei suoi occhi, lo fece tremare da capo a piedi, «è vero ma non ti preoccupare. So esattamente dove sarà fra tre mesi; a Barcellona. E lì non potrà più difendersi», concluse scoppiando a ridere sguaiatamente.
Questo non fece altro che confondere ancora di più il generale al che Syper decise di rivelare ciò che aveva tenuto per se in quella settimana, «vedi, mio caro, Raf non sarà più in grado di difendersi perché avrà qualcuno di molto importante da proteggere», disse Syper e Lutalo, finalmente, capì cosa intendeva il suo signore con quelle frasi e nei suoi occhi, comparve la stessa luce di quella del suo re, «sarà molto più piacevole ucciderla sapendo che insieme a lei ucciderò anche lui!», concluse e scoppiò nuovamente a ridere.
A lui si unì Lutalo e, ben presto, anche tutti i soldati che, da fuori la porta, avevano ascoltato tutta la conversazione. Ben presto il castello risuonò di una cupa risata che prometteva dolore, angoscia e, soprattutto, vendetta.
 
POV SCONOSCIUTO
La osservai con la coda dell’occhio andare via. Per fortuna non si era accorta che su di me il Think fly non aveva funzionato. Non era ancora così potente da riuscire a cancellare la memoria di sette persone contemporaneamente. Quando tutti si svegliarono, finsi di non riuscire a ricordare niente, anche se in realtà ogni cosa era impressa a fuoco nella mia mente ormai in ebollizione.
Decine di domande affollavano la mia testa e la più importante era; da cosa stava cercando di proteggerci Raf? Cosa era di così pericoloso che le aveva fatto anteporre la nostra sicurezza alla sua? Cosa l’aveva spinta a compiere un gesto così drastico?
Per ora erano domande senza risposta ma avevo deciso cosa fare; anche se sapevo di fare un torto orribile a Sulfus, avevo deciso di tenere d’occhio Raf in segreto, magari per riuscire a capire cosa si celasse dietro il suo volto ormai diventato una maschera di dolore identica a quella del suo amato. L’avrei seguita e controllata e non avrei permesso a nessuno di farle del male e, quando avrei avuto la sicurezza delle mie considerazioni, avrei avvisato anche gli altri. Per ora potevo solo aspettare ma attenta Raf, perché ti tengo d’occhio!
 
POV RAF
Tre mesi dopo
Mi svegliai di soprassalto, sconvolta dall’ennesimo incubo. Il cuore tamburellava forte nel petto e il sudore mi aveva appiccicato la camicia da notte al corpo. Era sempre lo stesso sogno; la nostra famiglia felice poi straziata dall’arrivo di Reina, che uccideva tutte le persone a me più care e solo alla fine me, dopo avermi costretta ad assistere a tutto.
Sospirai mentre le lacrime mi scendevano prepotenti sul viso. Erano tre mesi che andava avanti così e ormai avevo raggiunto il limite; dormivo pochissimo e quel poco era costellato sempre da incubi che mi facevano svegliare più stanca di prima.
Mi buttai sul letto, seppellendo il viso nel cuscino, soffocando i singhiozzi sulla stoffa ruvida; da qualche settimana riuscivo a evitare di urlare nel sonno, ormai gli incubi erano diventati una routine tale che riuscivo quasi a controllarmi. Non che per questo facessero meno male di prima.
All’improvviso una fortissima nausea mi prese alla bocca dello stomaco. Mi alzai di scatto, una mano premuta sulla bocca, e corsi in bagno, sperando di arrivare in tempo. Mi accasciai sul water in preda a dei violentissimi conati e rigettai tutto quello che avevo mangiato al sera. Era da ormai una settimana che andava avanti così; tutti i giorni mi prendeva una strana nausea che spariva rapida esattamente come arrivava. Avevo anche attacchi di fame e voglie nei momenti più strani, per non parlare degli svenimenti e delle botte di sonno improvvise. All’inizio avevo creduto che si trattasse solamente di una qualche specie di virus ma ora stavo iniziando veramente a preoccuparmi.
All’improvviso qualcuno bussò alla porta della camera, «Raf, si può?», chiese Agnese. Non riuscii a rispondere; accasciata senza forze di fianco al water, i conati vomito si fecero risentire e mi ritrovai di nuovo piegata sulla tazza.
All’improvviso Peter apparve al centro della stanza e aprì la porta dall’interno permettendo ad Agnese di entrare. Lei entrò e si chiuse la porta alle spalle con sguardo interrogativo. Peter fissò il bagno e poi scomparve. Non appena Agnese si accorse che ero piegata sul wc, si precipitò da me, sostenendomi e tenendomi i capelli levati dalla faccia.
Quando anche l’ennesimo conato finì, mi aiutò ad alzarmi ed a sedermi sul letto. Poi mi posò una mano sulla fronte e, quando constatò che non avevo la febbre, mi fissò con aria preoccupata, «Raf, fra problemi vari è più di un mese che va avanti questa storia. Comincio a preoccuparmi, forse dovresti farti vedere da un medico», mi disse con sguardo teso.
Io scossi la testa e le sorrisi, «non preoccuparti, sarà solo qualche virus influenzale va e vieni. Passerà presto vedrai», le dissi cercando di rassicurarla. L’ultima cosa volevo era una visita da un medico.
Lei mi fissò ancora dubbiosa, «non lo so Raf, forse dovresti…», cercò di ribattere, ma la interruppi con un gesto della mano.
«sta tranquilla, si risolverà tutto», le sorrisi e poi, con un sospiro mi alzai. Oggi non avevo proprio voglia di andare al lavoro. Grazie all’impiego sulla nave ero riuscita a guadagnare un bel po’ di soldi; sommati a quello che avevo preso quando ero partita e a tutte le mance che i clienti elargivano, aveva guadagnato una discreta somma. Per quello oggi avevo voglia meno di zero di andare a lavoro, «ora scusami ma devo andare, mi aspettano al ristorante», le dissi, prendendo la divisa e infilandomela.
Lei sospirò e mi lasciò libera di fare, «tanto sei più cocciuta di un mulo vero?», mi chiese sorridendomi, e io le risposi con una linguaccia.
Lei scoppiò a ridere e, dandomi uno scappellotto sul sedere, mi intimò di andare a lavorare. Io scappai dalla stanza ridendo. Lungo il corridoio che portava al ristorante in cui lavoravo, mi soffermai a guardare il bellissimo tramonto che si vedeva al di la delle vetrate. Il sole si immergeva nel mare, creando dei contrasti di colori perfetti. All’improvviso mi venne un’intensa voglia di piangere; ecco era successo di nuovo! Da qualche settimana a questa parte, degli sbalzi d’umore improvvisi erano in grado di farmi passare dalla spensieratezza alla disperazione e, oltretutto, non sembravano essere causati da qualche reazione.
Scossi la testa, impedendo alle lacrime di scendere. Raggiunsi il ristorante, salutai Angela, il capo cuoco, e mi preparai ad iniziare. Come ogni altra sera fu un continuo susseguirsi di ordini, lamentele, vassoi, piatti e dio solo sa cos’altro.
Finalmente, dopo tre ore di tortura, staccai. Ero nello spogliatoio a cambiarmi quando, all’improvviso, un violento capogiro mi colse. Mi appoggiai all’armadietto ma fu tutto inutile; dopo pochi secondi sentii la vista annebbiarsi e caddi a terra priva di sensi.
 
Mi risvegliai; qualcuno mi stava scuotendo per le spalle, cercando di farmi rianimare. Incontrai gli sguardi preoccupati di Agnese e Angela, che mi fissavano angosciate. Appena videro che mi ero ripresa, tirarono un sospiro di sollievo.
«oddio Raf, tu mi farai morire uno di questi giorni», mi disse Agnese, stringendomi a se preoccupata. Da quando le avevo raccontato la mia storia era diventata molto più protettiva nei miei confronti; non che mi dispiacesse, anzi, ma a volte era davvero fastidiosa.
«ora non ammetto repliche Raf», mi disse, con cipiglio duro in viso, «adesso tu vai dritta alla farmacia della nave e ti compri un bel pacco di antibiotici, chiaro?», mi disse, l’espressione da mamma sul viso. era sempre un po’ così fra me lei; per come ci comportavamo, sembravamo un po’ madre e figlia.
«ma Agnese…», mi lagnai come una bambina piccola, sporgendo il labbro in fuori in un, speravo, tenero broncio. L’ultima cosa che volevo in quel momento era riempirmi di medicine e antidolorifici.
Lei mi fissò dura, il suo sguardo non ammetteva repliche, «no, non ammetto obiezioni stavolta. Ora muovi quel bel sederino che ti ritrovi e vai in farmacia», disse, facendomi la paternale.
Io sbuffai ma la accontentai. Mi incamminai di mala voglia verso il centro della nave, dove avevano sede tutti i negozi, di qualsiasi genere.
Finalmente li, cercai la croce verde che rappresentava la farmacia e, una volta trovata, ci entrai. Cominciai a girare fra le varie scaffalature, cercando gli antibiotici, quando mi fermai di botto davanti a una precisa sezione; quella degli assorbenti. Mi avvicinai a uno dei pacchi quasi ipnotizzata e solo in quel momento mi resi conto di una cosa fondamentale; non avevo il ciclo da più o meno tre mesi. Preda del panico, cominciai a fare i conti a mente dall’ultima volta che avevo avuto il ciclo e mi resi conto che il 26 maggio erano esattamente sedici giorni prima del giorno della cerimonia dei diplomi, ossia il giorno in cui io avevo…
Mi bloccai completamente sul posto quando mi resi conto che avrei potuto… avrei potuto… essere incinta! Era una cosa che faticavo persino a pensare! No resta calma Raf, mi dissi, il ritardo del ciclo può anche essere dovuto a forte stress, e io ero stata molto sotto stress no?
Si ma dovevo essere sicura che la mia ipotesi non fosse reale. Certo in condizioni normali sarei stata felicissima di avere un figlio da Sulfus ma adesso le cose erano radicalmente diverse. O meglio, io sempre lo volevo un figlio da lui, ma le circostanze non erano certo quelle migliori per far nascere un bambino. Perciò mi precipitai al reparto corretto e comprai un test di gravidanza, quello che sembrava più affidabile. Quando lo pagai, la commessa mi rivolse un’occhiata indagatrice, che io ignorai bellamente.
Presi il test e, senza dire niente a nessuno corsi in camera mia. Mi rinchiusi in bagno e lessi le istruzioni. Le seguii e poi aspettai il verdetto. Quei pochi minuti furono i più lunghi della mia vita; stavo per sapere se la mia esistenza sarebbe cambiata radicalmente, se davvero aspettavo davvero il figlio dell’unico uomo della mia vita, il frutto del nostro amore. Ma soprattutto avrei dovuto decidere cosa fare in caso di risposta affermativa; avrei dovuto tenerlo? Dio solo sapeva quanto volevo un bambino da Sulfus ma, in quel momento della mia vita, non avevo nemmeno una dimore fissa e rischiavo di essere attaccata e quindi di dover combattere in qualsiasi momento. Quale vita avrei potuto dare a mio figlio in quelle condizioni?
Mi bloccai al centro della stanza, interrompendo il mio camminare frenetico. Sorrisi come un’ebete ripensando alle parole “mio figlio”; sembravano perfette per essere pronunciate. Chissà come sarebbe stato bello tenere tra le braccia un piccolo frugoletto, un bambino frutto del sentimento puro e solido che legava me e Sulfus.
Guardai l’orologio; i minuti erano passati. Con il cuore in gola, afferrai il piccolo stick bianco posto sul lavandino, stando attenta a non vedere il risultato. Il colore che avrei visto lì sopra avrebbe determinato il cambiamento della mia vita nel bene o nel male. Ora mi restava solo da scoprire quale fosse delle due.
Con il cuore in gola abbassai gli occhi e quello che lessi mi lasciò senza fiato. Senza imprecisioni o sbavature, una perfetta linea rosa sembrava gridarmi solo una parola dal profondo del suo colore pastello, quella parola che mi avrebbe cambiato per sempre la vita e l’esistenza: INCINTA.

ORA RAGAZZE VOGLIO DARVI UNA BELLA NOTIZIA ANCHE SE ANCORA NON CONFERMATA; COME SAPETE DOVREBBE ANDARE IN ONDA SU ITALIA UNO IL FILM SU ANGEL FRIENDS INTITOLATO TRA SOGNO E REALTA' (NON VEDO L'ORA!!! ^^) E SECONDO FONTE ABBASTANZA SICURA LA DATA PREVISTA SAREBBE L'UNDICI DICEMBRE!!! ODDIO NON STO PIU' NELLA PELLE!!! CONSIDERATO CHE NEL CARTONE IN 52 PUNTATE LI HANNO FATTI BACIARE SOLO UNA VOLTA, NEL FILM PRETENDO ALMENO CINQUE BACI XDXDXD COMUNQUE NON HO SOLO LA DATA DEL FILM, SONO ANCHE RIUSCITA A TROVATE LA PRIMA IMMAGINE UFFICIALE DI RAF E SULFUS... ECCOLA QUI:
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NON SONO CARINISSIMI? **
BENE E ORA RECENSIONI:
_KIKKA97/CLOE97: CIAO TESORO QUANTO TEMPO!!! EH Sì SEI LA PRIMA, APPLAUSI!!! XDXDXD GRAZIE PER I TUOI FANTASTICI COMPLIMENTI MI FA SEMPRE MOLTO PIACERE RICEVERLI!!! ^^ ANCHE SE ALLA FINE NON CREDO DI ESSERE CHISSA' CHE COSA XDXDXD LO SO CHE ERA MOLTO TRISTE MA, PURTROPPO, ORA LA STORIA E' IN PIENA FASE SOFFERENZA... ANCHE QUESTA CHAPPY NON E' DA MENO, PURTROPPO T_T ANCHE A ME DISPIACE DI FARLI SOFFRIRE COSI', MA LA STORIA L'HO PENSATA IN QUESTO MODO E IN QUESTO MODO DOVRA' ANDARE AVANTI... VEDRAI PERO' NE FARO' SUCCEDERE DI COLPI DI SCENA XDXDXD SONO CONTENTA CHE LE MIE IDEE TI PIACCIANO E, SAI, PER IL PARTO DI RAF HO AVUTO UN'IDEA CHE.... A NO NON VE LA DICO, MA VI FARA' ANDARE FUORI DI TESTA!!! ^^ NON VEDO L'ORA DI SCRIVERE QUELLA SCENA ^^^^^^^ CIAO GRAZIE TANTE PER LA RECENSIONE E I COMPLIMENTI!!!! ^^
_NINAFALLENANGEL: NUOVA FAN!!! BENVENUTA TRA NOI!!! SONO MOLTO CONTENTA CHE LA MIA STORIA TI PIACCIA!!! ^^ SCUSA SE TI HO FATTO ASPETTARE MOLTO PER IL CAPITOLO MA COME AVRAI LETTO, E' STATO UN PERIODO DIFFICILE PER ME... GRAZIE PER IL COMPLIMENTO MA SAI, SONO ACCANITA LETTRICE E QUANDO LEGGI UN PO' LO IMPARI L'ITALIANO XDXDXD SPERO CHE QUESTO CAPITOLO SIA STATO DI TUO GRADIMENTO... CIAO!!! ^^
_GIRL95DEVIL: AHAHAH AMORE MIO, LE TUE RECENSIONI MI FANNO SEMPRE MORIRE!!! HAI RAGIONE LA ODIERAI PROPRIO TANTO (FIGURATI CHE LA ODIO PERSINO IO CHE SCRIVO DI LEI... SE NON MI SERVISSE L'AVREI GIA' BRUCIATA XDXDXD) MA ALLA FINE, ANCHE SE INDIRETTAMENTE, SARA' MOLTO UTILE PER RAF E SULFUS!!! XDXDXD NON DICO NIENTE, VEDRAI DA SOLA!!! XDXDXD GRAZIE ANCHE IO TI AMO!!! EH GIA' URIE' HA DECISO DI APRIRSI AL BEL DIAVOLETTO... COME HAI LETTO SI E' RICREDUTA SUL SUO CONTO E GLI VUOLE STARE VICINO... VEDRAI, ALLA FINE URIE' DIVENTERA' MOLTO IMPORTANTE PER SULFUS (IN SENSO BUONO OVVIO!!! XDXDXD) COMUNQUE Sì, ORMAI SI SONO TOCCATI TALMENTE TANTE VOLTE CHE IL VETO NON CONTA PIù TRA DI LORO, ESATTAMENTE COME PER I BACI FRA RAF E SULFUS... GRAZIE, IO CERCO SEMPRE DI ESPRIMERE LE EMOZIONI AL MEGLIO, PERCHE' SONO QUELLE CHE ANIMANO LA STORIA.... LO SO CHE HAI ODIATO CABIRIA MA CREDEVA DI FARLO PER IL SUO BENE E TI ASSICURO CHE ERA COSI'... SE NON SI FOSSE ALLONTANATO SAREBBE CADUTO PREDA DELLA DEPRESSIONE, GLI HA FATTO BENE ALLONTANARSI UN PO'...
NONONO AIUTOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!! NO FERMA NON MI PUOI UCCIDERE, ALTRIMENTI CHI TI CONTINUA LA STORIA?! EH LO SO CHE SONO PROPRIO UNA BASTARDA A FARE COSì, MA RAF E SULFUS DOVRANNO RESTARE SEPARATI PER NOVE ANNI E NOVE ANNI DOVRANNO ESSERE (SIGH SIGH FA TRISTE ANCHE ME CHE LA SCRIVO STA COSA T^T) PERO' E' VERO E' STATA MOLTO ROMANTICA... IHIHIH I PENSIERI DI RAF LI SAPRAI LEGGENDO IL CHAPPY *CENSORED* XDXDXD FELICISSIMA CHE IL CHAPPY TI SIA PIACIUTO E COME VEDI HO GIA' COMMENTATO^^ ORA PERO' DEVI POSTARE TU CHE ANCHE IO SONO CURIOSSISIMA SULLA TUA STORIA!!!  A PRESTO KISSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSS ^^

_PUFFETTA98: NUOVA FAN!!!! SONO ULTRA MEGA FELICE!!! SONO MOLTO CONTENTA CHE LA MIA STORIA TI PIACCIA E COME PROMESSO, ECCOIL NUOVO CHAPPY. ALLA PROSSIMA!!!

E ORA ULTIMA NEWS... NONOSTANTE QUESTA STORIA SIA LA MIA PREFERITA E MI PRENDA MOLTO, NEGLI ULTIMI TEMPI MI E' VENUTA IN MENTE UNA NUOVA STORIA CHE NON POSSO NON PUBBLICARE... MI INTRIGA TROPPO XDXDXD VEDRETE RAF E SULFUS IN VESTI COMPLETAMENTE DIVERSE DA QUELLE A CUI SIAMO ABITUATI PERCHE', QUESTA VOLTA, NON CI SONO I PROFESSORI A TENERLI SEPARATI... CI SARA' LA GUERRA FRA ANGEL E DEVIL!!! LASCIATEMI UN COMMENTINO ANCHE LI, PER SAPERE SE VALE LA PENA CONTINUARE!!! CIAO CIAO AL PROSSIMO CHAPPY!!! ^^
   
 
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