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Autore: CaskaLangley    03/12/2010    10 recensioni
“Un Attivo può capire ogni cosa, provare ogni esperienza, vivere tutte le vite e amare in modo intenso e disinteressato. Per quanto mi riguarda, li considero la cosa più simile a Dio che abbiamo.”
“Ma non vivono una vita reale.”
“Perché, Mustang, credi forse di essere più reale di loro, in questo momento?”

[ispirato al telefilm 'Dollhouse'.]
Genere: Generale, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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# Infornography
“Ricordati che sei stato tu a fargli questo.”

Olivier Milla Armstrong ha il portamento di una regina e la tempra di un pezzo power metal.
Dicono che sia una bella donna, anche se con quel volto in perenne tensione è difficile vederlo.
Gli Armstrong sono da sempre tra i maggiori azionisti della Rossium, società di copertura che gestisce le Dollhouse, ma Olivier ha agito in modo che le voci sulla sua presunta raccomandazione tacessero in una settimana. Da quando ne ha assunto la direzione due anni fa, la Dollhouse di Londra ha duplicato i guadagni e incrementato i contatti. Tra i suoi meriti, riconosciuti anche tra i soci anziani, c’è l’aver trovato e assunto il giovane Alfons Heiderich, che è subentrato come programmatore a quel pazzo di Tucker. Se le si presenta l’occasione di parlare di Roy Mustang, il precedente direttore, sorride polita e resta sul vago. Se le si domanda “come ha fatto ad arrivare così in alto?” la sua risposta è sempre e solo “Facendo il mio lavoro”.

L’ufficio è ai piani alti, per arrivarci bisogna passare almeno cinque minuti in ascensore.
A Roy non manca e non è mai mancato, però deve ammettere che c’era stato un tempo in cui credeva di non poter fare a meno della sedia girevole in pelle, del camino e soprattutto dell’angolo bar; non beveva quasi mai, ma averlo gli dava l’idea di uno status symbol, come una bandiera a simboleggiare la strada percorsa.
Lo fanno entrare quando Edward Elric è ancora lì, a prendersi la sgridata dritto come un fuso e con le braccia lungo i fianchi. Non è sensibile all’autorità, né tantomeno al potere, ma sa quand’è il momento di non mettersi in pericolo. La Armstrong è seduta alla scrivania e dietro di lei c’è Miles come dietro di lui c’era Riza. Prima della storia con Tucker, prima che tutto crollasse. Prima che Roy dovesse prendere la sua bandiera e retrocedere.
“Mustang, che piacere. Mi è giunta voce che ha già provveduto a dare una strigliata al ragazzaccio.”
Edward lo guarda di traverso. Roy è stato in quella situazione abbastanza spesso da sapere che un tono così morbido non promette mai niente di buono.
“Sì, signora Armstrong” – odia essere chiamata signorina- “Appena è rientrato insieme a Echo.”
“E quindi opportuno ricordarle che non è il suo lavoro controllare gli handler, ma il mio, e che lei deve preoccuparsi esclusivamente della sicurezza della casa e degli Attivi?”
“No, signora, ne sono consapevole.”
“Bene, meglio così. Vediamo di dimostrarlo più spesso.”
Roy annuisce. Edward lo sta guardando, ma la Armstrong lo richiama.
“In quanto a te, spero che ci siamo capiti. In caso contrario, parlerò con estrema chiarezza: non sono disposta a tollerare altre stronzate. Sapevi benissimo come sarebbe stato usato il corpo di Alphonse quando l’hai portato qui, e hai firmato un contratto. Non c’è bisogno che ti ricordi quanto costa non rispettarlo.”
Edward non risponde.
“Prima di fare un’altra bravata del genere, ricordati che sei stato tu a fargli questo.”
Edward stringe i pugni. Continua a non rispondere. La Armstrong lo congeda e solo dopo che la porta si è chiusa si alza con le mani dietro la schiena: “Crede di poter fare quello che vuole solo perché Echo è uno degli Attivi più richiesti.”
“Non credo sia così calcolatore. Ama suo fratello e non sopporta che gli si faccia del male, tutto qui.”
“Allora doveva pensarci prima di friggergli il cervello.”
Roy non risponde. Amare qualcuno e non causargli dolore sono cose che solo in teoria vanno di pari passo.
“Ha ancora bisogno di me?”
“Bisogno è una parola grossa. Tuttavia, gradirei una sua opinione.”
Roy tira un sorriso: “Vedrò di non esaltarmi troppo.”
“Sarebbe meglio, dato che mi serve lucido. Alfons mi ha portato i dati degli ultimi test su Echo.”
Tira fuori la cartella da un cassetto e la appoggia sulla scrivania. Roy la prende.
“E’ cambiato qualcosa?”
“No. Echo continua a rifiutare Alphonse, e così anche gli altri Attivi.”
“Quante prove ha fatto?”
“Abbastanza.”
“Potrebbe essersi smagnetizzato?”
“No, e i dati sono intatti. Alfons sta modificando adesso una copia di backup e più tardi tenteremo di nuovo su Juliet, ma come al solito una sola cosa è certa: Edward non ci ha detto tutto.”
“Questo era chiaro dall’inizio.”
“Come ritieni opportuno procedere?”
“E’ una domanda trabocchetto? Se rispondessi mi ricorderebbe che è lei il capo?”
“Mi sento magnanima, oggi, e ben disposta a tollerare persino le tue demenziali opinioni.”
Roy ride, mentre sfoglia la cartella. La Armstrong continua: “Abbiamo ragione di credere che ciò che nasconde Edward Elric sia importante, ergo dovremmo copiarlo e dare l’imprint a un Attivo.”
“Conoscendolo, è difficile che parli…”
“Anche ricorrendo alla tortura fisica o all’alterazione della personalità?”
“Non sarebbe…”
“…etico, lo so. Per questo ho chiesto cosa ritiene opportuno fare, e non cosa dovremmo fare.”
Roy tace. La Armstrong si siede.
“Diamogli ancora un po’ di tempo. Forse Alfons scoprirà qualcosa, o Edward si deciderà a parlare. In ogni caso, non lo perda di vista.”
“Anche perché di questo passo ucciderà qualcuno…”
“Se dovesse succedere, c’è un posto nell’Attico accanto al dottor Tucker. La mente di un genio è sempre un luogo interessante da esplorare, soprattutto per quelli del piano di sopra.”
Roy ha un brivido, ma annuisce. Esce dall’ufficio portandosi la cartella. Riza lo sta aspettando in piedi davanti all’ascensore, gli chiede com’è andata. Non ha molta voglia di risponderle.
“Signore, non è al suo meglio?”
Roy sorride: “No, però ci sto provando.”

Edward scorge Al tra gli altri e si avvicina. Gli Attivi stanno disegnando, seduti a tavoli bassi e isolati. C’è un forte odore di tempera. Al è concentrato sul suo disegno, ma alza la testa al suono dei suoi passi e gli sorride. Edward sorride a sua volta e si siede sul pavimento riscaldato.
“Ti fa male?”
“Che cosa?”
Si indica lo zigomo. Al se lo tocca e sembra accorgersi soltanto adesso della benda. Si acciglia, risentito, e lo guarda come se temesse una punizione: “Non sono al mio meglio?”
“Non ti preoccupare, tra poco starai bene.”
“Cerco sempre di fare del mio meglio.”
“Lo so, Echo.”
Lui sorride e torna a colorare. I capelli lunghi e sciolti si riversano sul foglio, sporcandosi di tempera. Edward si scioglie la coda e gli dà il suo elastico. Al lo guarda incerto. Edward sospira e si porta dietro di lui, poi gli raccoglie i capelli dalle punte verdi e azzurre e li lega. Da quella posizione riconosce il chip sottocutaneo nel suo collo. Ha l’aspetto di una puntura di zanzara. Al non sa di averlo e dubita che gliene importerebbe. Più di una volta Edward ha pensato di rimuoverlo con un coltello e di scappare, ma così avrebbe dovuto vivere per sempre con l’ombra di Al, un bambino in trappola nel corpo di un ragazzo, troppo fiducioso e incapace di badare a se stesso.
Lascia andare la coda, le punte colorate sbattono sulla sua schiena sporcandola.
“Ecco fatto. Ora va meglio, no?”
Al si tocca le spalle come se non si capacitasse di averle libere e comincia a guardarsi attorno spaventato. Edward ride e gli mette la coda sotto gli occhi. Al sembra sollevato e gli sorride.
“Cosa stai disegnando?”
Al si allontana dal foglio per mostrarglielo. Ci sono il cielo, i prati, una casetta…e tre persone. Due bambini biondi e qualcun altro. Edward sbatte gli occhi: “Echo, chi sono?”
Al indica i due bambini: “Questo è Edward e questo sono io.”
“…e l’altro?”
Al sorride: “Non lo so. Ma sembra felice, no?”

La vecchia stanza impolverata aveva sempre avuto un certo fascino, per loro, ma prima della morte della mamma dovevano sgattaiolarci dentro in gran segreto e poi tornare indietro prima che se ne accorgesse. Adesso era tutta un’altra storia, nessuno si preoccupava più di quello che facevano o di dove andavano. Anche la famiglia Rockbell, che si prendeva cura di loro, li lasciava liberi perché rispettosi della loro strana elaborazione del lutto. Che passassero le giornate in quella vecchia casa piena di ricordi, nella stanza dove il padre aveva lasciato le sue tracce prima di sparire, a loro sembrava normale.
In realtà, Edward e Alphonse non si erano mai nemmeno avvicinati all’elaborare il lutto.
Nelle loro menti troppo sveglie, troppo ostinate, stavano piuttosto cercando un modo per modificarlo.
Quel pomeriggio Edward era seduto sulla vecchia sedia traballante. I braccioli imbottiti, e anche il poggia testa, avevano ceduto e ora era soltanto uno schienale storto che somigliava un po’ a una canoa.
“Papà ha fatto qualcosa di grandioso” aveva spiegato la mamma, portandoli via da lì la prima volta, “ma poi se ne è pentito e ha distrutto tutto.”
“Ora dov’è?”
“A finire ciò che ha cominciato.”
Mentre Alphonse frugava in giro, forse nella speranza di trovare una risposta alle sue domande – perché portare via la madre a due bambini soli, che senso può avere?- Edward cercava di decifrare gli appunti che il padre aveva lasciato; i più importanti, quelli più chiari, erano stati bruciati.
“Papà stava lavorando a una tecnologia che potrebbe permettere il travaso delle personalità” aveva detto ad Al, che era a gattoni sul pavimento e spostava scatole piene di componenti hardware.
“In che senso travaso?”
“Nel senso di creare una nuova personalità dal nulla e trapiantarla nella testa di qualcuno.”
“…e perché si dovrebbe fare una cosa del genere?”
E Edward, che era fiero di suo padre per la prima volta nella vita, rispose: “Perché si può.”

“Alphonse Elric, diciannove anni…ha la mia età, ma sembra più piccolo.”
“Ha trascorso gli ultimi due anni in coma e il suo corpo ha parzialmente smesso di sviluppare.”
“Come l’avete trovato?”
“Una soffiata. Lui e il fratello vivevano presso una famiglia, i Rockbell…sono entrambi medici, ma non hanno potuto fare altro che mantenere in vita il suo corpo.”
“Sempre se questa è vita…”
“Questo ce lo devi dire tu.”
Alfons guardò il ragazzo sulla sedia e tornò in postazione. Prese una stecca di liquirizia dal bicchiere. Mustang rimase in piedi dietro di lui.
“Dai primi test non risulta attività cerebrale, ma non è solo questo…è come se il suo cervello fosse stato azzerato.”
“Nel senso che non ha contenuti?”
“Sì, esatto. In gergo lo chiamiamo tabula rasa. I computer non sono ancora in grado di decodificare per suoni e immagini i dati della mente umana, ma li possono visualizzare. E’ come un disco rigido pieno di files per cui non hai un lettore adatto. Ma questo ragazzo…beh, non ha niente. La sua mente non ha trattenuto neanche le più elementari reazioni motorie. Cosa gli è successo?”
“Sappiamo solo quello che ci ha raccontato suo fratello, e non è detto che sia la verità. Stando a quanto dice, due anni fa hanno tentato un imprint su Alphonse con mezzi quasi casalinghi. Il risultato è che lui non si è più svegliato.”
“E’ impossibile, come potevano avere idea di come fare una cosa del genere…?”
“Alphonse e Edward Elric, il loro nome non ti dice niente?”
Alfons tacque, rosicchiando la liquirizia. L’illuminazione arrivò all’improvviso: “Sono imparentati col professor Elric?”
“Esatto, sono i figli di Hohenheim Elric.”
“Non posso crederci, ho fatto la tesi sul professor Elric!”
“E non sapevi come si chiamano i suoi figli?”
“Naturalmente la tesi parlava del suo lavoro, non certo della sua vita privata.”
“E le consideri due cose differenti?”
“Certo, è ovvio. Anzi, si può dire che la stessa vita di uno scienziato sia il suo lavoro.”
Mustang rise amaramente: “Non credo che i suoi figli sarebbero felici di sentirlo dire…”
Alfons incrociò le gambe sulla sedia girevole e si spinse davanti al secondo monitor.
“Hohenheim Elric ha elaborato e sviluppato la teoria di base della tecnologia dell’imprint. E possibile che i suoi figli l’abbiano ricreata attraverso i suoi studi, o che addirittura abbiano utilizzato un prototipo…si sa qualcosa?”
“Edward afferma di aver aggiustato la sedia che era nello studio del padre. Non molto bene, a quanto pare.”
“Non è detto, l’errore potrebbe essere stato nell’imprint…hanno ancora l’hardware? Vorrei esaminarlo.”
“No, a quanto pare si è bruciato. So chi doveva essere, se può servirti.”
“Chi?”
“La loro madre.”
“L’hanno ricreata?”
“No, era una copia di backup.”
“Perché copiare la propria moglie?”
“Forse per amore?”
Alfons alzò le spalle. In qualche modo, Mustang ne fu turbato.
“Pensi di poter fare qualcosa?”
“Penso che sarebbe interessante provarci. Intanto, credo di poterlo svegliare installando la struttura degli Attivi.”
“Era quello che aveva intenzione di fare Edward, ma stava cercando di programmare la struttura da solo.”
“Perché non è venuto subito qui?”
“Perché sapeva cosa gli avremmo chiesto in cambio, credo.”
“E qual era il problema?”
“Sei tu che li programmi, Alfons, sai per cosa vengono ingaggiati la maggior parte degli Attivi.”
“Sì, ma il contratto dura cinque anni. Quando la personalità originaria viene riattivata non ricordano più niente.”
“E con ciò? Non è lecito avere a cuore il proprio corpo o quello di chi si ama?”
“Non vedo il problema, in fondo noi ce ne prendiamo cura.”
“Quindi consideri il corpo un mero contenitore, senza valore?”
“Non dico che non abbia valore, ma è comunque un valore relativo. E il professor Elric pensava lo stesso, dal momento che ha elaborato la tecnologia proprio partendo dall’idea di salvare la mente dal deterioramento del corpo.”
“Che cosa vuol dire, che voleva passare la mente di una singola persona di corpo in corpo, all’infinito?”
“Proprio così. Si può dire che il professor Elric abbia elaborato la teoria dell’immortalità.”
“Lo trovo raccapricciante.”
Alfons si alzò e andò verso la sedia. Alphonse Elric giaceva immobile con gli occhi chiusi.
“Vuole chiamare suo fratello? Forse vuole essere presente.”
“Sì, è probabile. Però preparati, non è uno facile con cui trattare.”
“Come tutti i geni.”
“Genio? Avrebbe potuto ucciderlo.”
“Ma non l’ha fatto. L’unico errore di Edward Elric è stato eseguire l’operazione senza aver precedentemente installato sul fratello l’architettura degli Attivi, cosa a cui probabilmente non era arrivato nemmeno suo padre all’epoca degli appunti che ha consultato. Per quanto mi riguarda, questa è l’opera di un genio.”
“E per quanto riguarda me è la prova della stupidità e dell’arroganza di un ragazzino.”
Alfons restava tranquillo. Mustang uscì.

Edward entra nella stanza che come al solito ha una luce blu e opaca. Alfons dice che più forte gli dà l’ansia. In questo momento è appollaiato sulla sedia girevole e osserva il monitor principale, che getta sul suo profilo pallido una luce verde elettrico. Una volta Edward gli ha chiesto quand’è stata l’ultima volta che è uscito e lui ha risposto “Non me lo ricordo”.
“E te ne stai sempre solo?”
“Non sono solo, ci sono i miei imprint.”
Alfons nota subito il foglio che lui tiene sotto braccio, arrotolato, ma non gli chiede niente. Dietro di lui ci sono già Mustang e la Armstrong, entrambi coi loro protetti silenziosi. La signorina Hawkeye in particolare dà segni di vita solo quando Mustang le fa un cenno, prende la radio appesa alla cintura e la accosta alla bocca: “Portate Juliet.”
Edward cerca di stare lontano da loro, si avvicina ad Alfons che è la cosa più simile a se stesso che abbia trovato lì. Osserva la scheda riassuntiva sul monitor: ALPHONSE ELRIC.
“L’hai modificato?” chiede incerto.
“Solo a livello strutturale, i dati sono intatti. L’ho passato su un nuovo supporto, quello su cui l’avevi salvato ormai è vecchio.”
“Tutto qui? Un problema di incompatibilità?”
“No, non credo. Ma già che ci lavoravo, tanto valeva provare. Certo che tuo fratello doveva essere speciale, se ci tieni così tanto a riportarlo indietro.”
Mustang s’intromette, infastidito: “Speciale o no, chiunque faccia parte della nostra vita ci sembra ugualmente insostituibile.”
Edward accenna una risata, girandosi verso di lui: “Io di lei farei anche a meno.”
Anche la Armstrong ride, pur restando composta: “Ha ragione, Mustang, sono sicura che Alfons potrebbe creare un ottimo generatore che si prenda il disturbo di dire certe banalità.”
“Potrei fare in modo che avverta la tensione e reagisca enunciando frasi da leader…” concorda lui, fingendo di pensarci. Miles, che di solito si tiene fuori da qualsiasi discussione, sghignazza coprendosi la bocca con la mano. Mustang, che ha aggrottato gravemente la fronte, ora incrocia le braccia come un bambino offeso e decreta: “Siete aridi.”
La signorina Hawkeye non ha battuto ciglio.
Le porte si aprono e due uomini della sicurezza scortano Juliet e il suo handler. Juliet ha la pelle scura e parte dei capelli rosa. Non ha nient’altro che la distingua dagli altri Attivi, e anche se Edward considera Al inconfondibile sa che non è così.
Alfons si alza e va da lei, che si è sdraiata sulla sedia.
“Sei pronta per il trattamento?”
“Certo, sono sempre felice dei miei trattamenti.”
Alfons le sorride e abbassa lo schienale della sedia, poi dà l’imput e il corpo di Juliet va in tensione. Dura pochi secondi, ma lei geme dal dolore. Mustang distoglie lo sguardo, la Armstrong lo nota. Edward si fa largo senza aspettare, mentre la sedia si rialza. “Al?” chiede a Juliet, che lo guarda un po’ interdetta: “Mi sono addormentata?” Edward sospira, seccato come se le avesse fatto un torto. Alfons si acciglia e risponde: “Solo per un po’. Davvero.”
“Magari è lei il problema.”
“Juliet? No, ho fatto la manutenzione alla struttura qualche giorno fa, era tutto a posto.”
“Forse ha bisogno di un upgrade.”
“E’ aggiornata al 7.5, l’ho sviluppato io stesso dopo il bug della 7.”
“Che tipo di bug era?”
“Se te lo dico non ci credi.”
“Spara.”
“…non riconosceva il katakana.”
“Stai scherzando?”
“No, evidentemente il tecnico della Dollhouse di New York non lo riteneva necessario. E guarda che è seccante quando ti riportano un Attivo perché nel bel mezzo di una conferenza in giapponese ha cominciato a urlare e vomitare sangue.”
“Ew. Fanno così a tutti gli errori del sistema?”
“Che ne so, nessuno ha mai fatto un errore così stupido.”
Edward esita e poi scoppia a ridere.
“Che c’è?”
“Chissà alla Dollhouse di Tokyo…”
Anche Alfons ride. Li interrompe la voce bassa di Mustang, che vibra dolente: “Andiamo, Riza. Vedere due bambini che giocano con il cervello umano mi dà i brividi.”
La signorina Hawkeye annuisce. La Armstrong li osserva andarsene ma non li ferma.

L’installazione dell’architettura andò a buon fine, il corpo di Alphonse Elric venne rinominato ECHO e fu scortato al proprio loculo, dove si addormentò a comando.
Non riconosceva suo fratello.
Edward sapeva che sarebbe successo, ma aveva sperato in un miracolo. Ridicolo, da parte sua, visto che si trovava lì proprio perché non aveva saputo rispettare il volere di Dio.
Si era accasciato sulla poltrona davanti alla scrivania, rigirandosi l’hardware di Alphonse tra le mani. Non aveva fatto caso al programmatore della Dollhouse, che dopo essersi assentato era infine tornato nel suo ufficio e ora cercava di attirare l’attenzione schiarendosi la voce. Quando se ne accorse, Edward si alzò.
“Scusa, ti ho rubato il posto.”
“Non importa. Sai, sono un grande ammiratore di tuo padre.”
“Io per niente.”
Come primo dialogo non c’era male. Alfons non si scompose, però si sedette.
“Non l’ho detto per farti piacere, ma perché getta le basi della mia teoria. La vuoi sentire?”
Edward non rispose, rimase in attesa. Alfons cominciò: “Secondo i documenti ufficiali, il professor Elric ha lasciato la vostra casa nel duemiladue, quando tu avevi…dodici anni, esatto? Si parla di un rigurgito morale o qualcosa del genere…immagino che sia inevitabile, dopo una certa età.”
“Fammi capire, vuoi dimostrarmi che conosci mio padre meglio di me? Perché guarda che non è difficile.”
“Certo che no, mi limito ai fatti. Tutti sanno che tentato di impedire la diffusione della sua tecnologia, ma ormai aveva firmato per la produzione delle prime cinque sedie, che sarebbero andate alle prima cinque case: Tokyo, Dubai, Parigi, Washington DC e New York. Ma quella prima produzione aveva un problema, bruciava le sinapsi degli Attivi. Reggevano quattro, cinque imprint, poi diventavano inutilizzabili.”
“E’ perché avevano affrettato i tempi, papà ci stava lavorando.”
“Quindi lo sapevi.”
Edward strinse i denti.
“Come immaginavo. Inizialmente anch’io ho pensato che il problema dipendesse dalla sedia che dici di aver usato, ma le sinapsi di Alphonse sono intatte e tu lo sapevi, altrimenti perché portarlo qui? E poi c’è un’altra cosa, quella che mi ha convinto.”
“Che cosa?”
“Che ami molto tuo fratello. Si vede benissimo da come lo guardi.”
Edward tacque a lungo. “E con questo?”
“Dubito fortemente che tu l’abbia buttato su una vecchia sedia scassata senza prima studiarla, e di sicuro hai capito che non era affidabile. Hai creato un nuovo dispositivo, vero?”
Edward sgranò gli occhi. Attese qualche istante e accennò una risata: “Mi sa che mi stai sopravvalutando.”
“Sì, può darsi. Può anche essere che tu abbia messo a repentaglio la vita di tuo fratello per un errore stupido e grossolano.”
Edward non rispose, ma non ce ne fu bisogno. Alfons creava repliche di esseri umani da tre anni, e lo faceva troppo bene per farsi sfuggire l’espressione sul suo viso. Stringeva i denti, forse mordendosi la lingua per non contraddirlo. Una cosa, di lui, aveva capito subito, l’orgoglio con cui esibiva il suo talento.
Alfons prese il bicchiere delle liquirizie e se ne mise in bocca una.
“Non devi dirmelo subito, hai cinque anni per pensarci. Per quanto mi riguarda, non lo riferirò alla Armstrong. E’ evidente che si tratta di qualcosa di importante, se lo tieni nascosto. Comunque, se consideri che in due anni non sei riuscito a svegliarlo, potresti aver bisogno del mio aiuto, no?”
“E che cosa vuoi in cambio?”
Lui sorrise spontaneamente: “Solo l’opportunità di lavorare con un genio.”
Gli porse le liquirizie. Edward, attonito, ne prese una.
“Comunque, io sono Alfons Heiderich.”
Edward mise il rametto in bocca e gli porse la mano. Alfons la strinse e sfilò una seconda sedia da sotto la scrivania.

Roy Mustang è seduto sulle scale come un ragazzino e guarda Echo, che è a sua volta seduto in un angolo. Tiene un libro sulle ginocchia e lo sfoglia, anche se gli Attivi non sanno leggere. E’ stato Edward a darglielo? I passi sulle scale non lo distraggono, quell’immagine in un certo senso è tutto e lo fa ammutolire. Echo si sta sforzando di comprendere qualcosa, anche se non ce la può fare.
Lui ha perso quella voglia per sempre, ormai.
“Stai cercando di spiare gli Attivi sotto la doccia? Non è da te approfittare di creature innocenti, una volta dicevi di essere un playboy.”
Roy si accorge solo in quel momento di stare guardando verso le docce. Forse Echo voleva scaldarsi col vapore. Sforza un sorriso furbo, senza girarsi: “Certo, mia cara, e se mi avessi conosciuto al mio meglio avremmo avuto una focosa relazione.”
La Armstrong scoppia a ridere e si appoggia al corrimano. Roy pensa che anche una reazione meno cristallina andava bene. Lei scosta i capelli dagli occhi, azzurri e freddi come laghi ghiacciati.
“Non dovresti essere così duro con i ragazzi, specie con Alfons. Sono tre anni che non esce, comincia a dimenticare molto di come si trattano gli esseri umani.”
“Allora fatelo uscire, maledizione, che vada a drogarsi e a fare sesso non protetto come i ventenni normali.”
“Dovrai abituarti, prima o poi, non lo licenzierò solo perché tu frigni.”
“Non ti ho chiesto di farlo, ma non cambierò idea. E’ troppo giovane.”
“Alfons Heiderich è un genio, ha portato il caricamento dell’imprint da due ore a due minuti.”
Roy sorride amaramente: “Due minuti per creare una persona…non stiamo giocando un po’ troppo con la pazienza di Dio?”
“Adesso che il tuo stipendio è più basso ti preoccupi di Dio? Non ti è stato d’impedimento quando Tucker faceva il Frankestein.”
Mustang non risponde. La Armstrong guarda Echo che a sua volta continua a guardare il libro.
“Un Attivo può capire ogni cosa, provare ogni esperienza, vivere tutte le vite e amare in modo intenso e disinteressato. Per quanto mi riguarda, li considero la cosa più simile a Dio che abbiamo.”
“Ma non vivono una vita reale.”
La Armstrong sorride benevola: “Perché, Mustang, credi forse di essere più reale di loro, in questo momento?”
Roy non risponde. Sente i passi della donna salire le scale. Lui stringe i denti e si prende la testa tra le mani, con rabbia.

*

Note incoerenti dell'autrice: sono di cattivissimo umore, quindi niente note ;_;" ma non potevo non mettervi l'asterisco, so che gli volete bene, quindi eccolo <3

  
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