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Autore: eos75    04/12/2010    10 recensioni
Erano amanti ma non sarebbero mai stati amici... Come spiegarlo al migliore amico dell'uno e grande rivale dell'altro?
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Genzo Wakabayashi/Benji, Kojiro Hyuga/Mark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Amici... mai'
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La nebbia fuori dalla finestra era un lattiginoso muro omogeneo che isolava dal mondo esterno.
Sarebbe stato un inverno freddo pensò il portiere, ricordando la neve che aveva lasciato ad Amburgo quella stessa mattina.
Sorrise, infilandosi un maglione mentre continuava a fissare il riflesso dell'attaccante nel vetro: le braccia poggiate sulle ginocchia, una lattina di cola che dondolava tra le dita come un metronomo da almeno dieci minuti e lo sguardo perso nel grigio della foschia.
Non aveva bisogno di chiedere cosa lo rendesse più burbero del solito, lo immaginava. Quel pomeriggio, poco dopo essere arrivato in Italia, non aveva potuto fare a meno di cogliere qualche parola della telefonata che aveva tenuto impegnato il suo ragazzo per diversi minuti.
Il suo ragazzo...
Rimase immobile per un istante, fulminato per l'ennesima volta da quell'assurda novità che gli aveva stravolto la vita.
Lui e Kojiro Hyuga... amanti.
Suonava strano perfino a lui, eppure alla fine quel suo intimo desiderio segreto s'era avverato, con un pizzico di astuzia da parte sua certo, ma mai avrebbe creduto che quella notte di sesso si sarebbe potuta evolvere in qualcosa di più. Addirittura in una storia che durava da mesi...
Non sarebbero mai stati amici, non lo erano prima e le cose non erano cambiate. Sicuramente le loro personalità, tanto diverse quanto simili, li rendevano complementari. C'erano stati screzi, litigi, sfuriate, ma sarebbe parso impossibile anche a loro stessi se non fosse stato così. Evidente a tutti, invece, era il feeling particolare che s'era creato sia in campo che fuori tra il portiere e l'attaccante, feeling che non era passato inosservato a una certa persona.
Genzo si lasciò sfuggire un sospiro, accompagnato da un sorriso quasi dolce, di quelli che regalava al suo uomo quando questi non lo guardava.
Non erano tipi da smancerie, loro...
Gli si avvicinò e s'inchinò dinnanzi a lui restando seduto sui talloni, gli sfilò la lattina dalle dita e affrontò lo sguardo bruciante della Tigre con quell'espressione sprezzante di sfida che tanto lo mandava in bestia. Non gli diede il tempo di replicare, lo sorprese con un bacio lungo e profondo dal quale non lo liberò fino a che non sentì le membra sotto le sue rilassarsi e un sospiro carezzargli la pelle del viso.
“Cosa sa di te?” chiese in un soffio e per un istante avvertì la tensione dell'altro che risaliva. Baciò adagio il collo, la mandibola fino all'orecchio, mordicchiò un lobo sogghignando nell'udire un gemito che somigliava al ringhio di un felino.
“Allora?” Rincarò.
“Tutto”. Ringhiò, quella volta davvero, l'attaccante, ribaltandolo sui cuscini per prendersi la sua rivincita.
“Tutto, tutto?”
“Maledizione Wakabayashi!” e il portiere non riuscì a fare a meno di sogghignare mentre l'altro si sollevava sulle braccia e lo guardava dritto negli occhi, furente, lo sguardo infuocato e le labbra già rosse di passione.
“Tutto tranne...”
“Tutto tranne, sì! Vuoi finire ammazzato, per caso, portiere?” La Tigre soffiò la sua ira a pochi millimetri dalla bocca del SGGK, che s'atteggiò al solito, insopportabile, sorrisetto di scherno.
“Beh, sarebbe un buon movente per farmi fuori, lo ammetto. Di certo...”
“Di certo?”
“Di certo l'unico modo che avrebbe per assicurarsi il posto di titolare tra i pali...”
Di nuovo la punta della nazionale giapponese non riuscì a replicare, le braccia del goal keeper si chiusero su di lui come una morsa, costringendolo a un bacio violento che divenne man mano lento e carico di passione.
Il mondo fuori scomparve del tutto, fagocitato dalla nebbia.
“Sei un grandissimo bastardo, portiere. Lo sai, vero?” Un bacio che era quasi un morso si posò sulla giugulare ancora pulsante dell'estremo difensore giapponese.
“Non sarei qui se non lo fossi, ti pare Hyuga?”

***

Il cielo era terso quella mattina e l'aria fredda e pungente gli mordeva la pelle del viso.
Sorrise guardandosi intorno, constatando che anche lui avrebbe scelto un posto del genere per fare una seria chiacchierata a quattr'occhi.
Quando, poco più di mezz'ora prima, s'era fermato davanti alla porta del dojo Wakashimazu, aveva la testa vuota da ogni pensiero, come quando era in porta e l'attaccante veniva in avanti, inesorabile. Non era rimasto sorpreso dal fatto che il karate keeper avesse afferrato il giaccone di pelle e gli avesse fatto cenno col capo di seguirlo, per andare a parlare da un'altra parte, lontano da orecchie indiscrete. L'aveva seguito in silenzio per le vie del quartiere i cui marciapiedi erano appena stati spazzati dalla neve caduta quella notte.
In fondo a un viale, il cancello della Toho, appena oltre, le reti che delimitavano i campi da calcio.
Nessun altro luogo avrebbe potuto essere più adatto.
La luce ancora tesa del sole mattutino disegnava le lunghe ombre delle porte che campeggiavano su quella che era un'immacolata distesa bianca. Wakabayashi non poté fare a meno di riandare con la memoria a tutte le volte che aveva giocato con gli amici in Germania su campi come quello, coperti dalla soffice e fredda coltre di neve. Non per partite ufficiali, no, solo per il puro gusto di giocare a calcio.
Il corso dei ricordi venne interrotto bruscamente dall'occhiata che l'altro gli lanciò, voltandosi verso di lui a braccia conserte e gambe divaricate, in quella sua solita posa che presagiva un incontro tutto meno che amichevole.
Non che si fosse aspettato qualcosa di diverso, anzi, aveva già pronta la sua tattica.
Conosceva bene Wakashimazu, forse meglio di quanto a questi non piacesse, e decise di affrontarlo nel modo migliore: di petto e senza preamboli.
“So che ultimamente hai avuto qualche discussione con Hyuga, Wakashimazu”.
Il sopracciglio del portiere karateka scattò verso l'alto, mentre le narici sottili fremettero. Riuscì appena a socchiudere le labbra tese prima che Genzo ricominciasse a parlare “Sono io il motivo per cui Kojiro è tanto sfuggente con te e con Sawada, da qualche mese a questa parte”.
Wakashimazu sussultò nell'udire il nome del suo amico sulle labbra del SGGK. Non “Hyuga”, come sempre, ma “Kojiro”. Tacque ed ascoltò il resto, senza staccare lo sguardo da quello scuro dell'altro fisso nel suo. Una sensazione spiacevole, una morsa che man mano serrava lo stomaco, l'immobilizzò e in un istante si rese conto essere nient'altro che gelosia. Cercò di scacciarla, ma le parole dell'altro non fecero altro che ingigantirla.
“Credo non te ne volesse parlare al telefono, ma invece volevo essere io a farlo. Faccia a faccia”.
Mentre parlava, Wakabayashi lesse ogni sfumatura delle diverse emozioni che attraversavano il suo rivale in campo: gelosia, dolore, odio. Non si sorprese quindi quando l'udì sibilare, furente:
“Perché?”
“Perché voglio essere io a dirti che l'ultima cosa che desidero fare è rovinare la vostra amicizia”.
Vide chiaramente il torace di Ken alzarsi e abbassarsi in respiri profondi, il fiato uscire dalle labbra semiaperte, tese come la mascella, contratta dalla rabbia repressa. Rimase in attesa come davanti a un rigore, conscio che il risultato non era così scontato...
“Perché tu?!” Ringhiò alla fine Wakashimazu, e Genzo dovette ammettere che quella era davvero l'unica domanda che s'aspettava e alla quale non sapeva rispondere.
Distolse lo sguardo senza posarlo da nessuna parte, fino a che non vide lo specchio della porta oltre la recinzione.
“Già... perché proprio io, vero? Credo sia per questo che anche lui non te ne abbia voluto parlare. Perché sono io, e non un altro, e sembra uno stupido scherzo del destino: il tuo peggior rivale che diventa l'amante del tuo migliore amico...”
“Solo amante?”
Wakabayashi si voltò di scatto, trovandosi nuovamente a dover fare i conti con lo sguardo accusatore di Wakashimazu. Questi riprese a parlare, quasi sussurrando quella che era ovvio ormai fosse la verità non detta “Se tu fossi semplicemente un amante, una conquista, una scopata, me l'avrebbe detto. Anzi, proprio per il fatto che sei tu me ne avrebbe parlato, vantandosene pure. Invece non è stato così. Devo supporre che semplicemente amanti sia un po' poco per descrivere il vostro rapporto. Devo supporre che ci sia qualcosa di più, o mi sbaglio, Wakabayashi?”
Se l'era chiesto decine e centinaia di volte in quei mesi. Sapeva che non era solo sesso, sapeva fin troppo bene cosa provava per Kojiro, altrimenti non sarebbe stato lì a rischiare di farsi ammazzare da Wakashimazu. Hyuga non era certo tipo da frasi sdolcinate, ma ammettere con qualcun altro quanto fosse davvero profondo il loro rapporto, dargli una definizione, lo spaventava ancora.
“Sì”. Rispose in un soffio, certo che quell'affermazione gli sarebbe valsa l'ennesima condanna a vita. Ken era l'unico che avesse avuto, oltre probabilmente a Sawada, l'intuizione che tra lui e Kojiro fosse cambiato radicalmente qualcosa. Perché Ken era non solo il migliore amico di Hyuga, ma colui il quale la Tigre considerava più di un fratello. E intromettersi in un tale rapporto poteva risultare letale...
Wakashimazu d'improvviso si staccò con violenza dalla rete, facendone cadere piccoli sbuffi di neve, e lo superò a grandi passi, le labbra serrate e le mani affondate a pugno nelle tasche.
Quando sei solo davanti all'attaccante, la difesa sbaragliata, solo tu e lui, l'unica cosa che puoi fare è giocarti tutto per tutto, e così fece l'SGGK.
“Io non c'entro con la vostra amicizia, Wakashimazu! E Hyuga non è un posto in squadra da giocarsi sul campo! E' il mio ragazzo e il tuo amico fraterno. Non deve cambiare nulla tra voi due, al massimo è cambiata tra me e lui, ma questo, diciamocelo, non è affar tuo!”
Non aveva gridato ma le sue parole avevano tagliato l'aria gelida come coltelli, andando tutte, una ad una, a segno nel cuore e nell'animo dell'altro. Ken arrestò il passo e Genzo seppe di aver bloccato la sfera prima che s'insaccasse in rete nell'istante in cui il karate keeper tornò sui suoi passi.
“E allora perché diavolo sei venuto a parlarmi, se non è affar mio, eh?” Wakashimazu sibilò furioso a pochi centimetri dal suo viso, le mani trattenute in tasca e gli sguardi incatenati.
“Perché preferisco che tu te la prenda con me e non con lui...”
Genzo lo vide cedere, la rabbia crollare come un muro di sabbia e la consapevolezza di quello che stava realmente accadendo prendere il sopravvento. Aveva lasciato aperte le porte dell'anima e Wakashimazu non aveva potuto non guardarvi attraverso e arrendersi all'evidenza dei fatti: il sentimento che legava il SGGK al suo amico fraterno non era né un gioco, né uno scherzo e le parole del suo eterno rivale erano sincere. Di tutto avrebbe potuto dubitare, tranne che dell'onestà di Wakabayashi. Non erano amici, mal si tolleravano ma provavano comunque un profondo rispetto reciproco.
“Me la prenderò lo stesso con lui, doveva esserci lui qui stamattina, non tu!” Sbottò nuovamente il karate keeper, in un rigurgito di stizza ma con meno convinzione, distogliendo gli occhi per puntarli a sua volta sulla porta vuota.
“Volevo e dovevo prendermi la mia parte di responsabilità, Wakashimazu. Se avessi provato ad avvicinarmi per parlarti dopo che voi due avevate litigato a causa mia, non sarei neppure riuscito a dire una parola, e lo sai”.
Ken sbuffò, annuendo in silenzio a labbra strette per poi cedere a un mezzo sorriso.
“Probabile...” Ammise, sorridendo infine apertamente.
“Wakashimazu... io e Hyuga non eravamo amici prima più di quanto non lo siamo adesso. Un amante non può essere anche amico, immagino questo tu lo sappia. Per questo non voglio che lui ti perda. Per questo non importa che sia io il suo ragazzo. L'importante è che tu resti il suo migliore amico”.
I suoni della città arrivavano ovattati, lontanissimi, solo il rombo di un aeroplano che solcava il cielo disegnandovi una netta riga bianca faceva da sfondo al silenzio dei due portieri
“Gliene dirò comunque quattro...” Borbottò Ken, stringendosi nel giaccone e scrollando appena la lunga criniera corvina con gesto teatrale.
“Immagino che dovrò prepararmi a sentire le mie...” Replicò l'altro, sghignazzando.
“Immagino di sì”. Un ultimo sguardo corse tra i due, accompagnato dall'ombra fugace di un sorriso accennato.
“Hai rischiato seriamente di farti ammazzare, lo sai?”
“Credo sia quello che temeva Hyuga”.
“Molto probabile”.
Il karate keeper accennò qualche passo verso l'uscita, poi s'immobilizzò e la sua voce suonò per un istante nuovamente cupa.
“Wakabayashi... Se mai dovessi...”
Genzo sorrise, apertamente, a quella frase così scontata e tipica di un fratello maggiore. Non ci fu bisogno che il karateka la portasse a termine. Lo interruppe, levandolo dall'imbarazzo e andò dritto al punto: “Wakashimazu, non so cosa ci riserverà il futuro. Credimi se ti dico che la mattina mi sveglio e sono più sorpreso di te nel vedermi nella situazione in cui sono. Sappi solo che sono conscio delle conseguenze che dovrei affrontare nel caso qualcosa andasse male tra me e lui. E mi prenderei le mie responsabilità, nel caso ci fossero”.
“Non mi sarei aspettato altro, da te”.
La risata del SGGK riempì l'aria e sciolse un sorriso rilassato sul viso del compagno di nazionale “Beh, lo prenderò come un complimento!”
L'altro scrollò il capo, ricominciando a camminare “Ci vediamo al ritiro tra un mese, Wakabayashi!”
“Certamente, Wakashimazu, non vedo l'ora!” Genzo ridacchiò, avviandosi a sua a volta continuando però a parlare “Anche se...”
“Anche se?” Il karate keeper rallentò il passo senza fermarsi e attese la replica che arrivò puntuale “Stamattina ti sei perso l'occasione di prenderti il posto da titolare in porta!”
Ken trattenne una risata e scrollò il capo senza aggiungere altro, quasi avvertendo il sorriso sereno che s'era dipinto sul viso del compagno di squadra.

***

La lattina dondolava tra le dita dell'attaccante con la precisione di un metronomo, mentre una tazza di the caldo e fumante pendeva tra quelle del portiere seduto accanto a lui sulla veranda interna del dojo.
“Non l'hai ammazzato”. Constatò la Tigre bevendo un sorso.
Il karate keeper si strinse nelle spalle, soffiò sulla bevanda bollente e, a sua volta, bevve. “No, perché? Avresti preferito?” Ghignò, sollevando un sopracciglio, ironico.
“A volte se lo meriterebbe...”
“Già”.
La neve cadeva lenta e silenziosa, coprendo piante e pietre sapientemente disposte, modificando con grazia il disegno originale delle cose.
Avevano litigato, erano volate parole grosse, ma non così grosse come si sarebbero aspettati. Poi era calato il silenzio e la vita aveva ricominciato a scorrere quasi normalmente.
Si erano seduti e avevano parlato fino a sera tardi.
Ed erano ancora lì, davanti a quel giardino reso irriconoscibile dalla neve, una lattina e una tazza di the tra le dita e un'amicizia più salda di prima.
“Mi ha detto che mi son giocato l’opportunità di prendermi il posto di portiere titolare in squadra...” Ken sollevò lo sguardo al cielo in man iera teatrale, storcendo le labbra e dondolando il capo con fare ironicamente sconsolato.
Hyuga sghignazzò, finendo d'un fiato la cola “Il solito bastardo borioso”.
“Come fai a sopportarlo?”
In risposta ottenne solo una scrollata di spalle e un sorriso che, non poté fare a meno di notare, aveva un qualcosa di insolitamente dolce.
Il silenzio riempì di nuovo la stanza ma in esso non v'era nulla di greve. Era solo silenzio.



Angolino felino^^
Ebbene sì, ho scritto ancora di loro. Sinceramente ha sorpreso pure me l'aver ripreso in mano Genzo e Kojiro, però devo dire che il problema: Ken, ovvero *il mio migliore amico*, m'era già balzato in mentre proprio mentre scrivevo "La sfida". Così, a distanza di ormai quattro anni, l'idea s'è fatta ff.
Una cosina semplice, tanto per tornare a scrivere.
Grazie a Voi che avete letto fin qui^^

   
 
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