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Autore: Luine    06/12/2010    6 recensioni
Sera della Vigilia Natale.
Kate Beckett è in ufficio, sola, e sta stilando il rapporto del suo ultimo caso. Ma c'è qualcosa che turba la sua tranquillità.
E Castle dov'è?
Vincitrice del premio Best Fanfiction natalizia del Never Ending Story Awards.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Piccolo regalino di Natale dedicato a tutte le lettrici della sezione. Spero che sia di vostro gradimento. Buona lettura. ^^

Sorpresa!

La detective Kate Beckett era alla sua scrivania e stava finendo di stilare il suo rapporto. Era la sera della Vigilia di Natale e su New York stava cominciando a cadere la neve, come nei migliori scenari natalizi. Persino nell'ufficio c'erano alcune decorazioni – pretese da Castle, naturalmente – e c'era dappertutto un'aria di festa che lei non sentiva, almeno momentaneamente: aveva risolto un caso difficile e senza di lui che, aveva detto, doveva organizzare il cenone della Vigilia insieme a sua figlia. Non aveva avuto niente in contrario, per questo, era chiaro: non voleva certo che Castle trascurasse Alexis per lei, sarebbe stato egoistico e anche parecchio stupido.
Certo era che lavorare senza di lui le aveva fatto sentire uno strano senso di abbandono. Senza di lui e le sue battute stupide, la sua allegria e le sue intuizioni, la sua parlantina o i suoi provvidenziali caffè quando erano tutti troppo stanchi e demoralizzati, non era la stessa cosa. Si era resa conto che, tornare alla normalità dopo che lui le aveva travolto la vita come può fare un ciclone con una casa, non sarebbe stato facile. Era inevitabile che accadesse, prima o poi, e ci si doveva abituare, in un modo o nell'altro. Quella era solo una delle tante occasioni che aveva per provare.
Solo che non le piaceva.
Fissò la sedia vuota accanto alla sua scrivania e poi la saletta, da cui riusciva ad intravedere, attraverso il vetro, la costosa macchinetta del caffè che lui aveva regalato al distretto. No, che aveva regalato a lei, in un certo senso.
Sorrise appena e scosse la testa, nel silenzio dell'ufficio vuoto: tutti erano andati a casa a festeggiare con i loro cari, invece lei era ancora lì per finire un rapporto su cui avrebbe potuto sicuramente mettere mano dopo le feste. Il capitano, quel pomeriggio, le aveva dato una pacca sulla spalla e le aveva detto di andare a casa e di passare un buon Natale, che il rapporto poteva aspettare.
Invece lei non voleva aspettare. Non era proprio il tipo che abbandonava un lavoro a metà.
Solo che adesso era deconcentrata. Posò la penna, intrecciò le mani e allungò le braccia di fronte a sé, per sciogliersi un po' i muscoli, quindi si alzò. Aveva proprio bisogno di un caffè, poi forse, quando avesse finito di stilare quel dannato rapporto, avrebbe comprato dei tacos con chili e raggiunto suo padre, per consumare un pasto di Natale, frugale, forse, ma almeno abbastanza gustoso. Non le andava proprio di cucinare e non era dell'umore giusto per cucinare qualcosa di elaborato.
A mezzanotte avrebbe potuto chiamare Castle e augurargli buon Natale, non ci sarebbe stato niente di male, dopotutto: lavoravano fianco a fianco da molto tempo e gli auguri di Natale, nella società occidentale, erano buona educazione, anche tra due persone che si conoscevano appena. Darli a qualcuno che si conosceva bene non voleva dire certo compromettersi in qualche modo a livello sentimentale. Questo pensava, mentre si prepara il caffè, guardando a malapena ciò che faceva, programmando la sua squallida serata. Immaginava cosa avrebbe fatto Castle, nell'atmosfera più allegra che esistesse, in mezzo alle luci del suo attico illuminato a festa, tra leccornie che avevano preparato lui e sua figlia, cosa che, per loro, sarebbe stato ancora più gustoso. Si chiese cosa sarebbe successo se si fosse presentata all'ultimo minuto con i pacchetti che aveva pronti per loro. Sarebbe andata solo per fare gli auguri di Natale, non per altro, per sapere come stava Castle che non l'aveva chiamata una sola volta, da quando le aveva riferito di non poterla aiutare per via del cenone.
No, disse, guardando accigliata il caffè che scendeva nella tazza. Una telefonata bastava e avanzava. E poi non poteva certo lasciare suo padre da solo la sera di Natale! Avrebbe effettuato le consegne dei regali a festa conclusa.
Prese la tazza e se la portò alle labbra, discostandola subito dopo quando si accorse che il caffè era bollente. Tornò nell'altra stanza, sperando di riscaldarsi un po' mentre finiva di scrivere il rapporto. Controllò, prima, il cellulare, per vedere se qualcuno l'aveva cercata, ma chi poteva cercarla la sera di Natale, quando tutti – soprattutto Castle – avevano qualcosa di meglio da fare? Cercò di bere un altro sorso, ma le si ustionò il palato e decise che l'avrebbe lasciato raffreddare un altro po'.
Nell'esatto momento in cui completava il pensiero, un rumore la riscosse. Sembrava un rumore di qualcosa che veniva spostato e la cosa la mise in allarme. Si fermò sul posto, guardinga, gli occhi che scrutavano la penombra dell'ufficio, ma non scorgevano niente. Il suo cuore batteva forte, ma il suo pensiero era rivolto a come fare per neutralizzare l'intruso. Sempre che ci fosse un intruso e non fosse stata tutta una suggestione.
Scartò immediatamente questa ipotesi: lei non era una donnetta impressionabile e il suo sesto senso le diceva che c'era qualcun altro lì con lei, che non era sola. Purtroppo la sua pistola era riposta nel cassetto e l'unica arma a sua disposizione... ce l'aveva in mano ed era la sua tazza di caffè bollente. Solo che non capiva perché qualcuno avrebbe dovuto tentare di introdursi dentro una centrale di polizia la sera della vigilia di Natale: chi era la persona sana di mente che voleva commettere un reato in una stazione la polizia? Erano ragazzini ubriachi? No, non era il trentuno di dicembre e i ragazzini sono a casa, volenti o nolenti.
O forse... l'idea che l'intruso fosse lì per lei si fece strada nella sua testa. Aveva senso: lei aveva arrestato quel signore della droga proprio quella mattina per l'omicidio di una ragazza che aveva visto troppo.
Quella era un vendetta personale e anche molto ben congegnata: la vigilia di Natale, quando non c'era nessuno, nessun testimone che avrebbe potuto identificare l'omicida, la detective del misfatto sola, l'arma chiusa in un cassetto della scrivania... era il momento ideale per colpire. Uno smacco, un avvertimento incisivo, che avrebbe colpito la polizia dritta al cuore.
E Castle... come l'avrebbe presa lui?
Non era il momento di pensarci: lei aveva il caffè ed era un'esperta di arti marziali. Non doveva aver paura. Doveva solo avvicinarsi alla scrivania più che poteva e agire per prima. Ne aveva la possibilità e aveva già pianificato tutto: non era diventata una detective per niente.
Fece un passo, poi un altro. Un'ombra si stagliò in fondo alla stanza, un'ombra troppo grande per venire da quella direzione. Si rese conto con orrore che cosa stava succedendo: stava dando le spalle al suo aggressore, la cui ombra le ricopriva le spalle, mandandola in trappola.
Con una velocità che, più tardi, avrebbe colpito anche lei, fece uno scatto alle sue spalle, lasciandosi guidare dal colpo d'occhio e dall'istinto. Lanciò il caffè, mentre un tripudio di rosso e bianco si mescolava al nero del caffè che volò in una frazione di secondo tra lei e lo sconosciuto. Non si preoccupò di guardare cosa fosse successo, lasciò andare la tazzina, scagliandogliela contro, e si fiondò direttamente alla scrivania, per ricercare la sua arma di ordinanza. Le grida di dolore dell'aggressore che si era bruciato, e sicuramente tagliato, erano nella sua testa e pulsavano dolorosamente, abbastanza per caricarla di nuova adrenalina; aprì il cassetto con uno strattone che lo portò via dalle sue guide e lo lasciò andare, rabbiosa; quello si fracassò a terra, ma non era importante, niente lo era, a parte la pistola.
Quel tizio si sarebbe rialzato da un momento all'altro, per finire il lavoro. Mise una pallottola in canna, velocemente e, tenendo l'arma con entrambe le mani, la puntò di fronte a sé, dove troneggiava un uomo vestito da Babbo Natale, alto, di corporatura media. La finta barba bianca, colorata di marrone caffè e in cui erano attaccate schegge della tazzina, gli davano un'aria grottesca. Si accorse, inoltre, che quegli occhi le sembravano stranamente familiari. Sicuramente, era uno dei complici che aveva già visto quella mattina, durante l'arresto e che era riuscito a fuggire.
«Mettiti con la faccia a terra, subito!» gridò.
«As-»
«Non dire una parola! Mettiti a terra! Ora! E alza le mani dove posso vederle.» disse l'ultima frase a voce più bassa, ma in modo abbastanza minaccioso perché l'aggressore si decidesse a fare ciò che le diceva. «Mettiti in ginocchio, lentamente. Niente mosse avventate o sparo. Hai scelto proprio una brutta serata, amico.»
«E-»
«Silenzio! Sei in una stazione di polizia e stavi cercando di aggredire un'agente. Non è stato molto furbo da parte tua.» mentre parlava, la detective si avvicinò con passi lenti e misurati al misterioso aggressore. Finalmente avrebbe scoperto chi era. Non aveva neanche bisogno di una confessione. Prese le manette che, provvidenzialmente, erano posate sul tavolo. Aggirò la sedia di Castle e si piazzò proprio di fronte all'uomo, piantandogli la pistola dritto sulla fronte. «Non muoverti.» ordinò. E gli tirò via dalla testa il cappello che gli copriva gli occhi. «Hai il diritto...»
Quando vide chi era, la pistola rischiò di caderle.
Castle le restituiva uno sguardo a dir poco preoccupato, le mani accanto alle orecchie, il corpo teso e mezza faccia scottata. «Ho cercato di dirtelo.» rispose, con il tono più controllato che ci si potrebbe aspettare da un uomo minacciato da una pistola. «Ma tu eri una furia. Dico davvero, Kate. Ora capisco come li fermi, i criminali. Fai paura. Dico sul serio.»
Beckett sospirò e abbassò l'arma. «Ma che ti è saltato in mente? Potevo spararti! Potevo ucciderti!» gridò quasi. Era furiosa e avrebbe tanto voluto tirargli un calcio in faccia; si tratteneva solo perché era la notte di Natale.
Castle, intanto, ancora molto scosso – sì, lo era e si vedeva dai suoi occhi e dal suo viso stravolto, anche se la sua voce era la solita di sempre – , si prese la barba e se la abbassò, mostrando alcuni tagli. L'espressione omicida sul volto di Beckett si addolcì e si inginocchiò di fronte a lui. «Ti sei bruciato?»
«Non molto. Per fortuna la barba ha attutito il colpo. Cavolo, detective, sei un po' su di giri, eh? È la notte di Natale! E poi chi verrebbe mai ad aggredirti, qui in centrale?»
Lei riprese a scuotere la testa, con aria materna e ancora un po' accigliata. «Credevo fosse uno degli scagnozzi del tizio che ho arrestato stamattina.» replicò. «Scusami, Castle. Era un signore della droga.»
«Ah, lo sapevo che mi sarei perso la parte più interessante!» disse lui, a denti stretti, lacerando l'aria con un pugno. Ma poi tornò a guardare Beckett e la sua faccia prese un'aria un po' meno giocosa. «Beh, anche io sarei molto preoccupato, se stamattina avessi arrestato un tizio tanto pericoloso. Mi dispiace di averti fatto prendere uno spavento.»
Lei non rispose: c'erano abbastanza sensi di colpa per entrambi e, dopotutto, potevano considerarsi pari. Paura per paura.
«Vuoi che andiamo in ospedale?» chiese, invece.
Lui alzò le spalle e inclinò la testa. «No, sto bene. La barba ha attutito il colpo. Bella mossa, comunque.»
«Sei sicuro?»
«Tranquilla.» rispose lui, rassicurante.
A quella frase, Beckett rispose con un mezzo sorriso.
«A proposito, detective.»
«Sì?»
«Non è che potremmo alzarci? Sai, cominciano a farmi male le ginocchia.»
Beckett, colta alla sprovvista, guardò in basso, verso le ginocchia fasciate di spugna rossa, tipica dei calzoni di Babbo Natale. «Oh, certo.» rispose, velocemente, aiutandolo a issarsi. «Ma mi spieghi che ci fai, conciato in questo modo? Non dovresti essere a casa per il cenone?»
«Ho pensato che non sarebbe stato una vera festa, senza di te.»
Beckett inarcò entrambe le sopracciglia. «Scusami?»
Lui alzò di nuovo le spalle. «Volevo farti una sorpresa.» spiegò.
«Vestito da Babbo Natale?»
«Vestito da Babbo Natale.» confermò Castle, con un sorriso. «Pensavo che sarebbe stato un bel regalo, ricevere Babbo Natale in persona, come regalo.»
Beckett si strinse nelle spalle e abbozzò un sorrisetto ironico. «Modesto come al solito, eh, Castle?» rispose. Ma aveva una gran voglia di ridere: tanto rimuginare e, alla fine, era andata in modo incredibile.
Ma suo padre? Non poteva lasciarlo solo la notte di Natale e, anche se andare a casa di Castle era una proposta allettante, doveva proprio rifiutare.
«Mi dispiace.» disse, quindi e, subito, il sorriso sul volto di Castle si spense, come se la lampadina che gli illuminava il viso si fosse appena fulminata. Le dispiacque davvero, ma non poteva piantare in asso suo padre e glielo disse.
«E preparerai qualcosa?»
«No... ecco... ecco io...»
Non poteva dirgli dei tacos con chili. Castle avrebbe detto che non si mangiano i tacos con chili la notte di Natale. Ed era vero, lo sapeva anche lei, ma non poteva fare altro, dato che era rimasta lì fino a quell'ora impossibile.
«Lo so, ecco... se vuoi passare una notte con tuo padre, fai pure. Capisco...»
«Mi dispiace tanto, Castle. Sei venuto fin qui, ti sei preso una gran paura solo per invitarmi a casa tua e poi... scusami. Torna da Alexis e tua madre e passate un buon Natale anche da parte mia.»
Castle annuì. Era profondamente ferito. «Non vai a casa?»
«Devo finire il rapporto.»
«Allora, se vuoi, resto con te.»
«Castle...» non poteva permetterglielo. «E' la Vigilia di Natale, ci si aspetta che tu lo passi con la tua famiglia e...»
«Kate, ascolta, so che non ti piace che ti dica queste cose, ma è vero: ho passato diversi momenti qui con te e i tuoi colleghi, abbiamo vissuto insieme un sacco di avventure e mi sembra giusto dire che, qui al distretto, ho trovato una nuova famiglia. E anche tu ne fai parte. Il Natale si passa con i propri cari e tu sei uno di questi. Se non mangeremo quel meraviglioso maiale intero che ho cucinato, non importa. Gli avevo anche messo la mela in bocca, ma...»
Beckett guardò i suoi occhi sinceri e non riuscì a rimanere indifferente di fronte a quella arringa appassionata, ma c'era qualcosa che incrinava il momento ed era il rimpianto di lui di non poter essere con la sua Alexis la sera di Natale, a mangiare un maiale con una mela in bocca – tipico di Castle, si ritrovò ad ironizzare contro il proprio volere. «Castle, non voglio che rinunci al tuo Natale a causa mia. Torna a casa, dico davvero. Grazie comunque per l'invito.»
«Non me ne vado senza di te.»
«Castle, ti ho già spiegato che...»
Lui la ignorò ancora una volta. La prese per le spalle e la condusse a forza di fronte alla sua sedia, dalla quale prese la giacca e la costrinse ad indossarla, sotto le sue continue proteste. Niente. Cercare di usare il buon senso non aveva presa su di lui. Dopotutto, era di Castle che stava parlando ed era talmente testardo che una noce di cocco che fosse caduta sulla sua testa si sarebbe spezzata in due. Già.
«Castle, ti ho detto che non posso. Mio padre è da solo e non voglio creare disturbo. Devi andare a mangiare il tuo maiale con la mela in bocca... con tua madre e tua figlia.»
Lui ci pensò. «Va bene. Allora andiamo da lui. Appena ti saprò al sicuro a casa, allora andrò a mangiarmi quel meraviglioso maiale. Affare fatto?»
Beckett cedette: se quello era il prezzo da pagare per lasciarlo andare, allora l'avrebbe fatto. Il rapporto poteva sempre aspettare. Mentre scendevano giù e si dirigevano verso la macchina di Beckett, lei gli chiese se stesse davvero bene, dopo quel grosso spavento e gli propose di nuovo di andare in ospedale, anche se la sua faccia rossa sembrava essersi sfiammata da sola. Era un bene che la barba lo avesse protetto.
«Ho la pelle dura, io, detective, te l'ho detto.» replicò lui. «Tranquilla. Sono una roccia.»
«Ma la tua auto? Come sei arrivato fin qui?»
«In taxi.»
Beckett lo guardò, perplessa. «Mi prendi in giro? Un taxi, la vigilia di Natale?»
«Essere uno scrittore famoso ha i suoi vantaggi.»
«Sì, certo.» chissà perché, ma non riusciva a credergli: probabilmente, non avrebbe trovato un taxi neanche se fosse stato il presidente degli Stati Uniti in persona. «Andiamo, ti accompagno a casa.»
Castle sorrise. «Grazie, Kate.»
Beckett ignorò il modo seducente con cui aveva pronunciato quelle due semplici parole.
Ci misero molto meno del previsto per arrivare all'attico, dato che il traffico era molto meno congestionato del solito: la maggior parte dei newyorchesi era nelle case, a mangiare il loro equivalente di un maiale con la mela in bocca. Chissà perché quel particolare assurdo la faceva divertire ed era un peccato non poterlo vedere di persona, sulla tavola imbandita.
«Ti piacerebbe vedere il mio meraviglioso maiale?» chiese Castle, improvvisamente, come leggendole il pensiero. Beckett rischiò di sbandare per la sorpresa, ma riuscì a mantenersi in carreggiata giusto in tempo per evitare di speronare una vecchia macchina grigia.
«Sì!» disse, ancora prima di riflettere, ancora spaventata dal potenziale incidente. «Cioè... no! Certo che no! Non voglio disturbare e...»
«Ah, niente da fare, detective, la prima risposta è quella che conta e quindi verrai su da me per un brindisi. Solo uno, poi potrai andare dove vorrai.»
«No, Castle.» rispose lei, perentoria.
«Lo sai di essere noiosa?»
«E tu lo sai di essere petulante?»
«Lo sono per il tuo bene!»
«E allora smettila di fare il mio bene!» replicò lei, voltandosi per guardarlo, gelida. Si fissarono, fermi di fronte a quel semaforo, ad un isolato di distanza dall'attico di Castle. Si rese conto essere stata veramente troppo dura e ingiusta: lui era andato da lei per invitarla e cena e, non solo si era preso uno spavento, ma doveva anche sopportare quelle sfuriate fuori luogo, soprattutto per una serata come quella. Forse un brindisi non era una cosa così trascendentale. Insomma, era un bicchiere di qualcosa, qualche convenevole e sarebbe stata di nuovo sulla porta, pronta per andare a comprare i suoi tacos. Suo padre avrebbe capito e perdonato il suo ritardo. «Scusa, Castle. È che sono un po' stanca.»
«Tranquilla.» ripeté lui, per la terza volta nella serata, stavolta con un sorriso tiepido. «Forse hai ragione tu: sono petulante.»
«No, ecco... ogni tanto sì, però...» Beckett sospirò, mentre ingranava la marcia. «E va bene, Castle. Se vuoi che venga su per un brindisi, allora va bene.»
«Non sei costretta... davvero.»
«No. Insisto, adesso. Così saremo pari, okay? Per lo spavento che ti ho fatto prendere e... per il caffè.» lo disse solo per il proprio orgoglio e per non fargli capire che, invece, aveva davvero voglia di salire per un attimo. E non per il maiale, o per il senso di colpa, ma solo per passare un po' di tempo con lui e con le persone straordinarie che la circondavano e che la facevano sempre sentire come a casa.
Castle non disse niente, ma vedeva dal suo sorrisetto malandrino che andava più che bene, per quel che lo riguardava.
Arrivarono al suo appartamento in silenzio e il viaggio in ascensore fu ancora più tetro. Si sentiva in colpa, Kate, per tutto quello che aveva detto. Arrivati di fronte alla porta, però, Castle le si piazzò davanti e, sorridendo furbescamente, la aprì con un solo gesto della mano e...
«Sorpresa!»
Beckett ci mise un po' a riconoscere l'attico di Castle: era tutto addobbato, dal tetto ai soprammobili e un albero gigante troneggiava in un angolo della stanza, illuminato e sfarzoso, paragonabile solo a quello di fronte al Rockefeller Center. Tipico di Castle, pensò, esagerare così tanto. Al centro del salone c'era l'enorme tavolo di cristallo e, sopra, quello che sembrava un enorme maiale, ma non poteva vedere se aveva una mela o meno perché era nascosto da Martha e Alexis che, entrambe vestite in una versione femminile di Babbo Natale, sorridevano. Erano loro ad aver gridato «Sorpresa!». Sembrava che avessero saputo in anticipo che sarebbe arrivata e Beckett era davvero pietrificata sulla soglia: si era resa conto di aver dimenticato i regali a casa e di essere così a mani vuote da essere imperdonabile.
Ma nessuno pareva accorgersene. Alexis le andò incontro e l'abbracciò, strappandole un moto di sorpresa e tenerezza. «Buon Natale, detective Beckett.» le augurò.
«I-io... buon Natale, Alexis.» balbettò, incredula. Poi arrivò Martha e, non appena la nipote la lasciò andare, la baciò su entrambe le guance.
«Buon Natale, mia cara. Sono felice che tu abbia accettato il nostro invito. Richard ci teneva così tanto a farti assaggiare il suo piatto migliore!»
«Ecco, io... io non...» Beckett voleva dire che non si sarebbe trattenuta a lungo, il tempo di un brindisi e di uno scambio sbrigativo di auguri e poi avrebbe ripreso la macchina per andare da suo padre, ma tutta quell'allegria e quelle aspettative le tenevano la lingua incollata al palato. Era finita dentro non sapeva come e la porta si era richiusa, dicendole quasi che lei non se ne sarebbe andata se non quando lo avessero deciso i padroni di casa.
Si girò verso la tavola imbandita e sistemata meglio che in un ristorante di lusso, con sottopiatti e sottobicchieri laccati d'oro e di rosso, i calici dell'acqua e del vino che avevano i bordi che riprendevano quelle tonalità, insieme i piatti. Era tutto perfetto e messo insieme, pareva, da un arredatore. E, a stonare con quello, il gigantesco maiale con una mela rossa e lucida in bocca che occupava il posto d'onore, al centro della tavola.
E si rese conto che era apparecchiato per cinque persone.
«L'ha fatto davvero.» commentò Alexis, ridendo, credendo che la sua incredulità fosse tutta dovuta tutta al maiale. «Sapeva che saresti rimasta a bocca aperta.»
«I-io... avete ospiti!» riuscì finalmente a dire senza risultare patetica.
«Certo!» rispose Martha. «Una sei tu. Richard...» si rivolse a suo figlio con aria di rimprovero. «Non le hai detto niente?»
Castle sorrideva con aria malandrina.
«Le sorprese non sono finite, detective!» dichiarò e fu proprio lui ad andare verso la porta che conduceva al suo studio. La aprì con un gesto teatrale e fece un inchino, mentre dalla porta usciva...
«Papà?» la detective Kate Beckett sgranò gli occhi, incredula, guardando il nuovo arrivato che sorrideva anche lui con aria imbarazzata e si guardava intorno come se ancora stentasse a credere di essere finito in un altro mondo. Era la stessa sensazione che Kate sentiva dentro di sé.
Guardò da Castle, ad Alexis, a Martha e solo poi lo riportò su suo padre. «Io... non ci credo! È...»
«È stata una bella sorpresa, vero, detective?» chiese Castle, con un sorriso, una volta tornato alle sue spalle. «Meglio di Babbo Natale al distretto!» e si mise di nuovo la barba sulla bocca.
«Ma che hai fatto, papà?»
«Niente. Sono andato a sbattere con del caffè, tranquilla.»
Beckett avrebbe detto che era colpa sua, più tardi, ma ora no. Abbracciò suo padre, augurando anche a lui un buon Natale. Quella era stata la giornata più strana del mondo e finita nel modo ancora più strano. Nel migliore dei modi, proprio come in una vera favola di Natale, di quelle che hanno un lieto fine.
«Ma io non ho portato niente... ho... insomma...» disse, mentre lasciava andare suo padre. «Mi dispiace, Alexis, ti avevo comprato un pensierino e l'ho lasciato a casa. Non pensavo di...»
«Non ti preoccupare.» rispose la ragazza, con un sorriso. «L'importante è che tu sia qui.»
«Ma...»
«Tranquilla.» fu Castle a parlare e le rivolse una strizzatina d'occhio. Kate, nello stesso momento in cui i suoi occhi incontravano quelli di Castle seppe che i regali erano arrivati a destinazione e, infatti, girandosi, vide che i pacchetti che aveva confezionato personalmente erano proprio sotto l'albero, in attesa di essere scartati.
«Ma... come hai fatto? Non hai le chiavi di casa mia. E neanche mio padre.» guardò lui, che aveva l'aria di uno che voleva fare finta di niente.
«Oh, un piccolo aiuto del portiere.» minimizzò Castle.
Kate si voltò di scatto verso di lui, fissandolo con furore. «E' violazione di domicilio!» gridò, indignata. «Castle! Sei entrato in casa mia senza il mio permesso!»
«Non ci sono entrato!» replicò lui. «Tecnicamente, ho solo detto al portiere del tuo problema con i regali, ma è entrato tuo padre, te lo giuro!»
Lei sbuffò, indignata. «Dovevo proprio aspettarmelo da te! La Vigilia di Natale, poi! E per organizzare tutto questo non sei neanche venuto ad aiutarmi con l'arresto! Sei... sei...» avrebbe voluto trovare un'offesa da rivolgergli, ma non c'erano davvero parole per tutto quello che aveva fatto. Alzò le braccia, in segno di resa, per non doverlo offendere e neanche per lodarlo di tutto quanto. Perché, sì, anche se aveva avuto un comportamento abbastanza discutibile, era davvero da lodare e, dentro di sé, era anche disposta ad ammetterlo.
«Su, su, ragazzi!» esclamò Martha, spezzando il filo di quei pensieri. «Mettiamoci a tavola. Non vorrei che questo maiale ci sfuggisse dalla tavola!»
E così Castle condusse Beckett fino al suo posto, accanto al capotavola, piazzandola di fronte ad Alexis e accanto a suo padre.
«Buon Natale a tutti!» disse, con un enorme sorriso.




Ed ecco il bannerino premio. "Ru" sta per Running Up, in quanto è andata a parimerito con un'altra fanfic.
  
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