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Autore: Nakara86    09/12/2010    1 recensioni
Storia partecipante al Phantom of the Opera Contest, indetto da GiulyRedRose e Kenjina
Erik, il famigerato Fantasma dell'Opera, non è più ricercato e dopo quasi un anno dall'incendio del teatro è tornato a vivere nei suoi sotterranei. La sua quiete però, non durerà a lungo perchè la sua vita verrà scombussolata dall'arrivo di un angelo e dal fantasma del suo eterno amore: Christine, ormai Viscontessa, intrappolata in un infelice matrimonio con il suo principe azzurro Raoul. I destini dei personaggi si intrecceranno inaspettatamente, uniti da un omicidio del passato che ha toccato, in modi diversi, le vite di tutti loro.
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo l'incendio all'Opera nessuno lo cercava più. La leggenda del misterioso Fantasma dell'Opera, sembrava essere stata spazzata via dall'immaginario comune come erano stati portati via dal vento i resti del raffinato tendaggio degli spalti del teatro.

Si ricordava ancora quegli istanti, ogni volta che chiudeva gli occhi i ricordi delle fiamme ed il risultato della sua rabbia gli si riproponevano come in un incubo troppo reale, un brutto sogno da cui non poteva svegliarsi perché lui ne era l’artefice.

A pensarci adesso, mentre il suo viso triste e rigato di lacrime si rifletteva nei mille pezzi dello specchio rotto davanti a lui, si stava chiedendo se ne fosse valsa la pena. Ma la risposta era troppo scontata e dura per potere accettarla. No, non ne era valsa la pena. Aveva distrutto il suo bellissimo mondo, il suo Regno, per una donna che, sapeva, non lo avrebbe mai preferito. Non a quelle condizioni. Non quando, come controparte, c’era quello che poteva essere considerato “un uomo perfetto”, anzi, un ragazzino perfetto.

Ma ormai era inutile continuare a guardare al passato ed ai suoi insuccessi. Poteva tornare a vivere nella sua adorata grotta, almeno finché non avesse trovato un posto migliore, diverso dal sotterraneo, lontano dai ricordi e dal Fantasma.

 

Quella notte il freddo era più pungete del normale e lei non riusciva a scaldarsi nemmeno con quel fuoco allegro che lanciava zampilli di cenere intorno a sé, disperdendosi nell’aria e portando i piccoli lapilli chissà dove nel leggero vento di quella notte parigina. Li osservava prendere forme e direzioni diverse, alcuni prendevano il vento e salivano su, verso l’alto. Altri invece, cadevano inesorabilmente per terra, troppo pesanti o troppo sfortunati per riuscire a prendere il volo. Un grosso lapillo cadde sull’orlo della sua veste, lasciando un piccolo buco lì dove era atterrato.

“Maledizione!” disse la giovane mentre cercava di cacciarlo via dal tessuto consunto della gonna. Era troppo tardi, il buco faceva bella mostra di se' insieme a tutte le altre bruciature di cui era cosparso l’orlo dell’abito. Se non avesse fatto attenzione presto si sarebbe trovata obbligata a diventare una ladra. I pochi soldi che aveva faticosamente messo da parte non bastavano per un abito. Riusciva a mala pena ad acquistare un po’ di frutta e pane con quei pochi guadagni e comunque non erano mai abbastanza. Doveva vivere con quei pochi averi, almeno finché fosse stata in grado di farlo.

Quella sera era ancora obbligata a dormire fuori. Le locande costavano troppo e nessuno era disposto a dare un lavoro ad una giovane mendicante come lei.

Si tirò ancora più avanti sul volto il cappuccio della grossa mantella di lana che indossava, cercando di stringersela addosso il più possibile, ma non sentiva caldo. Il freddo era dentro di lei e non se ne sarebbe liberata tanto facilmente.

Sospirò e tentò di prendere sonno sul duro selciato della pavimentazione. Il vociare degli ubriachi e delle prostitute nelle case poco lontane da lei erano diventati una ninna nanna. Si addormentò così, accanto al fuoco, mentre un gatto le si avvicinava e le si accoccolava accanto.

 

Fu un bidone contro cui qualcuno aveva urtato a svegliarla di soprassalto, facendola sedere velocemente ad osservare la causa di quel rumore. Due giovani biondi, un ragazzo ed una ragazza, che si tenevano per mano, la osservarono preoccupati e spaventati dallo sguardo duro che la donna riservò loro.

“Scusatemi buona donna…” disse lo sconosciuto. Alla luce del fuoco la mendicante osservò il ragazzo e notò che era sicuramente molto giovane, biondo, con due sognanti occhi azzurri, coperto da un caldo mantello di lana spessa con la chiusura in oro. Lo osservò da dietro la cortina di capelli biondi schiacciati disordinatamente dal grosso cappuccio, carica di invidia sfregando nervosamente le mani intirizzite.

“Spero di non avervi spaventata…” disse ancora lui, ma la giovane fece un rapido cenno negativo con la testa.

Poi il giovane sparì nell’oscurità insieme alla ragazza e lei tentò di addormentarsi senza successo. Poco dopo, sentì qualcuno adagiarle qualcosa addosso. Aprì di nuovo gli occhi ma non fece in tempo a vedere chi fosse stato. Sentì che quello che le avevano appena lasciato era un altro mantello, caldo, di lana spessa e quando lo osservò notò che aveva la chiusura in oro. La giovane lo guardò incredula. Si alzò per cercare chi ne fosse il proprietario, non poteva tenere quell’oggetto prezioso. Quando si mosse verso l’angolo in cui sentiva delle voci notò che il giovane di poco prima, con la ragazza, era dietro l’angolo in cui mendicava lei e non indossava il suo mantello. Pensò di intervenire per ricordagli che il suo cappotto l’aveva lei, ma desistette appena udì le parole d’amore che uscivano dalle bocche dei due giovani.

“Vedrai Meg, riusciremo a trovare una soluzione!” disse l’uomo.

“Si, lo so… ma… è così difficile!”

“Ma io ti amo!”

“Si, si, lo so… ma… dicevi di amare anche Christine!”

“Non parlarmi di Chistine adesso ti prego amore!”

“Perché no? E’ tua moglie, capisci che è un problema?”

“Lo sai perché ho sposato Christine!”

“Si, lo so… e non avresti dovuto.”

“… non fare l’umana adesso Meg!” disse l’uomo offeso.

“Raoul tu mi ami?”

“Più di qualsiasi cosa al mondo!”

“E vuoi vivere con me?”

“Non potrei farne a meno… e lo sai!”

“Allora baciami, so che troverai un modo per sistemare tutto!” ed i due si baciarono.

 

La giovane strinse il mantello caldo nelle mani e tornò al suo angolino, non era il caso di disturbare e poi… quella mantella era così calda…

Si sdraiò per terra e la usò come coperta, un coperta calda e morbida che la cullò in un sonno tranquillo, in cui sognava anche lei di trovare l’amore della sua vita.

 

Il mattino seguente venne svegliata dal leggero picchiettare della pioggia sul viso ed infreddolita, si alzò per cercare un posto in cui ripararsi. Non era mai stata a mendicare in quella zona di Parigi e quelle strade erano per lei del tutto sconosciute. La pioggia aumentava e la giovane usò il mantello nero che il ragazzo le aveva regalato per coprirsi meglio dalla pioggia. Gli sporadici balconi qua e la, le regalavano un piccolo riparo dalla pioggia ormai battente. Stava correndo senza una destinazione quando si trovò davanti all’augusta entrata di un teatro. Era l’Opera, l’Opera Populaire. Anche se la facciata era annerita ed il tetto era in parte crollato, quell’entrata dava comunque l’impressione di qualcosa di grandioso e la ragazza notò che quel posto non aveva proprio niente di popolare. Era sempre stato un posto per ricchi.

Mentre mendicava per le strade aveva sentito la gente parlottare di quel teatro e dell’infausta presenza di un famigerato Fantasma che ne abitava i sotterranei. Lei aveva sempre sorriso a quei racconti esagerati: i fantasmi non esistevano. Aveva sempre pensato che anche il famigerato Fantasma fosse solo frutto della fervida immaginazione di qualche macchinista.

Sotto la pioggia la ragazza tentò di aprire le porte del teatro sbarrate da diverse travi di legno spesso, ma non ci riuscì. Non avrebbe trovato rifugio lì quel giorno. Scese gli scalini di marmo che si erano fatti scivolosi sotto lo pioggia e si mosse verso una stradina poco illuminata verso il retro dell’Opera. Aderendo al muro umido la giovane cercò di muoversi verso un punto in cui sembrava ci fosse un’apertura nelle mura distrutte dell’edificio. Quando si affacciò all’interno della crepa, vide che c’era quella che sembrava un’ala dell’Opera. La parte crollata che portava all’interno della struttura era in parte allagata così, la giovane si mosse più verso il suo interno. La visione che le si presentò era a dir poco spettrale.

In alcuni punti l’intonaco si era staccato dal soffitto ed era crollato sul pavimento di fini piastrelle crepandole e scheggiandole. Laddove la copertura era crollata, era possibile vedere la struttura bruciata delle volte. Era impressionante, una fitta struttura d’intrecci e travi annerite che davano l'impressione di trovarsi dentro la pancia di una balena.

Gli affreschi che fino a poco tempo prima abbellivano il soffitto erano sporchi. Il raffinato colore intarsiato d'oro si staccava dall'intonaco come una sottile pellicola che ora pendeva tristemente dalle alte volte.

Le lunghe tende leggere ricadevano strappate e bruciate intorno alle finestre. Alcune erano esplose ed altre pendevano all’interno del corridoio come vecchi scheletri abbandonati sulla forca. La luce livida e fredda del temporale illuminava impietosamente il corridoio dentro il quale la giovane si stava addentrando. L’aria pungente, profumata di pioggia, entrava dalle finestre con forza. Le sembrava di sentirla ballare macabre danze intorno a se'. Danze tristi, desolanti e terrificanti, in cui tutto l’orrore della condizione umana si faceva sentire. L’odore dolce della pioggia mitigava quello più acre di legno bruciato. Le porte dei camerini erano state divelte ed al loro interno non v’era altro che fuliggine. Solo una camera sembrava essere sopravvissuta a quello sfacelo. Vi entrò sperando in qualche furto facile. Si guardò intorno. Era una stanza con i muri ricoperti di arazzi rosa e dorati, anneriti e bruciacchiati nei punti più esposti verso il corridoio. Era molto piccola e sul lato c’erano i resti rovesciati di un comodino. Fiori secchi e marci giacevano per terra ed il pavimento era coperto di schegge di vetro. Una chaise longue rosa si trovava sul lato sinistro della piccola stanza e su di essa giaceva ancora una coperta che sembrava perfetta. Ma non fu la coperta ad attirare la sua attenzione. Al fondo della stanza c’era una porta spalancata dalla quale proveniva la luce fioca di alcune candele. La giovane si mosse verso quell’apertura e vide che c’era un corridoio lunghissimo. Fece un passo verso di esso e sentì che in quel punto faceva più caldo. Sulle pareti scarne e macchiate di umido, c’era qualche candelabro acceso le cui candele erano quasi consumate. Che ci fosse qualcuno che avrebbe potuto offrirle accoglienza al fondo di quel corridoio? Proseguì cauta, senza parlare. Non aveva paura, tanto la morte non avrebbe potuto essere peggiore della vita che era obbligata a vivere. Poco per volta sentì le mani scaldarsi sotto la fasciatura che si era fatta per proteggerle dal freddo.

Mentre andava avanti nella sua esplorazione, trovò delle scale. Erano a chiocciola e di dura pietra. Le scese sorridendo beffarda:

“Oh, e così era qui che si nascondeva il Fantasma…” disse fra se' e se'.

Poi mise il piede su un pianerottolo e lo sentì cedere leggermente sotto il suo peso. Balzò via e guardò cosa stesse succedendo. Una botola! Cosa ci faceva una botola in una rampa di scale? Fu solo allora che sentì un brivido di insicurezza percorrerle la schiena. Avrebbe scoperto cosa c’era di così prezioso in fondo a quelle scale da richiedere un trabocchetto.

Continuò cautamente il suo cammino finché, dopo un tempo inestimabile, raggiunse quello che sembrava un antro abitato. Si trovava in una grotta semibuia, davanti ad un lago sotterraneo.

A prima vista avrebbe giurato che fosse la tana di un animale, poi nella penombra notò dei mobili di bel arredo sistemati con un certo gusto sulla sponda opposta. Non era una tana, era il rifugio di qualcuno! Il piccolo lembo di terra su cui erano distribuiti i mobili era ingombro di tende, candelabri, leggii e molti specchi. Uno era rotto, anche da dove si trovava lei si poteva notare la lunga piaga che percorreva la superficie di vetro e le varie botte che quel povero specchio si era preso da qualcuno chissà per quale ragione.

Apparentemente il posto era irraggiungibile se non immergendosi in acqua, ma non l’allettava l’idea di mettere anche solo un piede dentro quel lago nero come la notte. Un po’ di sole filtrava chissà da dove illuminando un piccolo cerchio d’acqua. Qualche candelabro acceso lanciava una fioca ma uniforme luce nel posto che sembrava decisamente inquietante. Notò poi dei piccoli massi fuoriuscire dall’acqua, ad una distanza tale gli uni dagli altri, da permetterle di attraversare il lago.

Saltò su quelle pietre finché non fu salva sull’altra sponda a pochi passi da quello che sembrava un organo. Era inusuale trovare un organo in mezzo ad un lago, ma non riuscì a stupirsi. Vivendo come viveva lei, in mezzo a gente che di normale non aveva niente, quello le sembrava solo un’altra stranezza come tutte le altre.

Si mosse furtivamente per quel mondo che sembrava essere stato strappato da qualche storia oscura, di quelle che serpeggiavano di bocca in bocca per i cunicoli dei bassifondi parigini.

Poco oltre quella specie di altare su cui poggiava l’organo, c’era un tavolino pieno di scritti e disegni eseguiti con maestria da quella che era certamente la mano di un’artista.

“Chiunque tu sia, sconosciuto, devi essere una persona molto sensibile…” disse la ragazza mentre osservava i ritratti a matita di una giovinetta coi capelli ricci ed un sorriso da bambina.

Posò le opere e si mosse verso un leggìo da cui pendevano alcuni fogli mentre altri erano stati calpestati e sparsi per la grotta.

Provò a leggerli ma non ci riuscì perché i caratteri erano sbavati e le note erano state cancellate brutalmente con altro inchiostro. Tornò verso l’organo ed in un angolo trovò la custodia di quello che sembrava un violino. Tentò di aprirlo ma si fermò perché sentì dei passi provenire da un punto indefinito della grotta. Nascose il violino sotto la tunica, consapevole che le sarebbe potuto tornare utile. Rimase in attesa con l’orecchio teso per carpire eventualmente qualche informazione, ma sentiva solo passi cadenzati avvicinarsi sempre di più all’antro. Poi, da dietro una tenda, vide apparire una figura che emerse dal buio come un fantasma. Era un uomo alto, avvolto in un lungo mantello nero. La giovane rimase per un secondo ad osservarlo senza fiato. Aveva qualcosa di regale negli atteggiamenti ma quando si voltò e la vide, sembrò trasformarsi nell’incarnazione del demonio.

“Chi sei?” urlò l’uomo lasciando cadere il cesto di roba che portava in grembo e sguainando la spada.

La ragazza non riuscì a muovere un muscolo tanto era spaventata da tale furia.

“Cosa ci fai qui!? Chi ti ha mandato?!” sibilò l’uomo mentre si muoveva cauto verso di lei che si stava spostando lentamente, ipnotizzata dal movimento della spada, verso l’organo.

“Io… io..” balbettò la ragazza sbattendo contro la sua struttura.

“Sparisci da qui!” e l’uomo corse verso lo strumento facendo sparire i fogli che vi erano appoggiati sopra e coprendo la tastiera.

Il rumore sordo ed inquietante delle corde che sotto la forza dell’uomo vibrarono, la fecero tornare in se'. Balzò lontano dall’organo ed osservò terrorizzata l’uomo. Una furia cieca brillava in fondo ai suoi occhi. “Vattene, vattene ho detto!” urlò ancora lo sconosciuto.

Non c’era tempo per parlare, doveva scappare, lontano da lì… il più lontano possibile.

 

Il vento umido dei sotterranei le sferzava il viso mentre correva a perdifiato lungo delle scale che salivano ripide. Più saliva, più il freddo pungente dell’aria esterna le pizzicava il viso e le entrava nelle ossa. Poi vide delle tende, le scostò e sentì il vento pungente dell’aria della città ridarle respiro. Corse fuori e si appoggiò al muro per riprendere fiato. Qualcuno stava salendo dalle scale, non poteva farsi trovare ancora lì. Percorse il lato dell'edificio finché non si ritrovò di nuovo in mezzo alla strada.


Erik fece solo in tempo a vederla scomparire dietro l’angolo quando scostò le tende da cui lei era appena uscita. Come aveva fatto ad entrare? Perché i suoi trabocchetti non avevano funzionato? Pensò allora di andare a controllare che nessuno li avesse manomessi prima di tornare a comporre.

  
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