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Autore: Alys93    13/12/2010    5 recensioni
Il destino... Non si mai cosa ci riserva. E' qualcosa di oscuro, insondabile, eppure c'è gente che non smette mai di provare a prevedere cos'ha in serbo per noi. Non sappiamo mai come andrà la nostra vita, se riusciremo a realizzare i nostri sogni. E lo sa bene Richard, che, a diciassette anni, non sa ancora cosa fare, se troverà qualcuno disposto ad andare oltre le apparenze.
Se vi ho incuriosito, spero che leggerete la storia. Ve ne prego, siate clementi. E' la prima storia "decente" ke ho mai scritto. [Dopo molto tempo ed alcuni cambiamenti, più o meno lievi, ho deciso di continuare a postare questa storia. Spero che apprezzerete i miei sforzi]
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutte, questa è una nuova storia ke ho scritto un po' di tempo fa e ke ho deciso di postare. Spero vi piaccia, ci ho messo più di un anno a finirla... Sono pazza eh? Vi prego solo di essere clementi nei giudizi, ve l'ho detto. è la prima storia "decente" che ho scritto e l'ho iniziata ke avevo 15 anni. vi auguro buona lettura
 

Il destino di un amore
 

Noi pensiamo di poter decidere la nostra vita, ma infondo è una semplice illusione; siamo tutti condizionati dal destino. C’è chi lo chiama fato, chi volontà divina, chi ancora lo chiama segni del cielo e spesso osserva le stelle per poterlo prevedere, ma è impossibile. Il destino di ognuno di noi è già scritto da molto tempo, ma non si fa leggere dai chiromanti, dagli indovini o dagli astrologi. Nessuno può mai sapere cosa gli accadrà domani, ogni giorno è una nuova scoperta… Solo ieri puoi aver deciso di non rivedere mai più una persona, ed oggi? Puoi sentire che qualcosa cambia, tu non lo sai, non capisci, ma è il tuo destino che fa il suo percorso e tu non puoi fare niente per fermarlo o cambiarlo. Il destino, magari, decide che sarà proprio quella la persona con la quale dividerai la tua vita… E tu? Tu puoi solo accettare quello che ti succede. La cosa migliore è vivere giorno per giorno, senza pensare al domani, perché la cosa peggiore che il futuro può farci è quella di rovinarci il presente con mille ansie ed interrogativi. Vivere la vita giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto, questa è l’unica cosa che possiamo fare per vivere tranquilli… Apprezzare ogni singolo istante ed accettare quello che la vita ci riserva. Perché, nonostante gli alti ed i bassi, la vita è un cosa meravigliosa e bisogna cercare di trovare sempre qualcosa di buono in tutto quello che ci succede. Vedere il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto.

La nostra storia inizia in un giorno qualunque di una cittadina qualunque, che presto diventerà teatro di qualcosa di davvero inaspettato e stupefacente…

*
 
 
 

1-Scontro
 

Quel giorno d’inizio settembre, una moto sfrecciò veloce per le strade di Lain City, quasi a sfidare il vento salmastro che veniva dalla costa. Un bolide blu chiaro guidato da un ragazzo, ansioso di crescere e capire il mondo, di vivere e scherzare con gli amici. È un ragazzo come tanti, ma che ancora non sa quello che sta per accadergli.
*
Richard guardò furioso il proprio orologio da polso: le 7.50! Se non era a scuola entro quindici minuti, l’avrebbero lasciato fuori fino all’inizio della seconda ora e non era proprio il caso di arrivare in ritardo già dal primo giorno di scuola. Si sarebbe dovuto sorbire una predica lunga almeno due anni da parte degli insegnanti, per non parlare di quella ancora più noiosa del preside. Gli sarebbe venuta un’emicrania pazzesca… Mosse la mano sulla leva dell’acceleratore, sentendo il motore rombare sotto di lui, mentre la moto scivolava veloce sulla strada. Fortuna che a quell’ora non passava quasi nessuno e la via era totalmente sgombra, quindi poteva procedere spedito e senza intoppi. Doveva assolutamente sbrigarsi a raggiungere l’istituto, o non avrebbe fatto in tempo. Ma perché accidenti non aveva sentito la sveglia?
Improvvisamente, vide un pedone che attraversava la strada, quando il semaforo era ormai rosso. Era evidente che andava di fretta e probabilmente non si era accorto del cambio di segnale. Ci mancava solo che causasse un incidente stradale! Il ragazzo, capendo che non ce l’avrebbe fatta a fermarsi, strinse forte il freno d’acciaio e gridò con tutto il fiato che aveva in corpo “Levati di mezzo!”. Il pedone si voltò di colpo e spalancò gli occhi dal terrore alla vista della moto che gli arrivava contro. Indietreggiò velocemente verso il marciapiede, ma inciampò nei suoi stessi piedi, finendo a terra. Con uno sforzo enorme, il giovane motociclista riuscì a girare il manubrio della moto, facendola arrivare di lato. Per un lungo, terribile istante temette di non essere riuscito a fermarsi in tempo e sentì il sangue gelarsi al solo pensiero. Quando il fumo, proveniente dai pistoni fumanti, si dissipò, riuscì a scorgere una figura sull’asfalto. Fortunatamente, la moto si era fermata a poco meno di dieci centimetri dalla persona che era riversa a terra, con le braccia messe a difesa del viso. Richard si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, si sfilò il casco e mise il cavalletto alla moto. Aguzzando l’udito alla ricerca di un qualche rumore, si avvicinò a quello sconsiderato che aveva attraversato la strada con il semaforo rosso. Quando gli fu accanto, notò con sorpresa che si trattava di una ragazza. Lo si poteva constatare dai lineamenti, certamente più aggraziati, che appartenevano al gentil sesso, oltre che dai lunghi capelli, sfuggiti ad un berretto caduto poco distante. Dopo qualche secondo, la giovane scostò le braccia dal viso e, vedendo la moto così vicina, saltò in piedi con un grido. Il ragazzo la guardò sconcertato; non era statunitense, questo era poco, ma sicuro. Non aveva mai visto un viso come quello, eppure conosceva molta gente di provenienza straniera. La città era piena di ogni tipo di etnie, ma quella ragazza aveva dei lineamenti che non aveva mai visto. Era davvero un bel volto, almeno per i suoi gusti, di una delicata sfumatura bronzo-dorata, che enfatizzava le labbra appena più chiare. Osservandola meglio, notò altri particolari in quella sconosciuta, soprattutto i capelli. Erano lunghi, quasi fino alla vita, e le incorniciarono il volto come una cascata di morbide onde color ebano. Si avvicinò per assicurarsi che stesse bene, ma rimase ancora più stupito da quella ragazza quando la sentì esclamare con voce strozzata, ma certamente straniera, “Santa madre de Dios!”. Le si avvicinò, porgendole il berretto, e le chiese “Va tutto bene? Sei ferita?”. A prima vista sembrava ancora intera, ma non era del tutto sicuro che fosse illesa. La giovane si voltò di scatto nella sua direzione, con gli occhi ancora spalancati per la paura. Erano di un colore decisamente particolare: un verde-acqua come quello non lo aveva mai visto, incredibilmente chiaro e limpido. Lei guardò quel ragazzo dai folti capelli neri che la stava osservando, riprese il berretto e lo ripose nello zaino che aveva sulle spalle. Poi rispose scuotendo il capo e mormorò, con un accento lievemente straniero, “Sto bene, grazie”. Rabbrividì appena ed aggiunse “Mi dispiace davvero, non volevo… ma sto cercando di arrivare all’Heavenly High School e non ho la più pallida idea di come arrivarci”. Un timido sorriso le spuntò sulle labbra, mentre si sistemava una ciocca di capelli “Mi sono appena trasferita e non conosco ancora la zona”. Richard la fissò stupito e ripeté “L’Heavenly High School?”, “Esattamente”. Lui rise e disse “Allora sali, anch’io sto andando lì!”. Vedendola esitante, aggiunse “Ho un casco di riserva, prendilo pure… Ma dobbiamo sbrigarci, o ci chiudono fuori per tutta la prima ora. E credo che neanche tu voglia arrivare tardi il primo giorno”. La ragazza prese il casco che le porgeva con un sorriso di gratitudine, lo infilò e salì un po’ goffamente sulla moto. Il mezzo partì di scatto con un potente rombo, dandole appena il tempo di aggrapparsi al giovane. “A proposito, non mi hai ancora detto come ti chiami” disse improvvisamente il ragazzo, gridando per farsi sentire oltre il rombo della moto. “Megan. Megan Marley” rispose lei, stringendosi forte, un po’ spaventata da quella situazione imprevista. “Io invece sono Richard McKallister. Piacere di conoscerti!” lo sentì risponderle oltre il rombo della moto, che continuava a scivolare veloce sull’asfalto. La ragazza si rannicchiò dietro la schiena del giovane e si lasciò trasportare dal lieve rumore del motore della moto, mentre i suoi capelli, sfuggiti al casco, volavano trasportati dal vento.
 
Dopo pochi minuti, arrivarono davanti ad un grande edificio bianco, sulla cui facciata si trovavano, per ben quattro piani, numerose ed ampie finestre. Molti ragazzi erano nel vasto cortile antecedente la scuola, chi solo, chi a gruppi. C’era un forte chiacchiericcio tra gli studenti, mentre gli amici si raccontavano le vacanza appena trascorse e le aspettative in campo scolastico, ma soprattutto sentimentale. Richard si sfilò il casco, scuotendo con forza la testa per ridare forma ai capelli, e disse con un sorriso “Siamo arrivati, ora puoi allentare la presa”. Megan lo lasciò andare e, sfilandosi il casco, mormorò “Scusami, ma non sono mai andata in moto prima d’ora”. “C’è sempre una prima volta per tutto, non credi?” ridacchiò il giovane; lei gli porse il casco ed il suo sorriso si allargò. Ora che era arrivata a destinazione, si sentiva decisamente più rilassata. Scese dalla moto e rimase ad osservare la scuola, cercando di farsi un’idea di come si sarebbe trovata. Intanto, un gruppetto di ragazzi si era avvicinato ed uno di loro esclamò “Ehi, Richard! Iniziavamo a pensare che non arrivassi più!”. “E vedo che non sei solo, chi è la tua amica?” aggiunse un altro, notando Megan accanto alla moto. “Ci siamo incontrati, o per meglio dire scontrati, all’incrocio di St. Sebastian” disse lui, con un mezzo sorriso “Non conosceva la strada ed allora…”. “Allora l’hai accompagnata tu. È inutile, sei sempre il solito tenerone. Con le ragazze non riesci proprio a dire di no” esclamò un ragazzo, scuotendo la massa di ricci scuri e sorridendo malizioso. L’amico rise e fece una voce da duro, che lasciava però trasparire la sua allegria, “Cosa? Ora ti insegno io a tenere a freno la lingua. Preparati alla tua punizione, Karl!”. Gli circondò il collo con un braccio e gli frizionò la testa ricciuta con le nocche della mano libera. Karl gridò ed iniziò a divincolarsi, urlando e ridendo allo stesso tempo, “No! Basta! Va bene, non dico più niente!”. Richard rise e lo lasciò andare, dicendo “Muoviamoci, non vorrei rimanere fuori il primo giorno di scuola. Non ho intenzione di sorbirmi una strigliata dal preside Parrish”. Due di loro si diedero il cinque ridendo e si avviarono con il resto del gruppo verso l’entrata, già ghermita di studenti. Richard si girò e fece un cenno a Megan, dicendo “Ehi, che fai? Non vieni?”. Lei sorrise appena e lo seguì incerta, sentendosi lievemente spaesata in quel posto così nuovo. Era tutto così enorme… Dove viveva prima le scuole non erano così grandi, né così affollate. Per un attimo si sentì invadere dal panico, ma cercò di farsi forza ed entrò nel grande atrio. Tutti i ragazzi erano ammassati davanti ad un immenso cartellone su cui erano scritte le classi ed i nomi degli studenti in otto ordinate colonne. Megan vide il proprio nome sotto la colonna della IV D al secondo piano, notando che sotto il suo c’era il nome di Richard McKallister. Erano nella stessa classe. Ed era l’unico con quel cognome in tutto l’istituto, quindi era impossibile confondersi. Che buffa coincidenza pensò Ci siamo incontrati solo stamattina e ci ritroviamo nella stessa classe. Mi chiedo come mai. Improvvisamente, sentì una mano sulla spalla, si girò di scatto e si trovò faccia a faccia con un uomo robusto e dal volto severo, ingentilito da un lieve sorriso. La guardò per un lungo istante, per poi chiederle con voce ferma “Sei tu Megan Marley?”. Lei si limitò ad annuire, incapace di spiccicar parola. Il sorriso dell’uomo si allargò e le disse sollevato “Sono felice di conoscervi, signorina. Vostro padre è passato quasi mezz’ora fa con i documenti. Avete avuto difficoltà a trovare la strada?”. Megan annuì di nuovo e mormorò “Mi ha accompagnato un ragazzo che studia qui. Ci siamo incontrati per strada”. Sentì molti ragazzi bisbigliare in modo concitato ed udì il ragazzo di nome Karl sussurrare “Cosa è venuto a fare qui il preside Parrish? Di solito non esce mai dal suo ufficio!”. Il preside disse “Signorina Marley, la prego di seguirmi. Devo consegnarle alcuni documenti necessari perché lei studi qui”. La ragazza annuì nuovamente e seguì il preside nel suo ufficio al terzo piano, cercando di tenere a bada la tensione. Entrò in una grande stanza, sulle cui pareti immacolate spiccavano numerosi attestati con il nome di Clark Parrish, arredata con semplice buon gusto. Una scrivania in noce ed alcuni scaffali contenenti pile di cartelle e documenti vari facevano bella mostra di sé, abbinandosi perfettamente alle tonalità chiare della stanza. Il preside la fece accomodare sulla poltrona davanti alla scrivania e disse “Cosa ne pensa della nostra scuola, signorina Marley? Le piace?”. La giovane annuì sorridendo e disse “Da dove vengo io, le scuole non sono così grandi. Al massimo hanno due piani, non di più”. Una risata nervosa le sfuggì dalle labbra “Spero proprio di non perdermi, in tutti questi corridoi”. Il preside Parrish sorrise a sua volta e, aprendo un cassetto della scrivania, disse “Questi documenti che sto per darle sono importanti per qualunque studente prenda sul serio la scuola e ciò che questa può insegnare”. Poggiò tre fogli colorati sulla scrivania e spiegò a cosa servissero. “Questo” disse, indicando il foglio color verde menta “è il permesso per accedere alla biblioteca scolastica”. “Avete una biblioteca?” lo interruppe Megan entusiasta, mentre pensava a tutti i libri che avrebbe potuto consultare. Erano sempre stati la sua passione ed era felice che anche il nuovo istituto ne fosse provvisto. Purché non fosse ricolma di quei vecchi volumi pesanti e tremendamente noiosi sulla vita dei vari filosofi ed artisti… “Ma certo!” annuì il preside, sorridendo soddisfatto, “Ogni studente, quando vi accede per la prima volta, deve presentare questo documento, a cui avrà ovviamente aggiunto il proprio nome”. “Mentre questo” continuò, indicando il foglio color crema “è il permesso che i suoi genitori devono firmare per accordarle eventuali gite fuori città”. “L’ultimo” disse, sfiorando il foglio con sopra disegnata una piantina “è la mappa della scuola. Penso che vi sarà utile per raggiungere la mensa scolastica, che verrà attivata tra due settimane”. La ragazza guardò il preside e prese i tre fogli, riponendoli in un quaderno per non spiegazzarli. Poi l’uomo le porse un altro foglietto su cui erano scritte delle cifre “Questa è la combinazione del suo armadietto che si trova nel corridoio della sua classe”. La guardò di sottecchi ed aggiunse “È il numero 18. La impari a memoria, sarà meglio”. Lei accettò il biglietto con un sorriso e chiese “Può indicarmi la mia classe, per favore? Ho visto che sono nella IV D, ma non so dov’è”. L’uomo annuì e disse allegramente “Ma certamente! E comunque devo presentarvi ai nuovi compagni. Non capita certo tutti gli anni una studentessa straniera!”. La giovane sorrise, lievemente nervosa, e seguì il preside lungo le scale, chiedendosi cosa le riservasse il destino in quella nuova città. 

   
 
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