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Autore: ArinMiriamKane    13/12/2010    2 recensioni
Questa storia mi è venuta in mente di mattino, più o meno appena sveglia, mentre leggevo una roba che non c'entrava assolutamente nulla con l'antica Roma. E' una one-shot introspettiva, dal punto di vista di Bruto, l'assassino di Cesare. Recensite, please *-* Ps: in questa one-shot faccio riferimento al telefilm "Roma", poichè nel telefilm (e soprattutto nella scena in questione) vi sono alcune differenze rispetto alla storia.
Estratto: Avevamo ucciso il dittatore. Avevamo salvato i Romani. E allora perché non riuscivo a gioire con gli altri?
Perché sentivo che era
sbagliato tutto questo?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Allora... Premetto che io sono una sostenitrice di Cesare e di Ottaviano u.u Ma (perchè si, c'è anche un ma) io lovvo (e qui non potevo che usare questo tanto amato verbo xD) Bruto e Antonio. Si, lo so che sono nemici giurati dei due grandi citati prima, ma non ci posso fare niente. Li adoro. Punto.
Detto questo, vi lascio alla storia. E... Recensite, please *-*


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Era iniziato.

L'attacco era iniziato, e Cesare era circondato.

Tutti i miei compagni congiurati volevano affondare i loro coltelli nel corpo del Dittatore, ma erano talmente ansiosi di farlo che si ferivano anche tra di loro.

Lui lottava, come un leone in gabbia, cercando di fuggire.

E poi arrivò davanti a me. E la mia mano agì d'istinto.

Il sangue di colui che avevo chiamato padre scivolò sulla mia mano, mentre estraevo la lama dal suo inguine.

Cesare fissò gli occhi nei miei, pieno di sconcerto e di sorpresa.

Mi fissò per pochi secondi, mentre cercava di respirare. Poi, cadde a terra, e con un ultimo sforzo riuscì a tirarsi la toga sul volto, in un ultimo, disperato gesto.

I miei compagni urlarono dalla gioia. Ma io non mi unii a loro.

Avevamo ucciso il dittatore. Avevamo salvato i Romani. E allora perché non riuscivo a gioire con gli altri?

Perché sentivo che era sbagliato tutto questo?

Perché non riuscivo a staccare gli occhi dalla figura di Cesare, sdraiata a terra, la toga senatoria, un tempo bianca, ora rossa del suo sangue?

Cassio si avvicinò a me, mettendomi una mano sulla spalla. Mi scansai in fretta. Non volevo che mi toccasse, non doveva farlo.

Respiravo affannosamente, e il coltello che avevo in mano cadde a terra con un tonfo sordo e un tintinnio.

Cadde un silenzio strano, palpabile.

Sentii gli occhi di tutti posarsi su di me, ma non alzai lo sguardo.

Era sbagliato, era tutto profondamente sbagliato.

Urlai e caddi su uno dei gradoni della curia.

Niente aveva senso. Perché avevo deciso di farlo? Che cosa diamine pensavo di fare? Di salvare Roma? Non avevo salvato Roma più di quanto fosse riuscito a fare Cesare.

No. Io non volevo salvare Roma. La verità era che odiavo essere in debito con lui.

Odiavo pensare di avere qualcosa a che fare con Cesare. Odiavo dovergli la vita.

Ma questo non giustificava un assassinio. Perché era questo che avevo fatto. Ero un assassino e non potevo nascondermi dietro false verità.

Ormai le mie mani erano macchiate del suo sangue. E niente e nessuno avrebbe potuto lavarlo via.



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