Crossover
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Autore: Rota    13/12/2010    1 recensioni
Guardò il ragazzo – lassù in alto, al di là della frangia bionda – e ghignò, pieno di tetro sadismo.
-Hai detto addio a questo posto?-
Ivan, d’altra parte, lì c’era cresciuto. Tra le mani decisamente poco paterne del demone e sotto le sue cure davvero poco, poco educative, era cresciuto mangiando pesce tutti i giorni e imparando che niente al mondo valeva più dell’onore e del rispetto dell’altrui persona, concetti che, a ben vedere, erano incoerenti messi assieme ma che da un certo punto di vista avevano una loro logicità.
Per questo Viral si riteneva più che soddisfatto del risultato del proprio lavoro: Ivan era sopravvissuto, nonostante tutto.
Il ragazzo incrociò le braccia dietro la schiena, socchiudendo appena gli occhi.-Perché ce ne andiamo dalla nostra casa, Viral?-

[Viral + Ivan - TTGL/APH]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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*Autore: margherota
*Titolo: Un tempo in cui
*Claim: Ivan Braginski/Russia (APH)
*Prompt: 090. Casa
*Altri personaggi: Viral (TTGL)
*Genere: Introspettivo, Triste
*Avvertimenti: Cross Over, One shot, Non per stomaci delicati, AU
*Rating: Arancione
*Conteggio parole: 2150
*Prompt Xmas Tree Party di FW: Estate – Rumore di risacca
*Note: Il prompt da cui è originata questa fan fiction appartiene alla community fanfict100_ita, la cui iniziativa vede anche me in veste di partecipante.
È seriamente la prima volta che faccio Cross Over, almeno a questa maniera °ç° Siamo in un mondo diverso da quello di APH e diverso anche da quello di TTGL – questo per chiarire perché “AU”. Viral è un demone, semplicemente, perché sarebbe davvero troppo lunga da spiegare in poco tempo il significato della natura di “Bestia”. È un demone particolare, come spiegherò nella fan fic.
Mi piaceva l’idea di relazionare Viral e Ivan in un rapporto paterno, dacché ho pensato che, essendo Viral immortale, poteva benissimo resistere ad ogni impulso sadico di Ivan senza per questo soccombere a lui. Spero di essere stata chiara °ç°’’
Non so… Voi che dite, vi piacerebbe un seguito o è meglio lasciarla così com’è e farla finita qui? °ç°’’ *intanto che attendo risposta ho fatto altre due OS sempre sul passato di questi due omini <3*





Un tempo in cui





Viral l’aveva capito, l’aveva capito perfettamente – nel momento esatto in cui aveva sfilato la sua mannaia dal corpo di uno dei demoni che avevano attaccato il suo Villaggio.
Quello non era più posto per loro due.
E per quanto fosse legato a quella terra, per quanto l’amasse e vi fossero ancorati ben più che semplici ricordi, sarebbe stato molto meglio se lui e Ivan fossero partiti il prima possibile. Meglio per tutti.
Per questo non aveva detto una sola parola nel tornare indietro quando il massacro era terminato. Le sue mani erano sporche di rosso come quelle del ragazzo, e sulle loro armi spiccava il colore lucido del sangue che avevano rubato ai loro nemici. E no, non si era minimamente meravigliato quando, nel passare in mezzo alle case, lungo la via principale, la sua gente si era accostata ai lati, guardandolo per la prima volta con orrore e raccapriccio.
Ivan non aveva capito, Ivan aveva piagnucolato con quella sua vocetta orribile e acutissima – come facesse ad avere una simile tonalità Viral non se lo era davvero mai spiegato. Ivan aveva agitato il suo bastone in aria, lamentandosi e lagnandosi come un bambino piccolo. Aveva continuato a farlo anche quando erano arrivati alla loro capanna, guardando la sua schiena mentre il demone si sedeva sul piccolo letto addossato alla parete e si prendeva la testa tra le dita ancora sporche.
-Viral! Viral! La gente del Villaggio ha fatto una faccia strana! Viral, perché erano tutti così cattivi? Viral! Viral, rispondimi!-
Viral non l’aveva ascoltato – aveva imparato con gli anni a schermarsi dalla sua insistenza molesta, specialmente quando diventava troppo esuberante da essere gestita in maniera civile e socialmente accettabile –, fissando invece il proprio sguardo sul pavimento di legno della piccola palafitta che lui aveva attrezzato come abitazione per sé e per quel ragazzino. Sotto di lui, poteva sentire il mare che si allungava e si ritraeva, in un movimento lento e preciso che sarebbe durato all’infinito.
-Viral!-
Il demone alzò il volto, arrivando finalmente a guardare il ragazzo che stava in piedi sull’uscio dell’abitazione con in viso un cipiglio decisamente irritato. Tra le mani aveva ancora l’arma del delitto.
Sospirò, Viral, e la vecchiaia dei suoi cento anni si fece sentire in ogni singola ruga che scavò la sua fronte.
-Togliti i vestiti e lavati, moccioso. Il tanfo del sangue che ti porti appresso è disgustoso!-

C’era stato un tempo in cui Viral si era trovato davvero bene, nel Villaggio.
Era stato quando era arrivato, molto tempo prima, portando già sulle spalle un carico considerevole di dolore e morte. La coscienza mutilata aveva quasi distrutto ogni parvenza di umanità in lui, così come gli orrori delle guerre che erano scorse davanti ai suoi occhi l’avevano trasformato in qualcosa di molto simile ad un animale.
Si chiamava Simon, l’umano che era riuscito a risvegliare lui quello che poi avrebbero definito “senso civico”. Lui, un uomo, aveva tenuto testa a Viral, un demone. Seppur con qualche difficoltà, era riuscito a riportarlo sulla retta via. E anche se conservava qualche tratto tipico della più elementare delle creature – quel ghigno che ogni tanto sfoderava, i ringhi che emetteva quando era nervoso e l’incuria con cui teneva il suo corpo – il risultato non era stato per niente male.
Quando Simon era morto, trasportato via dal tempo inesorabile, Viral aveva semplicemente deciso di onorare la sua memoria e di legarsi, indissolubilmente, a quel pezzo di terra così sperduto e per questo così puro.
Lui, che non poteva morire neanche con un coltello conficcato nel torace più e più volte, divenne il protettore del Villaggio.
Erano solo umani, pacifici e sereni umani. Lui, l’unico demone – lui, l’unico vero diverso.
Vivendo segregato nel piccolo pezzo di terra che si era riservato, proprio lì sul mare, non aveva mai avuto problemi d’alcun tipo. I pochi briganti che erano passati erano stati scacciati via subito e nel posto era stata fomentata la voce che esistesse un diavolo che proteggeva St. Germain. Che fosse biondo, con gli artigli e le zanne di un gatto e due occhi gialli da rettile a nessuno importava più di tanto, in verità.
Anche se, paradossalmente, si erano perfettamente ricordati di lui quando le prime avvisaglie contro i demoni erano arrivate anche lì, portando odore di marcio e di morte imminente.
E Viral aveva ricominciato a tremare, dopo tanto tempo, di pura paura.

Viral guardava il mare, lasciando che il vento gli scompigliasse i capelli già spettinati, passando lemme e aggraziato tra i ciuffi chiari.
Assottigliò lo sguardo verso l’orizzonte, curvandosi appena in avanti, verso la sabbia.
-Viral, io sono pronto!-
Non l’aveva sentito arrivare, troppo preso alla sua contemplazione. Se lo ritrovò di fianco, grande e immenso come era sempre stato, sorridente e silenzioso. In mano, aveva il suo piccolo zaino – incredibile come Ivan possedesse addirittura cose sue, in tutto quello: Viral non si era mai molto curato di quell’aspetto della vita dell’altro, troppo preso da questioni ben più basilari come insegnargli a sopravvivere quando si ha la Natura e tutto il suo arsenale contro.
Da un certo punto di vista il ragazzo era peggiorato, stando con lui. Ora sapeva sicuramente come uccidere il proprio avversario utilizzando non altro che le proprie mani, ma in compenso disconosceva ogni decente norma civile. Non che fosse messo meglio quando era arrivato, ma di sicuro peggio di così non poteva davvero essere.
Viral si strinse nel suo mantello scuro e si alzò, pulendosi velocemente dalla sabbia. Alcune onde gli bagnarono i piedi nudi, bagnandogli la sua pelle in una dolce carezza.
Lui si lasciò scappare un sorriso mentre portava sulla spalla il proprio bagaglio. Qualche pentola, un paio di coperte e del cibo d’emergenza, nel caso fosse davvero servita. I medicinali li aveva Ivan, così come altri piccoli oggetti che sarebbero serviti, spiccioli compresi.
Per il resto e come sempre, Viral si affidava semplicemente al Destino.
Guardò il ragazzo – lassù in alto, al di là della frangia bionda – e ghignò, pieno di tetro sadismo.
-Hai detto addio a questo posto?-
Ivan, d’altra parte, lì c’era cresciuto. Tra le mani decisamente poco paterne del demone e sotto le sue cure davvero poco, poco educative, era cresciuto mangiando pesce tutti i giorni e imparando che niente al mondo valeva più dell’onore e del rispetto dell’altrui persona, concetti che, a ben vedere, erano incoerenti messi assieme ma che da un certo punto di vista avevano una loro logicità.
Per questo Viral si riteneva più che soddisfatto del risultato del proprio lavoro: Ivan era sopravvissuto, nonostante tutto.
Il ragazzo incrociò le braccia dietro la schiena, socchiudendo appena gli occhi.
-Perché ce ne andiamo dalla nostra casa, Viral?-
Il ghigno del demone si cristallizzò lì dov’era e gli ci vollero diversi minuti prima di portare il dito puntato verso una direzione precisa. Indicò una nuvola di fumo nero che s’innalzava dalla terra, tetro e minaccioso.
-Lo sai cos’è quello, Ivan?-
Il ragazzo lo superò con lo sguardo, guardò e poi tornò a sorridergli.
-Viral, quello è il nostro Villaggio!-
Il dito accusatore si pose sul largo petto dell’umano, poggiandosi cattivo sopra la stoffa dei suoi vestiti.
-Era il nostro Villaggio, Ivan, prima che una banda di demoni predoni pensasse bene di dargli fuoco e saccheggiarlo!-
Il ragazzo lo guardò perplesso, senza capire molto quello che l’altro stava cercando di sottintendere.
-E perché non è più il nostro Villaggio? Si può sempre ricostruire, no?-
Viral lo guardò per qualche lungo istante.
Sì, si ricordava le parole del capo Villaggio – uomo saggio e giudizioso con il quale era sempre andato d’accordo prima che la lama del pugnale di uno di quei balordi non ne aprisse la gola – quando gli era stato portato Ivan ancora troppo pargolo per essere davvero pericoloso. La sua prima casa, la sua prima famiglia, il suo primo mondo era stato distrutto proprio da un incendio, e lui ci aveva impiegato anni a fargli capire che non tutto quello che viene distrutto è perso definitivamente: che se un’abitazione crolla la si può ricostruire pezzo a pezzo, senza perdersi d’animo.
Ora doveva andare contro quel principio.
Sospirò lento, abbassando appena lo sguardo ma riportandolo immediatamente sul viso dell’altro.
-Non è più il nostro Villaggio, Ivan, perché la gente che lo abita non è più nostra amica…-
Ivan non parve capire molto quell’assurdo ragionamento. Probabilmente, nel suo cervellino bacato arrivò chiaro il concetto che il problema era la gente e non tanto il Villaggio fatto di case di legno e di belle strade, e che quindi il problema poteva benissimo essere risolto mandando via – in qualsiasi modo –tutte le persone.
Ma Viral scosse la testa, rassegnato.
-Non è più il nostro Villaggio, Ivan…-
Il ragazzo lo guardò a lungo e in silenzio, cercando da qualche parte nella mente il significato di quelle parole.
Fu qualcosa che gli si spezzò, dentro, qualcosa di incredibilmente doloroso – lo stesso dolore che tingeva gli occhi del demone.
Voltò la testa indietro, a scorgere la palafitta malandata.
Messa così, in quel preciso istante, gli sembrava la reggia più lussuosa del mondo.
-Quindi… quella non è più la nostra casa?-
Viral scosse la testa di nuovo, senza riuscire a guardare l’abitazione a sua volta.
-No, non lo è più…-
Ivan tornò a guardarlo, mentre il vento riprendeva a muoversi in brezze leggere.
-E allora dov’è la nostra casa, Viral?-

Ivan era arrivato da lui molto piccolo.
Il signor Bernard glielo aveva presentato come un orfano con “seri problemi comportamentali”. E se dapprima il demone non aveva capito – rifiutandolo quasi con violenza, che lui non aveva tempo da sprecare con un moccioso senza la propria mamma – la notte stessa del primo giorno aveva capito tutto.
Ivan gli aveva spezzato il collo nel sonno, senza tanti complimenti.
E quando le sue ossa si erano ricostituite lì dove erano state smosse, gli aveva preso la testa e l’aveva quasi affogato nell’acqua salata del mare, ridendo come un pazzo mentre quello si dimenava sotto le sue dita.
Quello era un piccolo demonio formato bambino.
Ma Ivan ci aveva tentato per anni, ad ucciderlo. In tutti i modi possibili. Più diventava grande più affinava la propria arte. L’aveva affogato e fatto a pezzi, decapitato e avvelenato, scuoiato addirittura e quasi sciolto in una soluzione acida.
Nulla era servito: Viral tornava sempre da lui, ghignante e con una nuova punizione pronta per la sua schiena e il suo intero corpo.
Ma se il loro rapporto si era sempre fondato sulla violenza che non avevano remore a dimostrare l’uno all’altro, pian piano la cosa si era evoluta fino a che i due non avevano trovato il giusto equilibrio e la complicità degna di una coppia di conviventi.
Viral, alla fine, era davvero l’unico in grado di domare Ivan e i suoi impeti di follia pura.
Ivan, sotto sotto, era l’unico in grado di sopportare Viral nella sua interezza.
Così il ragazzo aveva smesso di attentare alla sua non vita e Viral si era scoperto più umano di quello che mai si sarebbe aspettato.
Ma a quel punto i problemi erano diventati davvero altri.

Viral aveva sospirato, guardando il mare.
Ancora le onde, infinite e mai uguali, si stendevano sulla sabbia ritirandosi appena dopo. Il demone si godette il rumore della risacca, lasciando che i polmoni si riempissero di salsedine e ogni ricordo potesse prendere il dovuto posto nella sua memoria.
Quell’estate calda di fuoco e di lacrime mai versate l’avrebbe ricordata per altri cento anni.
-La nostra casa è nel vento e nella pioggia, Ivan. È nel mare e nella terra, nel cielo e nel fuoco. Non apparteniamo a nessun luogo chiamato con parola umana, ma semplicemente al mondo…-
Si voltò verso il suo ragazzo e lo vide particolarmente attento, come quelle volte che gli aveva insegnato a pescare con la lancia.
In quei momenti, l’universo intero si fermava ed esistevano solo loro due.
-È molto grande, la nostra casa…-
Viral sorrise dolcemente, facendo un cenno con la testa.
-Sì, lo è…-
Lo vide aggrottare le sopracciglia, preso da qualche dubbio assolutamente irrisolvibile.
-Incontreremo altre persone che non ci vogliono come amici, Viral?-
La sua voce uscì gentile dalle labbra, perché non aveva senso schernirlo anche in quell’ambito. Ora erano semplicemente due nomadi.
-Sì, probabilmente ne incontreremo tantissimi…-
-E allora cosa faremo?-
-Andremo via a cercare un altro luogo, Ivan… Non abbiamo confini da rispettare, noi…-
-E se ci perdessimo?-
-Non succederà…-
Ivan allora sorrise, carico di pura fiducia – perché aveva imparato che non era possibile né vincere né smentire Viral, in niente. Forte com’era, aveva sempre ragione.
Allargò quindi le braccia, gioioso come un bambino che ignora ancora le atrocità del mondo o proprio non le vede, tanto è distratto.
-Viral… È davvero grande la nostra casa!-
E Viral ghignò, sistemandosi meglio il bagaglio sulla propria spalla.
Alzò il viso al cielo, respirando quell’aria un’ultima volta.
-E noi la visiteremo tutta, Ivan!-
   
 
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