Prologo.
Ci sono dei giorni… dei
giorni che ti sembra non finiscano mai… e quando poi
finalmente cala la sera ti metti a letto, e l’unica cosa che riesci a pensare,
sotto le coperte, è che sarebbe stato meglio se quella mattina non ti fossi
svegliato.
Quello era stato uno di quei giorni.
Sin dalla mattina, Max si era
reso conto che quel giorno non sarebbe stato dei migliori, anche se certo non
si immaginava che sarebbe stata quella che avrebbe ricordato come la prima di
una lunga serie di giornate da incubo.
Si svegliò tardi, con la luna
storta, e arrivò a scuola che il portone era già stato chiuso. Ovviamente si mise a piovere. Perché una
giornata di merda non può essere veramente
di merda, se c’è un bel sole che splende nel cielo e ti riscalda, mentre un
venticello fresco primaverile ti scompiglia i capelli. Quindi ci deve essere
quella bella pioggerella –no, non il temporale con tuoni, fulmini e nuvoloni
neri, quello è da film dell’orrore, non da semplice giornata di merda- dicevo,
quella bella pioggerella, non tanto forte da farti la doccia, ma abbastanza da
farti gonfiare a dismisura i capelli e girare la scatole in maniera
impressionante.
La seconda parte quel giorno
venne accentuata dal fatto che per la successiva ora se ne sarebbe dovuto
rimanere fuori da scuola al freddo e al gelo.
<< Cazzo…
>> imprecò a bassa voce, tirandosi il cappuccio della felpa sulla testa
per coprirsi dall’acqua.
Si infilò nuovamente le
cuffie dell’ ipod nelle orecchie e fece partire la
canzone che, da ormai due settimane, lo stava ossessionando: Almost Easy degli Avenged Sevenfold. Sotto le note della canzone dei quattro ragazzi
californiani si avviò a testa bassa verso il piccolo bar all’angolo della
strada. Era un locale piccolo e non particolarmente bello, ma l’atmosfera era
accogliente, e i baristi simpatici, quindi i ragazzi ci si trovavano bene e ci
andavano spesso.
Entrò aprendo la porta con un
calcio ed appoggiò il suo Eastpack nero a terra
accanto ad un tavolo, ordinò un caffè e si sedette, togliendosi una cuffia
dall’orecchio, mentre la differenza di temperatura gli faceva arrossare le
guancie.
Tirò fuori dallo zaino il
libro di chimica, e fece per mettersi a studiare, cosa fin troppo sensata per
il suo cervellino atrofizzato, visto che il giorno prima non l’aveva fatto per
niente, ma la sua attenzione venne subito catturata dal ragazzo –perché era un
ragazzo, vero?- seduto al tavolino
nero di fronte al suo. Aveva un viso ovale dai lineamenti femminili e dalla
pelle pallida, incorniciato da una massa di spettinati capelli neri lunghi fino
a metà collo.
Lo sguardo di Max però sfiorò
soltanto la sua pelle, i suoi capelli, il suo naso a punto per poi perdersi negli
occhi di quel ragazzo: erano di un colore indefinito, verdi, ma con delle
pagliuzze dorate che gli davano una profondità decisamente eccessiva, e lo
fissavano.
Quando se ne accorse, il
ragazzo trasalì e prese ad osservarsi le unghie mangiucchiate.
Era strano davvero, quel
tipo... non tanto di aspetto, per quello era abbastanza normale, eccessiva femmineità esclusa, più che altro era strana la sensazione
che ti metteva addosso, era strano il modo curioso in cui lo stava
osservando...probabilmente in un fumetto l’avrebbero disegnato con una qualche
inquietante aura che lo avvolgeva... ma quello non era un fumetto, era la
realtà, e Max era solamente irritato dal fatto che quello sconosciuto
continuasse a fissarlo come se si aspettasse che da un momento all’altro lui si
mettesse a fare qualcosa di molto strano.
Scosse la testa e mormorò un
ringraziamento al cameriere che gli aveva appena portato il caffè. Osservò per
qualche secondo la tazza bollente, indeciso se bersela tutta perché aveva un
aspetto decisamente invitante o buttarla in faccia al ragazzo davanti a lui,
imprecandogli contro e assestandogli un calcio nello stomaco perché era davvero
insopportabile.
Aveva ormai deciso per la
seconda opzione, quando una voce proveniente dall’entrata del bar lo distolse
dai suoi piani malefici e lo fece voltare.
Sulla soglia della porta
c’era, intento a metter paura alla gente che passava di lì, un ragazzo alto dai
capelli neri e gli occhi azzurro, tatuato dalla testa ai piedi e dall’aria
parecchio inquietante.
Era Jimmy Sullivan,
il migliore amico di Max.
<< Jimmy! >> lo
chiamò, agitandosi in modo parecchio strano sulla sedia –forse il tipo aveva
ragione a fissarlo in quel modo.
Lui si voltò, e quando i suoi
occhi assurdamente chiari incontrarono quelli di Max, la sua bocca si stese in
un ghigno divertito.
<< Ehy
piccoletto! Si può sapere perché ti trovo sempre
qui?? >> esclamò, andando verso di lui.
Il piccoletto in questione
sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
<< Non è colpa mia! Mi
si è rotta la sveglia! >> borbottò, a mo’ di giustificazione.
Jimmy scoppiò in una risata
fragorosa. In effetti le risate di Jimmy erano sempre fragorose... non sapeva ridere in nessun altro modo.
<< Strano... >>
commentò, ancora ridacchiando.
Sarà stata almeno la quarta
sveglia che rompeva in una sola settimana, e altrettante erano state le volte
che era dovuto entrare alla seconda ora.
<< Ma non è colpa mia
se non trovo mai il tasto per spegnerle!! >> protestò Max, ma Jimmy non
riuscì neanche a sentirlo. La sua voce fu interamente coperta da uno stridere
di freni, seguito da un boato agghiacciante, provenienti dalla strada. Ci
furono delle urla. Urla ovunque, anche all’interno del bar, ma le orecchie di
Max le percepivano lontane, ovattate, mentre si girava lentamente verso la
vetrina, con gli occhi spalancati e un brivido freddo che gli correva lungo la
schiena.
Lo spettacolo che lo accolse dall’
altra parte del vetro lo lasciò a bocca aperta, senza parole: due macchine si
erano scontrate in mezzo alla strada. Entrambe erano accartocciate su se
stesse, ridotte ad un cumulo di lamiere grondanti benzina e sangue. Anche da lì
Max riusciva a vedere il denso liquido rosso colare lentamente lungo i vetri
rotti del finestrino di una delle due auto.
Non aveva mai visto niente
del genere, uno spettacolo così cruento...
E lo affascinava. Ne aveva
paura, ma allo stesso tempo era affascinato da quello che stava succedendo in
quella strada in quel momento. La gente che si affollava tutto intorno al punto
dell’incidente, chi chiamava la polizia, chi cercava di capire se le persone
all’interno dei veicoli fossero morte, chi si limitava a guardare la scena preoccupato.
Solo un ragazzo guardava da
tutt’altra parte.
Max lo notò quasi subito: se
ne stava immobile in piedi sul marciapiede e osservava un punto al sue spalle.
Il ragazzo perplesso si voltò, per seguire il suo sguardo,e vide, ancora seduto
allo stesso posto di prima, il ragazzo dagli occhi verdi. Si era quasi
dimenticato di lui.
Quello distolse lo sguardo da
Max e lo portò sul tipo in strada, che sorrise.
Un sorriso freddo, quasi un
ghigno. Poi senza alcun preavviso scoppiò a ridere e scomparve.
Max si strofinò gli occhi.
Era..era scomparso...?
Si voltò nuovamente verso il
ragazzo del bar, ma non c’era più neanche lui.
Salve a tutti! Questa storia la iniziai un saaacco di tempo fa, e sta nel mio pc a fare la muffa da allora. In questo periodo sono in vena di postare roba a caso, quindi ho deciso di postare pure questa. XD
Comunque sappiate che è una storia a cui sono abbastanza affezionata, quindi spero tanto tanto che vi piaccia u.u
Quanto allo slash, in questa storia ce ne sarà, ma, devo dirvelo subito sarà molto più avanti.
I personaggi sono anche vagamente ispirati agli Avenged Sevenfold, quindi credo ce ne siano un paio che ne portano lo stesso nome, ma la maggior parte sono inventati, quindi ho preferito lo stesso metterla tra le originali. Che dire d’altro? Boh, niente, spero solo che vi sia piaciuto il prologo almeno! XD
Goodbye <3
Ale