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Autore: Frances    14/12/2010    3 recensioni
«Domani.» Ludwig si ritrova a dirlo senza pensarci, stendendosi per terra e poggiando la testa sulla sacca che ha sistemato come cuscino « Domani forse saremo a casa.»
Ludwig lo guarda senza dire nulla, guarda Austria che gli restituisce l’occhiata e sorride mentre le lacrime gli solcano le guance e gli bagnano gli angoli della bocca. E sembra bisbigliargli, come farebbe ad un bambino ingenuo, mentre la sua disperazione è silenziosa, "Domani forse saremo morti, razza di sciocco".
{Germania/Austria; Il tempo si è fermato; Prompt 52"Domani" della Maritombola}
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Germania/Ludwig
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Titolo: Niederlage, Wahnsinn, das Ende~ {Morgen wird es besser, nicht wahr?}
Pair: Germania (Ludwig Beilschmidt)/Austria (Roderich Edelstein)
Genere: Guerra, Angst, Non per stomaci delicati
Rating: Arancione
Avvertimenti: OneShot
Conteggio Parole: 1.843 parole
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Niederlage, Wahnsinn, das Ende~ {Morgen wird es besser, nicht wahr?}
La sconfitta, la follia, la fine ~ {Domani andrà meglio, non è vero?}


(xxx)



Le ore non sono mai sembrate così pigre. Scorrono, si interrompono, rimangono immobili, fiacche, lambiscono. Ci si chiede se sia uno scherzo di cattivo gusto, o se al mondo sia successo qualcosa, se le nuvole non si siano pietrificate, calcificando il  cielo per sempre.

I raggi del sole sono rari, si rifiutano di scandire il trascorrere del giorno, la luna è invisibile di notte. C’è solo l’eco degli ultimi bombardamenti, le urla di chi li rincorre ed è pazzo di rabbia, che vuole solo la loro fine completa. Ogni tanto c’è la voce sospirata di qualcuno, tra le rocce, nel freddo di quelle montagne del nord dove regna solo il vento, la morsa gelida delle Alpi e l’odore onnipresente della polvere da sparo. Ma il tempo si fossilizza, e si diverte a prenderli in giro – perché ogni tanto Germania si chiede se le voci che sente non siano solo suggestioni, o se provengano dai corpi senza vita in cui occasionalmente inciampa, anche lì dove la guerra non è altro che la lotta per la sopravvivenza.

Guarda le lancette per quella che gli sembra la millesima volta in quella giornata, le fissa con sguardo vacuo oltre il vetro appannato e incrinato del suo orologio da polso. Si ricorda brevemente di come si sia fermato alle 8 e quindici, di come si ostini a segnare quell’orario insoddisfacente da…quanto tempo?

Ogni volta che cerca disperatamente, senza successo, di capire quanto tempo sia passato da quando sono in marcia, quell’umile strumento non fa altro che fornirgli la solita avvilente risposta: il tempo si è fermato, si è fermato per sempre.

La Germania alza gli occhi, incontrando brevemente lo sguardo perso dell’Austria.  Lo fissa mentre si avvolge nel suo cappotto pesante sbiancato dall’usura e dalla polvere, lo vede affondare le guance magre e pallide oltre il colletto alto, mentre il vento gli graffia la fronte e le labbra screpolate. Lo segue con gli occhi mentre lo raggiunge, arrampicandosi faticosamente oltre una sporgenza di pietre aspre.

« Quanto tempo è passato, Roderich?» glielo chiede con voce atona, bassa, dopo avergli teso la mano per aiutarlo « Quanto manca ancora?»

Non sa quante volte glielo abbia già domandato, sperando che in qualche modo la risposta possa cambiare. Ma Roderich gli sorride debolmente ogni volta, con gli angoli della bocca che si piegano verso il basso. Ludwig sente una voce cruda ripercorrere le anse del suo cervello, siamo impazziti, siamo impazziti entrambi e fra poco moriremo. Il tempo si è fermato.

L’Austria sistema il proprio fucile sulla spalla, continua a portarlo con sé nonostante abbiano entrambi finito le munizioni. Guarda in alto verso il cielo scurito dalla polvere dei bombardamenti e mormora, con la voce morbida resa roca e raschiante dall’aria aspra e gelida delle montagne:

« Domani saremo un po’ più vicini.» bisbiglia, deglutendo subito dopo, a fatica, riprendendo a camminare. « Ancora un po’, Ludwig, e saremo a casa.»

Germania lo segue con gli occhi, annuisce, cercando di convincersene.

E la voce gli raschia l’interno del cervello, insinua, lo uccide, Domani sarete morti.







Torniamo a casa.
Torniamo a casa subito.

Si ricorda di averlo detto dopo aver visto i soldati inciampare sull’ultima mina, ed aver sentito il grido di Roderich – forse è allora che il suo orologio si è fermato. Si è fermato quando l’Austria è caduta a terra, quando quella scheggia di metallo infuocato gli ha raggiunto il fianco destro, ha bucato e lacerato la carne. Ludwig lo ha visto, lo ha visto giacere nell’erba rada bagnata di brina, lo ha visto digrignare i denti e gemere, lo ha visto premere le mani sulla divisa zuppa di sangue. Lo ha visto annaspare e trascinarsi, affondando il volto nella terra mentre dal labbro spaccato sfuggivano lamenti terribili.

Torniamo a casa.

Rintoccava nella sua testa come una sorta di imperativo, lo tormentava mentre raccoglieva l’Austria tra le braccia e sentiva il suo sangue bollente colargli lungo i polsi. Lo ha ripetuto dentro di sé quando lo ha visto afferrargli il bavero della divisa, gli occhi spalancati e la bocca deformata in una smorfia tremenda:

« Siamo stati degli sciocchi. Siamo stati dei folli.» ha guardato Austria mentre si tendeva nella sua stretta, le palpebre che sfarfallavano, mentre i sensi lo abbandonavano  « Ludwig, Ludwig, Ludwig.» perché quella era l’unica parola che riuscisse ad afferrare, l’unica che gli desse sicurezza, l’unica, l’unica che gli desse la forza di andare avanti.

Torniamo a casa.     

Lo ha detto mentre versava l’alcol sullo squarcio lungo il fianco di Roderich, lo ha detto ripulendo il sangue e ricucendo la ferita con ago e filo. Lo ha ripetuto all’infinito mentre le mani gli tremavano e sentiva il corpo dell’Austria farsi gelido, mentre sussultava violentemente  perché la febbre ed il freddo non gli avrebbero dato tregua per nessun motivo. Lo ha detto mentre lo assisteva e le sue orecchie si riempivano delle sue urla, del suo delirio.

Torniamo a casa.

Ha continuato a ripeterlo fino a che gli occhi viola di Roderich Edelstein non si sono dischiusi e hanno brillato, lanciando brevi lampi di lucidità. Ansimando, sotto i due strati di coperte, respirando contro la fasciatura stretta e ancora inumidita di sangue, Austria è riuscito ad interrompere per un istante il tremito dei denti e a mormorare:

« Domani.» suonava sbagliato ed allo stesso tempo così giusto, sulle labbra di quella Nazione che non riusciva ancora a reggersi in piedi « Domani ce ne andiamo a casa







 

Roderich non è fatto per la guerra.
Roderich non è fatto per combattere, non è fatto per impugnare il fucile, non è fatto per premere il grilletto.
Roderich non corre abbastanza veloce da poter sfuggire al fuoco nemico, non è abile nella ritirata. Roderich non dovrebbe stare sul campo di battaglia.

Germania lo fissa, in quella che sembra loro una notte, mentre combattono contro il freddo nella loro tenda fin troppo piccola e sfilacciata.

L’Austria solleva le mani davanti a sé, tendendo le dita lunghe contro la luce debole della loro unica lampada ad olio. Le fissa, assorto, studiandole mentre tremano con forza – le rivolta, fissa i calli sui polpastrelli e le linee di sporco che marcano la pelle. Fissa le unghie corte e nere, lo sfondo blu e viola delle cuticole, i geloni che spaccano e fanno sanguinare le nocche.

E poi piega piano le dita, con un preciso ordine, lentamente. Germania lo vede chiudere gli occhi inumiditi dalla fatica, gli vede corrugare la fronte in una sorta di rapita concentrazione.

Ma l’aria tagliente nella loro tenda non è abbastanza solida e rassicurante perché i gesti possano soddisfarlo – non possono offrirgli nessuna melodia, nessun suono, solo il vuoto affranto di movimenti inutili compiuti da dita magre, tremanti e rigide.

La voce di Roderich si incrina appena, mentre continua a studiare con nostalgia e dolore quelle mani che gli sembrano adatte solo ad uccidere ormai, e non sanno più cosa sia la grazia:

« Anni fa suonavo il piano.» mormora, forse parlando a sé stesso, sfregando quelle mani inutili e callose e scorticate per cercare un po’ di calore « Tempo fa sapevo suonare il Notturno di Chopin. Senza errori.»

« Domani.» Ludwig si ritrova a dirlo senza pensarci, stendendosi per terra e poggiando la testa sulla sacca che ha sistemato come cuscino « Domani forse saremo a casa.»

Suonerò ancora?

Ludwig lo guarda senza dire nulla, guarda Austria che gli restituisce l’occhiata e sorride mentre le lacrime gli solcano le guance e gli bagnano gli angoli della bocca.
E sembra bisbigliargli, come farebbe ad un bambino ingenuo, mentre la sua disperazione è silenziosa, Domani forse saremo morti, razza di sciocco.

 






« Siamo stati traditi.»

Ludwig lo mormora ad un tratto, fermandosi nella fitta boscaglia, lungo un pendio scosceso.
Le Alpi non finiscono mai, sono infinite, sembrano inospitali come un deserto.
Austria arranca dietro di lui, non respira facilmente, le gambe gli cedono.

Li hanno rincorsi, li hanno braccati, hanno aperto il fuoco su di loro e li hanno scacciati. Gli aerei hanno oscurato il cielo, hanno rilasciato le bombe e hanno provocato una frana lungo il loro cammino. Ludwig ha ucciso un uomo che li inseguiva lanciando il suo coltello. Lo ha ucciso perché se avesse premuto il grilletto, il proiettile avrebbe colpito Austria in mezzo agli occhi.
Sporchi assassini! Quell’uomo lo ha gridato mentre sovrastava Roderich e lo obbligava a giacere nel fango, mentre gli premeva la canna della pistola contro la fronte. E poi quell’uomo è morto, perché nella sua accusa aveva completamente ragione.

Germania afferra il polso di Austria e si passa il suo braccio intorno alle spalle, sollevandolo appena. Conclude con il dire, mentre sente il respiro di Roderich farsi pesante, ed i suoi polmoni si svuotano di una tosse roca ed insanguinata:

« Siamo stati traditi dalla storia, dal tempo, e dagli uomini.»

 







Sono soli, la Germania e l’Austria, persi su quelle montagne che non sembrano finire mai. Sono gli unici rimasti e si trascinano, verso un futuro assente.

Gli occhi cielo di Ludwig sono stanchi, esplorano quelli viola di Roderich come in cerca di qualcosa che gli spieghi il motivo per cui hanno combattuto, il motivo per cui hanno visto tanto sangue, il motivo per cui ora forse moriranno, si estingueranno insieme come due fiamme sotto la neve.

Roderich passa il dorso della mano sulla guancia di Ludwig, mentre stanno distesi, mentre sente le dita dell’altro insinuarsi nei propri capelli sparsi sul cappotto vecchio che gli fa da giaciglio. Sente i suoi polpastrelli ruvidi che gli carezzano le tempie e la testa, sfiorando le guance e poi la fronte.

Non sanno neppure cosa pretendere l’uno dall’altro, oltre che la reciproca compagnia, la semplice presenza. Si guardano in silenzio, toccandosi, percorrendo le linee dei loro corpi con la punta delle dita. Ludwig sente le costole di Austria sotto la camicia, sfiora delicatamente la fasciatura sul fianco e lo sente gemere ogni volta che si ritrova involontariamente a raggiungere i lividi e i tagli. Se Roderich non fosse quello che è, se non avesse già vissuto secoli e secoli, probabilmente quelle ferite lo avrebbero già ucciso.

« Domani ci sarà il sole?» è una domanda futile, talmente infantile che Germania si chiede se l’Austria non sia definitivamente impazzita. Ma lo sguardo dell’altro è fermo, lo guarda con le labbra dischiuse ed un’aspettativa sincera sui lineamenti scavati.

« Ci sarà il sole.» gli conferma, baciandolo piano sulla fronte, avvicinandosi a lui e tirando sui loro corpi la coperta di lana vecchia e umida.

« Wir sehen uns morgen,» bisbiglia Austria contro la sua gola, abbracciandolo, una tacita promessa di ritrovarsi entrambi vivi, anche la mattina seguente.
« Ja. Gute Nacht.» Germania lo bacia sulla bocca, e lo sente rispondere, lo sente dischiudere le labbra in silenzio ed accoglierlo con gratitudine.

Non c’è desiderio in quel bacio, né in tutti quelli che lo precedono e lo seguiranno.
Non c’è impeto, non c’è frustrazione, non c’è amore.
E’ solo un continuo ricordare l’uno all’altro che sono sopravvissuti, non sono soli, che ce la faranno. Che possono almeno provare a sperare.
Sperare che domani il tempo riprenda a scorrere.

(xxx)

 





Note dell’autrice:
1) Fanfiction scritta per la Maritombola, indetta dalla community Maridichallenge <3 Prompt 52, “Domani”. Inizio a pensare che questo genere di iniziativa sia più o meno la mia rovina.
2) Ambientata più o meno, approssimativamente, alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
3) Il Notturno di Chopin.
4) Ispirata liberamente a questa canzone che mi ha rapito il cuore ;_; Ohne Dich. Se provate ad ascoltarla mentre leggete questa storia, probabilmente vi deprimerete forever.

Ad ogni modo, ingozzatevi di angst, su! Spero vi piaccia, nonostante io stia praticamente morendo di lacrime e di dolore e non abbia idea di come questa storia sia venuta fuori dalle mie dita.
   
 
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