Questo progetto nasce con l'intento di scrivere sette prompt,
ricavati dalla community di Syllables of Time
Tutte queste oneshot, appartengono all'universo creativo di Raining
stones e quindi tutte bene o male collegate tra loro (nel
caso di
collegamenti diretti con le altre oneshot le citerò), oppure
mostreranno spezzoni di passato dei vari personaggi.
Suddetti personaggi scelti (in cui appariranno in coppia o
più
profondamente in centric) sono:
Ichigo Kurosaki;
Rukia Kuchiki;
Nnoitra Jilga;
Zaraki Kenpachi;
Szayel Aporro Grantz
Appariranno anche altri personaggi, ma in quel caso farò
delle
centric dei personaggi sopracitati in modo da non andare troppo
contro il regolamento della community.
Non mi resta che augurarvi buona lettura, e ditemi cosa ne pensate ^^
(la prima oneshot si allaccia a “temperanza”,
“vendetta” e a
tutte le altre oneshot in cui appaiono Nnoitra e Rukia.)
1° Verrà la notte e avrà i tuoi occhi.
La lancetta della sveglia sul comodino pareva non voler dare tregua.
Era un continuo ticchettio
che solerte rimbombava in ogni angolo della camera da letto,
costringendo così il proprietario dell'appartamento a
rigirarsi di
continuo su di un materasso nuovo, che contava si e no qualche mese
di vita. Un giaciglio decisamente più comodo rispetto alla
vecchia
branda che prima occupava solo un misero angolo della stanza. Ma che
in quel preciso istante di insonnia quasi andava a rimpiangere.
Seccato, per il ritardo
con cui il sonno giungeva nelle sue stanche membra, Nnoitra Jilga si
rigirò ancora tra quelle lenzuola umide di sudore dovute ad
un caldo
incessante, soffocando tra di esse bestemmie impronunciabili.
E pensare che lui quel
letto matrimoniale manco lo voleva. Anzi, non voleva che il suo
bilocale subisse una strigliata totale in meno di un giorno.
Tutto questo, grazie alla
nuova stagista che gli stava appiccicata al culo quanto una piattola
su di un cane.
“Rukia”
Mugugnando il suo nome
quasi senza volerlo, allungando quella “R” iniziale
come a
sibilare un ringhio, Jilga sospirò esasperato per la troppa
afa che
regnava nella stanza buia e si decise a scostare violentemente le
lenzuola in fondo al letto.
Liberando così nella
notte cupa della stanza, appena rischiarita dalla luce dei lampioni
che filtravano attraverso le veneziane abbassate della finestra, il
corpo sudato di un uomo provato dai drammi di un
tenore di
vita discutibile, che nonostante tutto si mostrava ancora tonico e in
forma.
Quella nanerottola era
entrata prepotentemente nella sua vita lavorativa – per
volere
degli alti dirigenti dato che il suo precedente zerbino
era
scappato con un'altra collega – e si era presa la
libertà di
resettargli tutta la sua esistenza.
Quantomeno la sua persona.
Difatti, lo stesso giorno in cui si erano presentati, non lo avrebbe
mai dimenticato, ecco che miss “sono
più superiore di te”
gli aveva fatto risistemare casa da zero.
L'adorato tugurio
con i muri ingialliti dal troppo fumo e la moquette sporca di troppi
alcoolici, si era trasformato in un attico degno di un manager come
lo era lui.
Che seppur appariva per
alcuni decisamente un individuo squallido, la stessa Rukia doveva
riconoscere che sapeva fare bene il suo mestiere. Sennò
Aizen Sosuke
non lo avrebbe preso nella sua ditta farmaceutica.
Faceva caldo quella sera,
talmente tanto che da fuori la finestra non giungeva nessun rumore
che non fosse qualche auto lontana e anonima che passava da quelle
parti. Neppure i grilli canticchiavano dolcemente, cullando
così il
sonno di un feroce padrone di casa.
No, nulla da fare. Anche
scostando via quelle lenzuola pulite – ora umide di sudore
–
bastavano a farlo addormentare del tutto.
Per questo, preda di una
forte esasperazione, l'allampanato padrone di casa si alzò a
sedere
a fatica per tentare così di stiracchiarsi i muscoli.
Visto che non riusciva ad
addormentarsi per colpa di quell'afa fottuta, pensò
saggiamente, si
sarebbe concesso una doccia rinfrescante e poi una sigaretta.
Forse la colpa non era
semplicemente del caldo anomalo di una estate che non voleva
andarsene via, piuttosto di tutto lo stress che aveva accumulato
pensando e ripensando a tutto quel che gli era capitato in quei pochi
mesi.
Finalmente, una volta
ritto in piedi, si diresse sicuro al bagno – senza neanche
star li
ad accendere le luci – e una volta giunto, entrò
direttamente
nella vasca e tirò il candido tendone di plastica.
Non si tolse neppure le
mutande mentre, finalmente con i muscoli rilassati, accoglieva sulle
spalle uno scroscio di acqua fresca e dissetante.
Difatti, più di un
mugugno compiaciuto fuoriuscì dalle sue labbra sottili,
nell'atto di
passarsi le mani tra i lunghi capelli neri.
Persino il bagno era stato
risistemato il giorno stesso in cui quella donnetta fu assunta nel
suo ruolo di stagista. Tutto a posto in quella casa. Dalle pareti ai
mobili.
Una novità che portò
Jilga a essere sull'orlo di un collasso una volta ritornato nella sua
dimora. Ma quella di tutta risposta, alla sua telefonata aggressiva
in cerca di chiarimenti su chi avrebbe pagato tutte quelle spese, la
donna rispose spiccia.
“Spese? Quali spese? Sono tutti omaggi che le ditte le hanno offerto una volta che ho detto loro chi eravate e per chi, soprattutto, lavoravate”
Da
restare sorpresi vero?
Quella
piccoletta era una dannatissima stronza che sapeva il fatto suo. E
quel piccolo ricordo lo portò stranamente a sorridere mentre
alzava
il volto verso l'alto per accogliere così l'acqua spruzzata
incessantemente dal diffusore.
“Tzè...
Dannata stronza. L'esatto contrario di Neliel e...
Ah cazzo!
Che paragoni del cavolo...”
Il
ricordo dell'ex moglie portò via quel suo sorriso simile ad
un
ghigno, per fare posto ad un veleno che ancora gli scorreva nelle
vene nonostante i tanti anni che erano passati.
Da
Neliel Tu, lui aveva avuto una bambina – ormai grande per
fortuna –
ma non per questo si sentiva di rispettarla perchè la madre
di sua
figlia. Anzi, tutt'altro, la detestava più della nanetta
impertinente. O meglio, erano due cose perfettamente diverse per
quanto simili nella loro... Saccenza.
Una
volta stancatosi di farsi una doccia rinfrescante, che ora pure
quella non pareva più consolatrice a causa dei pensieri che
gli
tormentavano il cervello, se ne uscì bagnato come uno
straccio zuppo
e, senza neppure avvolgersi in un asciugamano, si diresse seccato
alla finestra della camera da letto. Macchiando con pedate e righe
d'acqua, un parquet immacolato dal lavoro di una abile domestica
pagata da chissà chi.
Infischiandosene
di essere bagnato e praticamente nudo – eccetto le mutande
zuppe –
si accese una sigaretta e accese la radio vicino al comò.
Poi,
annoiato, si affacciò alla finestra ora libera del velo di
alluminio
fornito dalle veneziane.
Dalla
finestra del suo appartamento vedeva il cortile interno e una parte
della strada. Tutto rigorosamente deserto.
A
quanto pare, se avesse fatto qualche isolato in linea retta, sarebbe
passato esattamente dove abitava Rukia Kuchiki.
Era
importante? No, decisamente no.
A lui
in quel momento interessava fumare quella benedetta sigaretta e
guardare il cielo notturno mentre, con un suono un po' disturbato,
dalla radio sopraggiungeva una malinconica canzoncina che lui
canticchiava distrattamente.
Troppo
era il caldo... E troppi erano i pensieri che quel bastardo gli
generava nella testa.
Piano,
come se stesse mormorando una preghiera, le labbra di Nnoitra si
muovevano sapienti nel pronunciare ogni singola parola cantata dalla
vocalist di un gruppo che a malapena conosceva.
A
tratti la sigaretta la tirava su come se fosse stata una cannuccia,
accendendo violentemente le braci presenti sulla punta, inalando
così
velenosa nicotina.
Incrociò
le braccia sul davanzale, sporgendosi meglio nell'osservare il
desolato panorama notturno, tornando così nei suoi pensieri.
Tra
Neliel e Rukia vi era un abisso, questo lo aveva capito bene durante
quei mesi di servigi della Kuchiki.
Il
fattore che lo aveva portato a disprezzare dal profondo la sua ex
moglie, stava nella sua caratteristica principale di averlo sempre
trattato con sufficienza e di non aver mai rispettato la sua
filosofia di vita.
Neliel
era sempre stata sicura di quello in cui credeva – cosa
nobile
questo non poteva negarglielo – trovando i suoi pensieri
violenti
tutt'altro che giusti. Anzi, disfattisti e degradanti per il genere
umano.
Loro
due erano come delle allegorie di stili di vita differenti –
uno
propenso ad un lato umano e l'altro più propenso a quello
pratico –
destinate a confrontarsi e non vedere mai un prevalersi di una delle
due parti.
E se
da un lato aveva trovato stuzzicante un tale confronto, presto si
stancò di avere un assistente sociale
tra i piedi.
Lui
non aveva bisogno di protezione, ne di una guida morale e,
soprattutto, non aveva bisogno che il suo capoufficio fosse sua
moglie. Poi da li a riuscire a cacciarla via con infamia, è
tutta
un'altra storia che non gli andava di rimembrare.
Per
l'ennesima volta sbuffò fumo dalle labbra dischiuse,
mormorando
ancora le strofe di una canzone quasi del tutto alle battute finali.
E fu
proprio nella strofa finale cantata con stupenda bravura da una
giovane cantante, che a Nnoitra Jilga gli si spalancò
l'unico occhio
buono.
“... Verrà la notte e avrà i tuoi occhi...”
Quella
frase gli fuoriuscì in modo più marcato dalle
labbra, appena nella
sua testa gli si accese una lucina di comprensione.
Gli
occhi di Rukia, erano esattamente come il cielo notturno che stava
osservando.
Quella
donna, apparentemente simile a Neliel, sembrava sapere il fatto suo
imponendosi anche con una certa arroganza.
Proprio
come Neliel, mal digeriva il suo stile di vita e si mostrava
superiore sia con gli atti che con le parole.
Eppure,
la loro somiglianza si fermava solo a quell'effimera apparenza.
Perchè
i suoi occhi, erano come il cielo limaccioso che stava guardando in
quel momento. Come la frase di quella canzone ormai conclusa e
sostituita da un'altra da un deejay in forma nonostante l'ora tarda e
il caldo bollente.
Gli
occhi di Rukia erano due pozzi blu scuro su cui nessuna stella
brillava limpida e vittoriosa.
Erano
come offuscati da un qualcosa, esattamente come quello sopra la sua
testa coperto da una asfissiante cappa d'afa, che non mostrava nulla
se non una specie di nebbiolina umida e appiccicosa.
Un
mantello scuro e opaco, ove nessuna stella o mezzaluna splendente
osasse fare capolino per rischiarire un po' quelle calde tenebre
indesiderate.
Gli
occhi di Rukia insomma, a differenza di quelli di Neliel, avevano
conosciuto il peso di una dolorosa sconfitta.
Avevano,
esattamente come Nnoitra Jilga, conosciuto il dolore di una perdita
improvvisa e colpevole. Oppure, peggio ancora, di un fallimento in
bilico tra il volontario e l'involontario.
Erano
supposizioni fatte a caldo, certo. Nate improvvisamente ascoltando in
modo assai distratto una canzone che fuoriusciva da una vecchia
radio, ok.
Ma
quel ragionamento proprio non riusciva a sminuirlo. Neppure dopo aver
finito di fumare la sigaretta, buttando così un mozzicone
ardente di
sotto e incurante dei pericoli che avrebbe potuto creare se avesse
toccato l'erba secca.
“Che
mi venga un fottutissimo colpo” borbottò quasi
annoiato.
Scostandosi
dalla finestra ormai perfettamente asciugato grazie al caldo presente
in quella notte senza stelle. Perfettamente asciutto senza che
neppure un filo di vento spirasse dentro la finestra, esclusi i
capelli che rimanevano umidi e le mutande che invece, a rovescio
della medaglia, si erano fatte insopportabili da portare.
Ringhiando
sprezzante, se le sfilò via velocemente per poi
appallottolarle con
rabbia tra le mani fino a ridurle ad un mucchietto fradicio e
indistinto.
“Ma
vaffanculo!”
Nuovamente
irritato per quel contrattempo dettato dalla tarda nottata insolita,
si liberò con fastidio di quell'indumento bagnato gettandolo
oltre
l'abisso nero presente fuori dalla finestra, sempre e comunque
incurante che un gesto simile era ai limiti dell'indecenza e del
teppismo condominiale.
Non
erano le mutande ad interessarlo, ne le facce dei condomini che si
sarebbero create alla vista di quelle mutande giganti che insozzavano
la bella aiuola vicina al portone di ingresso.
Ad
averlo colpito erano il pensiero degli occhi della sua stagista e al
fatto che decisamente non sarebbe riuscito a sbarazzarsi di lei con
tanta facilità. Ne avrebbe, alla fine dei conti, trovato la
forza
morale di farlo.
Perchè
gli occhi di Rukia, quei due occhi neri come una notte coperta da
un'afa insidiosa, più che somigliare a quelli di Neliel in
fatto di
temperamento “forte” e di grande sicurezza, erano
simili a quelli
di Nnoitra Jilga.
Solo
che, a differenza di lui, Rukia si ostinava a nascondere la propria
insicurezza dietro una parete di pseudo sicurezza e arroganza. Un
muro forse imposto per sopravvivere a quel buio che aveva spento la
speranza fatta di tante stelle, che lui tuttavia trovava decisamente
inutile e ai limiti della perdita di tempo.
Sorpreso
egli stesso di un ragionamento così azzardato, eppure
così
possibile nel suo essere ipotetico, il padrone di quel piccolo
appartamento spense la radio e si ributtò a letto nudo come
un verme
con l'arrivo insperato di un sonno tanto atteso.
E di
li a breve, chiudere gli occhi e ignorare l'afa che tornava a farsi
risentire su di un corpo ancora fresco di una doccia rilassante, fu
una cosa breve e meno travagliata.
Forse
quella doccia era riuscita a far miracoli. Oppure, con tutta
probabilità, era stato di aver rischiarato i propri pensieri
ad
avergli ridato un sonno tra mille borbottii e mugugni vari.
Magari l'indomani le
avrebbe offerto un caffè...
[…]
Inalò
l'aria in un profondo respiro, trovando l'atmosfera piacevolmente
umida.
Kira
Izuru constatò ancora una volta e con ancora tiepido piacere
–
dopo una nottata bollente spesa a lavorare – che l'aria del
primo
mattino era pressoché perfetta.
Il
sole sul fondo della strada stava iniziando a sorgere, tingendo
così
parzialmente l'orizzonte di un morbido color rosa. Non una nuvola in
cielo, quello che aveva coperto la notte passata era niente meno che
l'afa micidiale di una tarda estate.
Non
era certo sua intenzione farsi una nottata di straordinari,
però era
questo ciò che aspettava un semplice avvocato d'ufficio come
lo era
lui.
Sospirò
esausto, posandosi una mano sul volto per massaggiarselo meglio.
I suoi
capelli biondi erano spettinati e la cravatta stretta al collo
decisamente poco in asse. E per di più, sul suo volto erano
ben
visibili due occhiaie da far invidia ad un panda.
In
quel preciso momento, per quanto l'aria del mattino era lievemente
umida e tiepida – e per tal motivo rilassante –
nulla avrebbe
tolto un buon sonno ristoratore ad uno stanco avvocato.
Si,
decisamente buttarsi sul letto e dormire fino a mezzogiorno pareva la
cosa più bella del mondo. E ciò lo
portò a sorridere lievemente
mentre superava il cancello che lo avrebbe portato nel condominio in
cui abitava.
“Finalmente
a casa” pensò con soddisfazione.
Ma per
sua immensa sfortuna, quel timido sorriso apparso sul suo volto
solcato da una – presumibilmente – perenne
stanchezza, dovette
nuovamente piegarsi in una smorfia di dolore alla
vista di un
qualcosa di osceno.
Davanti
al portone di ingresso dello stabile, ove era presente una bella
aiuola ben curata piena di candide rose, era presente un qualcosa di
totalmente iniquo.
Delle
mutande enormi, candide e ancora fradice della lunga nottata afosa,
troneggiavano sopra le sue rose con una
sfacciataggine
inaudita.
“Ohh...”
con un
segno tangibile di impotenza, Kira Izuru allargò lievemente
le
braccia e lasciò scivolare a terra la sua vecchia
ventiquattrore.
Sconsolato,si
avvicinò al luogo del delitto. Notando – senza
però toccarle –
che quelle enormi mutande potevano solo appartenere ad una persona a
lui ben nota, che spesso e volentieri prendeva la sua aiuola come
cestino dei rifiuti.
Sopra
l'elastico ancora grigio di mutande originariamente candide,
capeggiava la scritta “menos grande” in tutta la
sua provocante
calligrafia.
E solo
un uomo dal nome di Nnoitra Jilga poteva osare permettersi di
indossare simile robaccia.
Distrutto
per quell'ennesimo affronto, l'avvocato chinò la testa verso
il
suolo dispiaciuto per quell'ennesimo insulto alla sua adorata aiuola.
Sicuramente
un giorno, se avesse mai avuto la forza di andare a bussare a quel
gigante iroso con la forza di dieci buoi e un coraggio indifferente
per farsi chiedere scusa per i danni ricevuti, il cielo lo avrebbe
accolto come un eroe.
Ma fino a quel giorno, se davvero ci teneva alle sue ossa, tutto ciò che poteva fare era di raccogliere quelle mutande con un bastone, e lasciare vicino all'ingresso del vicino che abitava sopra di lui.