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Autore: herAmnesia    15/12/2010    2 recensioni
Salve a tutti, questa è la mia prima fan fiction su Emmett, il personaggio che amo di più in Queer as Folk. :3 Emmett è solito raccontare alla sua migliore amica dei ragazzi che gli sono piaciuti nella sua vita... questa volta le racconterà del primo ragazzo in assoluto.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Deborah 'Debbie' Jane Grassi Novotny, Emmett Honeycutt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Deep Snow


Avevo 14 anni quando lo vidi per la prima volta; mi ero appena svegliato, era il 20 Gennaio, inverno freddissimo.
Facevano quasi -4 gradi e il solo appoggiare un dito alla finestra mi provocava brividi. Stavo come mio solito con i gomiti sul piccolo davanzale della vetrata della mia stanza, guardando la neve che per tutta la notte aveva imbiancato la via e le case di fronte alla mia.

Da un po’ di giorni venivano a spalare quel biancore proprio nel momento in cui io mi svegliavo, e questo mi disturbava perché preferivo guardare la neve senza movimenti umani, soprattutto la Domenica mattina, quando tutti avrebbero dovuto dormire fino a tardi.
Quella mattina però, invece del solito vecchio omone, sulla mia via c’era un ragazzo giovane.

Aveva un corporatura abbastanza robusta, riuscivo ad intravedere i capelli lunghi sotto al berretto, castani scuri, molto scuri.. mentre gli occhi mi erano difficili da scorgere. Vedevo bene le labbra invece, grandi, carnose e rosse. Passavo le intere mattinate ad osservarlo, benché non potessi realmente vederlo bene, mi bastava osservarne i movimenti.. le nuvolette di calore che gli uscivano dalle labbra e quando a volte si fermava per la fatica. Era più che perfetto con quelle guance e il naso arrossati dal gelo, e quando si passava la lingue tra le labbra per inumidirle perché erano spesso asciutte mi scappava un sorriso.

Una di quelle domeniche, mentre  spalava la neve, ricominciò a nevicare e lui alzò il viso al cielo, assaporando il gusto acquoso del cotone gelato… fu così che mi vide, era inevitabile dopo tutto che prima o poi mi vedesse.
Non ricordo se mi sorrise o era solo un movimento delle labbra involontario, so solo che gli vidi gli occhi, di un colore profondamente blu.
Mi ritrassi, spaventato e scoperto, ma dopo alcuni minuti decisi di farmi coraggio e di riavvicinarmi alla finestra.

Lui non c’era più.

Dopo averlo cercato più volte con lo sguardo, con un misto di delusione e  tremore me ne tornai sotto le coperte.
Tornò la Domenica successiva, e da quella volta decisi che lo avrei aiutato nel suo lavoro; dovevo conoscerlo.
Kesha, si chiamava, era russo di Mosca e aveva 17 anni. Era venuto a trovare per qualche tempo la prima madre, separatasi dal padre.
Ogni Week End mattina spalavamo insieme la neve, e io mi svegliavo sempre prima per andare giù nel viale e cominciare il lavoro.

Aspettavo che sollevasse mi salutasse da lontano, mentre arrivava, e che sorridesse, portandosi alcune ciocche di capelli sotto al cappello con la mano sinistra. Come gentili tocchi sul mio viso lui mi guardava, con gli occhi mi accarezzava le labbra, vedevo che guardava le mie labbra…. e mi mostrava cosa vuol dire bruciare… potevo sentire la mia pelle bruciare davvero.
Quando parlavamo, ero in uno stato di completa adorazione, non potevo far altro che sorridergli e annuire, anche se ascoltavo molto attentamente quelle poche cose che diceva; la mia immaginazione vagava lontana, per i sentieri più meravigliosi del mondo, che mi spingevano nella dolce illusione che un giorno quelle mani mi avrebbero veramente toccato.

Amavo quello sguardo pieno di significati; potrei fermarmi a dire che, forse, i significati che credevo si celassero nei suoi occhi, non erano altro che frutto della mia immaginazione, frutto del mio incondizionato bisogno di vedere in ogni suo gesto un po’ di affetto.
A quel tempo non mi importava la sessualità, non sapevo neanche la mia.. mi bastava poter passare quei quarti d’ora scherzando e parlando del più e del meno, a bassa voce, per non svegliare i vicini.

Non rideva spesso, come invece io facevo.. era piuttosto pacato, la sua voce era calda e bassa. Parlavamo del tempo, della scuola, di musica (aveva una band in Mosca, suonava la batteria).. della famiglia -… hanno divorziato un anno fa, mia madre è tornata a vivere qui con i miei nonni e mio padre è rimasto a Mosca.. sono venuto a trovarli.- disse tranquillamente, come se fosse una cosa normalissima.
-Mia madre è morta quando avevo sei anni, così vivo con mio padre… - sussurrai senza guardarlo.

Probabilmente lo colpì così tanto il mio tono calmo da alzare la testa e guardarmi, con i suoi stupendi occhi oceano. Si era fermato, la pala nella neve e  la bocca schiusa. Mi fece uno strano effetto vederlo sorpreso, sembrava molto preoccupato.
-Non sentirti dispiaciuto, con mio padre che mi da tutto che mi serve per vivere bene, non sento la sua mancanza quasi mai.- dissi guardandolo dritto negli occhi e sorridendo un po’. Sembrava seriamente dispiaciuto, stupito dal modo in cui ne avevo parlato;
forse per lui quel genere di fatti erano tabù.

-Io..  credo sia molto importante che tuo padre sappia prendersi cura di te- si morse il labbro inferiore. -Già..- risposi.  
Probabilmente suo padre non si prendeva molto cura di lui o forse non era riuscito a superare la morte di qualcuno di molto importante.
Continuava a guardarmi, e io arrossii violentemente, quegli occhi mi penetravano, sentivo che mi scavavano nella testa.
Accadde tutto in meno di un minuto, si avvicinò mi posò le mani sulle spalle, facendo cadere la pala.

Io ero spaventato, non sapevo perché ma sentivo il cuore battere fortissimo. Si avvicinò al mio volto con cautela, forse aveva paura che potessi ritrarmi.. ero sicuro che mi avrebbe baciato.. invece le sue labbra non toccarono mai le mie… fu solo un abbraccio.
Non continuammo a parlare quella mattina, era calato il silenzio e nessuno dei due riusciva a dire qualcosa.

Ogni domenica, sempre lo stesso appuntamento, non ci vedevamo mai oltre quei giorni, avevo anche provato a cercarlo, ma avendo poche informazioni non sapevo come trovarlo. Non gli piaceva parlare di se, mi ascoltava molto e alla fine di ogni mattinata mi ritrovavo a chiedermi se sapevo qualche cosa di lui ma la risposta era no.. imparavo a conoscere me stesso, invece.
Avevo capito che mi piaceva, mi piaceva molto.

Quando la fine dell’inverno era alle porte, sentivo un senso di paura e tristezza che mi faceva piangere, prima di andare a dormire… avevo la sensazione che se ne sarebbe andato senza che io avessi potuto accorgermene. Infatti la prima domenica di Marzo, la neve non cadeva da qualche notte, i tetti erano tornati ad essere marroni e potevo vedere il cemento della strada.
Nell’aria c’era ancora il profumo della bianchezza sciolta.. Con la neve se ne era andato, in effetti non lo vedevo da più di due settimane.
Benché non sapessi quasi nulla di lui, sapevo mi sarebbe mancato.. era una presenza importante. 
 
-Non l’hai più rivisto?- mi chiede Debbie. Si è immedesimata nel racconto, adora quando gli parlo delle mie vecchie fiamme.
-No.. non è più tornato.. almeno, gli altri natali non l’ho visto spalare la neve sotto casa mia…
anche se avrei pagato per rivederlo, a volte ci pensavo..- sorrido e mi sistemo i capelli.
-Beh… è grazie a lui che hai capito di essere gay?- chiede guardandomi negli occhi.
-Credo di si, lui è stato il primo a farmi provare un sentimento forte per un altro uomo che non fosse mio padre.. quindi suppongo di si.-
-Magari riusciamo a trovarlo su internet!!- dice lei eccitata.
-Mi piacerebbe conoscere un bel russo con i capelli lunghi e gli occhi blu!- ride e io le faccio compagnia.
-Ti assicuro che era stupendo, se lo vedessi ora non penserei a togliere la neve ma a togliergli la maglietta.-
ridiamo ancora e le do un bacio sulla guancia. Ci prendiamo a braccetto e ci dirigiamo al Bar.
Penso che non lo cercherò mai, Kesha. 
  
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