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Autore: Kimmy_90    16/12/2010    3 recensioni
Estratto da " 5. Accettazione ."
[ Rimase allibita ed estasiata ad ascoltare due labbra sottili e surreali lievemente posate sulle sue.
   Più per caso che per intenzione.
     Più per follia che per attrazione.
C'era una parte di lei con cui era in conflitto, eppure in amore. E questa parte di lei le si presentava come un ragazzo dalla pelle morbida e setosa, inventato da lei stessa anni prima.
Era una cosa malsana.
Lo sapeva.
     Era andata definitivamente fuori di testa.
]
Lei è una ragazza apparentemente calma e tranquilla.
Lui è un casinista.
Lei tende ad evitare i problemi, è remissiva, cerca il dialogo.
Lui è superbo e sprezzante.
Lei è moderatamente bassa, lui è alto; lei è acqua e sapone, lui si trucca pesantemente; lei beve, lui è astemio; lei non fuma, lui si fa le canne; lei ha gli occhi grigi, lui neri; lei segue i suoi ideali... bhe, lui anche.
Il problema, sostanzialmente, è che sono la stessa persona.
Genere: Sovrannaturale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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9. Destarsi: o forse no.




Aria osservò i due allontanarsi, il vago sorriso accennato che rimaneva immobile sul suo volto. Dopo averli visti svanire dietro l'angolo, si voltò sprezzante: incamminandosi, tuffò le mani nelle tasche della giacca alla ricerca di qualcosa.
Che non trovò.
Rimase immobile, le mani ancora affossate nelle tasche: lo sguardo scese lentamente, sino a toccare il terreno di cemento.

L'animo di Aria spintonò con violenza, soffocato.

Buio.

Poi allargò le palpebre, drizzando il busto ed inspirando con la stessa foga di chi è stato costretto per troppo tempo sott'acqua. Si guardò attorno, il fiatone addosso come una camicia di forza, e solo dopo aver ricollegato i pensieri riuscì a decidere di andare a sedersi sulla panchina che stava a qualche metro da lei.
Si flesse con lentezza, lo sguardo perennemente intento a cercare il nulla.
"Ehi."
Era strano come il mondo le si muovesse attorno. Non che girasse, no: l'equilibrio ce l'aveva tutto, lungi dall'essere sensazione d'ubriachezza. No, il mondo si muoveva, letteralmente: la gente andava, veniva, tornava, parlava. Ogni persona, ogni oggetto, ogni pianta mormorava vita, flettendosi, spostandosi, o solo vibrando al vento tenue.
E lei, lì, rimaneva immobile mentre tutto il resto continuava ad avanzare, come progredendo – sì, così lo sentiva: in progressione, proiettato in avanti, ignaro e disinteressato a lei.
"Aria."
Si decise a levare lo sguardo: Hera, comparso di fronte a lei, posò le mani sulle sue ginocchia e si flesse, quasi accovacciato, a guardarla dal basso.
Rimasero muti per lungo tempo, limitandosi a guardarsi l'un l'altra.
Improvvisamente parlare sembrava essere davvero superfluo: erano la stessa persona, la stessa cosa – e ognuno dei due conosceva meglio l'altro di quanto non conoscesse se' stesso.
Lo avevano appena provato.
"Non l'ho fatto apposta."
Aria sembrò lontanamente perplessa da quelle parole.
Per la prima volta da quando le era comparso davanti, vide sul volto di Hera una velatura di inquietudine.
"Dovevo." aggiunse il ragazzo.
"Dovevi?" domandò Aria, ancora intenta a collegare i puntini nella memoria.
Sapeva cosa era successo.
Le sfuggiva il come. E i dettagli – piccoli dettagli che in quel momento le sembravano vitali.
Era uscita vittoriosa da quello scontro. Sì, scontro. Perché era uno scontro, volenti o nolenti.
Il che significava che, per vincere, aveva combattuto.
E lei non voleva combattere. Non lo aveva praticamente mai voluto.
Hera aveva combattuto per lei.
Contro la sua volontà.
"Deciditi, o dovevi farlo, o non l'hai fatto apposta." mormorò, atona. "Non tutte e due insieme."
Hera espirò, scostando lo sguardo scuro che sino ad allora aveva mantenuto fisso sulla ragazza.
"Immagino siano quelle cose che succedono e basta."
Era strano vedere Hera in difficoltà. Non era da lui, decisamente no.
Questo lo rendeva ancora più umano di quanto non facesse l'immagine davanti a lei, il tocco delle sue mani sulle sue ginocchia e l'odore di tabacco, di quello fresco e quello fumato mescolati, che le arrivava alle narici.
"No. Non 'succedono e basta'." Aggrottò le sopracciglia, ritrovandosi lei, ora, a scrutarlo con insistenza. "Cos'hai fatto?"
"Io non ho fatto niente, Aria. E' successo e basta."
"Non ti appropri del mio corpo e basta, Hera!" Saltò.
Hera sembrò, per un minimo istante, rintanare la testa fra le spalle: un momento solo, e partì alla carica con il suo tono e sguardo in bilico fra l'affetto preoccupato e la più sfrontata saccenza.
"Ti ho protetta. Questo ho fatto. Ma ti ricordo che qualunque cosa sia successa, l'abbiamo fatta insieme."
"Palle! Il mio corpo, la mia voce, totalmente al di fuori dal mio controllo! Hai rubato, Hera!"
"Non dire boiate – " sibilò lui " – stavi per compiere un suicidio psicologico, non ne saresti uscita viva."
"Ah, e invece uscirne così è meglio, vero?"
Le labbra di Hera si ridussero ad un'unica, sottilissima, linea orizzontale.
Tacquero.
A lungo, in silenzio.
Hera sospirò.
"Aria..."
"Taci."
Hera tacque.
Di nuovo.
A lungo, in silenzio.

Aria pensava.
E non sapeva se, pensando, i suoi pensieri rimbalzassero in quelli di Hera.
Ma non aveva importanza: ormai i meccanismi che li legavano erano ufficialmente inconoscibili.
Aveva appena passato tre minuti d'inferno.
Sì, tre.
Soli tre minuti per generare quel pandemonio dentro la sua testa: non una, ma mille cose contemporaneamente.
Era come se avesse improvvisamente rotto il ghiaccio sotto i suoi piedi, e fosse precipitata nell'acqua gelata.
Di colpo.
E si domandava: è successo tutto quello che poteva succedere?
O c'è altro?
Riuscirà ad essere peggio di così?

Aria sembrava una statua, intenta a rimuginare: unico movimento il suo respiro.
Hera scivolò lentamente sulla panchina, andando a sedersi accanto a lei.

La prima cosa che aveva capito era che Lucas era sfumato: da assenza a fantasma, a nulla. La sua presenza non le aveva provocato nessuna reazione, se non forse una lontana nostalgia paragonabile a quella che si prova nel tirare fuori dall'armadio lo scatolone dei giocattoli.
Questo era stato un passo.
Uno solo.

Hera si mise ad osservarla, apparentemente mansueto.
Quasi fosse capace di restare lì per ore, senza far parola.
In attesa che quella si ridestasse.

La seconda cosa che aveva capito era che Lucas, invece, non era del suo stesso avviso: il suo distacco era stato molto più sofferto di quanto Aria non avesse mai immaginato. Tanto che, a ben guardare, gli si leggeva negli occhi quel qualcosa che ancora lo legava ad Aria.
E così Aria aveva scoperto le sue manie di vittimismo.
In tre minuti, Aria si era odiata più di qualsiasi altra persona al mondo. Ed è difficile odiarsi perché si è vittima, dato che nell'odiar se' stessi si accresce ulteriormente il proprio essere vittima – di se' stessi.
Un ciclo senza fine, rincarato dalla comparsa della ragazza di Lucas che, da idealizzata idiota quale era stata nella sua testa, si era rivelata una normalissima ragazza innamorata, impaurita – e, a differenza di Aria, pronta a combattere, seppure con una certa maldestria.

Hera ritentò.
"Aria."
Aria storse le labbra, dimostrandosi ricettiva.
La sua espressione, però non cambiava.
Ed Hera intravide la velatura di odio e disgusto che aveva notato poco prima: storse le labbra, già temendo la ricaduta.

Non poteva succedere di nuovo.
No.
Non poteva.

"Va bene." proruppe, scostando prima lo sguardo e poi il volto verso Hera. "Parliamone."
Hera parve nascondere un sorriso di soddisfazione.
"Parliamone."

Ma aveva la pessima sensazione che quello, quello, non i mesi precedenti, non il quadro, non Hera, non l'isolamento – macché: quello era stato, solo, l'inizio.

"In un certo senso sono guarita."
"Da Lucas? Sì."
"Sì."
E il mondo continuava a muoversi attorno a loro.
"Ed è un bene?" domandò infine Aria, con voce fattasi insicura.
Hera la vide mordersi le labbra. "Sì, è un bene." la rassicurò.
Aria non sembrò convinta.
"Va bene." mormorò. "Ammettiamo che vada bene, e che io sia guarita. Siamo obbiettivi: non è quello il punto."
"E qual'è il punto?"
"Tutto il resto."
"Sì?"
"Sì."

Quali profonde turbe mentali hai, Aria?
Perché evidentemente le hai.
Ma non hai avuto traumi infantili, vita disagiata, niente del genere: nessuna giustificazione.
Sei solo un disastro.
E ti sei disastrata tutta da sola.

Aria sentì il braccio di Hera prima posarsi dolcemente sulle spalle, poi stringerla a se': si sorprese nel provare, inizialmente, un brivido di paura per il gesto inaspettato.
Ma, beh, era successo anche di peggio.
Se si può definire peggio.
Perché, per altri, avrebbe potuto essere catalogato come qualcosa di meglio.
A seconda dei punti di vista. O, per meglio dire, del contesto.
Il contesto, però, s'era fatto talmente contorto ed assurdo che Aria finì col tralasciarlo.
Poggiò il capo sul suo petto, osservando il movimento che li circondava.
Era curioso come un amico immaginario che pochi minuti prima aveva indebitamente sostituito la sua personalità alla sua emanasse un tiepido calore.
Aria si sentiva bene. Turbata, ma bene.
Ciò nonostante, si costrinse a non chiudere gli occhi.
"Se è tutto il resto il problema, la cosa sarà assai più complicata." fece il ragazzo, serafico. "Però un problema lo abbiamo risolto."
"Certo, adesso mi odiano tutti e due e fine." mormorò Aria.
"Non ti odiano, Aria. Hai fatto la tua parte, la parte che ti spettava."
"La parte che mi spettava? Non è un film, Hera, questa è la realtà. Nessuno ha una parte, ognuno è se stesso e basta."
"Nha. In questi casi ci sono dei ruoli. Perché, se non ci sono, va a finire male. E lo hai provato sulla tua pelle."
"Non mi piace questa cosa."
"Non è una cosa giusta. E' una cosa comoda. Serve a tutti, per evitare conflitti interni o confusione. Il buono e il cattivo, servono a chiarire le idee nei momenti di panico."
"Io –" Aria si fermò prima di proseguire con il resto della frase.
Io non credo nei buoni e nei cattivi, avrebbe voluto dire.
Pensava fosse così. Invece no. Lei per prima si era sempre curata di essere la buona. La buona vittima. Che non fa mai male a nessuno. Quasi per principio.
"Non mi piace il silenzio." fece Hera, retorico, nel notare che era tornata a riflettere con una certa intensità.
"E' una stronzata, questa cosa dei ruoli." fece lei, cercando di dare un senso al discorso.
"Sì, lo è."
"E allora?"
"Stronzate per idioti. Sì. Vero. Le persone sono idiote. Tutte. Noi compresi. Benvenuta al mondo, piccola."
"... grazie."
Hera le posò un bacio sul caschetto biondo. E lei, pensosa, si lasciava cullare.
"Quindi il mio errore è che mi sono sempre costretta ad un solo ruolo, quello della buona vittima."
"Nha."
"Nha?" domandò lei, perplessa. "Come 'Nha'?"
"I ruoli sono cose d'emergenza. Per il resto, importa essere se stessi. Almeno, secondo me."
Secondo me.
Era la prima volta che Hera diceva Secondo Me.
'Secondo Me' significava avere un'opinione.
Un'opinione era una cosa umana.
Non da apparizione mistica rivelatrice.
Aria volse lentamente il capo verso il ragazzo, incuriosita da quel modus dicendi.
" 'Secondo te' ?". Ripeté, scrutantolo.
"Sì." rispose lui, con inaudita naturalezza.
Aria tacque, osservando il suo dipinto fattosi tridimensionale e vivo ai suoi occhi.
Chissà cosa vedeva la gente che passava, fuori. Una ragazza immobile a pensare? O intenta a parlare con qualcuno che non esiste?
"Allora, secondo te, cosa significa per me essere me stessa?" domandò, quasi in tono di sfida. "Essere ciò che sono adesso? Me stessa è la continua vittima del mondo che mi sono costretta ad essere? O è la mia natura subdola che mi ha portata a comportarmi in questo modo?"
Hera sembrò rifletterci seriamente.
La sua risposta fu quasi inaspettata, per Aria.
"Non lo so."
Inaspettatamente deludente.
"... Non lo sai?"
"No."
Ma forse avrebbe dovuto aspettarselo.
Questo non le impedì di rabbuiarsi in un'espressione di disillusione. Se non lo sapeva Hera, aveva finito le persone a cui chiedere.
Persone.
Si fa per dire.
"Sai che so solo quello che sai tu."
"Quindi io non ho la benché minima idea di cosa sono in realtà. Solo tante belle parole, bei modi di porsi – ma niente di concreto. Il buio. Il più totale buio."
Hera non aggiunse nulla, limitandosi ad osservarla con un vago sorriso sulle labbra. Aria lo notò, con una certa disapprovazione.
"Ci sono tante altre cose che so. Dovresti puntare su quelle, piuttosto che sui massimi sistemi." fece, con un sorriso felino.
Aria sospirò, rassegnata. "Cosa sai?"
"Che sei guarita da Lucas, ad esempio."
"Ci ero arrivata da sola."
"E che hai visto il problema."
"E allora? Non lo so risolvere."
"Ma conoscendolo, puoi risolverlo."
Aria soppesò queste parole, tastandole, accarezzandole, incubandole nella sua mente.
Puoi farlo.
E' un potenziale.
E' come sapere di non aver la garanzia di fallire.
Fa bene al cuore.
Ara si fece seria, investita di un potere che pensava di aver perso.
E mentre iniziava a rendersi realmente conto di che cosa significava, provò di nuovo quella sensazione, inaudita, della distanza che si fa nulla: labbra inesistenti, sì, ma pressate; braccia inesistenti, sì, ma strette; volto inesistente, sì, ma lì – vicino.
Odore inesistente, sì, ma d'erba estiva e di tabacco fresco.
Rassicurante.
Più che mai.
Il contesto era troppo assurdo per pensarci seriamente.
E in fondo, era quello che stava aspettando.
Perchè ne aveva bisogno.
Non di quello.
Di lui.

Di Hera vicino. Del suo profumo. Della sua fluttuanza fra assenza e presenza.
Della sua voce.
Profonda.
Che oscillava dallo strafottente al rassicurante.
E che la conosceva meglio di chiunque altro.
Perchè Hera era lì.
In un modo o nell'altro.
In un guaio o nell'altro.
Per litigarci o discuterci.
O per un bacio che sembrava essere più che un rimborso ai lunghi momenti di confusione e svilimento che l'avevano investita.

Era una cosa malsana.
Lo sapeva.
No, lo ammetteva.
Aria, sei fuori di testa.

Fanculo.

Anche perché ormai Hera era divenuto, da presenza, persona.

Aria, sei fuori di testa.

Oh, sì.




***


"Shock. Sei viva."
Aria roteò gli occhi, stringendosi nelle spalle.
"E' andata meglio di come pensavo." Abbozzò un sorriso, osservando Manuel intento a gongolare per la soddisfazione.
"Gli hai dato la microSD?" domandò l'altro, di colpo.
Aria annuì.

Il discorso cadde lì.

Cosa fantastica, gli amici maschi.
Ti guardano negli occhi e decidono come stai.
Se non vuoi parlarne non ne parli.
Se no, faranno l'atroce sforzo di ascoltarti. Poi si possono rivelare inutili per mancata esperienza, ma, sul momento, sono estremamente pratici.

A casa ci sarebbero stati gli interrogatori di Ella e Denise.
E forse anche di Kaylee.

Ma sì.
Avrebbe detto la verità.
O per lo meno buona parte di essa.


Aria salì in macchina con una certa serenità sul volto.
Era un'espressione strana, affatto raggiante, ma più che altro determinata. Cercava, guardando passivamente fuori dal finestrino, di fare ordine nella sua testa, ripassando in modo più obiettivo possibile la valanga di sensazioni e pensieri che l'avevano investita dall'arrivo al college alla dipartita di Lucas e consorte.
La cosa la impegnava abbastanza, chiudendola in un silenzio che Manuel trovava quasi inquietante – ma ben si guardava dal farglielo notare. Forse, pensò, in treno avrebbe potuto parlargliene meglio.
Sempre che lei avesse voluto.
Se no, fa niente.
Aria, dal canto suo, era talmente concentrata nel rimettere insieme il puzzle della sua personalità e della sua vita da non accorgersi di un'assenza che di lì a poco l'avrebbe fatta sbandare per l'ennesima volta.






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Oooooh là.
Bhe, nessuno ha capito cosa era successo realmente? xD strano...
vabè, ci vediamo al prossimo capitolo.
a volte mi domando se effettivamente questa storia possa essere catalogabile come romantica xD io ci provo....


@moet
Hera un mistero un po' per tutti mi sa xDDD del suo spirito di autoconservazione ne parleremo un po' più in là... U_U'''' è il mio pg preferito, e come a tutti i pg preferiti gliene faremo passare di tutti i colori X°D

@Miroku
oh ^^ spero che ti piacciano le mie su Naruto... ^^' anche se so che sono tutte molto strane, ognuna a modo suo xD
per quanto riguarda il misunderstanding della frase, è colpa mia che l'avevo scritta male xD
thau :3

@Cohava
ecco qua! xD























   
 
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