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Autore: _Breath    17/12/2010    2 recensioni
Roberta ha undici anni, un carattere molto sensibile a poco vendicativo. Lascia scivolare le accuse che le vengono fatte sul suo corpo soffrendo per le offese e per gli insulti di Marco. Marco è un suo compagno di classe che si diverte a deriderla con il resto della classe.Cosa ci cela sotto tutta questa cattiveria ?
E cosa succedesse se si in contrassero quindici anni dopo, a ventisei anni, forse più maturi con ancora rancore e passione da consumarsi? E se lei si dovesse sposare con Stefano, il suo fidanzato?
Dal primo Capitolo :
[...]«Sei tu?» si era aspettata di tutto, veramente, un insulto, una presa in giro o anche uno schiaffo ma non quella domanda.
Un sopracciglio le sfiorò la capigliatura per lo stupore «Prego?» non si trattenne dal chiedere.
Marco si raschiò la gola per rendere la voce meno rauca poi sorrise e richiese: « Sei davvero tu o ti ho confuso con un’altra?»
Roberta non si degnò di rispondere solamente si strinse la busta al petto sentendosi nuda.
Marco sospirò.
«Ne sono certo» fece un vago gesto con la mano« Sei tu. Roberta Treccia, ricordo bene?» questa volta fu lui a far salire un sopracciglio sino i suoi capelli e Roberta lo imitò infastidita.
Non parlò ma si strinse ancora la busta al petto.[...]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Accovacciata dietro il divano con le ginocchia a scontrarsi con il petto, Roberta, sentiva l’ansia salirle alla gola.
Si mise una mano davanti alla bocca per trattenere una risata mentre il buio della stanza si uniformava intorno a lei.
Erano le nove e mezzo di sera e lei e gli amici si Luca – insieme ad alcuni parenti- stavano aspettando che il più piccolo dei Treccia tornasse dall’ultimo anno di università.
Avrebbe compiuto ventitré anni quel giorno e mai come allora Roberta era felice del traguardo.
Per quanto ricordava Luca aveva avuto un infanzia molto traumatica, anche più della sua in quanto, quando aveva sette anni, in un incidente automobilistico con il padre aveva perso l’utilizzo momentaneo della gamba sinistra.
Era stato tragico per Luca dover interrompere gli allenamenti di calcio e anche l’educazione fisica a scuola( da sempre la sua materia preferita) per questo, essendo un ragazzino molto ottimista, si era ripromesso di guarire.
Per tre anni era stato soggetto a visite mediche continue fino a quando- in seguito a numerose operazioni e terapie- era riuscito piano piano a riacquistare l’uso della gamba.
Ora si muoveva come lei, se non anche meglio.
Oltre ad andare all’università aveva anche allenato più volte la squadra di calcio del suo liceo e, con orgoglio, era stato premiato come migliore allenatore avuto negli ultimi decenni.
Sorrise quando sentì una voce per le scale.
Lo schiamazzo della voce di Elisabetta, la fidanzata di Luca, le fece capire che presto sarebbero dovuti saltare fuori per urlare e festeggiare il suo adorato fratellino.
Facendo un segnale a Stefano si alzò suo talloni per avere uno slancio maggiore poi sgusciò in cucina.
Velocemente accese la candelina alla torta e senza inciampare raggiunse il salotto per nascondersi nuovamente dietro il divano al fianco di Stefano.
«Pronta?» le chiese lui prendendole la mano.
«Sì» sorrise «sono orgogliosa di lui, sai?»
«Lo so amore, ha lottato tanto.»
«Non dico solo per la gamba» la chiave nella toppa le fece capire che era l’ora di agire « ma anche perché è sempre sorridente e allegro. A volte credo che non siamo davvero fratelli.»
Non aspettò risposta da Stefano anche se sapeva che presto l’avrebbe consolata dicendo che anche lei era allegra e socievole come lui.
Le facevano piacere quei complimenti da parte del ragazzo che amava ma li ignorò alzandosi di scatto, sorridendo serena e urlando.
«Ma che succede?» Luca era sbalordito quando, accendendo la luce si vide circondato dai suoi più grandi amici. Un sorriso si aprì sul suo volto.
«Sorpresa!»
 
 
Era mezzanotte scarsa quando ridendo gioiosa Roberta consegnò il suo regalo a Luca.
«Non dovevi Roby» le disse il fratello abbracciato a Elisabetta che, di tanto in tanto, gli lasciava baci sulla guancia.
«Sì che dovevo» gli disse lei tirandogli un buffetto sulla spalla « oggi compierai ventitré anni»
Luca agitò il pacchetto vicino l’orecchio, curioso di capire cosa ci fosse « lo dici ad ogni compleanno».
«Ogni compleanno è speciale»
«Quando si tratta de tuoi però non la pensi così.»
Facendo un vago gesto con la mano, Roberta, sibilò un “ non è la stessa cosa” per poi incitarlo ad aprire il regalo.
Dentro il quadrato pacchetto rosso - quello che Marco le aveva consegnato la mattina stessa al loro scontro-si celava un grazioso contenitore blu in velluto.
Raggiungendo Roberta vicino al fratello, Stefano, abbracciò la sua fidanzata per la vita baciandola il mento.
Entrambi sorrisero.
«Avanti aprilo» lo incitò ancora la sorella.
«Non mi vorrai chiederti di sposarti, vero Roby? Ti ricordo che  sono impegnato, eh?»
«No, scemo» ridendo Roberta mosse i piedi trepidante «avanti, aprilo. Voglio vedere come reagisci.»
Alzando scettico un sopracciglio Luca eseguì il comando per poi rimanere sorpreso dal regalo che gli si rivelò davanti.
Lo estrasse per metterselo meglio davanti gli occhi « due gemelli? »
«Sì, gemelli per lo smoking. Cosa ne pensi?» Roberta, ancora stretta a Stefano, non riusciva a smettere di sorridere.
«Sono belli» Luca era sempre più confuso « ma lo sai che io non mi vesto mai elegante Roby. Sono sprecati per me, lo sai» ribadì.
« Lo so» gli allungò una mano in attesa che lui la strinse « ma ti chiedo umilmente di indossarli, anche se solo una volta nella tua vita.»
«Ma non saprei in quale occasione» si difese rigido.
« L’occasione ci sarà» si intromise Stefano con dolcezza.
«Infatti» gli diede mano forte Roberta con gli occhi che luccicavano « il 24 Giugno in chiesa, per esempio.» concluse sempre più emozionata.
Luca rafforzò la presa sulla mano di Roberta anche lui leggermente scosso ed emozionato « vuoi dire che …» gli si illuminò il volto
«Sì» urlò la sorella guardandolo fitto negli occhi « il 24 Giugno io e Stefano ci sposiamo.» guardò lo stupore sul viso del fratello, poi continuò «E vorremmo che tu ci facessi da testimone. Ti va?»
 
 
La mattina sorse lentamente e Roberta, appoggiata con la schiena allo schienale del letto, accolse i primi raggi di sole con un sorriso e un bicchiere d’arancia fresca.
La serata scorsa si era conclusa con un brindisi al nuovo festeggiato e due per lei e Stefano.
Ormai la cosa era ufficiale, si sarebbero sposati.
Stefano glielo aveva chiesto il giorno di San Valentino con il lago come testimone di quella promessa e, romanticamente, si era inginocchiato per chiederle la mano.
Sorrise guardandosi la mano con l’anello di fidanzamento.
Era felice, felice che presto sarebbe diventata la signora Leoni.
Roberta Leoni, suonava bene.
Al suo fianco Stefano russava lievemente e, sporgendosi verso di lui, Roberta, vide come il sole si infrangesse contro i suoi capelli neri e di come il verde dei suoi occhi diventasse sempre più nitido mentre piano piano prendeva conoscenza.
«’Giorno» lo salutò.
«Buongiorno» le sorrise « già sveglia?»
«Sì, pensavo al matrimonio»
Stefano l’abbraccio « impaziente di diventare la signora Leoni?»
«Sì» gli baciò il mento « anche se sono sincera che sono spaventata.»
«Dal matrimonio?» Stefano corrugò la fronte.
«No, da altro» si staccò dall’abbraccio per guardarlo in volto.
Si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio poi sbuffò come faceva molto frequentemente oramai « pensavo a come sarebbe la nostra vita da sposati. Se avremo figli, come saranno. Saremo bravi genitori? Litigheremo? Divorzieremo?»
«Ehy-ehy  calma» le sorrise « respira»
Roberta sorrise per poi annuire con il capo « mi faccio troppi problemi, vero?»
«Abbastanza direi. Sei scossa dal matrimonio ma è normale.  » Si allungò e l’abbracciò ancora « ma vedrai che andrà bene. Sarà bellissimo e presto sarai la signora Roberta Leoni.» le lasciò una carezza sul braccio « suona bene, non pensi?»
«Lo stavo pensando anche io prima» si lasciò andare contro il petto del futuro marito.
«Ecco.» continuò lui come cantando una dolce canzoncina « presto quindi saremo sposati, diventerai mia moglie e porterai in grembo i miei figli. Tanti piccoli leoncini »
Roberta rise di gusto mentre il sole sorgeva sempre più alto sul cielo accogliendoli così, uniti ancora dal sonno, in una notte ancora invernale, a parlare del loro futuro coniugale.
 
 
Roberta lavorava come insegnante alle elementari in quanto aveva sempre amato i bambini.
Quello era solo il primo anno che trascorreva nelle vesti di insegnante e ogni mattina si alzava con il sorriso sulle labbra.
Le sue classi solitamente erano sempre le prime o le seconde ma quell’anno le era capitata anche una quinta.
Entrando in classe, vestita comodamente ma anche non eccessivamente volgare, Roberta, salutò i suoi alunni con calore.
Era stata fortunata in quanto la sua classe era una di quelle dolci e calme senza particolari soggetti maleducati.
Quel giorno avevano in programma una piccola verifica di Italiano e, dopo aver consegnato i compiti alla sua pupilla Priscilla si sedette comodamente alla cattedra per poi spiegare vagamente come svolgere sommariamente gli esercizi.
«Non si va in bagno fino a quando non avrete finito il compito» ammonì « quindi andateci ora se ne sentite il bisogno.»
Nessuno si alzò e allora, guardando l’orario e sorridendo Roberta annunciò che era ora d’iniziare a svolgere il tema.
Dopo aver fatto un lieve giro intorno ai banchi si mise nuovamente seduta accavallando le gambe mentre si girava l’anello di fidanzamento tra le mani.
Era pensierosa.
Stefano aveva detto che sarebbe andato tutto bene ma e non fosse stato così?
Se invece non fosse riuscita a sposarlo?
Lo amava,ne era certa ma allora perché aveva risentimenti e paure?
Di solito quelle si sarebbe dovute avere qualche ora prima e non mesi precedenti alla data.
Tamburellando le dita sulla cattedra si dimenticò di stare in aula scolastico e sbuffò a gran voce per poi, quando accorgersene, arrossire imbarazzata.
«Scusate» si giustificò sotto venticinque paio di occhi curiosi.
Per distrarsi andò vicino la finestra e si poggiò sul davanzale lasciando che l’aria le investì il viso.
Dietro di lei sentiva il rumore delle penne che si infrangevano sul foglio da scrivere per questo non si voltò nemmeno una volta per verificare se i suoi studenti stessero facendo il loro compito.
Invece si lasciò andare ai suoi pensieri.
Quando la sera precedente avevano festeggiato il compleanno di Luca lei si era sentita libera, pura e casta senza nemmeno un quesito a tormentarla.
Era stata sicura quando aveva annunciato al fratello del suo imminente matrimonio e anche ora, terribilmente felice da quella notizia, non riusciva a credere che potesse essere vero,
Quando era una bambina, a undici anni, era arrivata a disprezzare ogni singolo essere umano a causa di Marco.
Aveva odiato i ragazzi per quasi cinque anni prima di riuscire ad aprire  nuovamente la sua mente alle conoscenze maschili.
Qualcosa dentro di lei le ricordava, ogni qual volta che stava per incontrare una persona del sesso opposto, che Marco era sempre lì, nell’agguato pronto a farle male.
Marco, in quel caso, simboleggiava tutta la popolazione maschile.
Il suo rancore verso il ragazzo, dopo aver conosciuto Stefano, lo credeva dimenticato ma invece quando ieri lo aveva visto si era scoperta ad odiarlo ancora.
Anche se lui si era scusato lei lo odiava.
Odiava il suo sorriso, la sua voce, i suoi occhi.
Odiava il suo nome e lo stampino che sempre avrebbe portato nel suo cuore.
Non riusciva minimamente ad immaginarsi di poterlo perdonare e per questo, sbuffando nuovamente e passandosi una mano tra i capelli, considerò l’ipotesi che Marco Diligenti per lei sarebbe sempre stato la parte iniziale del capitolo sofferente della sua vita.
Un capitolo chiuso, credeva lei.
Eppure sbagliava.
 
 
All’uscita da scuola era esausta.
Non riusciva nemmeno a stare in piedi senza avere la visione del suo dolce letto a casa e per questo, pensando che anche quella giornata era terminata, sorrise mentre aspettava che tutti i suoi alunni tornassero dai genitori.
Era rimasto solo  Guido, un ragazzino vivace ma anche studioso che lei lo sapeva avrebbe fatto grandi cose da grande.
Gli mise una mano sulla spalla avvicinandosi al bambino per poi sorridergli « non vengono i tuoi genitori, Guido?»
«No» il bambino non guardò mai dalla sua parte troppo impegnato a cercare una macchina pronto a portarlo a casa «oggi verrà mio cugino.»
«E’ grande  tuo cugino?»
Guido la guardò « pensavo che lei si dovesse sposare maestra» rispose lui confuso facendola ridere.
«Sì infatti tesoro» gli scompigliò i capelli per poi sorridere intenerita «e sono anche devotamente innamorata del mio fidanzato stavo domandando perché se non è grande non ti posso lasciare solo con lui. Capisci?»
Guido  annuì imbarazzato poi  tornò a voltare lo sguardo verso la strada leggermente silenzioso.
Al suo fianco  Roberta face scorrere lo sguardo sulle varie macchine che sfrecciavano innanzi a loro: una panda, una Punto  e anche una vecchia Cinquecento.
Quando stava per perdere le speranza vide una Maserati  nera parcheggiare per poi arrestarsi.
Si tratta bene, pensò Roberta con un sorriso poi si alzò seguendo con il capo i movimento euforici di Guido che si gettò tra le braccia dell’uomo appena sceso.
Quando il bambino corse ad abbracciare suo cugino Roberta non ebbe il tempo di vederlo bene in viso ma quando scorse il sorriso canzonatorio che aveva in volto le si gelò il sangue nelle vene e si arrestò dalla sua camminata professionale.
Il sorriso le morì sulle labbra.
«Ehy campione» la voce di Marco era divertita e simpatica mentre abbracciava Guido  di rimando « divertito a scuola?»
«Non tanto» fu la sincera risposta del dolce ragazzino.
Roberta, dietro all’allegra famigliola solo di qualche passo, sentì la rabbia tornarle a scorrerle nelle vene come il giorno precedente.
Sapeva che avrebbe dovuto comportarsi professionalmente senza riguardo ma invece, quando ritrovò la capacità di parola, tutto quello che riuscì a dire fu un « salve» che più che un saluto pareva un ringhio.
Marco- ancora sorridente- posò Guido a terra per allungare una mano verso di lei incitandola a stringerla « ‘Giorno.» la salutò ignorando la loro conoscenza.
Sembrava che volesse r-iniziare tutto da capo ignorando il loro passato e Roberta ne ebbe la conferma quando vide negli occhi di lui una lieve preghiera.
Strinse la mano al fianco come per impedirsi di rispondere a quel lieve gesto educato per poi, posando lo sguardo sul suo piccolo alunno, ricordarsi che lei era un esempio per Guido ed essendo la sua insegnante doveva dimostragli quali comportamenti erano giusti e quali no.
Reprimendo un ringhio strinse la mano di Marco evitando di guardarlo negli occhi per paura di non riuscire a frenare l’impulso violento che le prudeva sulle braccia.
Sospirò.
«Mi scusi per il ritardo. Non sono potuto venire prima, ero impegnato.»
«Posso immaginare» fu la sua secca risposta.
« Ho fatto il prima possibile» provò ancora lui.
«Evidentemente non ha fatto abbastanza.»
Marco rise « mi rincresce sapere che forse è nervosa a causa mia.»
Scettica Roberta fece scattare un sopracciglio molto in alto fino all’attaccatura dei capelli.
La stava sfidando; Marco stava giocando con il fuoco e se avrebbe continuato quel gioco non sarebbe tornato a casa indolore in quanto gli istinto omicidi che reprimeva da quindici anni presto sarebbero esplosi in lei.
Storse la bocca in un gesto di sopportazione estrema senza rispondere alla provocazione per poi voltare lo sguardo.
Sbuffò ancora.
«Ho fame» la voce di Guido ruppe la tensione che si era creata nell’aria ed entrambi gli adulti si voltarono verso di lui.
«Ora andiamo a mangiare.» gli rispose Marco con il suo immancabile sorriso.
«Andiamo al MacDonals?» gli occhi di Guido luccicavano e Roberta guardandolo sorrise; sarebbe stato così bello vedere un sorriso come quello sul viso di un suo futuro figlio..
Un figlio suo, suo e di Stefano.
«Certo» Marco si inchinò al suo fianco tirandogli un buffetto sulla guancia « e poi se vuoi prenderemo anche un gelato.»
«Evvai» l’esulto del bambino fece sorridere anche Roberta che, anche se continuava a sentirsi a disagio nello stare accanto a Marco, cominciava a prendere famigliarità con se stessa.
«Se volete venire anche voi, siete la ben accetta.» si rivolse a lei Marco come sempre sorprendendola.
Per lo stupore Roberta sobbalzò sgranando gli occhi « come?»
«Se volete» ripeté lui « siete invitata a pranzo con noi. Così mi faccio perdonare … »
Qualcosa nello sguardo di Marco le fece capire che quell’invito a pranzo fuori non erano solo delle scuse per aver ritardato nel venire a prendere Guido a scuola ma le fece intendere che erano riferite anche ad altro, a quando loro frequentavano  le medie per esempio.
Roberta lo guardò girandosi tra le mani, in un gesto nervoso, l’anello di fidanzamento poi negò con il capo « no, grazie, ho un impegno oggi.»
Non era vero.
Il pomeriggio lo avrebbe passato sola a casa senza nemmeno la compagnia di Stefano in quanto lui era partito la mattina stessa per un viaggio di lavoro di tre giorni ma Roberta, nonostante la solitudine che l’aspettava, preferì evitare l’invito a pranzo di Marco.
Si sentiva cattiva, subdola ma non riusciva ancora a perdonarlo per questo, salutando Guido con un sorriso e lui con lieve gesto della mano, andò verso la sua macchina.
Mentre guidava poteva ancora vedere il sorriso di Marco abbagliarle la strada.
 
 
Quando raggiunse casa Roberta di lasciò andare stremata contro il divano.
Non ebbe nemmeno la decenza di raggiungere il letto o quella di togliersi la giacca di velluto grigio.
Quando la sua schiena urtò violentemente contro il soffice strato di velluto sospirò allentandosi la cravatta grigio chiaro che portava come collana.
Sbuffò.
Non riusciva a capire perché da un po’ di ore- da un giorno veramente- il suo destino aveva deciso di rovinarle la vita.
Da quando il giorno precedente aveva avuto lo  spiacere di incontrare Marco si sentiva scombussolata, vuota e priva di forze.
Si erano incontrati solo due volte e già non lo sopportava più.
Marco Diligenti era cambiato, maturato forse, ma era rimasto sempre lo stesso ragazzo immaturo che era stato.
Scapolo, Roberta ci avrebbe scommesso, si chiedeva come passasse solitamente le sue giornata il pupillo dei Diligenti.
Se in quei quindici anni non erano cambiate le finanze della sua famiglia Roberta poteva bene immaginarlo. Ricordava che la sua famiglia era molto ricca in quanto il padre gestiva un attività alberghiera abbastanza nota a Milano.
Riflettendo su come andasse conciato per strada, vestito interamente di Armani o Cavalli,  ipotizzò che l’azienda del padre dovesse continuare ad avere successo.
«Maledetto stronzo» si tolse le scarpe con il tacco lanciandole lontano iniziando a massaggiarsi i piedi.
Chiuse gli occhi lasciando andare la testa all’indietro mentre cominciava a sentire sollievo per la stanchezza accumulata.
Lo odiava.
Odiava Marco per la sua ricchezza mentre lei e la sua famiglia non lo erano mai stati.
Appartenente ad un famiglia di cui solo il padre lavorava si era sempre trovata bene, non le era mai mancato nulla ma nel periodo dei suoi tredici anni- quando il medico aveva pronosticato per Luca una cura a base di terapie, - sia lei che la sua famiglia si erano trovati a risparmiare molto su vacanze e vestiti per poter permettere di pagare le cure a suo fratello.
Era stata felice di poter essere d’aiuto a Luca anche solo privandosi un cellulare o il vestito all’ultima moda ma le faceva salire i nervi penando che invece lui, mentre lei andava a scuola con libri di seconda mano, girava per la città con  lo scooter diverso ogni settimana.
Ma non solo; odiava Marco anche perché non smetteva mai di rinfacciarle la cosa in quanto, quando la vedeva per strada, la fermava sempre deridendola per la cartella vecchia che usava da quando stava alle elementari o anche per il Jeans scolorito e non di marca mentre lui poteva permettersi quello di Barbari senza la minima sofferenza finanziaria.
Questo la mandava in bestia.
Una cosa strana di Marco però era che aveva iniziato a darle del lei quando ci stavano altre persone con loro per esempio poche ora prima davanti a Guido.
Come se non volesse dare la prova della loro vecchia conoscenza, come se non volesse far intendere che loro erano già, purtroppo, conoscenti d’infanzia.
Sospirando Roberta si prese una sigaretta.
Non fumava molto ma quando era confusa spesso si concedeva quel vizio.
Tirò una boccata d’aria per formare una nuvoletta di fumo inclinando la testa di lato.
Il salotto era ordinato e ne fu felice in quanto, senza la preoccupazione di dover riordinare casa si sarebbe potuta permettere un ora di relax in più prima di prepararsi ad uscire con Vanessa, una sua vecchia amica.
Erano le cinque del pomeriggio e lasciando cadere la sigaretta nel posacenere, Roberta, si coricò sul divano stendendo i piedi mentre un rantolo di disperazione e sollievo per gambe doloranti le usciva dalle labbra.
Chiuse gli occhi posandosi una mano sulla fronte come a coprirsi dai raggi solari, poi si perse a immaginare.
Immaginò lei che raggiungeva l’altare avvolta nel vestito bianco con un bouquet  di rose rosse in mano, il sole che filtrava lieve dalla vetrata mentre la marcia nuziale si faceva più pesante ad ogni passo. Sorrise.  La gente intorno a lei la guardava meravigliata da tanta bellezza mentre il suo sorriso si espandeva di più ad ogni passo verso il marito.
Stefano era voltato verso di lei con una mano allungata verso di lei a incitarla al suo fianco e lei, sempre ridente, allungò una mano a farla intrecciare con quella del marito.
Il prete parlò: « Vuoi tu, Roberta Maria Treccia, prendere per sposo Stefano Leoni per amarlo e onorarlo in salute e malattia, in tristezza e povertà finchè morte non vi separi?»
La sua mano in quella di Stefano, gli occhi di lei in quelli di lui e la voce del prete così vicina e sussurrata; la sua quasi spaventata « Sì» sorrise « lo voglio.»
« E vuoi tu, Stefano Leoni, prendere in sposa Roberta Maria Treccia per amarla e onorarla in salute e malattia, in ricchezza e povertà finchè morte non vi separi?»
Il cuore di Roberta che perdeva di battiti, la mano calda di Stefano che si strinse più forte tra la sua per darle coraggio come a dirle “ non sbaglierò!”
E poi il sorriso che le fece capire che tutto sarebbe andato bene facendola perdere nei suoi occhi verdi del prato.
«Sì, lo voglio»
Roberta sbarrò gli occhi facendo scattare la mano via da quella di Stefano portandosela a coppa innanzi la bocca per reprimere un grido.
«Allora vi dichiaro marito e moglie» la voce del prete era solo un ronzio fastidioso mentre Roberta stava nello sconforto totale.
Balbettava, tremava, gelida e bianca chiedeva aiuto.
Davanti a lei suo marito dagli occhi verdi la tendeva nuovamente la mano mentre gli occhi di tutti gli invitati erano puntati su loro, i novelli sposi, forse aspettando il bacio che non si decideva ad arrivare.
Roberta stringeva ancora la mano sulla bocca.
La voce, la voce di Stefano, era diversa da quella che ricordava aveva sempre avuto.
Svegliandosi dalla sua immaginazione, Roberta si portò a sedere sul divano con il viso sudato e i capelli appiccicati sulla fronte.
Sospirò mentre cercava di calmare il respiro.
Era stato tutto così reale: la promessa di matrimonio, il vestito, l’emozioni e anche l’ambientazioni: tutto.
Solo una cosa era diversa, immutabile e anche tanto critica per lei e il suo cuore.
Non sapeva,Roberta, se sarebbe riuscita a reggere ancora un sogno del genere per questo evitò di addormentarsi ancora troppo spaventata dall’eventualità di ricaderne vittima.
Si alzò andando in cucina per bere un po’ di caffè nel tentativo di svegliarsi completamente.
 Mentre il caffè bolliva si appoggiò al lavandino con disperazione ripensando al sogno.
La mano di Stefano nella sua, il bacio atteso da tutti ma mai arrivato e poi la voce … Dio quella voce.
Roberta la conosceva bene, era la voce del destino.
La voce della sofferenza.
Bagnandosi le labbra con il liquido nero bollente si rilassò contro le piastrelle del muro  poi riavviò i capelli.
Da un paio di giorni il suo destino aveva deciso di rovinarle l’esistenza, solo da quando aveva incontrato Marco.
Incontrandolo per strada si era riaperta in lei la  voragine del dolore sul suo passato, si era sentita persa e priva di decisioni. Indecisa e confusa.
E poi, come se non bastasse, ora iniziava anche ad avere gli incubi sognando la sua voce al  suo  matrimonio.
Quello era impossibile, inaccettabile e indescrivibile.
Le veniva una grande voglia di urlare e scalpitare come una bambina di nove anni ma s trattenne bagnandosi nuovamente la labbra con il caffè e facendo raschiare la gola con il liquido bollente.
Sorrise di un sorriso amaro quanto la bevanda poi posò la  tazzina nel lavello lavandola sovrappensiero.
«Maledetto stronzo.»



Salve a tutti. Scusate il ritardo ma sono stata impagnata con il finire le altre storie. 
Ho molte storie aperte, sapete? Mi sono portata avanti di quattro capitolo l'una e... bhè, me ne è venuta subito una in mente, nuova xD 
Scusate ancora, spero di essere più regolare.
La prossima settimana iniziano le vacanze e io andrò dai parenti, mi porterò il cumputer con me solo che non so se riuscirò ad aggiornare, spero di sì almeno che internet non funzioni u.u <3
Ringrazio le recensioni dell'altra volta e anche i preferiti/ seguiti/ricordate. Grazie **
Le risposte le darò attraverso la nuova opzione del sito, quindi a breve :D Grazie ancora.
Ditemi cosa ne pensate del capitolo, è molto importante per me ...
  
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