CHAPTER 1
La East High era una scuola
privata molto costosa. Contava all’incirca 300 iscritti, di cui più o meno il
97% era composto da figli di papà, fighetti e secchioni.
Era una delle scuole che ogni
anno sfornava più giovani promesse del football dello stato .
Mi sembra inutile dire che i
ragazzi come Max non erano visti esattamente di buon occhio dagli altri. A
volte capitavano anche degli...incidenti
- come li chiamava di solito la preside nel tentativo di mantenere il buon nome della scuola- da cui qualche
ragazzo usciva con un occhio pesto, se gli andava bene. Si diceva che fossero
caduti dalle scale, o dal motorino che non avevano, o da una finestra
piuttosto, ma la verità la sapevano tutti comunque senza bisogno che gliela
dicessero gli insegnanti o la sopracitata preside. Spesso capitava anche a Max
di cadere dalle scale, ma questo
accadeva solo quando non c’era Jimmy nei paraggi -cosa che ultimamente capitava
davvero troppo spesso per la salute del naso di Max. Tutti i ragazzi a scuola
avevano paura di Jimmy.
Era grande e grosso, e su di
lui circolavano strane storie.
Per esempio si diceva che
avesse passato due anni in riformatorio per aver quasi ucciso a pugni un
ragazzo in una rissa... naturalmente non era vero, ma certo era utile a tener
calmi i giocatori di football un po’ troppo esagitati e violenti.
Quello e il fatto che girasse con un coltello a
serramanico in tasca.
Purtroppo per Max però
andavano in due classi diverse, e Jimmy non poteva stare sempre a parare il suo
desiderabilissimo fondoschiena di maledetto piccolo attaccabrighe.
Cosa che decisamente quella
mattina gli sarebbe tornata parecchio utile, ma alla seconda ora aveva
educazione fisica, quindi a metà del percorso si dovettero separare. Max iniziò
a camminare in direzione dello spogliatoio maschile con una bruttissima
sensazione all’ altezza dello stomaco, e di solito certe sensazioni non lo
tradivano mai. Era una cosa che aveva sin dalla nascita, quando stava per
succedere qualcosa di brutto iniziava ad attorcigliarsi il suo stomaco senza
una motivazione apparente. Non era un superpotere o qualcosa del genere, non
poteva prevedere cose e neanche fare nulla per evitare che qualcosa accadesse,
erano solo dei piccoli avvertimenti che gli mandava il suo stomaco – e che
spesso venivano scambiato per un eccesso di cioccolata o viceversa, quindi non
erano troppo utili. Quel giorno però aveva bevuto solo un caffè.
Freddo, visto che prima di
decidersi a berlo era rimasto mezz’ora ad osservare il punto in cui era
scomparso il ragazzo in strada, chiedendosi se fosse impazzito completamente.
Comunque un mal di pancia da
troppo cibo non poteva essere, perciò si ritrovò a pensare di essere ancora
sconvolto per l’incidente cui aveva assistito prima, e che la brutta sensazione
fosse dovuta solo a quello, anche se solitamente il suo stomaco lo avvisava prima che qualcosa di brutto accadesse,
non dopo. In fondo anche lui poteva sbagliarsi, no? Scosse la testa. Non doveva
pensarci. Cosa sarebbe mai potuto succedere di così brutto? Niente. Al massimo
avrebbe preso un
Una voce che lo chiamava lo
fece trasalire, e lo distolse dai suoi pensieri catastrofistici riguardanti
parallele asimmetriche e cavalline troppo alte per le sue gambine
corte.
Si fermò in mezzo al
corridoio, voltandosi verso la ragazza che lo aveva chiamato e che stava
correndo verso di lui.
<< Cazzo Max... è la
quinta volta che ti chiamo! Sei sordo o cosa?! >> esclamò Hailey, raggiungendolo e fermandosi accanto a lui con un
po’ di fiatone.
<< sei riuscita ad in
seguirmi di corsa urlando? Davvero riesci a fare entrambe le cose nello stesso
momento?? >> la prese in giro Max, con un espressione fintamente stupita.
<< ah ah... simpatico... >> rispose lei con
una smorfia a metà tra lo scocciato e il divertito.
<< Comunque non è
questo il punto! >> esclamò poi, battendosi il pugno sulla mano.
<< Ah, okay, e qual è
allora? >>
Hailey aprì la bocca per rispondere, lo guardò un attimo
perplessa, e la richiuse.
<< Non mi ricordo
più... >> borbottò, abbassando lo sguardo con aria pensierosa.
Prese a grattarsi il mento, fissando
un punto imprecisato a metà tra una lampada e il muro a cui era attaccata con
gli occhi stretti e la bocca arricciata.
<< Vabbeh,
quando ti torna in mente fammi un fischio, eh... >> sospirò dopo qualche
secondo di attesa Max, voltandosi e riprendendo a camminare.
<< Aspettaaa!
Era di importanza vitaleee! >> gli piagnucolò
dietro Hailey, inseguendolo per qualche passo.
<< Tanto non te lo ricordi! >> disse lui, allargando gli occhi e
agitando una mano per aria. Ignorò completamente la ragazza che si era fermata
in mezzo al corridoio, guardandolo male. << Te ne pentirai! Ti pentirai
di non avermi ascoltato! >> gli urlò dietro lei, con un pugno alzato e un
espressione che doveva essere minacciosa, ma che ricordava soltanto una di
quelle vecchie pazze dei film che pretendono di fare profezie sul futuro.
<< Ma se non te lo
ricordi!! >> esclamò Max, spalancando gli occhi e voltandosi a guardarla
allibito. << Dettagli... >>
rispose lei, annuendo convinta per sottolineare quello che aveva detto.
Lui inclinò appena la testa e
la guardò, chiedendosi se fosse davvero così pirla come stava dando prova di
essere oppure no. Poi decise che non gli interessava così tanto da costargli un
Spalancò la bocca.
All’interno lo aspettava più o meno metà della squadra di football della
scuola, e a capo dell’allegra combriccola c’era Johnathan
Arthur Evans, meglio conosciuto come Johnny, il quarterback della squadra! Il
ragazzo di Hailey! La rampa di scale sulla quale una
quantità spropositata di gente era caduta!
<< Stavamo aspettando proprio te Green! >> esclamò Johnny con un
sorriso falso come pochi, e per un momento l’idea di girare i tacchi e correre
alla velocità della luce il più lontano possibile da lì sfiorò la parte normale
del cervellino di Max, ampiamente appoggiata dal suo stomaco, ma poi ebbe la
meglio la parte folle a metà tra il masochista e l’attaccabrighe, come al
solito. E come al solito non fu un bene.
<< Se volete fare
un’orgia sappiate che io non ho di quei gusti... >> rispose infatti,
senza pensare al fatto che a quei grossi e muscolosi ragazzi non avrebbe fatto
piacere sentirsi dare dei finocchi da lui.
O forse pensandoci e fregandosene. In ogni caso non era una grande idea in
nessuno dei due casi.
Il sorriso sul viso di Johnny
si incrinò leggermente, diventando più simile ad un ghigno schifato.
<< Oh, lo so, anche se
non l’avrei mai detto, se devo essere sincero…
>> disse, e la cosa suonò parecchio strana alle orecchie di Max, dal
momento che fino a quel momento dargli del frocio era stato il suo passatempo
preferito.
<< Già, ci hai provato
con Hailey, che, per quanto ne so, non è un uomo!
>> intervenne, assolutamente fuori luogo, uno degli intelligenti e acuti
amici di Johnny.
Max spalancò gli occhi per
l’ennesima volta nel giro di un’ora.
<< Chiudi quel cesso
Cole! >> sbottò il quarterback, guardandolo male, poi si rivolse di nuovo
al ragazzino che continuava a fissarlo sconvolto.
<< Con chi ci avrei
provato iooo??? >> esclamò, quando ebbe
finalmente ritrovato la voce che fino a qualche secondo prima era andata a fanculo da qualche parte all’altezza dei suoi piedi.
<< Oddio! Ma voi siete
completamente andati! >>
<< Ti ha visto Grey l’altra sera… >> disse
Johnny, con un sorriso falsamente conciliante.
<< E chi cazzo sarebbe Grey??? Io non ci ho provato con la tua ragazza! Ma sei
idiota o cosa? Non sono masochista, e neanche un aspirante suicida!! >>
In effetti per un secondo la sera prima l’idea che Hailey
fosse davvero fottutamente carina aveva attraversato il suo cervellino bacato,
ma non ci aveva provato con lei.
Assolutamente no. Okay, forse gli mancava qualche passaggio di quello che era
successo. Okay, forse gli mancavano parecchi passaggi. Okay, forse aveva bevuto
troppo.
E ora non ricordava un cazzo
della sera prima, e poteva benissimo essere che ci avesse provato, e la cosa
non gli piaceva affatto. Perché significava che Johnny aveva ragione. E ciò era
male.
Il ragazzo lo guardò per un
momento dall’alto, come se stesse leggendo nei suoi pensieri, poi sorrise
appena. Quel sorriso provocò un brivido lungo la schiena di Max.
<< Cole! Tyler!
Tenetelo fermo! >> ordinò, e il ragazzino non poté far altro che
indietreggiare leggermente, quando Cole gli prese il braccio destro e glielo
girò dietro la schiena.
Sarebbe stato inutile cercare
di difendersi, lo sapeva benissimo, quel ragazzo era il triplo di lui.
<< Non prenderla sul
personale Maxie…
>>
Max fece una smorfia. Niente
di personale, certo, intanto però lo stava per pestare…
La vita era stata decisamente
ingiusta con lui.
Ne era certo, quanto era
certo del fatto che Johnny avesse dei seri traumi infantili.
Tyler, un altro giocatore di
football enorme e con le mosche laddove solitamente la gente ha il cervello,
gli si avvicinò con aria scocciata e gli bloccò il braccio ancora libero.
<< È solo… diciamo una dimostrazione…
>>
<< Sì, di quanto tu sia
incredibilmente idiota… >> borbottò Max, scuro
in volto, guardando a terra.
Non si stava muovendo, né
stava cercando di liberarsi, ma quando finì la frase sentì la presa di Cole
stringersi sul suo braccio, facendogli male. Ma non fece neanche in tempo a
lamentarsi. Non che comunque avesse intenzione di fargli presente che lo stava
stringendo un po’ troppo forte, ma anche se avesse voluto farlo non avrebbe
potuto.
Sentì il dolore esplodergli
sullo zigomo come se tanti spilli lo stessero trafiggendo, mentre la pelle si
apriva sotto il pugno di Johnny. Il ragazzo strizzò gli occhi in una smorfia di
dolore, mordendosi un labbro, ma non emise neanche un verso: era abbastanza
abituato a prendersi qualche botta ogni tanto, ma il non poter muovere in alcun
modo le braccia lo stava uccidendo.
Gli dava una frustrazione
assurda e, Dio, lo faceva sentire
impotente e piccolo, come una bambola nelle mani di quei ragazzi.
Johnny gli si avvicinò appena
e gli alzò il volto con due dita.
Max lo vide sorridere appena,
guardando il suo zigomo, che era sicuro si stesse gonfiando e probabilmente
aveva anche un brutto colore a metà tra il viola, il rosso e il nero.
<< Allora Maxie, com’è? Fa male..? >> chiese, ancora con le
labbra curvate in quel sorriso appena accennato, lasciandogli il viso.
Max alzò lo sguardo su di lui,
ritrovando un po’ della dignità che fino a quel momento sembrava essere
completamente scomparsa, e fece un ghigno inquietante.
<< Figurati, ci sono
abituato, no? >>
Il quarterback rise, una
risata fredda che non si accompagnava affatto bene al suo bel viso dai
lineamenti regolari, poi si passò una mano sul volto.
Il secondo pugno arrivò
dritto alla bocca dello stomaco, ancora più inaspettato del primo.
Un verso strozzato lasciò le
labbra del ragazzo, che si piegò in due cercando di respirare dell’aria che non
riusciva a raggiungere i suoi polmoni.
Era una delle sensazioni più
brutte che avesse mai provato, come se avesse il petto stretto in una morsa,
che gli impediva di inspirare e che lo stava uccidendo.
Strinse di nuovo gli occhi e
digrignò i denti. Non era la prima volta che si prendeva un pugno nello
stomaco, sapeva che sarebbe passato, ma faceva un male d’inferno comunque.
Si morse un labbro, doveva
solamente aspettare che finisse, ma Johnny non gli lasciò il tempo.
Quasi non si rese conto di
quello che succedeva, sentì solo un dolore al braccio, accompagnato da una
rumore di ossa rotte. La stretta intorno ai suoi polsi si allentò e il sangue
riprese a scorrere nelle sue mani. Lui si lasciò cadere a terra accovacciato,
con le gambe raccolte al petto, si teneva il braccio dolorante con l’altro e
respirava a fatica, una lacrima che gli scivolava lenta lungo la guancia. Non
l’aveva mai fatto. Sin dall’asilo Max era sempre stato quello un po’ strano, il
ragazzino che si veste in un altro modo, che ascolta altra musica, e viene
preso in giro dai suoi compagni, ma mai, mai,
aveva lasciato che lo facessero piangere.
Li prendeva in giro a sua
volta, ci rideva sopra, si incazzava anche, ma non piangeva.
E invece eccolo lì, seduto
per terra, in lacrime come una stupida ragazzina solo per qualche pugno.
Solo l’idea di star presentando
un tale spettacolo a quegli idioti gli faceva venir voglia di vomitare –o forse
quello era più dovuto al fatto che era appena stato preso a pugni, il suo
stomaco- ma non riusciva a farne a meno. Le lacrime avevano preso a scendergli
incontrollate, senza che lui potesse in alcun modo fermarle. Johnny si
inginocchiò accanto a lui e avvicinò la bocca al suo orecchio.
<< Non provare a
raccontare a nessuno che siamo stati noi, se non vuoi finire male… >> sussurrò, poi si rialzò, e lui e i suoi
amici se ne andarono, lasciando Max per terra, con il braccio pulsante e un
rivolo di sangue che gli scivolava dallo zigomo pesto.
Rimasto solo alzò il viso,
cercando invano di pulirlo con il dorso della mano, ma finendo solo per
fare un impensabile disastro di sangue e
lacrime su tutte le guancie.
Tirò su col naso e si sedette
con la schiena contro il muro, reprimendo un leggero singhiozzo.
Con una piccola smorfia di
dolore si tirò su la manica della felpa e tolse il polsino rosso: lungo tutto
l’avambraccio si era allargato un rigonfiamento viola e nero dall’aria
piuttosto preoccupante.
<< Porca troia… >> imprecò sottovoce, mordendosi
distrattamente il labbro, accigliato.
Non gli piaceva lamentarsi.
Non era un tipo melodrammatico, né fatalista, e mai, quando lo avevano
picchiato, ne aveva fatto una tragedia, ma questa volta aveva proprio la netta
sensazione che quello fosse molto più che un semplice livido. Erano passati
appena un paio di minuti, quando iniziarono ad arrivare i suoi compagni di
classe, facendo un gran chiasso, per cambiarsi prima dell’ora di educazione
fisica. Max era ancora nelle stesse condizioni pietose, ma non voleva che loro si accorgessero di quello che gli
era successo, non voleva che lo compatissero, quindi nascose il braccio,
coprendolo nuovamente con la felpa, e coprì in qualche modo l’occhio con la
frangia.
<< Ehy
Max! >>
Andrew Davis era un bravo
ragazzo, sotto ogni aspetto. Era di buona famiglia, era un bel ragazzo, andava
bene a scuola ed era popolare, ma nonostante questo era anche il genere di
ragazzo che si guarda intorno, senza credersi migliore di qualcun altro, e che
fa caso quando una persona sta male, o è arrabbiata, insomma il genere di
ragazzo che fa caso a cose cui altri non fanno caso.
<< Che vuoi Davis?
>> si limitò allora a rispondere, inclinando leggermente la testa verso
sinistra, per nascondere meglio il livido alla vista del ragazzo, facendo
ricadere la frangia su tutto l’occhio.
Lui lo guardò un attimo
accigliato.
<< Che ti sei fatto
all’occhio? >> Appunto. Fa caso a certe
cose...
Max non rispose. Che cosa
voleva quel ragazzo da lui? Non erano
amici, perché non lo lasciava in pace
e basta?
<< Fammi vedere… >> disse ancora il ragazzo, prendendogli il viso,
fece per voltarglielo.
Perché non spariva?
<< Lasciami! >> Sparisci.
Fu una cosa strana. Come se
un lampo di odio lacerante lo attraversasse, qualcosa che non aveva mai provato
prima. Il suo cuore accelerò i battiti, è un brivido lo percorse.
I due ragazzi spalancarono
gli occhi nello stesso momento, e in un attimo Andrew era a terra, immobile,
gli occhi rivoltati all’insù. Max lo guardava, senza capire, e mentre tutti gli
si affollavano intorno, solo tre parole continuavano a riaffacciarglisi
nella mente: sono stato io.
Non sapeva perché, e non
capiva come, ma nello stesso istante in cui le aveva pensate aveva saputo che
quelle parole erano vere.