Il
gelido inverno.
Freddo.
Quel freddo che ti entra nelle ossa, ti accarezza il
cuore con un tocco così gelido che sembra un brivido.
Ma ormai per lui il freddo non era più freddo. Ormai era
diventato normale, come respirare, dormire. Un normale che non stupisce nemmeno
più.
E’ il caldo a stupire, a far venire il batticuore, a far
continuare ad andare avanti. Sperando in qualcosa di caldo, si supera il
freddo. Era questo in cui credevano gli orfani, questo ciò che sapevano della
vita. Ma la verità è solo che il freddo alla fine diventa normale. Per questo
non stupiva più, per questo non faceva più così male. E in un certo senso era
anche un bene, perché è l’abitudine che trasforma la sofferenza di un giorno;
in quella di un mese, e poi in quella di due, finché non diventa la sofferenza
di una vita intera.
Era stata la guerra a trasformare tutto: la solita
normalità era diventata un incubo quotidiano, di quelli ricorrenti; che tutte
le notti ritornano. Andando avanti con i giorni, le settimane, alla fine l’incubo
non fa più nemmeno paura. Ma la differenza era che l’incubo lo si vive con gli
occhi chiusi, e non esiste; mentre quella era la vita vera.
I genitori di Adam erano
morti da più di un mese, era la guerra che li aveva strappati al loro piccolo
figlio di appena dieci anni.
In quei mesi il ragazzino era cresciuto in modo
impressionante. Nemmeno la sua mamma, se lo avesse visto in quel momento, non
lo avrebbe riconosciuto subito. Era dimagrito visibilmente, il volto scavato
come quello di un vecchio. Se solo non avesse avuto gli occhi ancora lucidi e
vispi, sarebbe stato difficile distinguerlo da un cadavere.
E di cadaveri, di quei tempi, in giro ce n’erano molti:
le guerriglie e le brevi scaramucce locali ne lasciavano dietro di sé a decine,
buttati in posizioni scomposte in mezzo alla strada, con il vento gelido che
spazzava i loro corpi immobili, imbiancandoli di brina. L’unica cosa che li
distingueva dagli orfani era che i bambini vagavano da soli; come fantasmi,
come il piccolo Adam, mentre di morti ne cadevano sempre in gruppi più
numerosi.
Gli orfani si buttavano ai cigli delle strade, appoggiati
a muri: i pochi dietro ai quali si nascondevano gli ultimi scampati alla guerra
e al suo sterminato carico di morte. Quelle famiglie volevano andare avanti a
tutti i costi, tenere per sé tutto quello che avevano e vivere nell’egoismo
fino … fino a quando? Nemmeno loro lo sapevano.
Vivevano da mesi barricati in quelle che un tempo erano
state le loro lussuose dimore, tappati come assediati. Ma sapevano che non
sarebbe durato. Prima o poi gli orfani e i vagabondi li avrebbero attaccati,
per prendere tutto quel poco che avevano. Quello che un tempo era poco, una
miseria; adesso era un dono. Ma i ricchi erano fatti così.
Perché solo quelli che un tempo erano ricchi avevano
ancora qualcosa. Erano diventati poveri, e dei poveri di un tempo non ne erano
più rimasti.
Faceva troppo freddo, loro avevano troppa fame. Alla fine
cadevano uno dopo l’altro come mosche, accasciati ai cigli delle strade. Gli
orfani morivano lì: tutto quello che potevano fare era appoggiarsi ai muri
della case ricche, lasciarsi attraversare da quel calore così lontano, ma che
all’interno bruciava vivo.
Adam aveva picchiato i pugni su tutte le porte, su tutte
le finestre sbarrate. Ormai sapeva che nessuno gli avrebbe aperto. Nessuno voleva
una bocca in più da sfamare, nessuno voleva dividere il loro calore con lui.
Tutto quello che Adam desiderava era un fuoco, un po’ di calore per poter
resistere ancora una notte. La giornata successiva veniva dopo, l’importante
era pensare al momento presente. Anche solo guardare all’immediato futuro era
uno spreco di energie.
La notte intanto incombeva, e se Adam avesse avuto ancora
sensibilità in corpo, si sarebbe accorto che la temperatura era diminuita di nuovo.
Ancora di più.
Ma ormai Adam erano mesi che non sentiva nulla, mesi che
i suoi polmoni non respiravano altro che sottili fiocchi di neve insieme
all’aria pungente. Erano mesi che non vedeva un fuoco, si scaldava mettendo in
moto il corpo, ma ormai quello non bastava più. Adam non aveva più nemmeno la
forza di rimettersi in moto. Avanzava per inerzia, lungo una strada
acciottolata dove il selciato era coperto di fanghiglia.
Non la conosceva. Non vi aveva mai vagato, ma forse anche
sì, con la guerra e il freddo le vie diventavano tutto uguali. Servivano solo a
cercare un po’ di calore. I primi tempi Adam sperava ancora di trovare qualcuno
ad accoglierlo, ma con il tempo quella luce si era spenta. Era stato il vento
gelido a farlo. Quella vita aveva spento in Adam ogni speranza per andare
avanti. La speranza è l’ultima a morire, certo, ma quando muore anche quella …
Ci si ritrovava come Adam, di nuovo in giro come un vagabondo
nei suoi abiti stracciati e sottili, che si gonfiavano come una bandiera sotto
il vento gelido di quell’inverno.
Adam si sentiva peggio del solito. Batteva i denti, la
testa si era fatta pesante, e soprattutto tremava vistosamente. Sembrava che
quel vento gelido lo avrebbe spazzato via da un momento all’altro. Era una
sottile banderuola in mezzo ad una tempesta.
“Sto cominciando a sentire il freddo”, si disse, cercando
invano di scaldarsi abbracciandosi il corpo. Era una sensazione strana: le mani
non avevano sensibilità, non riusciva a muoverle, e sulla pelle sembrava che
fossero quelle di un estraneo. Non era per niente piacevole.
I suoi passi si facevano sempre più lenti, e i suoi piedi
sembravano sempre più pesanti, come se fossero fatti di piombo.
“Non va per niente bene …” pensò il ragazzino,
guardandosi intorno. Sembrava che anche la vista gli si stese appannando. La
via era completamente silenziosa, escluso il sinistro sibilo del vento e il
rumore dei passi di Adam nella fanghiglia. In giro non c’era un anima; tutte
avevano ormai abbandonato quegli sparuti cadaveri, che Adam evitava
metodicamente lungo la sua strada.
Aveva imparato a sopportare la vista di tutti quei morti,
ma quel giorno non riusciva a controllarsi: si sentiva l’affanno, tremava in
modo esagerato. I volti distorti e scarni dei cadaveri lo terrorizzavano come
se fosse stato al suo primo vagabondaggio, gli facevano una paura mai provata
prima.
Senza accorgersi aveva preso a camminare più velocemente,
ma non si sentiva per niente meglio. Si sentiva osservato, come se quegli occhi
immobili lo seguissero, e fossero ancora vivi. Gli sguardi dei morti erano più
agghiaccianti di ogni freddo avesse mai provato. Terrorizzato, Adam raggiunse
una rientranza, da cui non si vedeva la strada. Era tutto quello che voleva:
lasciarsi alle spalle quegli occhi spaventosi, quei corpi mutilati.
Si accucciò e scivolò fino in fondo alla rientranza. Con
estrema fatica raccolse la gambe al petto: se c’era una cosa che ancora
sentiva, oltre alla paura, era il dolore; le sue gambe erano poco più sensibili
delle mani, ma lanciavano stilettate di dolore allucinanti.
Adam strinse tra i
denti un forte urlo, poi lasciò ricadere il capo indietro, appoggiato al muro.
I suoi occhi si chiusero praticamente da soli.
Adam era ancora sveglio, sapeva che non poteva
permettersi di addormentarsi.
Prima doveva trovare una fonte di calore, anche sottile:
se la sarebbe fatta bastare.
Ma la sua mente si rifiutava di ragionare, il suo corpo
si era rilassato e abbandonato al gelo. Tutta la sua coscienza gli diceva di
alzarsi, ma il corpo era allo stremo: non ce la faceva più. Anche respirare era
diventato difficoltoso.
Adam fu accolto da un pesante buio impenetrabile. Non
riusciva a far reagire il proprio corpo, era come un leone chiuso in una
gabbia: all’interno si agitava e ringhiava, ma le sbarre della gabbia erano
troppo forti anche per lui. E, quasi per caso, anche fredde, gelide.
Per la prima volta dopo tanto, Adam sentì un vero calore,
qualcosa sul suo viso. Una sottile lacrima lasciava la sua scia sul viso
pallido del ragazzino, dandogli la sensazione di calore. Dalla gola di Adam
scappò un gemito, ma poi nient’altro.
Per lui respirare era diventato toppo difficile, troppo
doloroso. Lasciò ricadere la testa sul petto, pesantemente. Il suo corpicino
esile ricadde abbracciato su sé stesso, immobile, mentre il vento gelido gli
gonfiava la camicia.