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Autore: Dreaming_Archer    21/12/2010    4 recensioni
In un tempo e un luogo sconosciuti, alcuni istanti della vita di un orfano che vive nel freddo e nella tristezza di chi è solo e non ha più nulla da perdere.
Genere: Guerra, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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il gelido inverno

Il gelido inverno.

Freddo.

Quel freddo che ti entra nelle ossa, ti accarezza il cuore con un tocco così gelido che sembra un brivido.

Ma ormai per lui il freddo non era più freddo. Ormai era diventato normale, come respirare, dormire. Un normale che non stupisce nemmeno più.

E’ il caldo a stupire, a far venire il batticuore, a far continuare ad andare avanti. Sperando in qualcosa di caldo, si supera il freddo. Era questo in cui credevano gli orfani, questo ciò che sapevano della vita. Ma la verità è solo che il freddo alla fine diventa normale. Per questo non stupiva più, per questo non faceva più così male. E in un certo senso era anche un bene, perché è l’abitudine che trasforma la sofferenza di un giorno; in quella di un mese, e poi in quella di due, finché non diventa la sofferenza di una vita intera.

Era stata la guerra a trasformare tutto: la solita normalità era diventata un incubo quotidiano, di quelli ricorrenti; che tutte le notti ritornano. Andando avanti con i giorni, le settimane, alla fine l’incubo non fa più nemmeno paura. Ma la differenza era che l’incubo lo si vive con gli occhi chiusi, e non esiste; mentre quella era la vita vera.

I genitori di Adam erano  morti da più di un mese, era la guerra che li aveva strappati al loro piccolo figlio di appena dieci anni.

In quei mesi il ragazzino era cresciuto in modo impressionante. Nemmeno la sua mamma, se lo avesse visto in quel momento, non lo avrebbe riconosciuto subito. Era dimagrito visibilmente, il volto scavato come quello di un vecchio. Se solo non avesse avuto gli occhi ancora lucidi e vispi, sarebbe stato difficile distinguerlo da un cadavere.

E di cadaveri, di quei tempi, in giro ce n’erano molti: le guerriglie e le brevi scaramucce locali ne lasciavano dietro di sé a decine, buttati in posizioni scomposte in mezzo alla strada, con il vento gelido che spazzava i loro corpi immobili, imbiancandoli di brina. L’unica cosa che li distingueva dagli orfani era che i bambini vagavano da soli; come fantasmi, come il piccolo Adam, mentre di morti ne cadevano sempre in gruppi più numerosi.

Gli orfani si buttavano ai cigli delle strade, appoggiati a muri: i pochi dietro ai quali si nascondevano gli ultimi scampati alla guerra e al suo sterminato carico di morte. Quelle famiglie volevano andare avanti a tutti i costi, tenere per sé tutto quello che avevano e vivere nell’egoismo fino … fino a quando? Nemmeno loro lo sapevano.

Vivevano da mesi barricati in quelle che un tempo erano state le loro lussuose dimore, tappati come assediati. Ma sapevano che non sarebbe durato. Prima o poi gli orfani e i vagabondi li avrebbero attaccati, per prendere tutto quel poco che avevano. Quello che un tempo era poco, una miseria; adesso era un dono. Ma i ricchi erano fatti così.

Perché solo quelli che un tempo erano ricchi avevano ancora qualcosa. Erano diventati poveri, e dei poveri di un tempo non ne erano più rimasti.

Faceva troppo freddo, loro avevano troppa fame. Alla fine cadevano uno dopo l’altro come mosche, accasciati ai cigli delle strade. Gli orfani morivano lì: tutto quello che potevano fare era appoggiarsi ai muri della case ricche, lasciarsi attraversare da quel calore così lontano, ma che all’interno bruciava vivo.

Adam aveva picchiato i pugni su tutte le porte, su tutte le finestre sbarrate. Ormai sapeva che nessuno gli avrebbe aperto. Nessuno voleva una bocca in più da sfamare, nessuno voleva dividere il loro calore con lui. Tutto quello che Adam desiderava era un fuoco, un po’ di calore per poter resistere ancora una notte. La giornata successiva veniva dopo, l’importante era pensare al momento presente. Anche solo guardare all’immediato futuro era uno spreco di energie.

La notte intanto incombeva, e se Adam avesse avuto ancora sensibilità in corpo, si sarebbe accorto che la temperatura era diminuita di nuovo. Ancora di più.

Ma ormai Adam erano mesi che non sentiva nulla, mesi che i suoi polmoni non respiravano altro che sottili fiocchi di neve insieme all’aria pungente. Erano mesi che non vedeva un fuoco, si scaldava mettendo in moto il corpo, ma ormai quello non bastava più. Adam non aveva più nemmeno la forza di rimettersi in moto. Avanzava per inerzia, lungo una strada acciottolata dove il selciato era coperto di fanghiglia.

Non la conosceva. Non vi aveva mai vagato, ma forse anche sì, con la guerra e il freddo le vie diventavano tutto uguali. Servivano solo a cercare un po’ di calore. I primi tempi Adam sperava ancora di trovare qualcuno ad accoglierlo, ma con il tempo quella luce si era spenta. Era stato il vento gelido a farlo. Quella vita aveva spento in Adam ogni speranza per andare avanti. La speranza è l’ultima a morire, certo, ma quando muore anche quella …

Ci si ritrovava come Adam, di nuovo in giro come un vagabondo nei suoi abiti stracciati e sottili, che si gonfiavano come una bandiera sotto il vento gelido di quell’inverno.

Adam si sentiva peggio del solito. Batteva i denti, la testa si era fatta pesante, e soprattutto tremava vistosamente. Sembrava che quel vento gelido lo avrebbe spazzato via da un momento all’altro. Era una sottile banderuola in mezzo ad una tempesta.

“Sto cominciando a sentire il freddo”, si disse, cercando invano di scaldarsi abbracciandosi il corpo. Era una sensazione strana: le mani non avevano sensibilità, non riusciva a muoverle, e sulla pelle sembrava che fossero quelle di un estraneo. Non era per niente piacevole.

I suoi passi si facevano sempre più lenti, e i suoi piedi sembravano sempre più pesanti, come se fossero fatti di piombo.

“Non va per niente bene …” pensò il ragazzino, guardandosi intorno. Sembrava che anche la vista gli si stese appannando. La via era completamente silenziosa, escluso il sinistro sibilo del vento e il rumore dei passi di Adam nella fanghiglia. In giro non c’era un anima; tutte avevano ormai abbandonato quegli sparuti cadaveri, che Adam evitava metodicamente lungo la sua strada.

Aveva imparato a sopportare la vista di tutti quei morti, ma quel giorno non riusciva a controllarsi: si sentiva l’affanno, tremava in modo esagerato. I volti distorti e scarni dei cadaveri lo terrorizzavano come se fosse stato al suo primo vagabondaggio, gli facevano una paura mai provata prima.

Senza accorgersi aveva preso a camminare più velocemente, ma non si sentiva per niente meglio. Si sentiva osservato, come se quegli occhi immobili lo seguissero, e fossero ancora vivi. Gli sguardi dei morti erano più agghiaccianti di ogni freddo avesse mai provato. Terrorizzato, Adam raggiunse una rientranza, da cui non si vedeva la strada. Era tutto quello che voleva: lasciarsi alle spalle quegli occhi spaventosi, quei corpi mutilati.

Si accucciò e scivolò fino in fondo alla rientranza. Con estrema fatica raccolse la gambe al petto: se c’era una cosa che ancora sentiva, oltre alla paura, era il dolore; le sue gambe erano poco più sensibili delle mani, ma lanciavano stilettate di dolore allucinanti.

Adam strinse tra  i denti un forte urlo, poi lasciò ricadere il capo indietro, appoggiato al muro. I suoi occhi si chiusero praticamente da soli.

Adam era ancora sveglio, sapeva che non poteva permettersi di addormentarsi.

Prima doveva trovare una fonte di calore, anche sottile: se la sarebbe fatta bastare.

Ma la sua mente si rifiutava di ragionare, il suo corpo si era rilassato e abbandonato al gelo. Tutta la sua coscienza gli diceva di alzarsi, ma il corpo era allo stremo: non ce la faceva più. Anche respirare era diventato difficoltoso.

Adam fu accolto da un pesante buio impenetrabile. Non riusciva a far reagire il proprio corpo, era come un leone chiuso in una gabbia: all’interno si agitava e ringhiava, ma le sbarre della gabbia erano troppo forti anche per lui. E, quasi per caso, anche fredde, gelide.

Per la prima volta dopo tanto, Adam sentì un vero calore, qualcosa sul suo viso. Una sottile lacrima lasciava la sua scia sul viso pallido del ragazzino, dandogli la sensazione di calore. Dalla gola di Adam scappò un gemito, ma poi nient’altro. 

Per lui respirare era diventato toppo difficile, troppo doloroso. Lasciò ricadere la testa sul petto, pesantemente. Il suo corpicino esile ricadde abbracciato su sé stesso, immobile, mentre il vento gelido gli gonfiava la camicia.

  
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