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Autore: thembra    21/12/2010    7 recensioni
...Quella corolla era l’amore che c’era stato e che tutt’ora esisteva fra la donna più insolente e indifferente che lui avesse mai conosciuto e suo padre...
Sia lui che Inuyasha non avrebbero mai più potuto dimenticare le ultime parole esalate dalle labbra del loro fiero padre morente.
Tre, e tutte uguali.
Rin…Rin…rin
Genere: Erotico, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Rin, Sesshoumaru
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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 Un improvviso raggio di sole lo colpì agli occhi costringendo Sesshomaru a calarsi gli occhiali da sole dalla fronte intanto che rallentava in prossimità di un incrocio scalando le marce mentre ascoltava distratto le note dell’ultima canzone dell’ennesima idol del momento.
Sul sedile posteriore della sua berlina nera i bianchi petali di un mazzo di gigli vibravano alla leggera brezza che entrava dal finestrino abbassato, il largo fiocco blu che ne legava gli steli cadeva pesantemente sulla pelle del rivestimento.
Mosse leggermente il volto notando che da oltre la curva si incominciavano a vedere le cime dei verdi cipressi che circondavano l’area del cimitero, immobili e imponenti giganti  muti che vegliavano le tombe di coloro che li vi erano sepolti.
Parcheggiò nell’enorme piazzale cementato nel quale in prossimità delle varie entrate stavano delle bancarelle di fiori e le fontane per il rifornimento d’acqua, attraversò il piazzale prendendo il mazzo di fiori verso l’entrata numero 3 dalle alte e lucide colonne in marmo chiaro sulle quali rampicava dell’edera dalle foglie ramate.
 
Raggiunse la tomba che gli interessava soffermandosi a guardare l’immagine nella foto e le date incise sulla lastra che definivano nascita e morte trovando tutto assurdo.
Suo padre non poteva essere morto per davvero, gli esseri come lui non potevano morire, non potevano sparire dal mondo in maniera così stupida e ogni giorno aspettava di vederlo entrare dalla porta di casa con la sua 24 ore in mano stressato dall’ufficio ma di buon umore, voleva vederlo per parlargli, per litigare con lui e criticare la sua scelta voleva urlargli contro di lasciar perdere la donna con la quale usciva perché non era come loro voleva…
Chiuse gli occhi sospirando di una sconfitta morale che bruciava come sale nella ferita.
Voleva chiedergli perdono e che fosse vivo.
 
Erano passati 17 mesi dalla sua morte e il tempo sembrava essersi fermato fermando così anche il loro vivere.
In quella lussuosa villa antica che era stata la loro dimora negli ultimi sessant’anni niente era più come prima.


Poggiò a terra un ginocchio sistemando il mazzo di gigli sulla lucida superficie levigata della tomba costruita col più pregiato dei marmi naturalmente abbellito dalle finissime venature rosate uniche della terra dal quale era stato importato, la lontanissima Italia.
Come al solito i fiori non mancavano e c’erano una decina di vasi tenuti sempre pieni di boccioli freschi e costosi, c’erano i biglietti lasciati dai cari amici del defunto Taisho, l’epitaffio che ricordava il suo buon cuore e l’eroica morte che aveva trovato e proprio vicino alla foto che lo ritraeva in un mezzo sorriso c’era un vaso di cristallo alto e sottile che poteva ospitare solo un fiore tanto era stretto, e da esso spuntava sempre uno stelo scuro il cui fiore molto particolare era costituito da uno sperone uncinato paragonato al becco o agli artigli dell’aquila da cui, come aveva letto su di un libro ne derivava il nome…Aquilegia.
 
Sapeva benissimo chi portava quell’insulso fiore selvatico che stonava col pallore dei suoi gigli o l’eleganza delle calle sulla tomba di suo padre ma non aveva il coraggio di toglierlo perché nonostante tutto aveva rispetto per quello che quel bocciolo aveva rappresentato e tuttora esprimeva.
 
Quella corolla era l’amore che c’era stato e persisteva fra la donna più insolente e indifferente che lui avesse mai conosciuto e suo padre, un patto che non si sarebbe mai sciolto, lacrime di quella ragazza innamorata che aveva sopportato i silenzi dei figli del suo compagno e la fredda ipocrisia di una società troppo nobile e snob per poter accettare lei semplice volontaria d’ospedale.
 
Sul libro di fiori che aveva consultato aveva letto che quel tipo di pianta riusciva a vivere anche in montagna, che era del tipo sempreverde e che nei mesi invernali, anche se la parte verde spariva totalmente sotto terra o sotto la neve essa non moriva, anzi, a tarda primavera rifioriva più bella e rigogliosa di prima ammantando del colore del cielo e della notte i prati e i pendii delle montagne ed in un certo senso la stessa cosa faceva colei che la portava su quella tomba.

Quando lei era entrata nella loro vita nessuno l’aveva accettata e non si erano certo fatti problemi a nasconderlo quando sparivano alle cene di famiglia o non si presentavano agli inviti ricevuti ferendo lei nel profondo e deludendo quel loro padre tanto fiero e comprensivo.
Ricordava benissimo le mille scenate che suo fratello Inuyasha non si faceva problemi a scatenare e ricordava di come si fosse sempre, nonostante tutto, trovato d’accordo con lui quando diceva che semmai lei fosse andata a vivere in quella casa loro avrebbero fatto le valigie e ne sarebbero usciti.
  
Ironia della sorte, suo fratello Inuyasha che si era opposto con tutte le sue forze alla nuova compagna di suo padre aveva avuto una bella faccia tosta a comportarsi così dimenticando il fatto che il suo semplice essere al mondo era il risultato dell’identica cosa a cui si stava opponendo; sua madre Izayoi infatti era quella che aveva rimpiazzato la prima e meravigliosa sposa del più forte demone mai esistito nella storia, sua madre e che quello che lui stava facendo non era altro che il ripetersi di una vecchia storia.
 
In quel caso col tempo le cose erano cambiate lui aveva conosciuto Izayoi e in qualche maniera le si era pure affezionato, i modi gentili e la grazia che possedeva quella donna non erano certo doti comuni inoltre l’immensa pazienza con la quale lei aveva atteso un suo assenso lo avevano convinto di quanto fossero seri forti e sinceri i sentimenti che lei nutriva per suo padre, così alla fine era stato lui a cedere e la vita in quella casa era ripartita da zero con una nuova moglie, un nuovo figlio e un nuovo avvenire che si era rivelato sereno per i due coniugi e quasi divertente per lui che col tempo aveva imparato a sopportare e voler bene a quel suo fratello impulsivo ed esagerato, sebbene ci tenesse a mantenere la cosa nascosta.

L’improvvisa malattia della dolce Izayoi che se n’era andata in silenzio un giorno d’autunno aveva spezzato nuovamente l’equilibrio di quell’esistenza lasciando Inuyasha devastato e suo padre tremendamente solo mentre lui…beh, a volte gli mancavano davvero le maniere premurose che più di una volta Izayoi aveva mostrato nei suoi confronti con semplici gesti come preparargli la colazione, aggiustargli il nodo della cravatta o consegnargli al mattino i suoi plichi di documenti perfettamente riordinati e compilati in maniera tale che neanche la più perfetta delle segretarie avrebbe mai potuto fare.
 
 
Erano passati due anni soltanto dalla morte di Izayoi e dall’ultimo sorriso di suo padre quando di colpo, all’inizio di una nuova primavera egli aveva ricominciato a canticchiare la mattina in macchina e aveva ripreso ad uscire certe sere rientrando tardi per essere al massimo della forma il mattino successivo; non c’era voluto molto per capire che c’era una nuova donna e ancora meno per vederla dal momento che nemmeno tre settimane dopo la sua terza rinascita Inu no Taisho l’aveva portata a casa con sé dopo il lavoro e l’aveva presentata alla famiglia riunita a tavola per cena come la sua nuova compagna.
 
Sorrise d’amarezza al ricordo del casino che ne uscì.
Lanciò un ultima occhiata al cielo limpido di quel giorno prima di voltarsi e far ritorno all’automobile.
 
Schiacciando il pulsante d’apertura automatica della macchina prese posto alla guida guardando oltre al parabrezza verso il centro del grande parcheggio tutte le persone che andavano a far visita ai loro cari perduti, vedeva le vecchie vedove comperare per i loro mariti piante in vaso che sarebbero durate almeno fino alla loro prossima venuta, e inevitabilmente finiva con l’immaginarsi lei, giovane e bella attraversare lo spiazzo con il suo fiore in mano tenuto a testa in giù per evitare che si spezzi chiedendosi ogni quanto andasse li, che cosa pensasse nel rimirare l’enigmatica foto del suo amato e come si potesse sentire una volta uscita…
 
Non l’aveva più vista dal giorno del funerale e forse il suo grande rimpianto era il modo in cui lui e Inuyasha l’avevano abbandonata.
Non si era mai reputato un immaturo ma il modo in cui si erano comportati sia lui che suo fratello era stato proprio infantile oltre che crudele; non le avevano nemmeno comunicato la morte di Taisho lasciando che se ne accorgesse da sola all’indomani quando sarebbe andata a fargli visita, non le avevano riservato un posto a sedere in chiesa e nemmeno stretto la mano per consolarla quando l’avevano vista in fondo alla navata scossa da silenziosi e strazianti singhiozzi trattenuti a forza per rispetto del loro dolore.


Si erano comportati come se lei non fosse mai esistita e ora, dopo tutto quel tempo passato lui se ne pentiva.
C’era arrivato anche Inuyasha a quella conclusione ed insieme, si erano recati all’appartamento in cui viveva lei trovandolo affittato ad una coppia di neo sposini che non avevano saputo dir loro nulla su dove potesse essere andata.
 
Il rimorso che sentiva dentro, era dovuto soprattutto al dolore che era conscio d’aver arrecato al cuore di suo padre che per lei aveva pulsato di sincero amore e devozione.
Sia lui che Inuyasha non avrebbero mai più potuto dimenticare le ultime parole esalate dalle labbra del loro fiero padre morente.
Tre, e tutte uguali.
 
“Rin…Rin…rin”
 
Il demone più potente che la storia avesse mai conosciuto era spirato al morir dell’estate invocando il nome di una donna umana.
 

  
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