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Autore: hypatia_of_alexandria    24/12/2010    11 recensioni
'(...)Quell'anno la scelta del tema per la recita della scuola per l'infanzia 'Sunflowers', l'asilo frequentato da Hotaru, era caduta su 'A Christmas Carol' di Dickens. Ovviamente la storia era stata adattata a una recita per bambini, le aveva spiegato Michiru che aveva partecipato attivamente a ideazione, creazione e lavorazione dello spettacolo - anche i disegni della scenografia, ne aveva preso atto, erano suoi.
Haruka, dal canto suo, si era trovata un po' in difficoltà: perchè tolta la faccenda dei fantasmi, della storia di Dickens non ricordava granché. (...)'
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Hotaru/Ottavia, Michiru/Milena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Piccola nota introduttiva: la storia è legata ai personaggi di 'The Steadfast Tin Soldier', ma slegata dai contenuti della fic.
Ovvero: il Natale sarà trattato anche di là, ma più avanti e in maniera diversa da quanto raccontato qui.
Questo è un piccolo regalo che ho deciso di scrivere per ripagare tutte le persone che da quasi un anno sto ammorbando con la mia storia :D
Felice Natale :D (per gli auguri, anche QUI)
Saludos,
H.

DISCLAIMER: Il titolo è ispirato da "The Steadfast Tin Soldier" ("Il Soldatino di Stagno" o "Il Soldatino di Piombo"), che appartiene a H.C Andersen; fanfic ispirata a 'A Christmas Carol' ('Il canto di Natale') di Charles Dickens; Haruka e Michiru appartengono all'immensa Naoko Takeuchi, NON a me. Di mio c'è solo tutto ciò che la mia mente sta partorendo con sudore :D


Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

The Steadfast Tin Soldier Christmas Special

Ebenezer

"[...]Anch'egli, in fondo al cuore rideva: e gli bastava questo e non chiedeva altro."
(Charles Dickens, 'A Christmas Carol')"



Accademia Militare degli Stati Uniti
West Point, Contea di Orange,
New York,
23 Dicembre 1996

Distesa sul letto, le braccia incrociate sotto la testa, rimirava gli strani giochi di luce che dalla piccola finestra si proiettavano irregolari sul soffitto. Strane forme in continua evoluzione, che rimbalzavano leggere tra le pareti e scivolavano fuori, all'esterno, alla luce di un sole sempre più pallido nonostante fossero poco più delle due.
Una scia di luce colpì la valigia vuota, abbandonata sotto il tavolino che usava da scrivania quando decideva che le lamentele dei professori erano arrivate al giusto punto di saturazione, a cavallo tra note disciplinari e un richiamo del Generale tuonato nella cornetta del telefono. Ascoltò il rumore di un'auto, e delle risate. Quindi il silenzio si adagiò sul letto per poi sparire sotto la porta serrata con due mandate, perdendosi nel corridoio privo di rumori che portava alle camerate semi-deserte.
Dagli anfibi si era staccato un pezzo di terriccio secco, che era finito direttamente sopra la coperta di lana grezza della sua branda. Decise di alzarsi gettando le gambe al di là del materasso, dal lato della finestra. Rimase per un secondo così, la testa lievemente piegata a guardare lo spazio tra i suoi piedi, tirando su con il naso mentre un lieve sospiro lasciava le sue labbra contro la sua volontà.
Avvicinò l'imposta appena abbassata, dove il viottolo d'ingresso alle camere studenti di West Point era stato ripulito del manto nevoso che comunque ingombrava ancora i lati, imbiancando gli spazi verdi che circondavano la struttura.
Si era accorta della neve quando, decisa ad arrendersi ad un'altra notte priva di sonno, si era accostata alla finestra scorgendo nel fascio di luce di un lampione un nugolo di cristalli danzanti. Ed era rimasta lì, davanti al vetro, ad osservare i fiocchi di neve diventare dieci, cento, migliaia. E in un batter d'occhio ricoprire il cortile, gli spazi erbosi, i tetti della palestra e del refettorio. Piegare le fronde degli alberi e avvolgere tutto in un quieto, morbido silenzio.
E mentre il candido manto cresceva, uno sfocato ricordo si era affacciato nella sua mente: un albero nella grande sala. Un morbido orsacchiotto di peluche. E i fiocchi di neve che si posavano nel patio, con Emily che le diceva tenendola in braccio 'Guarda tesoro, hai visto com'è bella la neve?'
Era vero, si disse, che la neve era bella.
La neve copriva e trasformava. E le aveva dato la breve, dolorosa illusione di essere finita in un mondo incantato animato da cristalli di ghiaccio. Un mondo dove sarebbe potuta correre fuori a rotolarsi in quel mare intonso, mangiando i fiocchi cadenti dal cielo.
Un lieve bussare la riscosse dai suoi pensieri insieme alla voce che la chiamava, il pomello della porta che girava nel vano tentativo di spalancarla.
Coprì in pochi passi la distanza che la separava dal battente; sull'uscio rispose all'attenti di un capo-camerata. "C'è una telefonata per te." Gli comunicò il ragazzo dal cranio rasato. "L'hanno passata alla portineria, di sotto."
Haruka non disse niente, limitandosi ad annuire. Si richiuse la porta alle spalle, avviandosi lungo il corridoio privo di ogni presenza umana salvo la propria. In fondo incontrò le scale, e discese forse più velocemente di quanto volesse le sei rampe che l'avrebbero portata all'ingresso dei dormitori; infilò una porta sulla destra, ritrovandosi nel corridoio di raccordo all'edificio parallelo, quello in cui si trovavano gli uffici e dove avrebbe trovato anche la portineria.
"Haruka Tenou." Comunicò allo svogliato inserviente protetto dal vetro, che dopo averle fatto firmare un registro le indicò un punto alla sua sinistra. La cornetta era posata accanto al telefono, su una mensolina in legno.
"Sì." Annunciò la propria presenza quando ebbe il ricevitore all'orecchio.
'Ciao, ragazzina.'
Riconobbe la voce, e rimase in silenzio. Che sciocca. Che illusa, perché nonostante tutto aveva sperato fosse Takeshi. Aveva sperato che fosse suo padre a chiamarla, per dirle che la stava venendo a prendere.
Idiota. Idiota. Idiota!
"Che vuoi, Crawford?" Il tono brusco cementò il muro che innalzò tra lei e l'uomo dall'altro capo del telefono; il muro che sperò arginasse le lacrime che sentiva pizzicarle gli angoli degli occhi.
'Speravo mi dicessero che eri tornata a casa, e che non fossi più lì.'
"Il Generale è in Afghanistan." Comunicò in tono piatto. Sentì un lieve sospiro.
'Tra due giorni è Natale, Haruka.'
"Lo so. Ma non cambia niente." Fu la sua replica secca. Sarebbe stato più corretto dire 'Non m'importa niente', ma non ci riuscì. Riuscì, invece, a mentire. "Mi va bene stare qui." E' giusto che io stia qui.
Per un momento il Tenente Crawford non parlò. 'Senti, ho controllato i voli.' Disse allora. 'Potrei essere all'Accademia per stasera, e potremmo ripartire con quello immediatamente successivo.' Fece una pausa. 'Potremmo passare il Natale insieme, Haruka, che ne dici?'
Haruka sgranò appena gli occhi, sorpresa.
'Anche mia moglie è d'accordo.' Continuò a dirle Holden anche se era una bugia, perché a Ginevra l'idea di tenersela in casa non andava affatto bene dal momento che ci sarebbero stati i suoi genitori e le sue sorelle e il suo Natale doveva-essere- perfetto, senza elementi dissonanti come la figlia adolescente di un uomo troppo impegnato per occuparsene.
Haruka aprì le labbra. Le richiuse. Non lo sopportava. Non voleva.
"Io non voglio la tua pietà." Ringhiò tra i denti. Uno schiocco di labbra risuonò nella cornetta.
'Non è pietà.' Provò a obiettare l'altro. 'Nessuno si merita di passare il Natale da soli, Har-'
"Io non ho bisogno di te!" Ruggì, le dita che stringevano in maniera spasmodica il ricevitore. "Io non ho bisogno di nessuno, hai capito? Di niente e di nessuno!"
Riagganciò furiosa la cornetta, che rimbalzò sul telefono cadendo al di là della mensola. Il rimprovero dell'inserviente si infranse sulla sua schiena mentre con i pugni chiusi, le unghie nel palmo a creare un doloroso sollievo alla rabbia che le era esplosa in testa, attraversava il corridoio con passi così veloci che dovette forzarsi a non mettersi a correre.
Si portò il dorso della mano al viso e in un gesto rabbioso asciugò la lacrima che era scappata dagli occhi, salendo le scale a due a due per potersi rintanare nella solitudine della sua stanza.
Nella solitudine del suo cuore, l'unico luogo dove sperò potesse trovare sollievo.

*

Operazione "Iraqi Freedom"
4th Infantry Division Headquarter,
Tikrit,
Iraq,
20 Dicembre 2006

Aveva impilato con cura i dispacci arrivati da Fallujah, intenzionata ad occuparsene in un secondo momento dal momento che la priorità era per alcuni documenti altamente confidenziali consegnati quella stessa mattina da Baghdad e che probabilmente riguardavano la gestione - o meglio, il trattamento - dei diversi prigionieri sotto il suo controllo, inevitabile risultante delle varie operazioni 'Search and Destroy'.
Accantonò quindi i fogli, appoggiandoli sopra alti plichi contenenti i vecchi dispacci da archiviare, spostando nello spazio libero davanti a sé le buste gialle timbrate e sigillate dal comando centrale di Baghdad. E stava aprendo la prima quando qualcuno bussò alla porta del suo ufficio: all' invito ad entrare, la zazzera scura di Richard aveva fatto capolino nella stanza, seguito dal resto del corpo che si era messo subito nella rigida posizione dell'attenti. Stranamente, Haruka non fu sorpresa di vedere quel ragazzo che, per motivi che ignorava, sembrava trarre enorme piacere nel romperle quotidianamente le scatole.
"Riposo." Gli concesse. "Cosa c'è, Banks?" Chiese quindi distrattamente senza nemmeno guardarlo, sfilando il documento dalla busta. Non vide, perciò, l'enorme sorriso che si allargò sul volto di quello. "Abete rosso canadese."
Haruka non processò subito la frase; inarcò un sopracciglio quando lo fece, alzando lo sguardo dai fogli che teneva in mano per dare attenzione al suo sottoposto. Con un sospiro infilò il report sotto la busta che l'aveva contenuto, incrociando poi le mani sulla scrivania piena di dispacci, penne, raccoglitori che nascondevano la lampada da tavolo e avevano spostato leggermente la targhetta con su scritto 'Major Tenou, H.', in quello che Haruka amava definire un ordinato caos.
"Abete rosso canadese." Ripeté, e Richard annuì. "E' un cazzo di indovinello?"
Il ragazzo rimase interdetto, il sorriso che lasciò posto a una lieve espressione corrucciata. "No. E' il nostro albero di Natale, Signore."
Haruka piegò appena il capo di lato. "Un albero di Natale?"
"Già." Il volto di Banks tornò ad illuminarsi. "L'ha mandato da Seattle un'associazione di veterani." Annuì convinto, prima di continuare. "E' per noi, Signore."
Albero. Di. Natale.
Il soldato semplice Richard Banks era invasato dello spirito di un bambino di tre anni per un cazzo di albero di Natale, non riuscì a non pensare. Lo guardò senza particolari emozioni sul viso. "Mi sfugge il perché del tuo entusiasmo, Banks."
Quello allargò le braccia. "Perché tra cinque giorni è Natale, Maggiore." Le spiegò. "E noi siamo qui, lontani dalle nostre famiglie." Abbassò un attimo gli occhi, prima di cercare nuovamente il suo sguardo. "L'albero è festa."
Haruka preferì non replicare. Richard rimase pensoso per un istante, forse aspettandosi una qualsiasi forma di comunicazione da lei che puntualmente non arrivò. "L'abbiamo messo nella mensa, e abbiamo già iniziato ad addobbar-"
"Tra un'ora due squadre devono partire per la ricognizione del quadrante est." Proruppe in tono asciutto. "E ci sono le turnazioni della ronda del campo." Fece una pausa. "Qui non si gioca ai piccoli aiutanti di Babbo Natale, Banks."
Ma Richard fece un passo avanti, muovendo la testa in cenno di diniego. "Signornò, Maggiore." Convenne. "Ognuno sta partecipando nei ritagli di tempo, senza interferire con il regolare andamento delle operazioni della squadra."
Haruka schioccò le labbra. "Voglio sperare."
Richard rimase in silenzio. "Lei scende?" Chiese dopo un attimo.
"Prego?" Non seppe se fosse riuscita a nascondere la sorpresa. Suppose di no.
Quel sorriso da bambino tornò a far capolino sulle labbra del giovane. "Viene anche lei ad addobbarlo, Signore?"
"Non sono un cazzo di elfo." Schiantò ogni entusiasmo del ragazzo. "Ho altro da fare, qui. Non so se te ne sei accorto, Banks."
"Ma si tratta di pochi minuti." Le apparve deluso. "Siamo in tanti, e ognuno ci sta mettendo qualcosa di proprio, Signore." Una lieve risata gli affiorò alle labbra. "Jerome ci ha messo le foto della figlia. Wald una scatolina di latta che gli ha regalato un bambino del centro accoglienza." Fece una lunga pausa. "Io pensavo di metterci il disegno che mi ha fatto mia nipote Natalie. Si ricorda di mia nipote Natalie, Signore?"
Haruka roteò gli occhi. Sant'Iddio ti prego no.
"Vede, a casa mia il Natale è proprio un evento." Stava continuando a raccontarle, le mani che erano finite incrociate dietro la schiena. "Si riunisce tutta la mia famiglia. Vengono i fratelli di mia madre dal Michigan, e a volte anche nonno Arthur dall'Hampshire." Un pensiero sembrò colpirlo all'improvviso. "Non il New Hampshire, Maggiore, ma proprio l'Hampshire inglese." Tornò a sorridere. "E da quando c'è Nat è un vero spasso, perché l'albero è davvero pieno di regali e io subito dopo cena mi vesto da Babbo Natale ed entro in casa dicendo-"
"Chi se ne frega?" Lo interruppe Haruka, finalmente in grado di fermare quell'amarcord che stava pericolosamente urtando i suoi nervi. Richard era interdetto. "Uhm, no, Signore." Disse piano. "Veramente era 'Buon Natale'."
Il silenzio che seguì fu fonte di notevole imbarazzo per Richard, Haruka che lo fissava dritto negli occhi e un'aria sul volto che lasciava nemmeno troppo sottintendere un chiaro e semplice 'te ne vai?'.
"Non-" Iniziò allora. "Non vuole proprio scendere, Signore?"
"Ho ispezioni da assegnare." Lo sguardo era tornato a concentrarsi su una serie di fogli estratti da una pila di omologhi. "Ricognizioni da organizzare. Convogli da proteggere. Per me il Natale è un giorno come un altro, Banks."
"Va bene, Signore." Fu la risposta dell'altro dopo un lungo momento di silenzio, mettendosi sull'attenti. "Buona giornata, Signore."
Lo sguardo di Tenou non lasciò mai i documenti mentre lui arretrava per attraversare l'uscio, chiudendo la porta quando fu fuori dall'ufficio del Maggiore.
Come si poteva essere così totalmente insensibili? Si chiese uscendo dalla palazzina e attraversando il campo, dove l'aria calda e i suoi commilitoni in maniche corte stonavano decisamente con l'atmosfera natalizia che invece saturava la sala mensa, risate e imprecazioni che facevano da colonna sonora alle operazioni di addobbo dell'Abete Rosso Canadese arrivato a sorpresa qualche ora prima. Non comprendeva tutto quel cinismo, continuò a pensare, anche se doveva esserci un motivo per spingere il Maggiore Tenou a comportarsi in quel mo-
"Ehy Richard!" Chiamò uno quando lo vide, scendendo dalla sedia che gli aveva permesso di appendere su una fronda in alto un angioletto fatto di fil di ferro. "Dov'eri finito?"
Strappato alle sue elucubrazioni, si strinse nelle spalle. "Dal Maggiore Tenou. L'ho informato dell'albero."
"Si è incazzato?" Chiese un altro, cercando con il fianco uno dei tavoli su cui consumavano i pasti. Richard scosse la testa. "No." Si fece pensoso. "Non mi è sembrato, almeno."
Il ragazzo che gli aveva posto la domanda annuì distrattamente. Richard continuò. "Gli ho chiesto se voleva venire ad addobbarlo."
Un paio di risate risuonarono nella stanza. "Figurati se il Maggiore Scrooge si fa suggestionare dallo spirito natalizio." Proruppe un altro ancora, e seguì un nuovo scroscio di risa.
Anche un angolo delle labbra di Richard si piegò appena all'insù, perché il soprannome era decisamente azzeccato. Ma la conversazione si era lasciata dietro un non so ché di amaro, valutò mentre avvicinava anche lui l'albero che torreggiava nel centro della mensa, perché il Maggiore Tenou aveva una visione davvero triste del Natale. E si disse che un giorno avrebbe voluto scoprirne il perché.

*

Portsmouth, Virginia,
22 Dicembre,

La palestra iniziava a riempirsi.
Il palco era stato posizionato sulla parete in fondo, proprio sotto il canestro su cui era stato messo un telone di plastica a protezione; di fronte, file precise di sedie nascondevano alla vista il linoleum del pavimento, mentre il flusso di persone che entrava dalle porte antipanico spalancate, portando con sé sparuti fiocchi di neve, prendeva ordinatamente posto. "Io non dovrò sedermi lì, vero?" Domandò Haruka, adocchiando le sedioline la cui ampiezza era inversamente proporzionale alla sua altezza. Michiru rise, lei che continuava: "No, sul serio. Come dovrei starci sopra quegli attrezzi per nanerottoli?"
"Sono normali sedie, Haruka," le fece notare. "Ma se proprio insisti, ti troveremo qualcos altro."
Uno strano verso gutturale lasciò le labbra di Tenou, strappando a Michiru un'ulteriore risata prima di stringerle le dita avvolte nel guanto. "Vado a vedere se hanno bisogno di qualcosa." Ne cercò lo sguardo, alzandosi sulle punte. "Tienimi un posto."
La lasciò con un bacio leggero, avviandosi poi dietro le improvvisate quinte. Haruka roteò gli occhi, e con un lieve sospiro si tolse la sciarpa, appoggiando al braccio il cappotto che si era sfilata . Si fece largo tra genitori intenti a controllare i livelli di batteria di videocamere et similia, in un chiacchiericcio leggero e spensierato che l'accompagnò fino a che non decise che il proprio posto sarebbe stato in una delle file centrali. Posando il doppiopetto nero su una sedia vicina, accomodandosi quindi sollevando appena i pantaloni nell'operazione, non riuscì a non chiedersi dove diavolo avrebbe ficcato le gambe e in che lasso di tempo sarebbero sopraggiunti i primi crampi.
Decise di non pensarci e di dedicare la sua attenzione al palco di cui aveva visuale ottimale: vi campeggiava una scenografia costituita da un grosso pannello su cui erano raffigurati una finestra e un letto a baldacchino.
Tamburellando le dita sul tessuto dei pantaloni, all'altezza del ginocchio, vagò con lo sguardo per l'ambiente: un orologio a parete appeso tra la fila di spalliere e la cavallina l'informò che mancava un quarto alle sette. Un nuovo sospiro lasciò le sue labbra, un angolo delle labbra che si piegarono appena all'insù pensando a quando aveva raccontato a Holden di quella serata, e lui l'aveva guardata per un lungo momento tra il divertito e l'incredulo, chiedendo poi a Michiru se per caso l'avesse sedata. O forse lobotomizzata.
Si riscosse da quel pensiero quando la figura di Michiru fece nuovamente la propria comparsa all'estremità della fila, chiedendo educatamente il permesso di passare ad alcune coppie già sedute e in attesa.
"Tutto a posto." Annunciò fiera quando le fu accanto, porgendole il cappotto che lei posò sopra il suo nella sedia vicino. "C'era solo un problema con il fantasma del Natale futuro, ma abbiamo risolto."
Haruka sorrise, voltandosi verso di lei che proseguì. "Dovrebbe iniziare in orario."
Quell'anno la scelta del tema per la recita della scuola per l'infanzia 'Sunflowers', l'asilo frequentato da Hotaru, era caduta su 'A Christmas Carol' di Dickens. Ovviamente la storia era stata adattata a una recita per bambini, le aveva spiegato Michiru che aveva partecipato attivamente a ideazione, creazione e lavorazione dello spettacolo - anche i disegni della scenografia, ne aveva preso atto, erano suoi.
Haruka, dal canto suo, si era trovata un po' in difficoltà: tolta la faccenda dei fantasmi, della storia di Dickens non ricordava granché. Un giorno aveva fatto una ricerca su Google, spinta da una discreta curiosità che ben si accostava ai dieci minuti della sua pausa caffè; Julianne si era accorta del computer aperto su YouTube e su una serie di video della versione realizzata da Walt Disney. L'aveva presa in giro per giorni.
Osservò Michiru frugare nella borsa, estraendovi una fotocamera compatta.
"Vuoi fare delle foto?"
Lei annuì, sorridendo. "E anche dei video." Aggiunse. Quindi la guardò divertita. "Non dovrei?"
Haruka si strinse nelle spalle. "E' una recita di marmocchi. Si dimenticheranno le battute e faranno un gran casino."
"Ma è questo il bello." L'avvicinò un po', posandole una mano sul ginocchio. "I loro pasticci sono buffi, ma sono anche la dimostrazione del grande impegno che ci mettono." Le labbra si curvarono all'insù quando un pensiero la colpì. "Hotaru mi ha chiesto subito se ci fossi, appena mi ha vista."
Haruka ne cercò lo sguardo. "E' contenta?"
"Certo che lo è." Inclinò appena la testa, il volto addolcito da quel luminoso sorriso. "Tu sei la sua papà."
Un angolo delle labbra di Haruka si piegò appena pensando a scricciolo e al modo in cui si riferiva a lei. Non aveva mai smesso di chiamarla Haru, ma ogni tanto le si aggrappava alla gamba e sgranando a dismisura gli occhioni viola esclamava 'Tu sei la mia papà!', sul volto un'espressione così disarmante e così genuinamente felice che - l'aveva realizzato solo tempo dopo, Hotaru avrebbe potuto chiederle qualsiasi cosa. Ma soprattutto lei l'avrebbe fatto senza battere ciglio.
"Hai sentito tuo padre?" Chiese all'improvviso Michiru. Haruka schioccò le labbra in disappunto. "Perché dobbiamo parlare di Takeshi?" Domandò di rimando, voltando il capo a cercarne lo sguardo. Michiru inclinò appena la testa. "Tra tre giorni è Natale. Dovresti-"
"Il Natale non è mai stato diverso dagli altri giorni, a casa mia." Michiru poté percepire una sfumatura rabbiosa nelle parole dell'altra. "Quando mia madre era viva si poteva ancora dare al tutto una parvenza di festa." Continuò. "E in ogni caso, lui mancava spesso anche in quei giorni."
Michiru non replicò subito. Ma ne cercò le dita, intrecciandole con le proprie. "Lui ti ha fatto del male, Haruka, e io non lo nego." Le disse piano. "Ma questo occhio per occhio non vi porterà a niente, se non a rendere ancora più insormontabile il muro che avete messo tra di voi."
"Non c'è nessun occhio per occhio." Obiettò. "Per me il Natale non ha mai significato nient'altro che-" si interruppe, pensando alle parole da usare. "Che una brutta giornata dove il mondo ipocrita fingeva di essere felice e cercava a tutti i costi di contagiarmi, mentre a me non fregava un cazzo."
Michiru inarcò un sopracciglio. Accavallando una gamba appoggiò il gomito allo schienale della sedia dell'altra, la guancia che finiva sul dorso della mano. "Non è esattamente così." Ribatté. "Non tutto il mondo è ipocrita."
"Lo so." Le concesse. "Me ne sto rendendo conto, e probabilmente devo ringraziare te per questo." Sorrise, piegandosi un po' verso di lei. "Il mio mondo è un po' più bello da quando ci sei tu." Mormorò. Una lieve risata lasciò le labbra di Michiru. "Mi hai detto una cosa molto bella, Maggiore."
"Suppongo." Convenne raddrizzandosi sulla sedia, lisciandosi una piega della camicia. "Fattela bastare fino a tutto il prossimo anno."
Michiru le appoggiò le mani sulle spalle, ridendo piano contro il suo braccio.
Qualcuno spense la luce nella palestra, le sedie ormai al completo in ogni ordine di posto tanto che diversi genitori si sistemarono ai lati, o in fondo dietro all'ultima fila. Alcuni faretti illuminarono il palco su cui comparve una delle maestre di Hotaru, che diede il benvenuto a tutti e chiese un applauso d'incoraggiamento per i piccoli attori, prima di tornare al buio della prima fila da dove avrebbe fornito i necessari e assolutamente indispensabili suggerimenti.
Dopo un momento di silenzio, un bambino fece la sua comparsa sul palco: era vestito in giacca e cravatta, il volto seminascosto da un'arruffata barba bianca che stava iniziando a scollarsi da un lato della guancia. Da alcuni ciuffi rosa che spuntavano dalla parrucca candida come la barba, Haruka e Michiru riconobbero Chibiusa nel ragazzino che, compresero, faceva la parte del Dickens- narratore.
"Questa è la storia di una persona che non conosceva l'amore, che non conosceva la gentilezza e aveva il cuore freddo come l'inverno." Proclamò la piccola Chiba. "Il Signor Esne-" Silenzio. "Enne-" Si interruppe di nuovo. "Non mi viene, maestra," sussurrò la piccola, la ragazza che l'invitò a continuare. "Scrooge." Tagliò corto, suscitando delle risate.
"Brava tesoro!" La voce di Usagi si stagliò sopra quelle e Michiru sorrise, immaginandola già con gli occhi lucidi d'emozione, mentre Haruka incrociava le braccia e malediceva la scomodità di quelle sedie.
"Caldo e freddo non facevano effetto a Scrooge," continuò la bimba, mentre un altro ragazzino entrava in scena appoggiandosi a un bastone, vestito in una antesignana camicia da notte, cappello incluso, dando il via alla propria parte recitata.
"Ma quando arriva Hotaru?" Mormorò Haruka all'orecchio dell'altra dopo diverso tempo. Michiru accostò le labbra al suo. "Presto. Pazienza."
"Io sono venuta a vedere scricciolo, mica tutti questi Dickens nani." Obiettò, e Michiru sorrise dandole un leggero colpo alla gamba.
I bambini incaricati di svolgere sia il ruolo di Dickens-narratore tanto quello di Scrooge erano parecchi, scoprirono con l'avanzare dello spettacolo, che alternava narrazioni e parti recitate. Sul palco venne raccontata l'avarizia del vecchio Scrooge e la sua aridità d'animo, nonché la bontà e la forza della famiglia Cratchit, nonostante le avversità e il loro bimbo malato.
"Eccola." Proruppe Michiru estraendo la macchina fotografica quando il cambio di scena preannunciò la prima visita per Scrooge, quella da parte del fantasma del Natale Passato: e infatti, vestita di una grossa candela di gommapiuma, Hotaru faceva il suo ingresso sul palco muovendosi goffa a causa del costume di scena ma con un enorme sorriso stampato sul faccino. Haruka si raddrizzò sulla sedia, la bimba che ignorò l'invito della maestra di dire la propria battuta mettendosi a cercare con lo sguardo Haru e la sua mamma. Quando le scorse le salutò tronfia con la manina, gesto che suscitò più di una sommessa risata tra gli altri genitori mentre anche Haruka rideva, Michiru che le scattava una foto. Quindi Hotaru iniziò a declamare la sua parte.
"Sono lo spirito del Natale Passato!" Proruppe con la sua vocetta, alzando un dito in aria. Haruka si piegò in avanti, appoggiando il mento sul dorso della mano, ascoltando la bimba parlare incespicando di tanto in tanto e strappandole più di un sorriso.
"E' brava, vero?" Le chiese Michiru in un mormorio. Haruka non rispose ma pensò che sì, era davvero brava la sua scricciolo.

*

Michiru premette l'interruttore della luce, facendo tornare la camera da letto nel buio. Si portò le dita ai capelli, rifacendosi la coda dalla quale si erano liberate troppe ciocche, e chiudendo la porta del corridoio dietro di sé oltrepassò il pianoforte e il tavolo infilandosi in cucina dove gettò nella pattumiera i dischetti di cotone intrisi di detergente che aveva usato per struccarsi.
Sul divano Hotaru se ne stava accoccolata sul grembo di Haruka, guardando con grande attenzione le immagini che riempivano lo schermo. Immagini che, quando si sedette accanto alle due, Michiru riconobbe come appartenenti al 'Re Leone'.
"Quindi Scar vuole fare il Re?" Domandò all'improvviso Haruka, una nota di curiosità a colorarle la voce. La bimba annuì con forza. "Sì! E allora fa cadere Bufasa sotto le mucche."
Michiru sorrise portandosi le gambe al petto, Haruka che stirava le lunghe braccia sopra la testa per intrecciare le mani dietro la nuca. "Non credo siano mucche, tappo."
La bambina si strinse nelle spalle. "E Scar è lo zio di Simba." L'informò dopo un momento. Haruka annuì pensosa, la piccola che continuava. "E' uno zio cattivo, perché non vuole bene nemmeno a Simba." Un sorriso tornò però ad illuminarla. "Non è come lo zio Holden o zio Mamocian." Asserì con consapevolezza, suscitando una lieve risata tanto in Haruka quanto in Michiru.
"Haru?" Chiese dopo un lungo momento la bimba, girando la testa per cercare lo sguardo della ragazza. "Anche Scar è un tutto bastardo?"
"Hotaru," Michiru schioccò le labbra. "Che cosa avevamo detto a proposito di quella brutta parola?" Inquisì pizzicandole una guancia, la bambina che assumeva un'aria corrucciata. Cercò una forma di sostegno in Haruka, alzando gli occhi a guardarla. Quella annuì appena. "Sì, infatti." Convenne Haruka. "Non si dice tutto bastardo, Hotaru." Fece una lunga pausa, un sorriso che le si allargava sul viso. "Anche perché direi che quel leone lì è decisamente un maledetto stronzo, nana."
La risata di Hotaru riempì il soggiorno, buttandosi ancora di più addosso ad Haruka mentre Michiru la guardava sconsolata. "Grazie." Le disse ironica. "Grazie tante, Haruka."
L'altra la guardò divertita, e quando Hotaru iniziò a succhiarsi il pollice, l'altra manina saldamente aggrappata a un lembo della camicia di Haruka, Michiru gettò una rapida occhiata all'orologio. "E' ora di dormire, angelo." Disse piano, accarezzandole i capelli.
"No-oo." Piagnucolò lei, rafforzando la presa sul lembo di stoffa. "Voglio vedere 'Il Re Leone' con Haru."
Tenou sorrise, Michiru che inclinava appena la testa. "Ehy, tutti questi capricci a tre giorni da Natale non vanno affatto bene, sai?" La rimproverò bonariamente, attirandosi due occhioni viola velati di stanchezza ma decisi a non cedere. "Santa Claus non ti porterà niente, se continui così."
Hotaru si mangiò il labbro inferiore, lasciandosi prendere in braccio da sua madre. "Forza, saluta Haru."
"Ciao." Mormorò mogia. "Lo finiamo di vedere domani, Haru?" Aggiunse dopo un istante, uno sbadiglio che smentì ogni possibile proposito di fare tardi, appoggiando la testa alla spalla di Michiru. Anche Haruka si alzò in piedi. "Se facciamo in tempo." Le promise, facendole l'occhiolino. La bimba sembrò rallegrarsi, alzando di nuovo la testa. "Haru?"
"Che vuoi, piccola noiosa?"
Michiru roteò gli occhi, Hotaru che fece rumorosamente collidere i palmi delle mani. "Sono stata brava stasera, Haru?"
Haruka sorrise. "Beh," iniziò con aria sostenuta. "Devo ammettere, scricciolo, che sei stata piuttosto brava. Sì." Allungò le dita, che finirono a spettinarle i capelli. "Uno Spirito del Natale Passato davvero convincente."
"Che vuol dire?"
Una lieve risata lasciò le labbra di Tenou. "Che sei stata brava."
Un'espressione piena di soddisfazione illuminò il viso della bimba, Michiru che si avviava verso la zona notte.
Rimasta sola nel soggiorno, Haruka avvicinò il lettore per estrarvi il DVD, riponendolo nella propria custodia. In un paio di passi avvicinò l'albero su cui erano appese candide decorazioni e fili dorati, le luci che ad intermittenza rischiaravano prima la parte superiore e poi quella inferiore. Aveva chiesto esplicitamente un Abete Rosso Canadese al tipo del vivaio, e alla fine si era dovuta accontentare di un Abete Rosso Canadese nano, altrimenti si sarebbe posta di fronte a una scelta: o loro, o l'albero.
Urtò con il piede uno dei tanti pacchi accatastati lì sotto quando, accostandosi ancora, sistemò alcune palline e un filo che era caduto sulla fronda sottostante rispetto a dove avrebbe dovuto trovarsi.
Il puntale si era appena inclinato di lato, ed era davvero strano che Hotaru non se ne fosse accorta: non appena vedeva la stella dorata pendere di qualche grado, correva a chiamarla per farsi mettere sulle spalle in modo da poterla sistemare. Quell'immagine le strappò un sorriso, e nella sua mente riaffiorò il ricordo della ragazzina sola nella stanza di West Point. Di Richard Banks e del suo 'Natale-a-casa-mia-è-un-evento', con il nonno che arrivava dall'Hampshire -quello inglese, non quello americano. Di come non le fosse importato niente quando aveva scoperto che i suoi ragazzi la chiamavano Maggiore Scrooge, perché lei non aveva la più pallida idea di chi cazzo fosse quello Scrooge dal nome improponibile, Ebenezer. Così improponibile, pensò mentre un sorriso le piegava le labbra, che tutti i bambini della recita avevano incespicato nel tentare di dirlo.
"Spirito! Ascoltami! Io non sono più lo stesso uomo di prima. Io non sarò l'uomo che sarei stato, se non t'avessi seguito. Perché mostrarmi tutto questo, se per me non c'è più speranza?"
Quel passato ormai immutabile spesso tornava a impiagarle l'anima, lasciandola nel logorio dell'Avrei potuto. Dell' Avrei dovuto.
Eppure lei la sua speranza l'aveva incontrata in quel presente che adesso le faceva sistemare decorazioni di Natale che cadevano sbilenche da un lato non previsto. In quel presente in cui Michiru l'aveva trovata - salvata?, sciogliendo la rabbia con cui si nascondeva, accarezzando le braccia con cui si difendeva; in cui l'aveva aiutata a diventare la persona che era adesso. Tante volte si era chiesta cosa sarebbe stato di lei senza l'altra, senza il dono che Michiru le aveva fatto: spiragli di un futuro che solo qualche anno prima era stato fosco e nebuloso, eppure adesso si rischiarava come il cielo dopo una nevicata.
"Le azioni umane adombrano sempre un certo fine, che può diventare inevitabile, se in quelle ci si ostina. Ma se vengono a mutare, muterà anche il fine. Dimmi che così è, dimmelo, in queste scene che mi vai mostrando!"
Era ancora in tempo per mutarlo quel futuro? Si chiese.
Poteva ancora sperare di avere tra le mani la possibilità di cancellare anni di rancori - anni di errori, e di riempire il vuoto con cui si era circondata con l'affetto di chi adesso le stava vicino? O per lei tutto era già segnato e sarebbe finita nella solitudine che le era stata tanto cara, quando ancora non capiva che doveva permettere al calore di scaldarla, e non rifuggirlo vedendo solo la bruciatura che una fiamma troppo vicina le avrebbe lasciato? Come uno Scrooge arido e avaro che guarda al passato col rimpianto di non poterlo cambiare, e al futuro in cui l'attende lettere scolpite su pietra, e solo derisione e disprezzo.
"-uka?"
Cercò lo sguardo di Michiru, il capo dell'altra appena inclinato e un velo di curiosità nelle iridi celesti. "Dov'eri finita?" Le domandò piano, le labbra piegate all'insù. "Ti ho chiamata due volte."
Haruka non rispose, l'altra che le circondava la vita con le braccia, posandole un bacio sul collo. "Allora?" La incalzò. "Me lo dici a che pensavi, tutta assorta?"
"Non voglio essere Scrooge, Michiru."
La frase, arrivata dopo un ulteriore lungo momento di silenzio, portò Michiru a inarcare un sopracciglio. Un lieve sospiro lasciò le labbra di Haruka. "Non voglio ritrovarmi sola, ad attendere che i miei fantasmi vengano a mostrarmi quanto male ho fatto alle persone."
"Ma tu non sei sola." Le disse con dolcezza, posandole una mano sul viso. Haruka non disse niente; dopo un istante, un lieve sorriso le piegò le labbra. "Ho preso un cane a Hotaru." Le rivelò.
Michiru non si aspettò il cambio di argomento. E, tantomeno, si aspettò quello. Chiuse gli occhi sospirando appena, togliendo la mano dal viso dell'altra e facendo un passo indietro, separandosi da lei e incrociando le braccia al petto. "Avevamo detto-"
"Lo so cosa avevamo detto." La interruppe Tenou. "Ma era lì, in quella cesta, acciambellato in un angolo." Le tornò in mente la casa dell'allevatore di cui Holden le aveva fornito il numero e cui lei aveva comunque fatto visita nonostante le numerose discussioni che puntualmente erano finite con Michiru che diceva 'Un cane è troppo impegnativo' e lei che conveniva annuendo distrattamente. "Ed era solo, Michiru." Aggiunse dopo un momento. "Senza più i suoi fratelli, già tutti adottati."
La ragazza la guardò per lunghi istanti senza proferire parola, ma Haruka aveva visto i lineamenti rilassarsi durante il suo racconto. "Quando l'ho tirato su per la collottola, la prima cosa che ha fatto è stato riempirmi di disgustose leccate in faccia." Le disse fingendosi piccata. "Ma poi ho capito." Si piegò un po' verso di lei. "E' una femmina."
Michiru cercò di trattenere una risata, ma non ci riuscì. "Quanto sei scema." La rimproverò accompagnando le parole con un lieve colpo al petto, Haruka che le allacciava le mani appena sopra il bacino. "E dov'è adesso?" Chiese allora Michiru, non del tutto convinta ma ormai rassegnata all'idea di un cucciolo in casa.
"Dal veterinario."
Guardò Haruka perplessa, e lei si strinse nelle spalle. "Aveva un piccolo problema alla zampa che la faceva dolorosamente zoppicare. Ci voleva un'operazione per sistemare la cosa." Sorrise. "Mi è costata più lei che se avessi deciso di regalarti un Tiffany, Michiru." Anche l'altra imitò il suo sorriso, tornando seria dopo un breve momento. "Lo sai che impegno enorme è un cane?"
Haruka annuì. Quindi tornò a sorridere. "Nessuno si merita di passare il Natale da solo, Michiru," le disse quindi, rimanendo poi in silenzio. "Per molto tempo io ho creduto di meritarmelo. E invece," si strinse nelle spalle. "Non me lo meritavo nemmeno io."
Michiru non replicò: preferì, invece, alzarsi sulle punte e cercarne le labbra, la lingua di Tenou che si insinuò piano dopo un momento per cercare la profondità della sua bocca.
"Posso già avere il mio regalo?" Domandò piano a Michiru scostando con un dito il colletto della maglia che usava per dormire, fingendo di sbirciarvi dentro; lei le colpì il dorso della mano, esasperando un'espressione indispettita. "Nessun regalo si aprirà prima di Natale." Proclamò. "E intendo nessuno."
"Mmmh, che cattiva." Si lamentò con poca convinzione. Michiru le scostò i capelli dalla fronte, e Haruka si voltò di lato, posando lo sguardo sull'albero. "Il puntale è storto." Condivise la scoperta fatta minuti prima. L'altra portò le dita a sfiorarle il mento, costringendola a guardarla. "Nessun fantasma verrà a tirarti per i piedi, Haruka." Le disse in un sorriso. "Non c'è niente che possiamo fare per ciò che è stato, ma devi imparare a goderti ciò che sei adesso."
"Io posso essere migliore di quanto non sia stata finora, Michiru." Lo disse con fermezza. Con così tanta convinzione che Michiru le sorrise, inclinando appena la testa. "Non ne hai bisogno. Non devi dimostrarmi niente, Ruka."
"Forse-" Si interruppe. "Forse ho solo bisogno di dimostrarlo a me stessa."
Michiru si finse pensosa. "Allora sei già un passo avanti a Ebenezer Scrooge." L'incoraggiò accarezzandole il volto. E appoggiando la guancia al suo petto rafforzò l'abbraccio nel quale, Haruka un giorno l'avrebbe capito, lei l'avrebbe sempre - sempre - protetta.

*

Portsmouth, Virginia,
25 Dicembre,

"E' un cane! Mamma, è un cane!"
Il cucciolo saltò fuori dalla scatola, iniziando immediatamente a cercare di togliersi l'enorme fiocco rosso che gli avevano messo al collo. "Santa Claus mi ha portato un cane!"
Hotaru sprizzava euforia da ogni poro. Inginocchiata a terra accanto a lei, Michiru sollevò la cagnolina per le zampe, appoggiandosela in grembo e permettendo ad Hotaru di riuscire ad accarezzarla. "E' una femmina." Le disse grattando la collottola del cucciolo, Hotaru che rideva ogni volta che la linguetta rosa della nuova arrivata raggiungeva o le sue dita, o il suo naso, o la sua faccia.
Haruka incrociò le braccia al petto, appoggiata al divano; osservando la scena in silenzio. Michiru si voltò a guardarla, e inclinando la testa mosse le labbra in un silenzioso 'ti amo' prima che Hotaru richiamasse la loro attenzione perché il cucciolo si era messo a zampettare per l'appartamento e tutti dovevano guardare. E Haruka sorrise.
Sorrise con le labbra, che si curvarono da sole mentre con gli occhi seguiva Hotaru affiancare il cane nell'esplorazione.
Ma soprattutto, sorrise con il cuore. Ed era una cosa, quella, che non avrebbe mai pensato di riuscire a fare.



NA:
"..." - Parti tratte da A Christmas Carol di Charles Dickens nella traduzione della Piccola Casa Editrice Acquaviva (QUI)

   
 
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