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Autore: bluemary    26/12/2010    16 recensioni
Questa volta Vegeta si volse per fronteggiarla, i lineamenti chiaramente contratti per l'irritazione.
“Ti stai intromettendo nel mio allenamento.” ringhiò, con un tono che ben esprimeva la promessa di morte contenuta implicitamente nelle sue parole.
“Questa è casa mia, quindi semmai sei tu che ti stai intromettendo nel mio momento di solitudine.”

Una giovane donna e il principe dei saiyan sotto una pioggia estiva.
Storia scritta per il Xmas Tree Party.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Vegeta
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è nata quasi per caso, ispirata dalla splendida e sadicissima iniziativa di Fanworld, Xmas Tree Party, e più precisamente dal prompt 'Estate, pioggia estiva'.
Mentre la scrivevo, però, mi sono resa conto che mi stava già venendo in mente una versione alternativa, con un rating più elevato e una conclusione diversa, quindi ditemi se la cosa vi può ispirare, che appena avrò smaltito cibo e parenti provvederò a metterla per iscritto^^
Infine, so che sono in ritardo e che la storia con questo non c'entra nulla, ma ci tenevo lo stesso a ritagliarmi un angolino per fare a tutti gli auguri di buon Natale! Passate delle splendide feste, all'insegna di buon cibo, regali azzeccati e/o aitanti (per le fanciulle qualcosa come Johnny Depp) e tanta serenità ^__^




Kiss the rain

La pioggia scivolava a rivoli sui suoi capelli, le bagnava il viso, accarezzandole gli occhi chiusi, le guance, le labbra, fino a infradiciarle i vestiti leggeri.
Sospirò, godendosi il contatto con quelle gocce rinfrescanti che mitigavano l'afa di una sera d'estate; non le importava che la maglietta e i pantaloncini fossero ormai zuppi, né che la sua chioma potesse aver assunto delle forme stravaganti o disordinate.
Per una volta il suo aspetto fisico era passato in secondo piano rispetto al bisogno di lasciare al più presto la sua casa troppo affollata, dove si stava svolgendo una delle solite riunioni con gli amici di mille avventure.
Era corsa fuori senza salutare nessuno, senza nemmeno prendere uno dei numerosi ombrelli che avrebbe potuto trovare comodamente a lato dell'ingresso, perché in mezzo a tutti quei volti allegri e familiari si era sentita soffocare.
Neanche mezzora prima aveva lasciato Yamcha per l'ennesima volta, e sapeva che non sarebbe mai riuscita a rimanere in compagnia, fingendo che tutto stesse andando bene e che ogni sua risata non minacciasse di spegnersi in un singhiozzo.
Si passò il dorso della mano sugli occhi umidi, grata di quel momento di perfetto silenzio e solitudine che le dava la possibilità di sfogarsi.
Non c'era nulla di disperato nel suo dolore, solo un pungolo all'altezza del petto che le ricordava il prezzo della sua decisione.
Anche durante gli anni passati, quando si erano lasciati e rimessi assieme in così tante occasioni che ormai aveva perso il conto, era sempre stata sicura che alla fine si sarebbero sposati, per poi vivere felici e contenti l'una accanto all'altro; avrebbero dovuto solo aspettare di maturare abbastanza da sentirsi pronti per compiere quel passo definitivo.
Adesso, invece, le cose erano cambiate. Senza un motivo particolare, quel giorno aveva compreso che non era una questione di maturità, ma di persona, che Yamcha non sarebbe mai stato quello giusto. Era stata una folgorazione improvvisa, e totalmente devastante, perché mai come prima di quel momento era riuscita a vedere con tale chiarezza nel proprio cuore: a lui voleva bene come a un fratello, quasi come a Goku, ma non lo amava.
Fingere di non aver avuto questa rivelazione sarebbe stato un atto di codardia che le avrebbe avvelenato l'esistenza, così non le era rimasto che affrontare il problema, giungendo poi all'unica soluzione possibile.
Nel corso di uno dei loro innumerevoli battibecchi, durante la sera, lo aveva lasciato, sorprendendosi che lui non comprendesse quanto la sua scelta fosse assoluta, e ora stava piangendo in egual misura il suo primo amore ormai sfumato e il crollo di una convinzione che aveva accompagnato anni interi della sua vita.
La pioggia continuava a cadere, purificando la sua tristezza e occultando le sue lacrime, fino a quando anche lei non riuscì più a comprendere se stesse davvero piangendo o se a rigarle le guance fossero semplici gocce d'acqua, uguali in tutto e per tutto a quelle che s'infrangevano contro il suo corpo.
Fu allora che percepì un'altra presenza nel buio, fino a quel momento abbastanza distante da risultare impossibile da captare.
Aguzzò lo sguardo nell'oscurità mitigata dalle luci della sua casa e del giardino, fino a scorgere una sagoma familiare, anch'essa fradicia, ma, contrariamente a lei, impegnata a saettare in tutte le direzioni, combattendo contro un nemico immaginario.
Seguì il più possibile i suoi movimenti, senza comprendere se fosse infastidita o incuriosita dalla sua presenza; eppure avrebbe dovuto sapere che Vegeta, una volta soddisfatto lo stomaco, sarebbe subito tornato ad allenarsi.
Per la prima volta da quando aveva deciso di ospitarlo, si permise di considerarlo non come l'irritante e maleducato saiyan con cui litigava quasi quotidianamente, e nemmeno come il pericoloso rivale di Goku, ma semplicemente come uomo. Studiò i suoi movimenti, agili e sinuosi come quelli di un predatore, e al tempo stesso tanto potenti da risultare letali; si soffermò sui muscoli compatti del torace e dell'addome, enfatizzati dalle gocce d'acqua che gli solcavano il petto nudo; poi cercò di scorgere i suoi lineamenti, le rare volte che lui non le dava le spalle, ritrovando dei tratti marcati a cui non aveva mai nemmeno pensato di dare alcun tipo di giudizio estetico.
Era bello, scoprì con sorpresa, di una bellezza rude e selvaggia che non aveva mai notato prima.
In confronto a Yamcha, e perfino a Goku, possedeva una maturità e una sicurezza tanto simile all'arroganza che non si acquisivano con l'età, ma che erano doti innate, migliorabili solo con l'esperienza di una vita intera trascorsa a duellare con la morte.
Aveva gli occhi puntati su di lui ormai da interi minuti, tuttavia, concentrato com'era, era certa che non l'avrebbe mai notata; invece dopo un'ultima serie di pugni il saiyan si fermò all'improvviso.
“Non credere che non ti abbia vista.” le disse, pur continuando a darle le spalle “Hai due secondi per sparire, ti ho sopportato fin troppo.”
“Che tu mi abbia vista o meno non ha importanza, ma io da qui non mi muovo.” replicò lei, del tutto insensibile alle sue minacce.
Questa volta Vegeta si volse per fronteggiarla, i lineamenti chiaramente contratti per l'irritazione.
“Ti stai intromettendo nel mio allenamento.” ringhiò, con un tono che ben esprimeva la promessa di morte contenuta implicitamente nelle sue parole.
“Questa è casa mia, quindi semmai sei tu che ti stai intromettendo nel mio momento di solitudine.”
Il saiyan soffocò l'istinto omicida che lo aveva pervaso nell'udire la sua risposta e, in un guizzo invisibile per una semplice terrestre, le fu di fronte, a meno di un metro da lei, intenzionato a incuterle timore o almeno soggezione con la propria superiorità fisica.
La squadrò da capo a piedi, lentamente, più per un barlume di curiosità che per minaccia.
Con i capelli scompigliati e gli abiti fradici, una visione totalmente diversa dal suo solito aspetto impeccabile e fin troppo curato, la donna gli appariva più fragile di quanto l'avesse mai vista. Ma lui sapeva di non dover farsi ingannare dalle apparenze, né di sottovalutare quella terrestre: nelle settimane precedenti era rimasto sorpreso dall'impudenza praticamente suicida con cui osava tenergli testa e dalla sua capacità di ribattere a ogni provocazione senza mai abbassare lo sguardo; aveva scambiato con lei frasi taglienti, insulti e minacce praticamente ogni giorno, in un primo momento frustrato per il dover risparmiare una donna di razza inferiore che si dimostrava così arrogante, poi sempre meno infastidito dalla sua presenza e da questi confronti che ormai avevano quasi cominciato a divertirlo.
La terrestre era diventata semplicemente un altro avversario da sconfiggere, solo in un ambito diverso da uno scontro fisico; poco a poco si era impressa nella sua mente, aveva risvegliato il suo interesse, era diventata la seconda delle sue ossessioni, dimostrandosi un nemico ostico quasi quanto Kakaroth. Un nemico che osava fissarlo dritto negli occhi e sfidarlo con il suo stesso orgoglio.
Anche adesso, con quell'apparenza debole e delicata, era stata capace di rispondergli con la solita attitudine sfrontata e bellicosa, con una voce pervasa dal desiderio di litigare; e c'era un altro particolare che in quest'occasione aveva calamitato la sua attenzione su di lei, solleticando una parte di sé che era sempre più difficile da tenere a freno.
I suoi occhi scivolarono inconsciamente sulla maglietta bagnata, che non nascondeva nulla del seno prosperoso sottostante; anche con la scarsa illuminazione del giardino riusciva a scorgerne i contorni perfetti, il tessuto bianco teso in corrispondenza del capezzolo e il leggero movimento con cui scandiva il respiro della terrestre, dandogli la certezza quanto mai tentatrice che sotto quell'indumento quasi impalpabile Bulma fosse completamente nuda.
“Potrei ucciderti e risolvere il mio problema.” la minacciò, con una voce impercettibilmente più roca del normale.
Il suo odore mischiato a quello dell'estate era qualcosa di indescrivibile, lo assaliva, acuito dalla pioggia, allettandolo con l'idea di affondare il viso nel suo collo e assaggiarle la pelle, morderla, marchiarla.
“E allora chi ti aggiusterebbe la Gravity Room?” replicò lei, senza cedere di un millimetro, malgrado la presenza incombente del saiyan.
Vegeta avanzò ancora nella sua direzione, fino quasi a sfiorarla.
“Potrei sempre trovarmi qualcuno di meno irritante.”
“Certo, perché è pieno, sulla Terra, di giovani scienziate geniali pronte ad aiutare un saiyan e a sopportarlo, dandogli vitto e alloggio gratis.” ironizzò Bulma, ormai incapace di staccare gli occhi dai suoi anche se avesse voluto.
Erano tanto vicini che sentiva il calore del suo corpo mezzo nudo, sentiva il suo respiro bruciante di collera che le sfiorava le labbra, sentiva il battito del proprio cuore sovrastare perfino lo scrosciare di una pioggia sempre più intensa.
Non riuscì a capire chi fece la prima mossa, semplicemente in un istante si ritrovò pervasa dalla percezione della bocca del saiyan che si muoveva esigente sulla sua, che la mordeva senza ferirla, la divorava, in un bacio quasi simile a un'aggressione che sembrava solo la normale prosecuzione del loro litigio.
Non c'era nulla di gentile o delicato, in questo contatto, nulla di quello che aveva sperimentato con Yamcha: Vegeta era egoista, era rude, era deciso, e lei si comportò allo stesso modo, mordendo, assaporando, succhiando ogni porzione delle sue labbra, rifiutandosi di piegarsi al bacio e sottomettersi alla sua maggiore esperienza.
Non si fece domande, non analizzò la situazione, non si interrogò sulle conseguenze.
Erano solo loro e la pioggia, e nient'altro contava.
Sentì un braccio circondarle la vita, stringendola tanto da farle comprendere che non gli ci sarebbe voluto alcuno sforzo per spezzarla in due, mentre l'altra mano del principe era scivolata sulla sua nuca, le dita immerse nei suoi capelli fradici, che le avrebbero impedito di sottrarsi al bacio anche se ci avesse provato.
Prima ancora di muoverle, si accorse di avere le mani appoggiate sulle sue spalle, già pronte a saggiare i muscoli umidi di pioggia; le fece scorrere dietro al suo collo, poi sulla sua schiena, sperimentando la consistenza di un corpo sconosciuto, duro come l'acciaio. Con un impeto improvviso si strinse a lui, spingendo il seno contro il suo petto e soffocando un gemito per l'intensità di quel contatto, che solo la sottile maglietta bagnata impediva fosse pelle contro pelle.
La mano sulla sua vita scese fino ad afferrarle una natica, facendo aderire i loro bacini.
In un guizzo di lucidità, tra le mille diverse sensazioni che si agitavano impazzite nel suo animo, Bulma riaprì gli occhi che non si era nemmeno resa conto di aver chiuso, per sostenere il nero impietoso del suo sguardo e scoprire cosa sarebbe stata in grado di leggere nelle sue profondità.
Subito il saiyan si ritrasse bruscamente, così come si era avventato su di lei, ma le mani strette ai suoi fianchi e ai suoi capelli non si mossero di un millimetro, nella muta testimonianza di quanto fosse confuso, diviso tra l'orgoglio che gli aveva piegato le labbra in una smorfia e il desiderio che ardeva nelle sue iridi.
Il rumore troppo nitido di una porta che si apriva, come lo stridio di unghie sulla lavagna, infranse quel silenzioso confronto di sguardi e, dopo un'ultima occhiata imperscrutabile, Vegeta si voltò di scatto, scomparendo nella parte opposta del giardino.
Lei continuò a fissare il punto esatto dove lo aveva visto sparire, senza curarsi dei passi familiari che le si stavano avvicinando.
“Bulma, cosa ci fai qui da sola sotto la pioggia?” chiese la voce gentile e anche un po' preoccupata di Yamcha.
Lei scosse le spalle, ma finalmente si girò per incrociare il suo sguardo.
“Avevo bisogno di stare un po' per conto mio.”
Il suo ex ragazzo appariva combattuto tra il proprio orgoglio ferito e l'affetto che provava nei suoi confronti, ma a prevalere nei suoi lineamenti fu quasi subito un'espressione piena di calore, la stessa espressione che negli anni precedenti credeva le sarebbe bastata per sempre.
“Perché non ne riparliamo? Lo so che abbiamo litigato poco fa, ma non è niente di irreparabile, no?” chiese lui, accennando un sorriso “Dai, Bulma, non vorrai mica che ci lasciamo per una simile sciocchezza!”
La ragazza sospirò. Era confusa, sopraffatta dagli ultimi avvenimenti e, per quanto fosse più che certa della decisione presa nella serata, non voleva far soffrire quello che ormai poteva vedere solo come un amico; tuttavia sapeva di non potersi tirare indietro: almeno una spiegazione chiara e sincera gliela doveva.
Rassegnata a seguirlo di nuovo dentro casa, malgrado sapesse che avrebbe solo disilluso le sue speranze, cominciò a camminare verso la porta aperta, mentre due occhi più scuri della notte le perforavano la schiena per l'intensità con cui la stavano fissando.
Socchiuse le palpebre per un istante, crogiolandosi nella consapevolezza che il saiyan, seppur a distanza, stesse seguendo ogni suo movimento.
Aveva ancora il suo sapore sulle labbra.

   
 
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