Regalo
di Natale in ritardo per Kim e tutte le mie lettrici adorate.
Una nevicata di auguri ritardatari e la speranza di un felicissimo anno nuovo.
Gil.
SHE ISUna nevicata di auguri ritardatari e la speranza di un felicissimo anno nuovo.
Gil.
Epilogo : Truly,
madly, deeply
Oh can you see it baby?
You don't have to close your eyes
'Cause it's standing right here
before you
All that you need with surely come
Truly Madly Deeply – Savage
Garden
-
Io non credo proprio di essere pronta ad avere questo bambino-
Un
urlo disumano rimbombò per le pareti dell’ospedale, trapassò gli spessi
muri di
cemento armato e si espanse a macchia d’olio per le strade.
Di
lì a qualche secondo tutta la città di Tokio seppe, nell’ordine, che
Sana
Kurata voleva maledire Akito Hayama, non solo per averla deflorata anni
addietro quando erano entrambi due puppattoli con il latte alla bocca,
ma anche
per averla contaminata con una fedele riproduzione della sua persona;
che Sana
Kurata dubitava della serietà della sua ginecologa; che Sana Kurata non
avrebbe
mai acconsentito affinché il suo bambino (maschio o femmina, ma soprattutto maschio, che fosse)
venisse al mondo.
-
Sana, devi essere coraggiosa. Ce l’abbiamo fatta tutte! –
Sana
spostò lo sguardo furioso su Fuka e parve volerla incenerire con gli
occhi –
per una volta la scena tra loro era al contrario.
-
Hai mai fatto uscire qualcosa di grosso come un cocomero attraverso un
buco
largo come un limone, Matsui? – (*)
Fuka
sussultò e scosse il capo energicamente. Alzò le mani, come avrebbe
fatto un
assassino che cerca di dimostrare al poliziotto di essere disarmato.
Nella
fattispecie, Sana era il poliziotto e Fuka l’assassino. Doveva
difendersi.
-
Beh, no! – proferì e allo sguardo lampeggiante di Sana aggiunse – Però
anche
Aya ha partorito ed è sopravvissuta. Anche
mia madre. Insomma, guarda quanti siamo in giro –
Quel
genere di discorso, Sana ricordava di averlo già avuto qualche mese
prima con
sua madre, subito dopo aver scoperto di essere incinta.
*
- Mamma.
Mamma sono
incinta –
La
signora Kurata ebbe
un sussulto tale da far sembrare l’esplosione di una bomba atomica solo
un
lieve tremore.
- Mamma,
ho paura.
Non riuscirò mai a mettere al mondo un figlio. È impossibile, non
sopravvivrò
- concluse, con aria melodrammatica,
sprofondando tra i cuscini scarlatti del divano di casa.
Giusto
qualche
settimana prima, Misako era stata travolta da uno schizzo ed aveva
deciso di
rivoluzionare tutto l’arredamento domestico.
La
signora Shimura, nascosta in corridoio,
dietro la porta di
quercia, ascoltava la conversazione con un bicchiere di vetro, indecisa
sul da
farsi.
- Vedi
Sana, non ti
devi preoccupare di questo – spiegò la signora Kurata con un tono
estremamente
calmo e consolatorio – Diventare madre è
l’esperienza più bella per una donna – sembrò pensarci su e poi
aggiunse – Non
che io abbia una personale esperienza nel campo, ma ho visto partorire
un sacco
di donne quando mi aggiravo tra gli ospedali, nel tentativo disperato
di
trovare un bambino da rubare –
Lo
sguardo
allucinato di Sana cadde nel vuoto. La madre stava sorseggiando con una
calma
pazzesca il suo tè e lungi da lei era il sollevare lo sguardo sulla
figlia
sconvolta.
La
signora Shimura non
avrebbe mai immaginato che Misako fosse dedita a certe inclinazioni.
Rubare un
bambino? Era da folli. In quell’esatto momento, Sana formulò una
domanda che le
fece capire come non si potesse mai porre limite al peggio.
- Non si
può comprarne uno? Bisogna per forza metterlo al mondo? –
Misako
scoppiò a
ridere e appoggiò la tazza sul tavolo perché troppo scossa dai sussulti
– Non
essere sciocca, cara – disse – La compravendita di bambini è illegale :
credi
che non mi sia mai informata al riguardo? –
La
signora Shimura roteò
gli occhi al cielo.
-
Comunque sia –
riprese la donna – devi stare assolutamente tranquilla, Sana. A parte le contrazioni, il sangue, il
leggero dolore
e le fitte post-parto, mettere al mondo un figlio è la cosa più bella
del mondo
– ripeté per la seconda volta, non accorgendosi ovviamente del fatto
che Sana
fosse entrata in trance, che fosse impallidita e che avesse cominciato
a
dondolarsi avanti e indietro come un alcolizzata che si presenta per la
prima
volta in comunità.
- Oh
cara – proseguì
sorridendo, mentre Maro lo scoiattolo si lanciava in una pantomima che
vedeva
una novella mamma cullare il proprio bambino – Sono così felice per te
–
Misako
si lanciò
verso Sana e l’abbracciò forte, nascondendole così un paio di lacrime
che
rilucevano agli angoli dei suoi occhi.
In quel
momento la
signora Shimura non riuscì a trattenersi, entrò nella stanza e buttò le
braccia
al collo di Sana, cominciando a piangere come una matta.
- Ma
signora Shimura – cercò di dire Sana, ma quando le due
donne cominciarono a frignare molto rumorosamente, la sua voce venne
totalmente
coperta.
In quel
momento,
Rei fece capolino dalla porta.
– Che
cosa succede?
– domandò con aria stralunata
La
signora Kurata
non si voltò nemmeno a guardarlo, gli fece un veloce cenno con la mano
per
invitarlo ad avvicinarsi – Oh Rei. Sana aspetta –
Rei
corrugò le
sopracciglia – Aspetta? –
- Sì,
sì. Aspetta –
- Ma che
cosa? –
Misako
si decise
finalmente a guardarlo severa – Un bambino ovviamente –
Rei
divenne
cianotico e per un momento parve indeciso se essere felice per Sana o
furioso
con Hayama perché, senza ombra di dubbio, era lui il responsabile di
quella
faccenda : da che mondo è mondo i bambini non nascono da soli e al
diavolo le
fandonie che si raccontavano. Una cicogna non sarebbe mai stata in
grado di
trasportare un pupo, se non per papparselo e sputacchiare fuori le ossa
prima
di digerirlo, e sotto i cavoli, volendo esagerare, potevano trovare
riparo
soltanto topi o lombrichi.
Tralasciando
quindi
il fatto che metà della colpa dell’indicibile gesto fosse anche di
Sana, Rei
decise in quattro e quattr’otto che avrebbe fatto pagare caro ad Hayama
quell’innegabile mancanza di rispetto nei suoi confronti.
Hayama
avrebbe
dovuto chiedere la mano di Sana, pensava Rei, ignorando il fatto che il
Medioevo fosse già passato da un pezzo.
Dopo
quindici
lunghi minuti, si decise ad avvicinarsi a Sana per abbracciarla forte a
sé. Non
era cambiata poi molto da quando aveva dieci anni e si accoccolava tra
le sue
braccia per addormentarsi.
-
Sentite – Sana si
decise finalmente a parlare – non riuscirò a mettere al mondo nessun
bambino se
non vi togliete di dosso –
Quando
quel
campanello di persone, che era la sua famiglia, capì che nonostante
tutto la
ragazza necessitava ancora dell’ossigeno per poter sopravvivere, la
liberò.
Sana si
concesse un
sorriso soltanto alla fine.
*
Sana,
con i capelli umidi appiccicati alla fronte e Fuka al suo fianco che
tentava di
tranquillizzarla, valutò per un attimo le parole di sua madre.
Contrazioni
e cos’altro? Leggero dolore.
In
un altro momento si sarebbe definita maleducata
per aver solo pensato una cosa simile, ma Sana realizzò che fosse
abbastanza
evidente la mancanza di esperienze di Misako nel campo.
Quando
le si erano rotte le acque era agli studi televisivi, insieme a Rei.
Aveva
appena firmato un contratto che la scioglieva da qualsiasi impiego di
lì a tre
anni, quando aveva sentito un certo umidore in basso. Volgendo gli
occhi a
terra, non aveva potuto fare a meno di notare l’oceano
che si apriva sotto di lei. Rei l’aveva scaraventata in
macchiane e portata all’ospedale in un momento. Adesso lui sonnecchiava
su una
poltroncina della sua stanza.
La
dottoressa che in quel momento la stava visitando, guardò prima Sana,
poi Fuka
e poi Rei ed esordì, in tono melodrammatico, dicendo – Tre
centimetri –
Sana
alzò gli occhi al cielo e maledisse qualcuno lassù : considerando che
stava lì
già da secoli, si rese perfettamente
conto che per raggiungere i tanto agognati dieci
centimetri avrebbe dovuto attendere millenni.
Si
lasciò sprofondare ancora di più nei candidi cuscini, depressa – Ma
insomma.
Non si possono velocizzare le cose? –
-
Non è come andare a fare la spesa, Sana. Devi avere pazienza –
La
voce che pronunciò quelle ignobili parole, che avrebbe pagato la sua
stupidità
a suon di insulti e calci (non appena Sana ne avesse avuto le forze),
proveniva
da Aya.
Lei,
Tsuyoshi e il piccolo Jo avevano appena fatto irruzione nella sua
stanza. Il
suo rifugio cominciava a riempirsi un
po’ troppo, Sana lo intuì dall’occhiata sprezzante che la dottoressa
lanciò a
tutti loro prima di andarsene.
All’epoca,
Aya aveva trovato un modo tutto suo
di incoraggiare Sana al parto.
*
- Ecco
qui le
patatine al peperoncino che mi hai chiesto Sana – disse Tsuyoshi,
depositando
un sacchetto bianco sul tavolino del salotto e allontanandosi verso la
porta di
ingresso, con il piccolo Jo nel marsupio che dormiva. Il ritratto della
felicità, per davvero.
Afferrò
una giacca
leggera e la indossò : la primavera era esplosa per le strade della
città e
invogliava a fare lunghe camminate per negozi.
- Allora
vi lascio
alle vostre faccende – proseguì Tsu – io e questo giovanotto ce ne
andremo a
comprarci qualcosa di nuovo. Vero,
mostriciattolo? – domandò, con una vocetta che, Sana ne fu
certa al mille per mille,
non avrebbe mai e poi mai sentito uscire dalla bocca di Akito.
Jo
sembrò aprire
per un momento gli occhietti, per registrare le ombre che si muovevano
aldilà
delle sue palpebre; fece poi una smorfia con il faccino, aggrappandosi
con le
manine alla giacca di Tsu e riprendendo a dormire.
A Sana
si strinse
il cuore notando lo sguardo che Tsu gli lanciò, prima di uscire di
casa. La
ragazza si voltò verso Aya, che in quel momento stava uscendo dalla
camera da
letto con tante coperte, tutine e sonaglini tra le braccia.
Tra le
pance delle
due ragazze c’era una relazione inversamente proporzionale: mentre
quella di
Aya andava via via sgonfiandosi con il trascorrere dei mesi, quella di
Sana
aumentava a dismisura.
- Sai Aya – disse Sana con un sorriso – credo
che Tsuyoshi si sia innamorato di un altro, precisamente di tuo figlio –
Aya
sorrise
distratta, mentre metteva alcuni giochi di Jo a lavare – Tsu è molto
preso dal
bambino. Oserei dire che i primi tempi ci teneva più lui di me. Non è
facile
svegliarsi una mattina e capire che a questo mondo non sei più da solo,
ma che
avrai qualcuno che dipenderà da te per tanto, tanto tempo. È una cosa
strana –
concluse, andandosi a sedere di fianco a Sana.
Per
allentare
quella dolce tensione che si era andata a creare tra loro, Sana
appoggiò una
ciotola di petali di rosa profumati sul suo enorme pancione e giocò a
tenerlo
in equilibrio.
-Ehi,
Aya – la
chiamò, mentre quella trafficava con il telecomando – Guarda –
L’amica
sorrise
ancora – Allora, Sana, adesso ti faccio vedere quel video che volevi.
Me
l’aveva passato una collega poco prima che nascesse Jo. Riuscì a
tranquillizzarmi davvero molto –
Sana
sospirò e si
ficcò in bocca una manciata di patatine. Dieci secondi dopo che Aya
ebbe
schiacciato “play” se ne pentì per davvero e cominciò a valutare quale
fosse il
concetto equivalente per Aya di “tranquillizzare”.
Quando
Sana pensava
alla tranquillità, le veniva in mente una distesa di sabbia bianca e
fine che
si confondeva, ad un certo punto, con il mare blu. Il sole, il caldo,
l’abbronzatura e magari anche un bel romanzo da leggere, sorseggiando
una
limonata.
Sana per
tranquillità non intendeva, di certo, sangue, urla e – chissà cos’era?
–
qualcosa che sembrava una testa che sbucava fuori come un topo da una
tana.
- A...
Aya –
balbettò, portandosi le mani agli occhi per non vedere ancora – Ti
prego spegni
–
L’amica
si voltò
verso di lei e alzò un sopracciglio – Non dirmi che hai paura, Sana –
Quella
sbarrò gli
occhi – Paura? E perché dovrei averne? –
Aya rise
ancora.
- Forse
è meglio
che rimanga tutto una sorpresa fino al gran giorno –
*
Sana
rabbrividì.
Si
voltò verso Tsuyoshi e ringhiò – Dove cazzo
è lui? –
Tsu
e Aya si lanciarono un’occhiata nervosa e poi lui sorrise – E’ ancora
sotto
shock, in bagno. Gomi sta cercando di tirarlo un po’ su con l’aiuto di
Hisae, ma
non è semplice –
Sana
sbuffò.
Se
il futuro suo, del suo bambino e di Akito dipendeva da Gomi, poteva
dirsi
tranquillamente spacciata.
*
- Quando
Akito dice
che sei incinta, intende forse che tra qualche mese nascerà un bambino?
–
Gomi
fece svolazzare
un cucchiaino ricolmo di cereali e di latte fino alla bocca e poi mandò
giù.
Alla fine guardò Sana e fece uno sguardo molto interrogativo.
Quella
mattina,
Hisae le aveva dato buca e Akito era dovuto uscire un attimo per
comprarle
fragole con panna, di cui lei aveva disperatamente voglia.
Era
rimasta da sola
con Gomi, che era venuto a fare una visitina ad Akito, ovviamente
dimentico del
fatto che Hayama dovesse poi andare a lavorare.
Gomi non
pareva
comprendere a pieno i concetti basilari dell’esistenza umana, in
effetti.
Sana
inarcò un
sopracciglio – Conosci un altro modo di essere incinta, per caso? –
Quando
Gomi
cominciò a fissare il soffitto, tentando di trovare una risposta, Sana
scosse
la testa sconsolata.
*
-
Comunque sia – sibilò – E’ meglio per lui che si faccia vivo entro
cinque
minuti o questo bambino non avrà un padre. Giuro che sarà così se non
si fa
vivo entro cinque minuti –
In
quell’ultimo lasso di tempo che Sana concesse ad Akito, arrivarono
anche la
signora Misako e la domestica, la signora Shimura, seguite da Natsumi e
il
signor Hayama.
Questi
ultimi lanciarono a Sana un sorriso raggiante e si guardarono intorno
perplessi, notando la mancanza di qualcuno evidentemente
fondamentale.
*
-
Scusate, ma com’è
successo? –
Il
signor Hayama passò
lo sguardo da Akito a Sana e viceversa.
Nat, al
suo fianco,
alzò gli occhi al cielo e parve cominciare a pregare con la mente.
-Ehm –
cominciò
Akito – Non c’è un solo modo per concepire un bambino, papà?-
Il
signor Hayama lo
fissò, valutando la realtà delle cose : suo figlio aveva ragione.
- Sì –
borbottò
infine – Ma io non credevo che tu e Sana praticaste quella
certa cosa –
Sana
arrossì di
botto.
Akito si
portò una
mano agli occhi.
Natsumi
scoppiò a
ridere – Papà, hanno ventiquattro anni. Credi che passino il tempo a
guardarsi
nelle palle degli occhi, scusa? –
La
sorella di Akito
avrebbe passato la storia come la ragazza più ragionevole del pianeta.
- No di
certo –
rispose l’uomo, assottigliando le labbra che sparirono sotto i suoi
enormi
baffi neri – Ma ci sono così tante cose che si possono fare. Andare al
cinema,
per esempio –
Il
signor Hayama
cominciò a delirare e i ragazzi lo ignorarono. Avrebbero potuto
riprendere il
discorso in qualsiasi altro momento, ma non quello.
Nat si
avvicinò di
più a Sana e le sorrise – Non preoccuparti. È contento per il bambino,
ovviamente, è solo sconvolto perché non credeva che tu e Akito
faceste... –
- …
andare a
prendere un gelato... -
Akito la
interruppe
e agitò le mani – Sì, abbiamo capito Natsumi, davvero –
La
sorella lo
ignorò – Ti hanno già detto quand’è il termine, Sana? –
- Sì, il
primo
settembre –
- …
praticare dello
sport in mezzo alla natura … -
Nat
corrugò la
fronte e parve pensarci su – L’avete concepito il giorno di Natale? –
Sana
arrossì ancora
di più. Akito sbuffò seccato.
- Ho
capito, ho
capito, la smetto - allungò una mano per
posarla sulla pancia di Sana – Non posso credere che avrai un bambino
con mio
fratello, Sana. Io sarò la zia, capisci? –
Sana
sorrise e
annuì : certo che capiva. Non era mai stata famosa per essere sveglia,
ma certe
cose riusciva ancora a realizzarle.
- … fare
lunghe
passeggiate nel parco … -
- Oh
Sana, non vedo
l’ora di andare in giro per negozi con te a comprare tutto il
necessario –
esultò, gli occhi che lampeggiavano pericolosamente.
Akito
avvertì un
forte senso di nausea – al posto di Sana.
-
Anch’io Nat –
- Gli
comprerò un
sacco di giocattoli. Non vedo l’ora – ripeté, schioccando a Sana un
bacio sulla
guancia.
- … fare del volontariato per i poveri
bisognosi … -
Fu solo
quando Sana
disse – Se vuoi possiamo andare subito a dare un’occhiata a qualcosa –
che
Akito cominciò ad avere davvero paura. Di entrambe.
Con che
cosa
sarebbero tornare a casa?
Nat
saltò in piedi
con aria sognante – Cosa aspettiamo? Andiamoci subito –
- …
andare a curare
i giardini … -
I tre
ragazzi
valutarono con un’occhiata quell’ultima uscita del signor Hayama:
andare a
curare i giardini?
Sana si
tirò su a
sedere e guardò Akito – Vuoi venire con noi? –
Il
ragazzo corrugò
la fronte per un attimo e si concentrò – No – disse dopo un lungo
momento –
Credo che rimarrò qui con mio padre, voi... Voi andate pure – concluse,
facendo
gesto ad entrambe di sparire dalla sua vista.
Rimase
così,
cianotico e sconvolto come il signor Hayama, sul divano.
- … fare
lunghe
chiacchierate … -
*
Qualche
secondo dopo irruppero anche Gomi e Hisae, rigorosamente per mano :
nessuno
sapeva perché, ma i due avevano assunto quella strana
abitudine da un mesetto a quella parte, e nessun sano di
mente osava domandare il perché.
Quando
la dottoressa tornò a controllare Sana, impallidì dalla rabbia.
-
Nove... Dieci... Undici contando
anche il piccolo – borbottò, osservando attentamente tutti i presenti
nella
stanza – Questa è una stanza d’ospedale, non la stazione centrale! –
esclamò
furiosa – Tutti fuori, solo il padre
può restare – disse secca, facendo un veloce cenno del capo a Rei che
osservava
la scena con sguardo assonnato.
Tutti
i presenti si voltarono verso di lui e poi verso la dottoressa, non
propriamente certi di aver capito bene cosa quella intendesse dire.
Sana
si infuriò – Ma non è lui il padre,
il padre è... –
In
quel momento una dodicesima testa,
bionda per la precisione, entrò nella stanza.
-
Sono io il padre – disse solamente,
seccato e quanto mai furioso per il fatto che Rei fosse stato scambiato
per
lui.
La
dottoressa parve valutare la situazione e poi sbottò – Tutti fuori
allora, via. La ragazza ha bisogno di
tranquillità, non del vostro continuo cianciare –
Quando
le dieci teste, più quella del piccolo Jo che riposava beato tra le
braccia
della sua mamma, se ne furono andate, Sana si voltò verso la dottoressa
e le
sorrise.
-
Grazie –
Quella
rispose con un singolare annuire e uscì dalla stanza per concedere ai
futuri
genitori un po’ di privacy.
Futuri
genitori... Al solo
pensiero,
Sana rabbrividì. Quando guardò Akito, furono altre le emozioni che
presero il
sopravvento dentro di lei.
Rabbia...
-
Ma dove diavolo eri finito? –
Astio...
-
Te la stavi facendo sotto perché hai paura di diventare padre? Vorresti
lasciare solo a me questa responsabilità, Akito? Vorrei ricordarti che
questo
bambino l’abbiamo concepito insieme –
Preoccupazione –
subito dopo aver
costatato lo stato dei capelli di Akito, della sua maglietta e del suo
sguardo.
-
Ma che cosa ti succede? –
Akito
scosse il capo, brusco, e come di regola non rispose a nessuna delle
sue
domande. Andò a sedersi sul bordo del suo letto e le prese una mano –
Come
stai? –
Sana
lo fissò male per alcuni istanti e poi si riscosse – Come devo stare?
Quelli che
dovevano essere lievi dolori, stando
a sentire mia madre, sono peggio di una serie di bastonate sulla
schiena e,
stando a sentire la dottoressa, non sono ancora dilatata abbastanza –
disse
secca – Sono qui da ore –
Akito
rimase serio e le passò una mano sulla fronte per scostarle i capelli
appiccicati; la mano scivolò poi sulla sua guancia e si chinò per darle
un
bacio a fior di labbra.
-
Non vedo l’ora di averlo con noi – disse solamente e Sana si sentì
esplodere
tutto dentro.
-
Anch’io – riuscì solo a rispondere.
La
tiritera del “è tutta colpa
tua se sono in queste condizioni”,
se la sarebbe tenuta per il parto vero e proprio, decisamente.
Per
il momento, Sana preferì di gran lunga stare lì a fissare negli occhi
Akito, a
sognare loro due e il loro bambino.
*
-
Dite che lo ucciderà sul serio? –
domandò Gomi, continuando a girare a vuoto per la sala d’aspetto. Sana
aveva
appena minacciato Akito di morte ed era stata così carina da renderlo
noto a
tutti coloro che stavano in ascolto.
-
No, ma se continui così dico che
farai un buco nel pavimento – rispose Hisae.
Dopo
la bellezza di quattordici ore e ventisette minuti, Sana era stata
trasferita
in sala parto : la sua dottoressa aveva annunciato felicemente a tutto
l’ospedale e dintorni cittadini che la ragazza aveva raggiunto la
dilatazione
massima.
Per
qualche strana ragione, Gomi fece una smorfia, al ricordo.
Il
signor Hayama era bianco come un cencio e mormorava tra sé e sé come un
posseduto. Natsumi tentava disperatamente di calmarlo.
In
quel momento, la voce acuta di Sana stava rivolgendo un epiteto
irripetibile in qualunque contesto ad Hayama. Se solo
si fossero concentrati, avrebbero sentito le ossa delle mani del
ragazzo che
venivano distrutte dalla presa ferrea di Sana.
-
Addirittura? – ridacchiò Tsuyoshi, accarezzando la testina di Jo,
appoggiata
sul seno della mamma.
-
Sei tu la causa di tutto. Che tu sia dannato, Hayama. Tu non potrai mai
capire
quello che sto provando io in questo
momento! – ululò Sana, talmente forte che una famiglia poco distante da
loro
tappò le orecchie ai bambini e se ne andò di corsa.
-
Direi che è abbastanza logico – Fuka
commentò l’ultima perla di Sana picchiettandosi il mento con le dita.
Dopo
una sequela infinita di insulti, ai quali Akito rispondeva con sonori
incoraggiamenti
a spingere più forte, “Così la
pianterai una buona volta di
insultarmi” – i due trovavano una scusa per litigare in qualsiasi
momento,
persino quello – si udì il pianto di
un bambino.
Improvvisamente,
calò il silenzio più assoluto e sui volti di molti si disegnò un
sorriso.
*
-
Ma come sarebbe a dire che è una femmina? Avete sbagliato? Ancora?
– urlò Sana, memore dell’indimenticabile faccia di Tsu,
quando gli avevano detto che quella che doveva essere la sua
principessa era in
realtà un maschietto.
-
Io non ho pensato a nessun nome da femmina! – continuò imperterrita
Sana,
cominciando a piagnucolare un po’, come se quello fosse il problema
maggiore.
Secondo
l’infermiera era normale avere crisi isteriche dopo il parto.
-
Kurata, calmati – le disse Akito, posandole una mano sulla spalla e
spingendola
indietro contro i cuscini – Non ti hanno mica detto che ha tre occhi –
disse.
-
Ma... Ma... – balbettò Sana, come se avesse dovuto trovare a tutti i
costi
qualcosa che non andava.
Tutte
le sue proteste cessarono quando un fagottino rosa le venne depositato
con
dolcezza tra le braccia da un infermiera.
Sana
fissò la piccola che teneva gli occhi chiusi e che muoveva le manine,
molto
probabilmente per lamentarsi di tutte quelle urla che provenivano
direttamente
dalla sua mamma.
La
ragazza si voltò di scatto verso Akito – L’abbiamo fatta noi – disse
soltanto.
-
Sì – rispose quello, ironicamente – Sì, mi
pare di ricordare la mia presenza, quella notte –
Sana
arrossì di botto e si irrigidì.
Akito
allungò cautamente una mano verso la piccola e
le sfiorò una manina; quella, per tutta risposta, gli afferrò
l’indice e
non lo lasciò andare più. Il ragazzo sussultò, visibilmente scosso dentro da qualcosa che aveva un nome, ma
che lui non aveva mai considerato.
Una
volta, da qualche parte, aveva letto che quando un figlio ti aggancia
un dito
per la prima volta, ti ha agganciato per il resto della vita. (**)
Semplicemente,
lui non credeva che potesse succedere così in fretta.
-
E’ forte – mormorò mezzo intontito – Mi sta stritolando un dito –
Sana
rise – Non dire fesserie Akito. È ancora troppo piccola –
La
ragazza realizzò solo in quel momento che ciò che teneva tra le
braccia, quel
corpicino piccolo e caldo che si muoveva appena, avvolto dal tepore di
una
copertina rosa, le aveva fatto compagnia ogni singolo secondo di quegli
ultimi
nove mesi.
La
strinse un pochino di più contro di sé e la piccola appoggiò la testa
sul suo
petto. Sana sperò che il rumore del suo cuore che picchiava per poter
uscire
non la disturbasse.
-
Credi sia possibile, Akito, vedere qualcuno per
la prima volta e capire di volergli già così bene che saresti
disposto a
tutto? – domandò lei, allora.
Lui
era ancora imbambolato a fissare la bambina. Aveva la pelle
chiarissima, le
manine così piccole, proprio come i piedini, e aveva lo stesso naso di
Sana.
Per di più faceva le stesse smorfie di Sana quando dormiva. Notare che
aveva un
sacco di capelli color oro lo fece sentire improvvisamente orgoglioso.
Spostò
lo sguardo su Sana – Io... Credo proprio di sì –
Sana
tirò su con il naso e sorrise – Vuoi prenderla in braccio? – gli
domandò.
-
Non le faccio male? –
L’infermiera,
che era entrata da poco nella stanza e che aveva ascoltato le loro
ultime due
battute, rise – Certo che no, sciocco. Sono molto più resistenti di
quello che
si pensa – disse, avvicinandosi.
Prese
le braccia di Akito e le mise nella posizione per prendere in braccio
la
piccola – Ecco, così –
Se
solo non fosse stato illegale, Akito l’avrebbe uccisa. Sentendosi un
perfetto
idiota pronto per il balletto classico, si avvicinò a Sana che con
calma gli
passò la bambina – Ecco amore, vai dal papà
–
Ad
Akito sembrò di essere travolto da una fiamma incandescente quando si
sentì
chiamare con quel nome.
Quando
si tirò dritto sulla schiena fissò la piccola più attentamente. Nel
frattempo,
l’infermiera diede una veloce controllatina a Sana e poi se ne andò
dalla
stanza.
Akito
si voltò verso di lei – Non mi dispiace
– disse soltanto.
Per
tutta risposta Sana gli sorrise – Nemmeno a me –
Lui
le si avvicinò e le diede un veloce bacio sui capelli ancora per aria
poi si
allontanò verso la finestra – Adesso la tengo io –
-
Ti faccio presente che è anche mia
figlia –
-
Tu l’hai tenuta per nove mesi : adesso tocca a me –
-
Stai dicendo che non potrò stare con mia figlia per i prossimi nove
mesi perché
soffri di gelosia. Hai paura che sia più mia che tua? Guarda che non
l’ho
deciso io di essere donna e di poter procreare. Nella prossima vita, cambia sesso –
Ovviamente
Akito non si diede nemmeno la piena di voltarsi a guardarla. Le dava le
spalle
e teneva gli occhi puntati sulla piccola.
-
Prendi fiato, Kurata. Comunque ribadisco il concetto : adesso la tengo io –
Sana
sbuffò, ma in cuor suo si sentiva felice
come non lo era mai stata in tutta la sua vita.
-
Hai visto che assomiglia a me e che ha i tuoi capelli, Hayama? – disse.
Lui
non rispose : sì che l’aveva notato.
Per
un momento gli balenò in testa l’immagine di una bambina di undici
anni, con i
capelli lunghi e rossi raccolti in due ridicoli codini, che sedeva in
una
panchina nel parco. Insieme a lei c’era un bambino poco più grande, con
i
capelli biondi e l’espressione imbronciata. Scocciata.
Teneva la testa appoggiata sulle gambe della bambina e si faceva
accarezzare.
Ecco,
quel giorno di così tanti anni addietro non avrebbe mai immaginato che
sarebbe
arrivato il momento in cui lui e quella bambina sarebbero stati uniti
per
sempre da qualcosa. Da qualcuno.
Qualcuno
che non aveva ancora un nome.
-
Nami – sussurrò Akito.
-
Come dici? –
-
Vorrei chiamarla Nami, se non ti dispiace – (***)
Sana
sembrò pensarci su. Il nome proprio di una persona non è qualcosa che
si può
scegliere così, a caso. È qualcosa che poi ci si porta dietro per
sempre, un
po’ come gli occhi, o il naso, o la bocca. Peccato che per quei fattori
ci si
possa fare poco o nulla.
Ma
Nami era un bellissimo nome, corto, moderno e musicale.
-
Non mi dispiace – confermò dopo
qualche secondo e finalmente Akito si voltò a guardarla per annuire in
sua
direzione.
Poi
le diede ancora le spalle.
-
Nami – la chiamò, con voce roca. Per tutta risposta, la bambina gli
tirò un
calcio sul braccio. Forse era il suo modo di dirgli che lo aveva
sentito.
Akito
sorrise.
In
quel momento la porta si spalancò.
Otto
persone rimasero inebetite a fissare la scena. Sul letto – di
morte – Sana lanciava occhiate minacciose ad Akito che le aveva
appena rapito la figlia.
Ma
non era tutto : per un secondo esatto dopo che la porta venne
spalancata,
furono tutti sicuri al cento per cento di aver visto Akito sorridere.
-
STAVI SORRIDENDO! – urlò Fuka, in
modo tale da rendere partecipe tutto l’ospedale di quella notizia. Lo
additò e
mosse l’indice verso di lui – Stavi
sorridendo! – ripeté.
Akito
la fissò torvo – Non è vero! –
-
Non negarlo Hayama : ti abbiamo visto tutti – disse Rei gongolante.
Le
ragazze e la signora Shimura andarono ad accomodarsi di fianco a Sana.
-
Dove hai lasciato Jo? – domandò lei rivolta ad Aya.
L’amica
sorrise – Era stanco. Mia madre passava da queste parti e l’ho lasciato
a lei –
-
Come stai, cara? – domandò l’anziana domestica a Sana, accarezzandole
il viso.
-
Sono un po’ stanca, ma sto bene, signora Shimura – rispose, sorridendo.
-
Perché la piccola la tiene solo
Akito? – Hisae parve indignata.
Sana
sospirò e mosse le spalle – Che devo dirvi? Ha detto che per i prossimi
nove
mesi la bambina la tiene lui perché deve recuperare il tempo perso –
-
Che idiota – fu l’elegante commento
di Fuka. Pareva trattenersi dall’accendersi una sigaretta soltanto
perché si
trovavano in ospedale.
Se
Fuka avesse mai avuto un figlio, il povero avrebbe bevuto latte e
nicotina per
colazione. Sana rabbrividì al pensiero e si voltò verso Akito,
accerchiato da
sua madre, Rei, Tsu e Gomi (il quale, tra l’altro, stava cercando di
capire se
Nami fosse una bambola o un vero essere umano).
Osservò
Hayama mentre si lasciava cadere sul divanetto della stanza, dove Rei
aveva
dormito un bel po’ di ore prima, tra suo padre e sua sorella. I due si
sporsero
per vedere la piccina e cominciarono a delirare cose senza senso.
L’essere
completamente pazzi, evidentemente, era una prerogativa
unica di quella famiglia.
E di
Misako. E di Sana. E di Fuka, a
volte. E di
Tsu quando lanciava gli oggetti.
-
Vorrei riavere mia figlia – disse Sana.
Akito
ghignò – Te lo puoi sognare –
-
Hayama, adesso basta fare i bambini, ti pare? –
La
smorfia che le fece lui di rimando, valeva come risposta : no, non gli
pareva
proprio.
-
Quando la pianterete di litigare per queste sciocchezze, voi due? –
rise la
signora Kurata, facendosi spazio tra le amiche di Sana, come Mosè tra
le acque
del Mar Rosso.
Si
accomodò accanto alla figlia e le sorrise.
-
Mamma – piagnucolò Sana, allungando
le braccia verso di lei per farsi abbracciare.
Misako
crollò dopo appena tre secondi di resistenza e scoppiò in lacrime – Oh
cara. È
così bella. E tu sei stata bravissima –
Tutte
le annotazioni che Sana si era fatta nella sua mente, quali inveire
contro sua
madre che l’aveva costretta a mettere
al mondo una creatura, facendole credere che non sarebbe stato
doloroso, ma
che, anzi, si sarebbe divertita un mondo,
andarono perdute.
-
Hai visto che mi assomiglia? – mormorò Sana.
Alle
spalle di Misako qualcuno rise – Abbiamo visto che ha una marea di
capelli
biondi –
Rei
si avvicinò al letto di Sana, sorridendo – Avrei voluto prenderla in
braccio,
ma quello – aggiunse, indicando Akito
con un gesto secco della testa – non la molla un attimo –
Sana
ridacchiò – Oh Rei –
L’uomo
si abbassò su di lei e le diede un bacio sulla guancia. Sana non
avrebbe saputo
trovare un momento più perfetto di quello in tutta la sua vita.
La
signora Kurata studiò il volto della figlia per altri trenta secondi –
Akito,
vieni qui con la bambina. Voglio che rimaniate vicini voi
tre –
Sana
ghignò : Akito non avrebbe mai trovato il coraggio di dire di no a sua madre.
Dopo
qualche istante di esitazione, di fatti, andò a sedersi accanto a lei,
tenendo
Nami stretta a sé in un modo, come se
Sana fosse stata una ladra di neonati.
Per
tutta risposta Sana gli sorrise e poi abbassò gli occhi su sua
figlia – ancora faceva fatica a metabolizzare. Quella era sua
figlia. E lei, di conseguenza, era madre.
Ancora non lo realizzava a pieno ed era sicura, in quel momento, che
non ci
sarebbe mai riuscita davvero. Era qualcosa di troppo grande, persino
per la mitica
Sana Kurata.
-
E va bene – borbottò Akito – Te la lascio tenere, ma solo cinque
minuti. Ricordati che lei è mia – trattava Nami
come se fosse stata di cristallo.
-
Nostra, volevi dire, giusto? –
-
No. Mia – ribadì Akito.
Fuka
proruppe con una domanda intelligente – Cosa farai quando sarà grande e
avrà un
ragazzo, Akito? –
Quello
fece una smorfia – Il ragazzo in questione deve solo provare ad
avvicinarsi -
Alle
loro spalle tutti ridacchiarono, tranne uno che scoppiò in un pianto a
dirotto
: era Tsu.
Si
voltarono tutti a guardarlo con aria stralunata. Aya sorrideva.
-
Ma che succede? – domandò Sana ansiosa.
-
Oh – biascicò Tsu – Siete così belli
voi tre insieme – aggiunse – Se penso a quanto mi avete fatto disperare
in
questi anni, mi viene l’esaurimento nervoso! –
Scoppiarono
tutti a ridere e persino Nami parve distendere le labbra in una smorfia.
*
Un mese
dopo...
-
Quindi tu dici che dovrei chiederglielo?-
Sana
sentì che la voce di Akito proveniva dalla stanza di Nami. Dopo lunghe
riflessioni – e dopo tante minacce di morte
di Fuka – la camera della sua ex coinquilina era stata destinata alla
piccola.
Fuka non poteva esserne più felice. Aveva pagato con i suoi soldi ogni
spesa
che Akito e Sana avrebbero dovuto sostenere, dalla tinteggiatura dei
muri (rosa
pallido), alla culla dove Nami riposava tranquillamente ogni notte.
Sana
depositò le borse della spesa sul tavolo e andò verso la stanza della
bambina:
quando entrò, vide Akito seduto su una sedia accanto alla culla,
intento a
contemplare Nami.
La
ragazza rise – Se non la smetti di guardarla, la consumerai Akito –
Hayama
alzò gli occhi verso Sana e parve in catalessi – Non ci
riesco – ammise genuinamente.
Lei
gli si avvicinò e gli diede un bacio sulla nuca, gli passò le braccia
intorno
alle spalle e guardò anche lei Nami che sbatteva le palpebre rivelando
due
occhi ambra meravigliosi. Un’altra caratteristica che aveva preso da
suo padre,
se mai Akito avesse potuto dubitare di esserlo.
-
Capisco cosa vuoi dire – sussurrò Sana con un sorriso sulle labbra –
Però tu
sei esagerato, passi le tue giornate a guardarla, sembri pazzo
–
Akito
allungò una mano e accarezzò la pancia di Nami – Forse lo sono
diventato, no?-
Si
voltò finalmente verso Sana e l’attirò a sé, dandole un bacio sulle
labbra –
Allora sei andata a trovare Gomi e Hisae prima? Come stanno? –
Sana
inclinò la testa da un lato e lo fissò negli occhi. Per un momento si
dimenticò
della domanda che lui le aveva fatto e riuscì solo a considerare quanto
si
sentisse bene e al sicuro tra le braccia di Akito. Certo che ora capiva
perché
Nami adorava stare in braccio a suo padre, non poteva proprio darle
torto.
Fino
a dieci minuti prima correva sotto il diluvio universale che si era
scatenato :
ottobre sapeva essere impietoso con i poveri malcapitati.
Ora
se ne stava lì, tra le braccia forti di Akito a guardare loro figlia
che
ricambiava le loro occhiate curiosa. A volte si sentiva in soggezione
addirittura a baciarlo davanti a lei
: le sembrava che Nami capisse tutto.
Non
riusciva a concepire tutta la perfezione
che la circondava non appena metteva piede in casa sua.
-
Mah – sospirò Sana dopo un po’ – Ti dirò, Hisae mi sembra molto presa
dal
ruolo. Gomi lo vedo ancora parecchio sotto shock –
Akito
annuì e ridacchiò – Quando Hisae gli ha detto di essere incinta non ha
mangiato
per una settimana –
Sana
roteò gli occhi al cielo – Senza contare il fatto che ha studiato Nami
e Jo per
ore cercando di capire se fossero pericolosi alieni
venuti sulla terra per farlo fuori –
-
Sì, anche questo –
Sana
si districò dolcemente dall’abbraccio di Akito, gli diede un bacio
sulle labbra
– che lui tentò di approfondire, ma a cui lei si sottrasse, per i
motivi di cui
sopra – e fece il giro della culla per andarsi a sistemare dall’altro
lato.
-
Con chi stavi parlando quando sono arrivata? – domandò, allungano una
mano per
scostare una ciocca bionda che ricadeva sulla fronte della piccola.
Quella fece
un sorrisino e si aggrappò all’indice di Sana
Akito
la osservò sospettoso – Quanto hai sentito? – domandò.
La
ragazza sembrò sorpresa di quella domanda – Solo l’ultima frase,
perché? –
Ovviamente,
sperare di ottenere una risposta di Akito era un po’ come pretendere la
pace nel mondo. Hayama sospirò – Stavo
parlando con Nami – e Sana scoppiò a
ridere.
Insomma,
per quanto potesse reputare sua figlia intelligente, le possibilità che
lei e
Akito si lanciassero in lunghe chiacchierate le sembrava un
po’ scarsine.
-
Cosa diavolo ridi? Guarda che lei mi ascolta quando le parlo –
Sana
continuò a sorridere e passò lo sguardo da Akito a Nami. Tra i due fin
dal
primo momento all’ospedale si era istaurato un legame molto forte.
Anche
Sana ovviamente amava sua figlia e Nami la riconosceva sempre : era da
Sana che
voleva andare quando piangeva, quando non stava bene, quando aveva fame
– per
quest’ultimo fatto, per forza di cosa doveva andare da Sana, dato che
Akito difficilmente avrebbe potuto allattarla
– o, semplicemente, quando voleva giocare o fare baccano – forse perché
anche
Sana faceva le stesse cose, “Avete gli
stessi interessi” commentava Akito sardonico.
In
ogni caso, tra sua figlia e Hayama c’era qualcosa di speciale che Sana
non
sapeva spiegare. Sicuramente, ne era certa, Akito amava molto più Nami
di lei –
o almeno, questo era quello che lei sperava.
La bambina era l’unica persona con cui Sana accettava di dividere
l’amore di Akito. Anzi, pretendeva di dividerlo.
E
per lui era lo stesso.
Si
riscosse dai suoi pensieri – Comunque sia, che cos’avete concordato voi
due? –
Akito
lanciò una veloce occhiata a Nami che ricambiò, sorridente.
-
Ecco... Lei mi ha detto che devo fare
una cosa – mormorò – Una cosa che in realtà in un modo o nell’altro ho già fatto, ma che devo
fare meglio – precisò infine.
Sana
non ci stava capendo più niente. Non sapeva se rimanere seria o
scoppiare a
ridere per l’evidente follia di Akito.
Cercò
comunque di darsi un tono – Bene – esordì – Falla allora –
Akito
rimase immobile, con gli occhi chiusi, e respirò profondamente un paio
di
volte. Poi accadde tutto in un istante : fece il giro del lettino, si
avvicinò
a Sana e le prese le mani.
-
Sposami –
Il
suono le giunse ovattato, anni luce di distanza tra le sue orecchie e
la bocca
che aveva pronunciato quelle parole.
Qualcosa
dentro di lei cominciò a tremare, come la notte di Natale, come quando
aveva
scoperto di aspettare Nami, come quando la bambina era nata. Il tremore
delle
emozioni forti, ecco cos’era quello.
Voleva
assolutamente dire qualcosa di intelligente.
Le parole le morirono in gola e così...
-
Cosa? –
Akito
parve evidentemente spazientito e scocciato. Pronunciare quella singola
parola
doveva essergli costato una fatica pazzesca, e adesso per colpa sua
doveva
ripeterla.
Respirò
ancora a fondo – evidentemente aveva messo in conto quel momento di
stordimento
totale di Sana. Dopotutto lei, stordita, lo era sempre.
-
Ho detto : sposami Kurata –
Certo
che detto così sembrava più un ordine.
-
Io... Io... Io... – balbettò Sana, con la testa fra le nuvole.
Akito
inarcò un sopracciglio – Non mi rispondi? Sì
o no? –
-
Ah, era una domanda? –
-
Ma certo – sbottò lui, roteando gli occhi al cielo come se si trovasse
davanti
ad una bambina particolarmente ritardata.
-
Io credevo che fosse ovvio... A Natale... L’anello... Era ovvio
– Sana continuò a balbettare parole sconnesse, incapace per
una volta di cucirle insieme in un discorso di senso compiuto.
Hayama
annuì – Certo. Però volevo fare le cose come andavano fatte. Anche Nami
è
d’accordo -
Sana
spostò il suo sguardo allucinato sulla piccola che ora li guardava
molto
interessata. No, si corresse Sana fra sé, guardava molto interessata lei, come se attendesse anche lei una
risposta.
Per
un momento, solo per un momento, quando Nami emise un gridolino felice,
a Sana
parve di sentire “Digli di sì, mamma”.
Scosse
la testa bruscamente e si fece un paio di domande in merito. Forse
stava uscendo
di melone, con tutta la gente pazza che la circondava.
-
Allora? – incalzò Akito ancora di fronte a lei – Mi sposi o no? –
Ormai
era senza ritegno.
Sana
guardò per un ultimo istante la piccola che ora stava chiudendo gli
occhietti
per mettersi a dormire e solo in quel momento si sentì veramente libera
di
parlare : Nami la metteva terribilmente in soggezione, forse erano gli
influssi
dell’ex camera di Fuka ad averla fatta diventare così.
Spostò
lo sguardo su Hayama che cercava di mascherare tutta la sua emozione
sotto la
solita maschera dura e indifferente.
Vide
che la sua mano destra tremava e che Akito si mosse ad afferrare
saldamente la
sponda della culla per fermarla.
Poi
Sana gli sorrise.
-
Sì –
I'll be
your dream
I'll be your wish I'll be your fantasy
I'll be your hope I'll be your love
Be everything that you need
I'll love you more with every breath
Truly, madly, deeply do
I will be strong I will be faithful
'cause I'm counting on
A new beginning
A reason for living
A deeper meaning, yeah
I'll be your wish I'll be your fantasy
I'll be your hope I'll be your love
Be everything that you need
I'll love you more with every breath
Truly, madly, deeply do
I will be strong I will be faithful
'cause I'm counting on
A new beginning
A reason for living
A deeper meaning, yeah
Truly Madly Deeply – Savage
Garden
*******************************************************
THE END.
*******************************************************
(*) Frase
ripresa da “Senti chi parla”. Mi ha sempre
fatto morire dalle risate.
(**)
Anch’io, come
Akito, l’ho letto da qualche parte, ma non ricordo dove.
(***) Vorrei
dire “A Kim”, ma credo sia meglio “A
Noemi”, la sua stella. Ti avevo
detto che sarebbe stata la figlia di Aya e Tsu, ma poi ci ho ripensato.
Spero
che non ti dispiaccia e che tu abbia apprezzato il fatto che, a volerla
chiamare così, sia stato il nostro coniglietto. In questo modo, la
fiction trova ancora più senso nel suo titolo. "Lei è" tutto. Non trovi?
Okay,
credo di aver pianto una volta finito di scrivere questo. Che nodo in
gola mi
si è formato e, lasciatemelo dire, adoro Nami.
Ma
torniamo a noi : ce l’abbiamo fatta. She Is è davvero finita,
tra
risate, situazioni estreme che si realizzano (ma potete immaginare
Hisae e Gomi
con un bambino? Ma dai!) e la tenerissima Nami che con Akito ha
un’intesa tutta
speciale.
Ora,
ho risposto a tutte le vostre bellissime recensioni, una per una, in
modo tale
da potervi ringraziare e farvi capire quanto abbiano significato per me
le
vostre magnifiche parole.
Come
ho detto a qualcuna di voi, forse – forse
– potrei scrivere un paio di spin-off su questa storia, ma non è niente
di
certo.
Voglio
solo che sia ben chiaro a tutte voi quanto “My Sorrow” e “She Is”, che
è il suo
continuo, abbiano significato per me : le ho scritte in un periodo nel
quale la
mia vita stava per cambiare radicalmente e avere una valvola di sfogo,
cioè
questi personaggi che riflettevano in qualche modo le mie ansie, le mie
paure e
anche tutte le mie emozioni, è stato importantissimo. So che sembra
ridicolo,
ma è davvero così. Di conseguenza a ciò, anche il vostro sostegno è
stato
fondamentale.
I
vostri consigli, gli incoraggiamenti e anche tutti vostri pareri, per
non
parlare delle centinaia di parole carine che ogni volta riversavate
nelle
recensioni, mi hanno aiutata parecchio. Insomma, siete state un po’ il
mio
sostegno, anche se attraverso lo schermo di un PC.
Per
farla breve, sennò mi commuovo per davvero, grazie ragazze!
Quindi
ci salutiamo qui, per ora, in attesa che torni a farmi viva con altre
storie
nuove – sì, non scomparirò nel nulla, questo è poco ma sicuro.
Un
bacione grande a tutte voi ragazze e, già che ci siamo, tantissimi
auguri per
l’anno nuovo.
Spero
sia un anno fantastico per tutte.
Gillywater
P.S. il
primo
gennaio sono sei anni che scrivo su questo sito. Che vecchiaccia!