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Autore: Marzolina    27/12/2010    1 recensioni
"Vorrei una stanza e l'eco di ogni passo. E la solitudine di una tela finita. E le grida dei Proci. E le onde di Odisseo al suo folle volo"
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'Angst di Penelope

Scritta in un momento di assenza delle Muse

Ho scritto una storia partendo dalla fine e rimettendo un po' apposto l'inizio, senza particolare interesse, senza pensare di poter eventualmente arrivare a riempire anche il vuoto in mezzo.
E mi sento miserabile, perché era proprio quella, la parte più importante. Ho dato a questi fantasmi travestiti da personaggi solo una stazione e un biglietto di andata. Ma li ho lasciati senza un treno, ho negato loro il viaggio, il cielo e le colline che volano via fuori dal finestrino. Li ho privati del treno che resta fermo e mette in moto il mondo, che gli scorre a fianco.
Perché la destinazione è sempre stata lì: alla partenza. Ho abbandonato queste anime nell'attesa sfiancante di uno spettro che non riconosceranno.
E un po' ti odio. Sì. Perché sapevi fin dall'inizio, fin dal momento in cui hai nascosto lo scudo nella vela, mentre salutavi la nostra vita, lo sapevi anche allora, che era il viaggio che contava.
Ma non me l'hai voluto dire. Mi hai concesso solo la tua andata e il tuo ritorno. Non le onde livide della storia, non i mostri della tua memoria. Non ho sentito il pianto di chi ti ha creduto perduto. C'era solo il silenzio di questa rabbia. Il rimorso dell'inerzia del tempo che si butta in avanti e annega, strozzato da un altro filo, benedetto da un altro ricamo.
E' nel buio delle notti di disfatta, nella chiarezza di una dorata prigionia che vorrei che mi chiedessi chi sono diventata.
Sei stato il principio di ogni speranza, la gioia segreta di un bagliore lungo il mare. Sei stato nella foga di mani senza nome, nel pianto di sale e argilla. Eri lo scrittore di ogni dubbio e le tue mani non erano sporche di sangue, ma d'inchiostro. Non avevi sventrato nemici, ma parole.
Avevi svuotato ogni suono di sillaba stonata e lo avevi guarito. Hai ridato al "mare" il suo significato più blu e profondo, alla "paura" il tremore di ogni lettera, alla "casa" la sua "c" più accogliente e dolce.
E così politropo e senza forma hai viaggiato per il mondo senza di me. Ma per riabbracciarti adesso che sei di ritorno qui sotto la mia finestra tormentata, mentimi. Dimmi che ti sono mancata su quel vascello sconosciuto. Che hai sentito il mio pianto nella pioggia, le mie grida nei tuoni, che hai visto la mia mano tendersi quando le nubi si diradavano dopo lo stupro della tempesta.
Dimmi che questo tremore che mi prende adesso, mentre stringo le tue mani scarnificate non è stato un'eco di sirene. Mi racconterai poi delle avventure. Adesso chiedimi.
Chiedimi del vento e del vuoto che spezza. Perché sono ancora sola? Dove ho lasciato i segni della pazzia?
Vorrei una stanza e l'eco di ogni passo. E la solitudine di una tela finita. E le grida dei Proci. E le onde di Odisseo al suo folle volo.
Sono la regina di un reame di carta e stracci. Non c'è sofferenza in questa pagina scavata nella roccia. Non nelle unghie che sanguinano. Ricordami come la scrittrice del tuo risveglio più bello.
E chiedimi. Chiedimi. Chiedimi: "chi ha scritto l'epitaffio sulla tua tomba?"
Ti risponderò che l'ho fatto io, mentre guardavo uno specchio e non mi riconoscevo. E ho copiato una storia, dipinta su un sasso, parlava di un principe con un unico occhio.
Parlava di questa assenza sbiadita. E della neve che si scioglie. E della nave che svanisce.
Chiedimi ancora: "chi ha scritto quell'epitaffio?"
Ti abbraccerò forte, ricalcherò il tuo profilo con la mano sbagliata e ti dirò che l'hai scritto tu, amore mio, che c'era il tuo nome alla fine.

   
 
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