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Autore: Clementine K    27/12/2010    1 recensioni
Il giorno dopo trovarono il suo corpo impiccato. Aveva annodato i lacci delle scarpe alla presa d’aria in alto. Non aveva emesso un gemito… gli era piaciuto di sicuro.
Un carcere particolare, per ospiti particolari. Un racconto DIVINO.
Genere: Introspettivo, Satirico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pezzi da novanta 

 
 
Primo giorno nella comunità di galeotti, ora d’aria. Tutti fuori dalle celle dopo l’appello del mattino. L’addetto alle leve apre le gabbie man mano che viene fuori il tuo nome: tu esci, ti dichiari presente e torni dentro. Le sbarre vengono richiuse e si ripete per il tuo vicino di cella, finché non hanno finito con tutte le celle del tuo ballatoio e non hanno confrontato il numero della conta con quello dei presenti della sera prima. C’è sempre qualcuno che tenta la fuga di notte. Quando il numero coincide i dati sono spediti a Sacramento e finalmente vengono aperte tutte le celle simultaneamente e si può uscire. Di solito la cosa richiede dai 15 ai 20 minuti.
 
 
"Che cosa ti accusano di aver fatto, Fefè?"
Come avevo imparato nei miei anni dietro le sbarre, non si chiede mai ad un altro detenuto che cosa abbia fatto per finire in galera, ma si chiede di cosa lo accusano di aver fatto. Alcuni di noi fanno la spia per conto della sezione investigativa. Ti spingono a confidarti con loro finché non te li trovi dietro la sbarra dei testimoni il giorno del processo. Il grosso tizio biondo in stile vichingo che mi rivolse quelle parole lo avevo conosciuto ai tempi del riformatorio minorile.
"Dicono che sono coinvolto in una produzione di armi da fuoco. Concorso in attività illegali, ma te lo immagini?"
 
Thor mi si avvicina ridendo con la mascella forte del nord e i suoi trentadue denti bianchissimi. Tutti canini.
"E quando mai, eh Fefè? Tu non ne hai mai saputo nulla di armi!"
Ci abbracciamo con calore e coninuiamo a ridere, lui nella sua divisa che quasi scoppia sotto la pressione dei muscoli allenatissimi, io sbilenco per le gambe zoppe, ciondolando in un pigiama a righe che mi da un’espressione ancora più curva e magrolina. Camminiamo lungo il ballatoio e usciamo all’aria aperta. Mi porta a fare il giro del Grande Cortile, come viene chiamata la zona aperta del carcere. Ci avviciniamo verso un gruppo di chicanos dall’aria selvatica e mi presenta.
"Questi sono un po’ matti, ma sanno procurarti tutto quello che ti serve qui dentro; meglio averli amici" mi sussurra dietro la spalla prima di annunciarmi davanti a loro. Gli dei minori dell’Amerca tropicale mi rivolgono occhiate diffidenti. Sono in gabbia da almeno mille anni più di me, da quando Maya e Aztechi si dissolsero, ma rispondono educatamente al saluto e proseguono a chiacchierare in quel linguaggio primitivo.
 
Finito il giro turistico Thor mi porta in sala mensa per fare colazione. A servire una brodaglia energetica da dietro il banco c’è un tizio panciuto coi capelli radi in cima. Mi strizza l’occhio quando gli passo davanti e appena lo riconosco ho un brivido di gioia e scavalcherei il bancone per abbracciarlo, ma Thor mi trattiene una spalla e mi sussurra che avrò modo di rivederlo con piu calma, senza fare disordini. Dioniso, ormai irriconoscibile per le misture di eroina e cocaina di cui è ormai dipendente, nessuna traccia della bellezza di un tempo. Caro amico. L’unico che non sia passato per le lenzuola di mia moglie, bastarda puttana.
Ci sediamo ad un banco e succhiamo quella schifezza. Una zuppa molliccia di ostie consacrate in un cucchiaio di vino caldo che passa la Nuova Direzione da ormai duemila anni. Orribile: il Cristianesimo ha abolito orgie, saune pubbliche, e in cambio ha riempito il mondo di chiese e pizzerie. Cercando di non pensare alla nausea mi concentro sulla conversazione. Il figlio di Odino mi rivela che l’hanno beccato mentre si nascondeva con alcuni amici in Finlandia. Praticamente l’accusa era di vagabondaggio, ma avevano bisogno di sbatterlo denro per quell’affare del Ragnarok. Così avevano appostato truppe di cherubini vicino alle sedi delle ultime sette di pagani. Duecentomila giovani fanatici ignoranti, diceva, ma che tenevano vivo l’ultimo ricordo degli dei asgardiani quel tanto che bastava per dare a lui e ad altri dei minori del nord le forze almeno di scappare. I cherubini li avevano pizzicati a vandalizzare un cimitero nell’ Ostrobotnia.
"E ora chi darà da mangiare a Fenrir?" mugola Thor riferendosi al cagnone. Poi si riscuote e aggiunge con un luccichio negli occhi "Ah, ma finché resta nascosto anche Ade, un' ultima rivoluzione sarà possibile!" 
 
La cella di rigore è un bugigattolo di un metro e mezzo per tre, senza luce nè materasso. E’ stato il mio primo incontro con questa prigione. Al momento di entrare bisogna attraversare una serie di controlli burocratici, prendere le impronte digitali, sottoporsi a visita medica, e tutto insieme porta via dalle diciotto alle venti ore. Per cui ero davvero stanco quando finalmente ci togliemmo i vestiti: la possibilità era metterli in un cassonetto per donarli all’esercito della salvezza, o farli tornare a casa, per chi l’aveva, previo pagamento delle tasse di spedizione. Tutti si svestirono e li posarono nel cassonetto. Tutta quella massa di corpi nudi sporchi mi spingeva verso il cassonetto, ansiosa di ritirarsi nel riposo delle celle e ad un certo punto ricevetti una gomitata in pieno petto che mi fece chiudere gli occhi e vedere un sacco di lucine colorate. Quando mi ripresi ero ai piedi di una guardia che con un calcio cercava di tirarmi su
"Storpio di un Efesto, nessuno ti venera da mille anni, te la passerai con peggio di una gomitata, qui dentro! AHahahah" .
Il cherubino che aveva parlato era uno sbarbatello fanatico della Nuova Gestione. Mi rimisi in piedi con il corpo tremante dalla rabbia e quando quello girò la testa verso gli altri secondini gli rifilai un sinistro al plesso solare che lo fece trascinare in infermeria da altri due.
 
Ma pagai il mio riscatto: una dozzina di guardie mi furono addosso e mi pestarono brutalmente. Quando mi risvegliai in cella di isolamento avevo un taglio sulla fronte e diverse ammaccature, ma ero soddisfatto. Dodici sbarbatelli avevano dovuto prendersela con me solo. Una punta di virile machismo al pensiero che quella era stata la mia entrata in prigione.
 
Così trascorsi due settimane in cella di rigore. Prima di incontrare Thor e gli altri.
Un giorno, nella solutidine del braccio del silenzio (parlare era proibito) buttarono nel buco di fianco al mio un nuovo arrivato. Aspettai di essere sicuro che la guardia fosse scesa al piano di sotto per sussurrare due parole e scoprire che avevano preso un pezzo da novanta. Cupido, maledetti bastardi. Ma non era più il bimbo boccoloso dei bei tempi: ora era un tipo alto e magro, scavato dalla libidine che lo attanagliava perennemente e che lo rendeva un pazzo erotomane abbastanza psicopatico. Incestuoso dalla nascita, ora era diventato il dio della perversione. Tutto sommato, forse, avevano fatto bene a recluderlo, ma era anche vero che era colpa della Nuova Gestione se si era ridotto così.
 
"Hey amico, che ti accusano di aver fatto?" gli bisbigliai.
"Figurati. Reclusione di minorenne e sevizie sessuali. M-ma ci credi?"
Non replicai, ma mi limitai a sorridere. Conoscevo bene quel feticista di Cupido. Di sicuro era stato due settimane a leccare i tacchi di una quindicenne, finchè questa non si era stancata di tenerlo al guinzaglio e lo aveva denunciato al parroco.
"Non è colpa mia…Io guardo altri uomini della mia età ed io, beh… Io penso a scopare ogni donna che incontro. Ecco, dovunque: in banca, un’estranea…vedo una sull’autobus e penso, come sarà nuda? Chissà se me la posso fare.. Insomma è una follia, io..io… vedo gente che conosco, hanno famiglia, fanno gli avvocati, e non sono così! Ecco: il presidente degli Sati Uiti vuole forse scopare ogni donna che incontra?…uhm, no ho sbagliato esempio. Beh… "
 
Maledetto logorroico. Lo lasciai sfogarsi per diversi minuti finchè non gli feci notare che la guardia stava tornando e si zittì.
"Però che vita di merda…" Fu l’ultima cosa che mi sussurrò prima dell’arrivo del cherubino nella sua divisa bianca.
Il giorno dopo trovarono il suo corpo impiccato. Aveva annodato i lacci delle scarpe alla presa d’aria in alto. Non aveva emesso un gemito… gli era piaciuto di sicuro. 
  
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