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Autore: I am a child    27/12/2010    2 recensioni
È stato uno sguardo sfuggente ed intenso. Uno sguardo da cui traspariva tutta la sua innocenza, la sua fragilità. Il suo animo triste, dovuto in parte all’eccessiva bontà. Il carattere di una persona orgogliosa e sfortunata, a cui non è stato dato nulla da nessuno. Un sorriso, un abbraccio, una parola gentile. Nulla.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non avevo mai visto uno sguardo come quello. Un’ombra fragile, tremolante. Camminava strisciando quasi i piedi per terra, lentamente. Erano dei passi leggeri.
A colpirmi subito furono i sandali. I sandali?? A Novembre? Appena prima di uscire, mamma mi ricorda sempre di mettere la cuffia, mi copre bene le orecchie, mi strangola dolcemente con la sciarpa della nonna. Figuriamoci indossare sandali senza calze. 
Osservando meglio quella sagoma sottile, notai che c’erano anche altri aspetti strani, curiosi e soprattutto nuovi, per me. 
Indossava jeans chiari molto abbondanti, dall’orlo sfilacciato. Una maglietta blu, sporca di calce, sepolta da ben tre coperte, ma tutte troppo corte e poco adatte a proteggere dal freddo e dalla pioggia. Sembrava non ci fosse nessuno in tutto il Mondo a preoccuparsi per lui. Inavvertitamente sentii crearsi un terribile nodo alla gola. 
Non molto alto, magro. Anzi, l’uomo che vidi era magrissimo. Lo si poteva intuire dal volto scavato, dalle caviglie lasciate scoperte dai pantaloni troppo corti e dalle mani scheletriche che stringevano debolmente la coperta sulle spalle.
I suoi capelli mi ricordavano quelli del mio amico Lollo. Neri, ricci, corti e sporchi. Anche gli occhi erano neri. Neri e profodi. Così profondi ed immensi che parevano nascondere un altro universo.
Erano, inoltre, sottolineati da due grandi occhiaie. Le sue labbra erano viola e screpolate.
Chissà se gli facevano male. Ora capisco perché la nonna continua a torturarmi con quel nauseante burrocacao alla pesca. 
I nostri sguardi a un certo punto si scontrarono. E vidi, forse come uno dei tipici miraggi dell’Egitto, scorrere sulla sua pelle ocra e raggrinzita due grandi lacrime. Lacrime pesanti, che mi hanno parlato, si può dire. È stato uno sguardo sfuggente ed intenso. Uno sguardo da cui traspariva tutta la sua innocenza, la sua fragilità. Il suo animo triste, dovuto in parte all’eccessiva bontà. Il carattere di una persona orgogliosa e sfortunata, a cui non è stato dato nulla da nessuno. Un sorriso, un abbraccio, una parola gentile. Nulla.
Lo vedevo allontanarsi nel silenzio della nebbia e fui preso da un’onda di tristezza e di paura, forse, nello stesso momento. Lo rincorsi gridando un semplice: “Aspetta!”. Lo raggiunsi. Lo guardavo dal basso verso l’alto con la bocca spalancata. Mi sfilai lentamente la cuffia del Manchester (la mia squadra di calcio preferita) e gliela porsi con gli occhi lucidi. Poi, presi dalla tasca dell’impermeabile il panino al latte che vi avevo nascosto la sera prima e gli allungai anche quello. Anche lui in quel momento m’accorsi aveva gli occhi luccicanti. E mi accorsi anche di questo: non parlava nella mia lingua. Mi disse qualcosa che non capii. Vidi una scintilla però nei suoi occhi. Un lampo di gioia. Accettò con timore il panino e respinse la cuffia. Credo fu un gesto dettato dall’orgoglio. Lo vidi allontanarsi stringendo quel panino tra le mani come un tesoro prezioso. Vidi i suoi passi sollevare non solo la polevre dell’asfalto ma anche la luce di una gioia che prima d’allora non di era mai accesa.

  
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