The
best day
I don't know why all the trees change in the fall,
I know that you're not scared of anything at all
Don't know if Snow White's house is near or far away,
but I know that I had the best day with you today.
«Cosa stai guardando?»
Sei sempre stata molto silenziosa, per cui non ti ho mai sentita arrivare,
quando eri vicino a me. Eppure non sobbalzo, neanche stavolta. Non è una
sorpresa. Alla fin fine, tu sei sempre accanto a me – non hai mai lasciato quel
posto.
«L’album di foto della nonna» dico, con un sorriso, mentre sfoglio ancora le
pagine di quell’album consumato. Sembrano passati secoli da quando eravamo quei
bambini nelle foto, quei bambini che correvano e si picchiavano come se non
sapessero fare altro, come se quello fosse il loro unico modo per dimostrare
tutto l’affetto che provavano nei loro confronti. «Sai, non ricordavo che Albus
avesse pianto tanto, quando papà cercò di farlo salire sul manico di scopa che
gli aveva regalato».
Ti siedi accanto a me, sul divano, e scuoti la testa, con fare rassegnato, come
se fossi ormai abituata a tutto questo. Dopo tanti anni trascorsi al fianco di
papà, sembra non sconvolgerti più niente. Eppure mi rassicura, questo. Il fatto
che siate ancora insieme, nonostante i continui litigi e battibecchi, mi fa
sentire … sicura. Mi fa credere che esista davvero l’amore vero. Che non
importa quanto siate inclini a litigare, alla fine sapete, senza neanche
bisogno di dirlo, che vi amate più di ogni altra cosa. Quest’idea mi fa sentire
sicura, protetta. Felice.
«Tuo padre è sempre il solito» dici, tirando un po’ l’album per guardarlo anche
tu. Stiamo fissando entrambe la foto di Al che piange come un disperato,
urlando a papà di metterlo giù. Sorrido e anche tu lo fai. «Quel povero bambino
è rimasto traumatizzato per una settimana o più. Ogni volta che vedeva Ron
scappava via come se avesse visto un mostro».
Ridacchio, scuotendo la testa.
«Io credo che sia rimasto traumatizzato fino ad adesso» ti correggo,
attorcigliandomi una ciocca di capelli crespi – come i tuoi, ma non mi lamento –
attorno ad un dito. «Sai, non è più voluto salire su un manico di scopa in vita
sua. Credo che se glielo proponessi, scapperebbe a gambe levate».
Ridi ed io volto la pagina dell’album. Al e papà sono scomparsi ed ora nelle
foto c’è un prato enorme, coperto di foglie ormai marroni, foglie autunnali
cadute dagli alberi. Al centro della foto, c’è una coperta rossa che conosco –
è quella che abbiamo a casa -, posata sul prato come se stesse lì da decenni.
«Oh, ricordo quel giorno» dici tu ed io mi volto verso di te, con aria
interrogativa. Tu sorridi e mi indichi la foto di dopo, dove ci siamo io e te.
Io dovrei avere quattro o cinque anni, avvolta in un cappotto grande, in modo
da non prendere freddo, e rincorro le foglie che cadono, con aria a metà tra lo
stupito e lo spaventato. Tu mi segui, ridendo, poi mi prendi in braccio e mi
parli, anche se non posso sentire quello che stai dicendo.
«Avevi cinque anni. Eravamo nel giardino qui fuori, d’autunno. Papà ha scattato
la foto dalla casa, vedi? È una delle poche foto in cui ci siamo io e te».
Torno a guardarti, con un sorriso, per poi fissare nuovamente la foto. Cammini,
tenendomi ancora tra le braccia, e mi parli, come se fossi un’adulta in grado
di capirti.
«Cosa stavi dicendo? » domando, voltandomi nuovamente verso di te. Tu fissi
ancora la foto e sorridi, divertita.
«Mi avevi chiesto se le foglie che cadevano erano una magia» dici ed io sorrido
a mia volta, pensando alla mia ingenuità di bambina. «Ne avevi quasi paura,
pensavi che potessero farti del male. Ti stavo spiegando che non dovevi
spaventarti e che era semplicemente una cosa naturale».
Torno a guardare la foto, dove ora mi hai rimesso a terra ed io sono andata a
giocare con le foglie cadute, più tranquilla, più serena di prima. Mi rendo
conto, improvvisamente, che è sempre stato così, per tutta la mia vita, fino a
questo momento. Ogni volta che ero spaventata o preoccupata, mi bastava parlare
con te per allentare la tensione, per sciogliere ogni mia preoccupazione come
neve al sole. Mi hai sempre fatta sentire più sicura, più tranquilla, più felice.
Non mi hai mai cacciata via, non mi hai mai detto che non avevi tempo, ma eri
sempre lì, pronta ad offrirmi una tazza di the ed un consiglio. E non importava
che i miei dubbi fossero stupidi, non lo dicevi mai, ma mi facevi sempre notare
che non avevo bisogno di preoccuparmi. Hai sempre fatto attenzione a non
ferirmi, a non ferire i miei sentimenti e, improvvisamente, mi domando se io
abbia mai fatto lo stesso.
Forse non ti ho mai mostrato quanto ti sia grata. Finisce sempre così, no? Le
figlie dimenticano quanto le madri siano state importanti, dimenticano quanto
abbiano fatto per loro e se ne ricordano solo quando fa comodo. Sono stata
egoista, forse.
«Sai, quando siamo tornate mi ha detto che quello era stato il giorno più bello
di tutta la tua vita. Mi ha abbracciato le gambe e detto che mi volevi bene e
che volevi sempre fare così, passare la giornata con me».
Sorrido, appoggiando il capo sulla tua spalla mentre volto la pagina dell’album.
Forse, almeno una volta nella vita, ti ho ringraziata per tutto quello che hai
fatto per me, senza mai chiedere nulla in cambio.
I don't know who I'm gonna
talk to now at school,
I know I'm laughing on the car ride home with you.
Don't know how long it's gonna take to feel okay,
but I know I had the best day with you today.
«Oh, questa me la ricordo! » dico, puntando
il dito su una foto, un paio di pagine dopo, di me e te, nuovamente insieme, ma
ora più grandi. Abbiamo in mano diverse buste ed io ho un’espressione omicida
sul volto e faccio come per allungarmi a picchiare il misterioso fotografo,
mentre tu sorridi e mi richiami, quasi.
Ora ridi e scuoti la testa, come se il ricordo avesse preso posto nella tua
mente.
«Rincorresti quel povero di James per tutta la casa, prima che Harry vi dicesse
di smetterla e prendesse la macchina fotografica che aveva regalato a tuo
cugino» mi riservi un’occhiata eloquente ed io sorrido, divertita.
«Ehi, avevo tredici anni, era il periodo in cui non volevo essere fotografata!
Sono giustificata, James lo sapeva e ci ha tentato lo stesso» dico, ma sorrido,
pensando a quanto tempo sia passato da quel momento.
Ricordo ancora con precisione, quel giorno. Avevo tredici anni ed era durante
le vacanze estive. Al aveva invitato il suo migliore amico, Scorpius, alla
Tana, ed io volevo andare a giocare con loro. Li seguivo ovunque, ma loro
sembravano non essere contenti neanche un po’. Li avevo seguiti, fino a quando
non si erano stancati e avevano detto che non volevano una femmina scema tra i
piedi.
Ci ero rimasta male, decisamente, ed ero corsa in camera mia, piangendo e
sbattendo la porta. Mi ero buttata sul letto a singhiozzare e non avevo sentito
neanche qualcuno che entrava in camera. Eri tu. Eri sempre tu quella che mi
consolava, quando qualcosa andava male. Eri tu che mi facevi sentire bene,
quasi fosse la missione della tua vita.
Mi chiedesti cosa era successo ed io ti avevo raccontato tutto, informandoti su
quanto erano stupidi i maschi e aggiungendo che non avrei voluto sapere più
niente di loro. Tu mi dicesti che i maschi della mia età erano ancora troppo
immaturi e che a volte si comportavano come dei bambini. E, infine, mi
proponesti di andare a fare un giro.
«Ti portai in libreria, vero? » domandi, ora, mentre io fisso ancora la foto,
perdendomi nel mio ricordo. Annuisco, sorridendo.
«E dove, altrimenti? » dico e tu ridi. Fin da piccola, ho avuto la fissa per i
libri. Papà dice che mi hai influenzata male, ma per quanto gli voglia bene, so
che non capirà mai quanto sia bello poter perdersi tra le pagine di un libro. Tu
lo sai, invece, e sei sempre stata tu a spronarmi a leggere, a regalarmi libri
su libri e a dirmi che era importante che leggessi, perché mi avrebbe fatto
bene. Sei sempre stata tu quella con cui potevo parlare dei miei pensieri,
delle idee che mi ero fatta leggendo i libri che mi avevi prestato, delle mie
perplessità. Eri sempre pronta ad ascoltarmi, ti piaceva discutere con me e,
anche se a volte avevamo idee totalmente diverse, non mi dicevi se la mia
interpretazione era giusta o sbagliata, ma la rispettavi, semplicemente.
Quel giorno mi portasti in libreria, lontano da Al e Scorpius e la loro
scortesia, e quando tornammo non ricordavo assolutamente il motivo per cui
avevo pianto come una stupida. Sulla soglia di casa, era apparso James che
stava provando la nuova macchina fotografica che gli aveva regalato zio Harry.
Ci aveva fatto una foto a tradimento ed io l’avevo quasi ammazzato, perché
odiavo essere fotografata.
«Dopo hai fatto pace con Al e Scorpius? » domandi di nuovo ed io annuisco, per
la seconda volta.
«Sono stati loro a scusarsi, ricordi? Sapevano di essere stati degli idioti di
proporzioni assurde e mi hanno chiesto scusa. Ed io, dall’alto della mia
clemenza, li ho perdonati».
Ridi nuovamente, mentre ricordo il momento in cui quei due erano venuti, con
gli occhi bassi e l’espressione mortificata, chiedendomi di perdonarli, perché
erano stati due deficienti totali. Io non avevo detto niente, avevo
semplicemente sorriso e poggiato le mie braccia sulle spalle di entrambi,
mentre andavamo a giocare fuori, nel giardino. Prima di uscire, mi ero voltata
verso di te. Sorridevo e sorridevi anche tu. Non ti dissi grazie, ma sperai che
potessi leggerlo nei miei occhi, prima che mi girassi nuovamente e andassi a
giocare con Scorpius ed Al.
Ricordo che il giorno dopo ti dissi che quello era stato il giorno più bello
della mia vita, perché mi avevi fatta sentire leggera. Mi avevi fatta ridere,
mi avevi consigliato libri da leggere, avevi perso tempo a parlare con me e mi
avevi fatto dimenticare il motivo per cui ero stata tanto arrabbiata. Nel
momento in cui ero uscita con te, non mi era più importato di Scorpius ed Al e
della loro idiozia, perché tu mi avevi reso felice.
L’hai sempre fatto, mi ha sempre reso felice. Quando c’era qualcosa che non
andava, eri sempre lì, pronta ad offrirmi una distrazione, un modo perché
potessi sorridere almeno un po’ e mi domando se per te sia mai stata la stessa
cosa. Se nella mia persona tu abbia trovato almeno un po’ di conforto, se ti
sia mai sentita felice come lo ero io, quando uscivamo insieme e parlavamo.
Avrei voluto esserti di aiuto tutte le volte, eppure per la maggior parte del
tempo non sarei potuta servire a granché. Ero solo una ragazzina e non potevo
fare niente, per te, se non sperare di poterti aiutare, in qualche modo.
«Quel pomeriggio è stato uno dei più belli di tutta la mia vita, sai? Mi è
sempre piaciuto trascorrere tempo con te» dici, quasi come se mi avessi letto
nel pensiero, ed io sorrido, mentre tu mi accarezzi i capelli, dolcemente. Ho
ancora la testa posata sulla tua spalla, ma non ho intenzione di allontanarmi.
Mi sembra così naturale, stare così. Mi sento bene. Tu mi fai sempre sentire
bene.
Now I know why all the trees change in the fall.
I know you were on my side even when I was wrong
and I love you for giving me your eyes,
staying back and watching me shine.
Sfogliamo ancora l’album, ma dopo un po’ le
nostre foto finiscono. Da quando ho compiuto quattordici anni, non abbiamo più
una foto insieme, se non quelle degli ultimi anni, e mi rendo conto di quanto
sia stata stupida ed egoista, da ragazza.
Mi dispiace di essere stata un’adolescente come tante, un’adolescente che ha
spesso rimproverato sua madre di non capirla, un’adolescente che non sopportava
una madre che avrebbe fatto di tutto per lei. Mi dispiace averti lasciata
dietro, mentre correvo verso un futuro che credevo sarebbe stato meraviglioso.
Mi dispiace averti lasciata dietro, mentre vivevo i miei primi amori, le
amicizie vere e quelle finte, e l’adolescenza che avevo tanto odiato.
Solo ora mi rendo conto di quanto sia stata cattiva ad escluderti da tutto questo
e la cosa peggiore è che mi ero promessa, a tredici anni, che non l’avrei mai
fatto. Non avrei mai fatto come Victoire o Molly, che avevano escluso le loro
madri dal loro mondo, una volta cresciute. Non sarei stata come loro, tu mi
saresti stata accanto ed io ti avrei raccontato ogni cosa, perché lo meritavi,
perché avevi fatto tantissimo per me ed io non ti avevo mai detto grazie.
Invece l’unica cosa che ho fatto è stato litigare con te per delle idiozie,
rimproverarti perché non capivi, dirti che non ti volevo tra i piedi. Ti ho
escluso dalla mia vita, come tutte le adolescenti di questo mondo. Sono stata
banale e crudele, a lasciarti indietro.
Mi domando se tu sia mai stata arrabbiata con me, per tutto quello che ho
fatto, se ti sei mai chiesta perché mai avresti dovuto darmi retta o tentare di
buttare giù quel muro che mi ero costruita tutta da sola. Avresti mai voluto
lasciarmi andare? Ti sei mai arrabbiata con me e chiesta se ne valevo davvero
la pena?
Forse sì, ma non te l’ho mai chiesto. In ogni caso, credo che tu sia arrivata
comunque alla tua conclusione, perché, nonostante tutto quello che ho fatto,
nonostante la cattiveria, la crudeltà che mettevo nelle mie parole quando avevo
sedici anni, tu sei ancora qui. Come se niente fosse successo, come se non ti
avessi mai trattato come se fossi meno di niente. Come se fossi stata sempre la
stessa Rose e tu sempre mia madre e come se nulla potrebbe cambiare questo dato
di fatto. Non le mie parole crudeli, non i miei comportamenti egoisti, non il
muro della mia adolescenza.
C’erano certe volte, in quel periodo, che facevo crollare momentaneamente quel
muro e tornavo da te per chiederti consiglio, perché tu potessi starmi accanto.
E mi domando se tu, in quei periodi, avessi mai sperato che tutto fosse tornato
come prima, se avessi mai creduto che avessi smesso di comportarmi in quel
modo. Ma lo so, per quanto tu sia sempre incline a pensare bene delle persone,
sei anche estremamente intelligente e sapevi che si trattava di un momento, un
momento che poi avrei dimenticato quando sarei tornata quel mostro di
adolescente che ero diventata.
Le foto riprendono da quelle del mio diciottesimo compleanno. Avevo finito
Hogwarts da due mesi e con quello mi sentivo come se avessi chiuso anche la mia
adolescenza. Ci siamo di nuovo io e te, nelle foto, felici e sorridenti, come
se non fossero passati anni dall’ultima volta in cui io e te eravamo state
tanto vicine.
E quella sera, terminata la festa, ero venuta da te, dicendoti che volevo
raccontarti un paio di cose. E tu non mi avevi detto di andare al diavolo –
quella era una cosa che facevo io, che avevo fatto io di continuo -, ma mi
avevi portata in salotto, mi avevi preparato una tazza di the – il mio
preferito, ai frutti di bosco – e mi avevi ascoltata, silenziosamente, come se
non avessi aspettato altro per tutti questi anni.
Ti raccontai tutto quello che mi era successo, dal mio quattordicesimo
compleanno in poi. Ti raccontai di come mi fossi presa una cotta per il ragazzo
sbagliato, di come io e Dominique avessimo litigato e poi avessimo fatto pace,
mentre le ragazze che credevo fossero mie amiche ad Hogwarts si erano
lentamente allontanate. Ti raccontai di come Al era sempre stato lì a tendermi
la mano, di come Hugo ed io litigavamo di continuo, di come James mi prendeva
in giro e di come Scorpius era cambiato, in tutto quel tempo, trasformandosi da
ragazzino immaturo ad una persona completamente diversa, un ragazzo
improvvisamente popolare che adorava prendermi in giro, ma che, nonostante
tutto, voleva solo parlare con me. Ti raccontai di come avevo scoperto, durante
il mio ultimo anno, che Scorpius era innamorato di me e di come io fossi
scappata via, appena me lo disse. Ti raccontai dei mesi tremendi che avevo
trascorso, prima di rendermi conto che ero innamorata di lui a mia volta e di
come ora stavamo insieme. Ti raccontai di come Al ci prese in giro per tutto il
resto dell’anno, di come Lily ci era rimasta male perché aveva una cotta per
Scorpius da tempi immemorabili e di come
avevo passato i M.A.G.O., con il massimo dei voti,
come te. E di come fossi stata orgogliosa quando la Preside Sprite mi aveva
presa da parte per dirmi che ti assomigliavo davvero tanto e che era fiera di
me.
Ti raccontai quattro anni di vita che ti avevo sempre nascosto e, alla fine, tu
non dicesti niente, ma mi abbracciasti semplicemente, come a dirmi che non ti
importava quanto tempo fosse passato, tu eri lì per me e che ci saresti sempre
stata.
Mi dicesti che eri fiera di me e della persona che ero diventata ed io scoppiai
a piangere, come una bambina. Mi abbracciasti nuovamente, prima che io mi
calmassi. Infine, ricordo che sorridesti e dicesti, con una strana espressione,
di non dire niente a papà di Scorpius se non volevo vedere il suo cadavere in
giardino.
Risi e smisi di piangere e da quel momento non ti esclusi più dalla mia vita,
ma ne sei sempre stata parte. Ed ho capito che non sei solo una parte della mia
vita, sei una parte di me e non potrò mai escluderti. Potrei non sopportarne il
solo pensiero.
L’ultima foto dell’album è quella del matrimonio mio e di Scorpius. Tu non
potevi essere più felice e, nonostante tutto, lo era anche papà, che aveva
imparato ad accettare Scorpius come uno di famiglia, ormai. Di foto ne ho un mucchio,
a casa, nel mio album, ma questa non la ricordavo neanche. Non una di quelle
che aveva scattato il fotografo, ma nonno Arthur. Ci siamo io e te, ancora. Io
ho il mio vestito bianco, i capelli tirati su e un’espressione radiosa sul
volto. Tu mi stringi, dolcemente, e sembra quasi ti stia per commuovere.
Ricordo che quel giorno piangesti, quando poi io e Scorpius partimmo per la
luna di miele ed io ti strinsi forte, dicendo che saresti sempre stata la mia
mamma e che ti volevo bene, più di ogni altra cosa al mondo.
Chiudo l’album, mentre mi volto verso di te e sorrido. Tu sorridi a tua volta
e, senza dire niente, posi un bacio sulla mia fronte e poi prendi nuovamente l’album,
per rimetterlo al suo posto, dove nonna Molly l’ha sempre lasciato.
«Allora, mi hai detto che venivi qui per dirmi qualcosa» dici, mentre io ti
seguo in cucina e ti guardo, sorridendo, un po’ scossa da tutti i ricordi che
sono riemersi dalla mia mente. I ricordi sono una cosa strana, è come se si
conservassero, da soli, sotto la tua pelle, in attesa del momento giusto per
venire fuori. È una magia
che non capirò mai. «E’ qualcosa che richiede una
tazza di the? »
Io
sorrido, ancora, e annuisco, mentre mi siedo al tavolo e tu inizi a preparare
il te. Mi sembra come se siano passati
cento anni da quando ero venuta alla Tana, questa mattina, perché dovevo
parlare con te. Rivedo ancora tutti i ricordi della mia vita con te davanti ai
miei occhi e mi sento come se avessi appena rivisto il film di noi due,
insieme, un film speciale proiettato solo per Hermione e Rose Weasley.
Poco dopo, arrivi al tavolo con due tazze fumanti di the. Il mio preferito,
ovviamente. Sorrido, mentre ne sento l’odore e mi rendo conto che mi conosci
meglio di chiunque altro, perché certe cose non hai neanche bisogno più di
chiedermele. Ma sei mia madre e sei una parte di me. Come potresti non
conoscermi?
«Allora? » domandi, dolcemente, in attesa che io
parli. Io bevo appena un sorso di the e guardo la
mia tazza, chiedendomi come dirtelo. Ma tu sei mia madre e capiresti lo stesso,
non importa con quali parole lo dica. Mi conosci come le tue tasche.
«Sono incinta» dico e tu rimani per un secondo senza parole, prima di
allungarti un po’ e abbracciarmi, dolcemente, felice.
«Oh, Rosie, sono felicissima! » dici, quando mi lasci andare. Vedo le lacrime
nei tuoi occhi e vedo che non hai paura a mostrarle. Ed io ti voglio bene anche
per questo. «Sono sicura che sarai un’ottima madre, tesoro».
Sorrido, ancora, stringendoti la mano.
«Io voglio essere come te, mamma» dico, distogliendo lo sguardo dalle nostre
mani e guardandoti negli occhi, mentre tu sorridi ancora, dolcemente. «Voglio
essere una madre meravigliosa come te. Niente di più, niente di meno».
Stringi ancora la mia mano, commossa, ed io capisco quanto sia stata fortunata
ad avere te come madre, come amica, come sorella. Una persona meravigliosa come
te, una persona che non si è mai stancata di stare al mio fianco, nonostante il
mio carattere. Una persona che mi vuole bene per quello che sono e che è fiera
di me.
Sei mia madre ed io, Rose Weasley, sono la figlia più fortunata del mondo.
And I didn't know if you knew, so I'm taking this
chance to say
that I had the best day with you today.
Angolo
autrice
Alla fine, sono tornata alla cara vecchia
Nuova Generazione <3
Dopotutto, chi nasce quadro non muore tondo, mi dicono dalla regia, e
sinceramente mi mancava scrivere di loro, per quanto io adori ed ami Katie ed
Oliver <3
Dunque, la storia in sé non ha bisogno di
spiegazioni, credo. Si basa sulla canzone di Taylor Swift,
The Best Day – che credo sia in assoluto la mia
preferita, dato che mi fa piangere ogni volta. Nella storia ho inserito i tre
diversi ritornelli, ma vi consiglio di ascoltare la canzone, perché i diversi
episodi si rifanno direttamente alle strofe, ma era troppo da mettere nella
storia e, sinceramente, i ritornelli sintetizzavano perfettamente il tutto XD
Come credo si sia capito, la storia è incentrata sul rapporto tra Rose ed
Hermione, visto dal punto di vista di Rose che si rende conto di come,
nonostante tutto, sua madre le sia sempre rimasta accanto.
So che questa storia non è un granché e non sarà un capolavoro, ma mi sento
fiera e ci tengo, abbastanza, forse perché nel rapporto tra Rose ed Hermione ci
ho messo tantissimo di me e del rapporto con mia madre, che mi ha regalato i
giorni più belli senza neanche rendersene conto.
Per cui, se dovete demolirmi, siate carini e coccolosi
*_*
Be’, con questa storia vi faccio anche gli
auguri per il nuovo anno, sperando che sia un anno felice per voi <3
Grazie mille e a presto *-*
El.