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Autore: Frytty    30/12/2010    1 recensioni
Charyl è innamorata di Robert dal liceo, ma Robert l'ha sempre considerata solo un'amica, o no?
One-Shot natalizia dedicata a PiccolaKetty
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rieccomi con questa Shot natalizia ^^ In realtà, in origine, si doveva svolgere in tutt'altro modo, ma quando ho cominciato a scrivere è venuta fuori da sola e allora ho deciso di non modificarla, evitando di commettere pasticci.

Ci tenevo a precisare che questa piccola cosa è interamente dedicata a PiccolaKetty che oggi compie gli anni e che se la merita tutta <3 Sai quanto ti voglia bene, giuggiola e sappi che ci sarò sempre, anche se lontana *.*

Spero che vi piaccia e perdonatemi se non è granché ^^

 

BUON ANNO A TUTTI E BUONE FESTE!

 

http://www.polyvore.com/cgi/set?id=26537472&.locale=it

 

 

 

< Perché sei così pessimista? Magari non ti sbatterà la porta in faccia! > Charlotte, la mia migliore amica, ex migliore amica dopo questa affermazione, cerca di rendermi le cose più semplici mentre sfoglia una rivista di moda bellamente distesa sul mio letto da una piazza e mezzo.

< Certo, e cosa pensi che farà? Griderà al miracolo? > Sbotto, sistemando gli ultimi vestiti nell'armadio.

Il punto è che io non sono affatto pessimista, come ripeto da circa diciannove anni a chi fermamente ne è convinto, ma sono semplicemente realista e so che talvolta le due cose possono essere confuse, ma, in definitiva, preferisco non mentire a me stessa piuttosto che costruirmi castelli in aria.

< Insomma, tu sei innamorata di lui da... beh, da sempre! Perché dovrebbe trattarti come un rifiuto umano? > Sbuffa, alzando gli occhi al cielo.

< Charlotte, te lo chiedo per favore, prova a riflettere: lui è un acclamato attore di Hollywood, io la secchiona del liceo; lui può avere tutte le donne del pianeta, io non ho mai avuto un ragazzo. Secondo te? > La osservo per un istante, poi libero la mia scrivania da inutile cartacce e sistemo il modulo di richiesta di immatricolazione al college di Oxford nel cassetto.

< Oh, andiamo! Non è così grave! E poi, dov'è finito tutto il tuo entusiasmo? Non eri tu quella che non perdeva occasione per descrivermi il suo piano infallibile? > Chiude la rivista e si mette seduta sul letto, afferrandomi un polso e costringendomi a sedermi accanto a lei.

< Vestirsi da mamma Natale sexy e improvvisare una serenata davanti alla sua porta di casa non mi sembra tanto un piano infallibile, sai? > Replico.

All'inizio forse mi ero lasciata prendere dall'entusiasmo e aveva trascorso notti insonni ad immaginarmi in uno di quei completi da Babbo Natale sexy, ma poi ero andata a sbattere contro la dura realtà che mi aveva irrimediabilmente portato a cambiare idea.

< Potresti improvvisarti un Babbo Natale che va in giro a distribuire dolci, o palline per l'albero, o regali riciclati. Quando lui apre la porta potresti... non so, fingere di svenire; sarebbe costretto a farti stendere sul divano e ad assicurarsi che tu stia bene. > Fa spallucce, sorridendo.

< E chi ti dice che sarà proprio lui ad aprire la porta? > Inarco le sopracciglia, scettica.

Charlotte sbuffa e so che vorrebbe tirarmi uno schiaffo.

< D'accordo, mi arrendo! Quanti regali di Natale avrai raccolto per lui in tutti questi anni, una ventina? Non hai mai trovato la forza di portargliene uno e dire che per anni avete frequentato la stessa compagnia di teatro! Insomma, Char, quanto tempo vuoi che trascorra ancora? Non capisci che per colpa sua ti stai precludendo un futuro? > Sono riuscita a farla arrabbiare. Di nuovo.

< Quale futuro? E comunque non ho smesso di divertirmi solo perché mi sono innamorata di lui! Con i ragazzi ci esco lo stesso! > Ed è la verità. Magari non corrispondono proprio ai miei ideali, ma sono pur sempre ragazzi.

< E con quanti di questi ragazzi hai cercato di approfondire la conoscenza? > Mi domanda, ben consapevole della risposta.

< Nessuno, ma... > Non faccio neanche in tempo a terminare la frase, che mi anticipa.

< Ecco, lo vedi? E sai perché? Perché nessuno ha gli occhi azzurri come i suoi, nessuno è gentile come lui, nessuno ha la sua timidezza, il suo senso dell'umorismo! Possibile che tu sia così cieca?!? Fai quel che vuoi, Char, ma poi non venire a piagnucolare da me. > Si alza e mi abbandona spaesata nella mia stessa stanza, confusa dalle sue parole che so essere terribilmente vere.

Ho cercato ragazzi che, in un modo o in un altro, gli assomigliassero per aspetto fisico, carattere, modo di comportarsi, ma la verità era soltanto che non c'era e non c'è posto per nessun altro nel mio cuore, se non per lui.

Non ho mai pensato che il mio interesse per Robert fosse qualcosa di irrazionale o di immaturo. Abbiamo frequentato le scuole elementari insieme, nella stessa classe e, a volte, abbiamo fatto la strada insieme per tornare a casa. Non l'ho mai visto come niente di più che un amico, un compagno di giochi. Poi, quando al liceo le nostre strade si sono divise e lui ha deciso di diventare un attore, ho capito che il sentimento che mi legava a lui era più forte dell'amicizia. Io avevo cominciato a frequentare la scuola di teatro di Barnes, qualche mese prima di lui, per puro divertimento, per sfogare le mie emozioni in qualcosa che mi aveva sempre affascinata, il teatro. Lui, invece, ci metteva mente, corpo, anima, cuore, tutto quello che possedeva. Era timido, ma si rifiutava di arrendersi e, anche se a volte dimenticava le battute, anche se a volte si faceva prendere dal panico, riusciva a dimostrare a tutti che con un po' di buona volontà anche le cose più difficili sono possibili.

Poi i provini per Harry Potter prima, e per Twilight dopo, lo hanno costretto ad abbandonarci, a prendere una strada diversa dalla nostra, da tutti coloro che hanno continuato a vivere qui.

Ero innamorata e stupida, ed ero convinta che un bel giorno lui avrebbe bussato alla mia porta e mi avrebbe invitata a mangiare una fetta di torta con lui sull'altalena.

Ero innamorata e, per anni, ho continuato a comprargli un regalo per Natale con la speranza che, un giorno, avrei trovato la forza di andare a bussare alla sua porta per consegnarglielo, per vedere il mio pacchetto confezionato con cura sotto il suo albero di Natale e quest'anno non è andata diversamente.

Osservo il pacchetto che ho comprato per lui, re assoluto della mia scrivania, la carta con gli alberelli che luccicano e penso che sarà l'ennesimo regalo che lui non aprirà mai, che non riceverà mai, perché sono troppo codarda e ho paura di un rifiuto. In fondo, quello che ho detto a Charlotte è vero: lui è una star, un attore famoso e può avere qualunque donna ai suoi piedi; io sono solo la sua "vicina" di casa con cui ha condiviso la merenda a scuola e con cui ha recitato in qualche spettacolo teatrale. Non c'è paragone.

< Cheryl! Puoi venire alla porta? C'è un ragazzo che chiede di te! > La voce di mia madre mi riscuote e mi fa sbuffare.

Un ragazzo che chiede di me, certo. Sarà solo Charlotte, pentita di quello che mi ha detto.

Scendo le scale con lentezza e nessuna aspettativa, demoralizzata dalla realtà dei fatti, fin quando non raggiungo la porta che mia madre ha lasciato aperta.

Per scatenare ancora più pietà nella mia migliore amica continuo a mantenere lo sguardo basso e contrito, rifiutandomi di dire anche solo una parola in mia difesa.

Tuttavia, il primo dettaglio che mi salta agli occhi è che le scarpe che Charlotte indossa non sono le sue e, tranne se non ha deciso di rubare le scarpe di suo fratello Jeremy per fargli un dispetto, non ho mai visto Charlotte indossare scarpe da ginnastica. Lei è più la ragazza da tacchi, gonna e magliette scollate anche in inverno, per intenderci.

Cosa ancora più strana, indossa i jeans. Mi rendo conto che non può proprio essere Charlotte, soltanto quando mi decido ad alzare lo sguardo, scontrandomi con due occhi azzurro cielo che mi tolgono il respiro, mandandomi in apnea.

< Ciao... > E quella voce... cielo! E' davvero la sua!

< Ehm... ciao. > Riesco a rispondere, la bocca spalancata per lo stupore. Da quando in qua le star si presentano alla mia porta? Ma, principalmente, da quando Robert Pattinson, idolo di tutte le ragazze, ha l'idea di venire a bussare proprio alla mia porta?

Forse sto sognando. Magari mi sono appisolata e non me ne sono neanche resa conto.

Mi stropiccio gli occhi con una mano e lo sento ridere, la stessa risata che ho sempre associato a lui.

< Forse non ti ricordi di me, ma... > Tentenna, una mano che va prontamente a scompigliargli i capelli castano chiaro.

< C-certo che mi ricordo... cioè... chi non ti conosce... > Arrossisco, maledicendomi in tutte le lingue da me conosciute.

< Già, beh... ho pensato che è tantissimo tempo che non ci vediamo e... in realtà, stavo guardando delle vecchie foto del teatro e mi sono ricordata il tuo viso, così, ho pensato che mi avrebbe fatto bene una rimpatriata... > Sorrido appena, perché è rimasto lo stesso ragazzino timido e impacciato di un tempo ed io vorrei sprofondare, gettargli le braccia al collo e dirgli che era da un sacco di tempo che attendevo un momento del genere.

< Sì, hai... fatto bene. Ti va di entrare? > Gli propongo, scostandomi appena dalla porta e indicando l'ingresso.

< Ti andrebbe una passeggiata? Non ho voglia di rintanarmi dentro, se per te non è un problema. > Arrossisce anche lui e realizzo solo in quel momento che ho ancora addosso i pantaloni del pigiama e la maglia sdrucita di mia sorella e che sono scalza. L'impresentabilità fatta persona, insomma.

< Ok, sì... va bene. Dammi cinque minuti. > Presa dal panico per la figuraccia, faccio solamente in tempo a scorgere un sorriso che gli illumina il volto, prima di correre su per le scale per cambiarmi.

Mi sfilo il pigiama alla velocità della luce, apro l'armadio a due ante e cerco di decidere in fretta cosa indossare.

Quando credo di essere presentabile, l'occhio mi cade sul pacchetto ancora in bella vista sulla scrivania e mi immobilizzo un istante a chiedermi se sia il caso di portarlo con me, sperando che trovi la forza per consegnarglielo. Non ho tempo per il mio realismo adesso, perciò lo afferro e lo infilo nella tasca del cappotto nero, chiudendomi la porta della mia stanza alle spalle e scendendo veloce le scale.

Robert mi aspetta nell'ingresso. Si sta guardando curiosamente intorno e sembra particolarmente attratto da una foto sulla mensola del caminetto che separa l'ingresso dal salotto.

Mi avvicino, sbirciandola anch'io e, quando mi rendo conto che altro non è che la foto di una me dodicenne che spegne le candeline sulla mega torta che i miei compagni e il mio professore di teatro avevano deciso di prepararmi, sorrido inconsciamente. Accanto a me c'è proprio lui, sorridente, le guance tinte di rosso e i capelli spettinati e più corti di adesso.

< Era il mio dodicesimo compleanno... > Affermo insicura.

< Beh, sì, lo vedo. > Mi rivolge uno sguardo sorridente, capace di farmi sciogliere come burro.

< Allora, andiamo? > Mi domanda, allontanandosi dal camino. Io annuisco soltanto e lo seguo fuori, dopo aver avvertito mia madre di aspettarmi per il pranzo.

Camminiamo in silenzio lungo il viale che conduce al piccolo giardino attrezzato, le scarpe che affondano nella neve soffice.

Chissà come fa a ricordarsi di me. Dubito che sia dovuto solo ad una misera fotografia e poi, è passato tanto tempo.

< Come facevi a ricordarti di me? > Le parole mi escono leggere dalle labbra senza che quasi me ne accorga. Mi mordo la lingua, perché forse sono stata troppo impudente, ma lui non sembra farci caso e continua a camminare con lo sguardo basso e le mani nelle tasche dei jeans scuri che indossa.

< Eri quella che si prendeva cura di tutti, no? > Sorride e mi lancia un'occhiata di sottecchi.

Oh. 

Che mi prendevo sempre cura di tutti è vero; insomma, cercavo di fare del mio meglio. Odiavo e odio vedere la gente soffrire, perché, inevitabilmente, ci sto male anch'io e pur di non vedere qualcuno piangere sono disposta a sacrificare la mia felicità. E' una cosa rilassante, che mi fa stare bene.

< Sì, ero l'infermiera della situazione. > Mimo le virgolette con le dita e rido. Il mio professore di teatro diceva sempre che ero un toccasana per l'intera compagnia, meglio di una tazza di camomilla.

< Ti ricordi quella recita di Natale in cui avevamo deciso di fare un remake musicale di A Christmas Carol di Dickens? > Mi domanda curioso.

Certo che me lo ricordo, è stata la mia recita preferita in assoluto.

Annuisco convinta.

< Beh, ti ricorderai anche che io interpretavo Scrooge, il cattivo della situazione, e che avevo più battute di tutti. Prima di andare in scena ebbi la voglia matta di correre a casa e sotterrarmi in giardino, perché ero convinto che non sarei mai riuscito a ricordarmi tutte le parole. Mi ero rinchiuso nella stanza del guardaroba di scena e avevo cominciato a piangere. Sei venuta a recuperarmi tu. > Continuò con malinconia.

Quel particolare mi era quasi svanito dalla mente, eppure, riesco ancora a vedermi in quella stanza troppo stretta, stipata di vestiti e costumi vari, che cerco di calmarlo e di farlo smettere di piangere, dicendogli che, in ogni caso, il professore aveva predisposto un gobbo con tutte le battute e che, anche se non ne ricordava una, gli sarebbe bastato leggere e non avrebbe rovinato niente.

< Sì, ti dissi che il professore aveva preparato un gobbo con tutte le battute. > Scuoto la testa.

< E non era vero... > Termina al mio posto.

< Era solo per aiutarti! > Cerco di giustificarmi.

< In ogni caso, ha funzionato per davvero e io credo di averti promesso una dozzina di gelati per ricambiare il tuo gesto gentile. > Si passa una mano tra i capelli disordinati, scompigliandoli ancora di più.

Quante volte l'ho visto farlo nelle interviste alla tv?

Faccio spallucce; i gelati non mi interessano, vorrei dirgli, vorrei solo passare del tempo con te, ma mi prenderebbe per pazza e mi volterebbe le spalle ed io non voglio.

< Comunque, non hai risposto alla mia domanda. > Gli faccio notare, mentre svoltiamo a sinistra e attraversiamo la strada per raggiungere le altalene. Ho sempre pensato che fosse proprio questo il suo posto preferito. La maggior parte delle volte è deserto e puoi sostare a pensare.

< Te l'ho detto: ho rivisto delle vecchie foto. > Ribatte, sedendosi sulla prima altalena disponibile, mentre io occupo quella accanto.

< Ma sono solo un viso tra un'altra dozzina di persone e non sono nemmeno la più attraente di tutte, per giunta! > Protesto, puntando i piedi nell'erba per darmi la spinta.

< Attraente?!? Credi di non essere attraente?!? > E' stupito e non capisco il motivo di tale sbalordimento; ho solo detto la verità.

< Certo che non lo sono! > Obietto, sventolando una mano come per dirgli che è ovvio che io la pensi così.

Ride e scuote la testa e questa volta sono io quella sbalordita.

< Stai ridendo di me! > Gli faccio presente con stizza, indicandomi.

< Ma insomma, ti rendi minimamente conto delle stupidaggini che dici? Tu, Cheryl Richards, non saresti attraente? Andiamo, è divertente! > Non so se arrabbiarmi o arrossire per il complimento.

< Io non ci trovo niente di divertente. > Ammetto, incrociando le braccia al petto e decidendo di fare la bambina capricciosa.

Le luci colorate che fungono da decorazione per le case che circondano il giardinetto, sono l'unico riflesso colorato e si spengono e riaccendono una decina di volte prima che Robert riesca a calmare l'ilarità, tempo in cui io continuo a fare l'offesa e a dondolarmi pigramente.

Pensavo che sarebbe stato più difficile parlare con lui, pensavo che non avrei fatto altro che balbettare e rimanere in silenzio, invece è più naturale di quanto credessi ed è come se fossimo rimasti sempre in contatto durante questi anni.

< Cosa fai adesso? Hai già pensato all'università? > La sua domanda mi spiazza, eppure, è solo una domanda, non una proposta indecente.

< Ho fatto domanda per Oxford e sono stata ammessa. > Rispondo atona. Non che la cosa non mi entusiasmi. Andare ad Oxford è sempre stato il mio sogno, sin da bambina, ma questo posto mi mancherà e tornarci ogni fine settimana non sarà la stessa cosa.

< Congratulazioni! > Mi scompiglia i capelli, poi, come se si fosse appena reso conto di quello che ha fatto, ritrae la mano e abbassa lo sguardo, pensieroso.

Io ho il cuore in gola, le palpitazioni a mille e sento caldo, tanto caldo, sebbene spiri un vento freddo e il cielo minacci ancora neve.

< Insomma, Oxford è... wow! > Continua incerto dopo qualche istante.

< Già, è wow! > Gli faccio eco, indifferente.

< Non sei felice? > Sento i suoi occhi scrutarmi e ho l'impressione che se mi voltassi, potrebbe davvero leggermi la mente.

< E'... complicato. Voglio dire, come si fa a stare per così tanto tempo lontani da casa? > Non c'è persona migliore a cui chiederlo.

< Ci si fa l'abitudine, direi. E' difficile per i primi tempi, ma poi è come essere costantemente in vacanza e poter sentire la tua famiglia solo per telefono. > I suoi occhi ritornano cupi e malinconici. < Il tempo con loro è sempre troppo poco e vorresti riavvolgere il tempo per tornare indietro, per tentare di vedere se c'è una soluzione alternativa, ma è sempre troppo tardi. > Continua mesto.

Prendo un bel respiro prima di porgli la domanda successiva, perché non voglio che si senta in dovere di rispondermi se non vuole e perché voglio essere sicura di non rovinare tutto.

< Sei felice? Della vita che fai, intendo. > Fermo l'altalena e lo osservo.

Sospira e osserva il cielo bianco.

< A volte. > Sussurra, tanto che faccio fatica a sentirlo.

Era il suo sogno diventare attore, tutti ne erano a conoscenza e tutti non facevano che ripetergli che aveva delle ottime possibilità e che, con le spinte giuste, il successo sarebbe arrivato anche per lui.

Quando hai un lavoro che adori e quando puoi far parte di qualcosa di meraviglioso, non dovresti sentirti fiero e orgoglioso?

Rimango in silenzio, le scarpe che giocano con la neve che non si è ancora sciolta, il vento che mi scompiglia i capelli e i mille pensieri che mi affollano la mente.

Vorrei sollevargli il morale, sentirlo ridere come qualche minuto fa, prima che intraprendessimo questo discorso, ma non ho idea di come farlo. Il suo regalo è ancora al sicuro nella tasca del cappotto, ne sento il peso e il valore e poi mi rendo conto che forse è proprio questo il momento di darglielo, perché forse ha solo bisogno di sapere che c'è qualcuno che lo pensa, lontano o vicino che sia, oltre ai suoi parenti e amici, così lo estraggo dalla tasca e me lo rigiro tra le mani, indecisa.

< Cos'è, un regalo? > Mi chiede ed io annuisco.

< E'... per te. Lo so, sembra assurdo, ma ne ho almeno una ventina nell'armadio e... beh, questo è quello di quest'anno, perciò... > Glielo porgo, prima che il mio parlare diventi incomprensibile del tutto.

< Una ventina?!? E... sono tutti per me?!? > Mostra il suo sorriso sghembo, quello che lo fa tanto assomigliare ad Edward Cullen, il personaggio che interpreta.

Annuisco, incapace di rispondere e so che se ci fosse Charlotte qui con me, non avrebbe perso tempo a darmi una gomitata nelle costole per dirgli la verità.

< Perché non me li hai mai portati? > E' solo curioso, non è un'accusa, la sua.

< Oh, beh... io non credevo che... fosse il caso, ecco. > Certo, se non era il caso di portarglieli, non era neanche il caso di comprarglieli, no? Ma si può essere più stupidi di me?

Strappa la carta contento, come un bambino la mattina di Natale, non preoccupandosi nemmeno di rispettare la tradizione della mezzanotte del ventiquattro dicembre, ovvero oggi.

Mentre scruta attento il portachiavi a forma di chitarra che gli ho regalato, penso che non gli piaccia, che è un pensiero sciocco per lui, abituato a cose di tutt'altro valore e mi vergogno per averglielo dato, per aver trovato finalmente il coraggio che mi è sempre mancato.

< E'... > Ma lo interrompo.

< Orrido, lo so. Scusa. > Voglio piangere.

< Orrido?!? No! Io intendevo dire meraviglioso! > Esclama, di nuovo sorridente. < Sono anni che vado in giro con il portachiavi che mi regalò mia sorella per i diciotto anni, era ora di cambiarlo. > E nel dire ciò, estrae dalla tasca un portachiavi a forma di R tridimensionale, color giallo canarino.

Si disfa in fretta della R imbarazzante e la sostituisce con la mia chitarra argentata.

< Beh... grazie. > Si gratta la nuca imbarazzato e mi fa così tenerezza che avrei voglia di baciarlo all'istante, solo per sentire se il suo sapore è come mi sono sempre immaginata: fragole e cioccolata.

< Figurati, è solo un pensiero. > Ma sono davvero felice che gli piaccia e che io non abbia fatto la figura dell'idiota.

< Non si dice che è il pensiero quello che conta? > Intasca le chiavi e sento la sua mano avvicinarsi di nuovo al mio viso. Le sue dita sfiorano una guancia e poi un ciuffo di capelli fuori posto che lui, prontamente, risistema dietro l'orecchio.

Mi volto a fissarlo, conscia di poter perdere i sensi da un momento all'altro per quanto forte mi sta battendo il cuore.

< In... teoria sì, ma... > Non faccio neanche in tempo a terminare la frase, che sento le sue labbra posarsi sulle mie, leggere.

Non sta succedendo davvero, è impossibile.

Non è pretenzioso, non vuole affrettare troppo le cose, ma chiede l'accesso alla mia bocca con rispetto ed io glielo concedo, schiudendo le labbra e lasciando che mi assaggi. Il suo sapore non è come immaginavo, è ancora meglio.

Gli sfioro i capelli con una mano e scendo verso il viso, desiderosa di avvertire sotto le dita la sua pelle morbida e liscia e lui mi lascia fare, non abbandonando mai le mie labbra.

Quando ci separiamo io credo ancora di essere in un sogno e, anche se ho gli occhi aperti e lui mi sta veramente sorridendo, non riesco a non pensare che ho fantasticato mille volte su questo momento, credendo che non si sarebbe mai avverato e che sarebbe rimasto uno dei miei desideri nascosti.

< Perché sorridi? > Mi solletica la guancia con un dito, i miei occhi persi nei suoi.

< Perché credevo che esprimere un desiderio la Vigilia di Natale non valesse niente. >

< I desideri si avverano sempre, Charyl. Anche quelli impossibili. > Appoggia la fronte sulla mia e chiude gli occhi, sospirando beato.

< Anche quelli impossibili?!? > Ripeto, rifiutandomi di distogliere l'attenzione dal suo viso così vicino al mio e così perfetto.

< Anche quelli impossibili. > Afferma sicuro.

< Ma io credevo che... > Neanche questa volta mi lascia terminare la frase, poggiandomi un dito sulle labbra e zittendomi all'istante.

< Basta con i ma. > Mormora prima di baciarmi ancora. < Non mi sono mai piaciuti. > Continua e, a questo punto, non posso che dargli ragione.

   
 
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