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Autore: AmetistaCassandra    01/01/2011    2 recensioni
Piccola follia che, in origine, doveva essere l'introduzione e l'epilogo di un romanzo allegorico che non vedrà mai la luce.
Brevissimo raccontino privo di trama o di senso.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era uno di quei giorni in cui l'anima era uggiosa.
Si sedeva alla scrivania e lasciava che la penna le mostrasse la strada, facendo sbocciare parole, frasi, poesie sconnesse. Non c'era una Musa a guidarla, allora, non era l'intento di creare mondi infiniti.
Solo scriveva,inconscia e schiava di quelle righe, una sull'altra, che non guardavano a grammatica e sintassi ma solo a tratteggiar senza sosta sogni, senza regole e precetti. E faceva di un sorriso la morte, di un "ti odio" una promessa, di quel mondo che non esisteva la casa che non voleva.
Ma che bramava.
Si sarebbe raccontata laggiù, avrebbe disegnato sul bianco fruscio quell'udito che nient'altro sentiva che lo scorrere dell'inchiostro sulla carta, avrebbe cancellato il tremore della mano e le lettere sottili. Avrebbe trasformato tutto in vita.


Ma per uno strano scherzo del destino, quella ragazzina così falsa, non riusciva a scrivere il suo nome.



Un fruscio, il foglio a terra.
Un sorriso amaro incurvò le labbra bianchissime.
Le mani tremanti condussero il suo sguardo sulle due parole vermiglie che, sangue sulla neve, urlavano dal pavimento. "Guardati allo specchio, cosa vedi?" Era una voce distante, un eco sulle piastrelle fredde.
Si alzò sulle gambe deboli e si mosse a tentoni nella stanza buia inchiostro. Non si era vista,allora: un volto, degli occhi. Non poteva essere lei, quella.
Ripercorrendo con il fiato ogni istante, strinse il pugno intorno alla sua aria nera e capì cosa aveva visto davvero quella volta: parole.
Linee di parole a formarle i capelli, frasi negli occhi. Le lettere, l'una dietro all'altra, le disegnavano un sorriso muto.
Tentò di parlare ma l'aria che uscì dalla sua bocca corse a sommarsi alle parole che annotava con furia. Ogni disperato anelito di vita era mediato. Si rese conto di essere prigioniera di una gabbia di parole. Ogni pensiero di fuga aggiungeva una riga a quel poema infinito di cui era prigionera e carceriera, ogni disperata ricerca di odori, suoni, luci, ne disegnava una descrizione sul foglio bianco.
Uno specchio! Aveva bisogno di uno specchio! Incapace di trovarlo, ne scrisse uno ma non vi trovò riflessi dentro altro che pensieri cartacei.
Profonda passione e dirompente dolore infuriavano dentro di lei in un fruscio di fogli mentre la sua anima di inchiostro lottava per liberarsi del suo carcere naturale.
Quel bianco supporto geloso l'aveva fatta sua troppo presto e non l'avrebbe lasciata andare.
E poi capì.
Fu in quell'istante che si rese conto che per poter vivere, avrebbe dovuto uccidersi sulla carta.
   
 
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