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Autore: Fee17    01/01/2011    1 recensioni
Volevo il controllo di me stessa più di qualsiasi altra cosa. Eppure, in una nascosta parte di me, ho sempre sperato di inciampare nella vita di qualcuno o che qualcuno... inciampasse nella mia. Quel qualcuno lo avrei voluto con quegli occhi fondenti, con quel sorriso che strega, con quella voce che rapisce. Avrebbe dovuto avere il coraggio e la forza di corrermi accanto, di non rubarmi la libertà che da sempre difendevo con le unghie e con i denti e non lo fece, regalandomi, invece, il sogno di una vita, la favola di ogni principessa, l'amore disperato e crudele che ti strappa il cuore dal petto, che toglie il fiato. L'amore che non esiste, ma che, se chiudiamo gli occhi e iniziamo a sognare, popola nei più remoti desideri di ognuno. Lui era un cantante, lei una stupida ragazzina incazzata col mondo e la loro storia immaginaria si chiama "In pieces".
Genere: Drammatico, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Tutto iniziò là, dove gli occhi si chiusero e cominciarono a sognare.
 

 
 
1)
 
Correva.
 Correva  a caso per le strade di Amburgo, senza minimamente avere idea di dove stesse andando, imprecando tra sé fra gli ansimi, non ricordando nemmeno più l’ultima volta che gli era capitato di fare un po’ di sano movimento e rimpiangendo in quel momento di aver sempre declinato, inorridendo, la proposta di Gustav di fare jogging mattutino con lui. D’altra parte, non poteva certo immaginare che delle ragazze potessero essere così allenate e tenaci da inseguirlo con tanto accanimento, muovendosi in uno spaventoso branco starnazzante e chiamando il suo nome, come se sentendolo, magicamente lui si dovesse concedere alle loro grinfie. Ma in effetti  gli sarebbe almeno dovuto venire in mente che dalle fan dei Tokio Hotel ci si può aspettare di tutto.
Rallentò un poco per cercare di riprendere fiato, la milza che implorava pietà, ma senza fermarsi, maledicendosi per l’ennesima volta per aver avuto l’insana idea di uscire dal rifugio sicuro di casa propria senza alcuna scorta di bodyguard e nemmeno un travestimento convincente. Doveva essere stato pazzo per correre un rischio del genere, ma non c’era da stupirsi, considerando con che gente stressante era costretto ad avere a che fare continuamente, ogni giorno, sottostando a ordini e imposizioni riguardo ogni minima cosa.
Quel pomeriggio più del solito aveva veramente rischiato di uscire di testa, esasperato da un produttore lievemente schizzato, mai soddisfatto del numero già esoso di interviste e servizi fotografici stipati in ogni santo giorno della settimana, da una truccatrice pignola e appiccicosa che pretendeva di accompagnarlo a tutti i costi a fare shopping, e da due energumeni addetti alla sicurezza, che prima o poi era sicuro si sarebbe ritrovato persino in bagno, a controllare che nessun malintenzionato sbucasse a tradimento dalla tazza del water. Era più di quanto i suoi nervi potessero sopportare, e dopo aver tentato, inutilmente nonostante le proprie urla isteriche, di buttarli tutti fuori di casa, arrivando a minacciare armato di piastra per capelli i propri bodyguard decisamente troppo imponenti per essere affrontati a mani nude, aveva finito per piantarli in asso lui, senza dire niente a nessuno, uscendo da solo a prendere almeno una boccata d’aria e distrarsi, allontanandosi  un po’ troppo, e rendendosi conto troppo tardi che forse non era stata un’idea così geniale.
Si voltò indietro, assicurandosi di aver messo una distanza consistente tra sé e le pazze urlanti, ma temendo di vederle comparire da un momento all’altro alle proprie calcagna, riprendendo quindi a correre, gettando occhiate nervose alle proprie spalle e svoltando in fretta un angolo, senza guardare. Pessima idea.
 Prima ancora di avere il tempo di reagire o di capire cosa stesse succedendo, avvertì un urto improvviso e inaspettato, piombando a terra rovinosamente.
 
Si era comprata un gelato, cosa che non le succedeva da parecchio tempo, e ne era veramente soddisfatta. Non aveva potuto resistere all’allettante possibilità, visto che quel pomeriggio il sole splendeva invitante su Amburgo, e il clima era tiepido e gradevole, cosa per nulla usuale da quelle parti della Germania. Appena uscita dall’università, sulla via del ritorno verso casa, si era quindi fermata nella prima gelateria che aveva trovato, concedendosi un sontuoso cono a tre gusti e si era rimessa in cammino, senza fretta, assaporandolo beata e godendosi quella giornata particolarmente piacevole. Almeno fino a quel momento.
Stava per l’appunto leccando con impegno e concentrazione il rivolo di stracciatella che puntualmente le colava sulla mano, quando sentì qualcuno sbucare all’improvviso da dietro l’angolo e travolgerla, rovinandole addosso. Lanciò un grido, non riuscendo a evitare il disastro e finendo a terra con un tonfo, mentre il gelato, il suo prezioso gelato, le si spiaccicava irrimediabilmente sulla maglietta.
“Ma porco… SPINO!!!” 
Gridò frustrata, completamente spalmata sul marciapiede, sollevando lo sguardo allibito e furioso sull’idiota che l’aveva assalita e che ancora non le si era levato di dosso, e ritrovandosi a fissare in viso un ragazzo dai lunghi capelli corvini, fino a poco prima probabilmente nascosti sotto il berretto che nell’urto gli era caduto, e dai lineamenti fini e delicati, o che almeno così parevano da quel poco che i grossi occhiali da sole griffati lasciavano intravedere. Chiunque fosse, non aveva idea di cosa lo aspettava, ma lo avrebbe scoperto di lì a poco, questo era sicuro.
 
Non avrebbe saputo dire se l’aveva stordito di più lo schianto inaspettato, o la bizzarra imprecazione che gli aveva perforato i timpani qualche istante dopo, lasciandolo del tutto allibito e confuso. Tentò velocemente di riprendersi  e riordinare le idee, rendendosi presto conto, con sommo panico, di essere volato a terra e per di più di essere praticamente disteso addosso a una ragazza, tra l’altro chiaramente furiosa. Decisamente quella non era la sua giornata fortunata.
“Oh merda…”
Si raddrizzò immediatamente, imbarazzato e allo stesso tempo profondamente seccato da tutta quella situazione, sollevato unicamente dal fatto che, a giudicare dalla reazione tutt’altro che accomodante, quella che aveva appena rischiato di uccidere evidentemente non era una fan, anche se l’espressione nei suoi occhi gli faceva intuire chiaramente che nemmeno a lei sarebbe dispiaciuto mettergli le mani addosso, anche se per scopi totalmente diversi da quelli delle sue arrapatissime ammiratrici.
“… cazzo… scusami, non… non ti ho vista, mi dispiace…” biascicò in fretta, cercando di alzarsi faticosamente di nuovo in piedi e tendendole una mano per aiutarla. La ragazza lo fulminò con lo sguardo, ignorando completamente la sua mano tesa e scattando di nuovo in piedi, scuotendo indietro i lunghi capelli castani e guardandosi prima la maglietta del tutto rovinata, poi i resti del gelato ormai sciolto sull’asfalto, tornando a fissare lui con astio.
“NO MA, CIOE’!! GUARDA DOVE VAI!!! ORA NON HO Più UNA MAGLIA E SOPRATTUTTO NON HO PIU’ UN GELATO!!! TI PARE?!?”
Il moro fece istintivamente un passo indietro, cercando intanto febbrilmente di sistemarsi i vestiti e ricomporsi, passandosi nervosamente le dita tra i capelli e guardandola a metà tra il mortificato e l’irritato, sbottando a sua volta, nel tentativo di difendersi e rimediare:
“Ti ho chiesto scusa!!! Andavo di fretta e non ti ho vista, ok?? Mi dispiace!!”
La ragazza non parve minimamente addolcita, e soprattutto affatto intenzionata a demordere, ribattendo subito con enfasi, gesticolando:
“Eh, l’ho notato, porca miseria! Guarda che distastro… Se stavi perdendo il bus comunque ci stai riuscendo! Cosa aspetti, sparisci da qui… il mio gelato… il mio gelato… il mio gelato…”
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, travolto dai suoi sproloqui, cercando di interrompere le sue lamentele, sentendosi al limite della sopportazione, esclamando esasperato e ormai prossimo a un crollo di nervi:
“SENTI, TE LO RICOMPRO, VA BENE?? ti ho chiesto scusa accidenti, come potevo immaginare che eri appostata a mangiarlo proprio dietro l'angolo?!?"
Gli occhi della ragazza saettarono su di lui, indignati e furiosi.
“COOOOSA?!? E’ colpa mia quindi?! Io stavo camminando ed ero impegnatissima a non farlo gocciolare, sei tu che mi sei venuto addosso come una furia!!” replicò aggressiva, le mani sui fianchi, squadrandolo dall’alto della propria statura, che probabilmente a malapena gli arrivava alla spalla.
Il moro sbuffò sonoramente, cominciando a irritarsi pericolosamente e sfilandosi con un gesto brusco gli occhiali da sole per squadrarla a sua volta, per nulla disposto a farsi mettere i piedi in testa da quella assurda ragazza, tanto minuta quanto dal caratterino per nulla accomodante.
"Se invece di essere impegnatissima a non farlo gocciolare, avessi provato a guardare dove andavi, magari non saresti stata in mezzo al passaggio e non ti sarei venuto addosso come una furia!!!" ribatté tutto d’un fiato, facendole il verso e guardandola con sfida.
 Lei lo fissò spalancando la bocca e investendolo con rabbia:
“Senti, io non so chi diavolo ti credi di essere, ma rimane il fatto che qui la colpa è tua!! Sei tu che non guardavi, mi sei arrivato addosso all’improvviso e io guardavo avanti, mentre tu non lo hai fatto!! Quindi chiudi il becco ragazzino!!” Lo fulminò di nuovo, ma distogliendo improvvisamente lo sguardo dal suo, come distratta da qualcosa. “Ma che cazzo…”
Il ragazzo, che stava già per risponderle a tono,  furioso per la sua impertinenza, si bloccò tendendo le orecchie. Preso dalla foga di quella discussione, si era praticamente dimenticato il motivo della propria fuga, che però ora si stava decisamente facendo sentire di nuovo, mentre le grida e le voci si avvicinavano di  secondo in secondo, facendolo di nuovo sudare freddo. Imprecò  sottovoce voltandosi a gettare un’occhiata alle proprie spalle allarmato, non sapendo più dove nascondersi o come sfuggire loro, ormai stanco di correre, sentendo l’ansia salire.
“Che diavolo succede??”
Tornò a voltarsi verso di lei, incontrando il suo sguardo inquisitorio e sbottando esaurito e con i nervi a pezzi, troppo preoccupato anche per mandarla a quel paese, anzi guardandola come se lei potesse miracolosamente avere una soluzione:
“Cercano me, dannazione...ecco perchè avevo fretta! Cazzo, ora che diavolo faccio??"
“Ah non ne ho idea...” commentò la ragazza, inclinando però il capo improvvisamente incuriosita, e lui la vide studiargli il viso, gli occhi, i lineamenti, come intuendo almeno in parte la sua identità, distogliendo però presto lo sguardo e aggiungendo con una noncurante scrollata di spalle, “sono cavoli tuoi, io devo prendermi un altro gelato”.
"Nascondimi e te ne ricompro due, per favore,  non ho idea di dove cazzo andare!!!"  ribatté precipitosamente il moro, senza quasi sapere cosa stesse dicendo, agitandosi sempre di più e non smettendo di lanciare occhiate nervose alle proprie spalle, aspettandosi da un momento all’altro di vedere sbucare da dietro l’angolo la mandria urlante, pronta a fargli la festa.
“Ma nemmeno per sogno, guarda quel povero gelatino! Giace a terra per colpa tua. Per non parlare della mia maglia con gli uccellini…” continuò a sproloquiare lei, ma ascoltando a sua volta gli schiamazzi inneggianti un nome, sempre lo stesso, sempre di più, guardandolo poi lievemente incuriosita.
“Bill saresti tu?”
“Cosa te lo fa pensare?? " replicò lui ironico, guardandosi freneticamente attorno, pregando di trovare una via di scampo, una qualunque, l’ansia ormai a livelli inauditi.
La ragazza non replicò, ma si allungò a sporgere il capo oltre l’angolo del muro, come per vedere con i propri occhi cosa stesse succedendo, e probabilmente rendendosi effettivamente conto di quanto quel branco di ragazze scalmanate fosse terrificante e potenzialmente pericoloso, perché dopo qualche istante ritirò la testa, si appiattì contro il muro e, cogliendolo completamente di sorpresa, lo afferrò  per il colletto, attirandolo vicino a sé e guardandolo perentoria e decisa.
“Baciami”.
Per un momento credette di aver capito male. La fissò sbigottito, il viso a qualche centimetro dal suo, cercando di far funzionare di nuovo il proprio cervello inceppato e chiedendosi se sotto tutta quella acidità si celasse in realtà un’ennesima fan in calore, o cosa ancora più probabile, se la ragazza si stesse palesemente prendendo gioco di lui. Rimase a guardarla spiazzato e confuso.
“…c-cosa?!”
Lei  sbuffò spazientita, facendo saettare i propri occhi verdi nei suoi, guardandolo come se lui non comprendesse qualcosa di assolutamente ovvio.
“Idiota! Non sto morendo dalla voglia, ma nei film funziona! Quindi o mi baci e fingi di apparire normale, lasciando che le tipe distolgano l'attenzione, o ti fai divorare da loro! Io non ho alcun problema a lasciarti lì” spiegò con enfasi, guardandolo in attesa, con il sopracciglio sollevato.
Il ragazzo la fissò impalato, stranito da quella trovata assurda e ancora di più dal fatto che lei avesse effettivamente intenzione di aiutarlo, guardandola esitante, ma vedendola stranamente sincera.
Di una cosa era certo, non voleva per nulla al mondo scegliere la seconda opzione.
Le urla erano ormai a pochi passi di distanza, ancora qualche secondo e l’avrebbero trovato.
La ragazza davanti a lui lo fissava, ancora tenendolo per il colletto, aspettando che si decidesse.
E lui, senza sapere quale follia lo spingesse a farlo, decise improvvisamente di fidarsi di lei.
Chinò rapido il viso, avvicinandolo al suo e premendo leggero le labbra su quelle di lei, appoggiandosi al muro nel punto più nascosto e circondandola con le braccia, calandosi nella parte, quella di una normale coppietta qualunque impegnata a scambiarsi effusioni, e pregando dentro di sé che quel piano improbabile funzionasse, sentendo la massa urlante di ragazze sbucare poco lontano da loro correndo scompostamente, e ritrovandosi a serrare gli occhi, aspettando che passasse il peggio. Si strinse istintivamente un poco di più alla ragazza, e per un momento si sentì distogliere dal pensiero delle proprie fanatiche inseguitrici, distratto dall’aver appena realizzato che la sensazione delle labbra di lei e del loro calore non gli dispiaceva per niente. Rimase per un istante immobile e stupito, spiazzato da quella situazione. Lei, come da copione, l’aveva soltanto lasciato fare rimanendo impassibile tra le sue braccia fino a quel momento. Eppure, nell’istante in cui il moro premette di più la bocca su quella di lei, la avvertì reagire quasi involontariamente, rispondendo muovendo lentamente le labbra sulle sue, incerta, ma come incapace di trattenersi, provocandogli una lieve stretta dalle parti dello stomaco e il bisogno istintivo di avere di più. Sentì i proprio muscoli in tensione rilassarsi a poco a poco, stupendosi di non sentirsi più a disagio, ma solo allettato da quel contatto, rispondendo ai lievi movimenti delle labbra di lei, scoprendone il sapore, la morbidezza, e non volendo staccarsene. Lei  approfondì un poco il bacio, posandogli esitante le mani sulla schiena, e lui avvertì chiaramente da parte sua la stessa strana e inspiegabile attrazione fisica che provava lui stesso, e una sintonia tra di loro quasi perfetta, spiazzante, mai provata prima. Improvvisamente non gli parve più di essere con una sconosciuta, non sapendosi spiegare il motivo di questa sensazione, ma lasciandosi andare, quasi inavvertitamente, intensificando quel bacio e sentendole fare lo stesso, fino ad avvertirla allontanarsi leggermente, dividendo con una certa riluttanza le labbra da quelle di lui e rimanendo a guardarlo, come risvegliandosi di colpo, seppur rimanendo aggrappata alla sua maglia.
Si ritrovò a fissarla a sua volta, ancora tenendola vicina a sé ed esitando a staccarsi da lei, senza più la fretta di allontanarsi e quasi dimenticando il motivo per cui si era infilato in quella situazione. Scrutò i suoi occhi senza parlare, non sapendo nemmeno cosa dire, spiazzato ma incapace di interrompere quel momento.
La ragazza sembrò riprendersi per prima, riscuotendosi e arrossendo di botto, distogliendo lo sguardo dal suo. 
“Ok… se ne sono andate” commentò, portandosi in un gesto nervoso i capelli dietro l’orecchio.
Il moro sbattè le palpebre, tornando bruscamente alla realtà e staccandosi subito da lei, facendo un passo indietro e cercando di riscuotersi, guardandosi intorno e realizzando solo in quel momento  che aveva ragione, che il suo piano aveva insperatamente avuto successo, mentre lui era troppo occupato a perdersi in quelle sensazioni per rendersene conto.
“Oh, ehm… vero,fantastico” mormorò con un certo impaccio, ancora intento a recuperare l’uso delle proprie facoltà mentali. Tornò a guardare lei, che nel frattempo si ricomponeva, riguadagnando il proprio contegno altezzoso e scostante, e a sua volta cercò di rimettere delle distanze tra sé e quella sconosciuta, ma suo malgrado si sentì riconoscente. Dopotutto l’aveva appena salvato dalla morte certa o peggio. “Allora, insomma… grazie” aggiunse sincero, lanciandole nuovamente un’occhiata.
“Di nulla” replicò lei, ma senza guardarlo “io… beh, dovrei andare adesso… devo cambiarmi maglia”.
Sembrò sul punto di allontanarsi così, ma lui si ritrovò a ribattere senza averlo deciso, trattenendola:
“Senti, scusami davvero per quella. Posso farmi perdonare e… magari sdebitarmi?"
La ragazza si fermò tornando a guardarlo in viso, studiandolo, come soppesando le sue parole, mentre lui si chiedeva, per l’ennesima volta quel giorno, cosa accidenti gli fosse passato per la testa. Sapeva solo di aver sentito la curiosità verso di lei vincere sulla propria diffidenza, e ora attendeva, giocherellando con i propri occhiali da sole e fissandola. Gli sembrava impossibile che una ragazza non cogliesse al volo una proposta del genere da parte sua, e per quanto quella che aveva di fronte fosse sicuramente un tantino fuori di testa, si ritrovò a sperare davvero che accettasse. Non poteva non accettare.
Lei comunque non si scompose troppo, replicando dopo qualche secondo, pensierosa:
“Io avrei fretta, ma se vuoi…” Si interruppe per frugare nella borsa, con un leggero cipiglio, estraendone poi un rossetto e un pezzettino di carta e scribacchiando qualcosa, tendendoglielo una volta finito. “Questo è il mio numero. Per la maglietta passi, ma per il gelato magari…”
Lo guardò con un mezzo sorriso, il primo che le vedeva rivolgergli, e dentro di sé lui si sentì stranamente euforico, prendendo lentamente il foglietto dalla sua mano e sollevando il sopracciglio invitante, cogliendo la palla al balzo per vincere del tutto la sua ritrosia, guardandola con un ampio sorriso.
“Stavo giusto per proporti una cena…”
“A me basta che alla fine ci sia un gelato” ribattè lei con una scrollata di spalle, ammiccandogli prima di voltargli le spalle.
“Stai alla larga dai guai Bill Kaulitz… non so se avrai di nuovo la fortuna di venire salvato, la prossima volta” aggiunse divertita allontanandosi, facendogli capire di averlo riconosciuto, alla fine.
Il ragazzo rimase a guardarla allontanarsi, completamente scioccato e senza parole. Non gli capitava da ere geologiche di invitare fuori una ragazza, e sapeva che ce ne sarebbero state migliaia, anche senza contare le assatanate di poco prima, che avrebbero fatto carte false pur di avere un tale incommensurabile privilegio.
E invece lei, pur sapendo con chi aveva a che fare, si comportava come se quello a cui era stata fatta una generosa concessione fosse lui. Era qualcosa di inaudito. Non poteva che essere pazza, quella…
“Ehi!!”
Esclamò improvvisamente, colto da un’improvvisa realizzazione, chiamandola prima che fosse troppo lontana. La ragazza si fermò, voltandosi a guardarlo interrogativa. Lui esitò un istante, inclinando poi il capo e scrutandola, lo sguardo curioso e incerto.
“Io però non so il tuo nome…”
Sulle labbra di lei comparve un sorrisetto, e si portò un dito alle labbra, mordicchiandolo appena e fingendo di pensarci su.
 
“Hai un altro motivo per invitarmi fuori…”
Gli ammiccò, prima di sorridere nuovamente e tornare a voltarsi, avviandosi di nuovo per la propria strada.
Lui rimase a fissarla allontanarsi, stupito, un po’ irritato, intrigato. Abbassò gli occhi sulle cifre scarlatte che comparivano sul biglietto nella propria mano e suo malgrado sorrise fra sé e sé.
Ci poteva giurare che l’avrebbe invitata fuori. L’aveva spiazzato, al punto che davvero la voleva rivedere, e mentre piegava il foglietto e lo infilava in tasca, decise che non se la sarebbe fatta scappare facilmente. Dopotutto lui era Bill Kaulitz, e quando Bill Kaulitz decideva una cosa, l’avrebbe senz’altro realizzata.
Certo, sempre se fosse sopravvissuto al ritorno a casa.
 

   
 
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